Chi sono e come affrontarli
Buongiorno amici e buon anno. Oggi parliamo di genitori zombie, concetto affrontato e ben spiegato da Crepet.
Che cosa significa essere un «genitore zombie»
Significa tante cose.
Intanto una sorta di disorientamento che la gente sente e che non è necessariamente legato a un orientamento o a un “riorientamento”. Ho l’impressione che molti abbiano capito che essere disorientati è anche molto confortante. Significa essere in una sorta di comfort zone in cui non hai responsabilità.
Puoi alzare la manina e dire: “Io sono disorientato, quindi non aspettatevi risposte da me”. E così ognuno fa quello che vuole, sostanzialmente continua la sua passeggiatina esistenziale che non porta da nessuna parte, se non al parco a sedersi su una panchina e accendere il telefonino.
Mi pare che sia pieno di queste persone: madri, padri, parenti vari che fanno di tutto – spero incoscientemente – per rovinare i propri figli».
E il senso di responsabilità che fine ha fatto
Queste persone ritengono che la responsabilità sia dare tutto ai loro figli: è un po’ questo il loro mantra e quindi, poveretti, continuano a dare, dare, dare e invece tolgono, tolgono, tolgono. Questo è l’aspetto forse più inquietante.
I genitori non capiscono l’ importanza sin da piccoli a fare i conti con «la vita vera».
Ecco, i genitori non lo vogliono più fare. Perché è faticoso e comprende anche un po’ di rischio.
E uno dei problemi principali oggi, oltre ai genitori, sono i nonni che, quasi sempre, vogliono prendere completamente il loro posto, sostituirsi a loro. Ma, facendo questo appunto, fanno in modo di confondere i bambini, perdendo la loro identità e togliendo importanza ai veri genitori.
I nonni-genitori zombie
I nonni, quando sono stati ragazzi, hanno fatto la vita che più o meno descrivo io, cioè quella in cui monti su una motocicletta e te ne vai via. Per gioco o per costrizione, per miseria o per virtù, sono stati comunque una generazione che ha accettato l’idea dell’ignoto, del costruire, del cantiere che tira su un edificio che si chiama “vita”.
Poi, però, hanno smesso di farlo. Come se a un certo punto arrivasse un’età in cui c’è una sorta di gong a dire “fermi tutti, state pure tranquilli”, come fosse il ciak finale di un film. Questo è stato delittuoso da parte nostra, sicuramente, perché poi si è trasmesso a una generazione, quella più o meno genitoriale, che ha fatto una sorta di rinuncia al pensiero: il pensiero è diventato un optional, un gadget di cui possiamo fare a meno. Oggi è più importante avere un autista sotto casa che pensare. Il che è terribile, ed è anche un atto di enorme presunzione.
Che cosa sta spegnendo le emozioni?-genitori zombie
La ripetitività delle cose. Se si vuole spegnere il senso di una cosa, proprio come se si avesse in mano un telecomando, basta ripeterla all’infinito. Esempio: se si prende il tentato assassinio di Trump e lo si vede non più tante volte, come accadeva un tempo con la televisione, ma 100, 1000, 10.000 volte attraverso i social, si toglierà definitivamente l’emozione da quella pallottola.
L’ «anestesia dell’anima», in riferimento alle relazioni, all’incontro con l’altro.
I bambini non si abbracciano più, quasi non giocano neanche più. Abbiamo proprio buttato il Napalm sulle emozioni.
Ma l’empatia si può imparare o è innata?
No, non è innata e sì, si può imparare. Per esempio, crescendo in un ambiente in cui si gioca, si litiga con gli amici, si incontrano nuovi bambini simpatici. Si tratta di una grande ginnastica mentale e porta alla nascita di un tessuto neuronale che spinge alla ricerca dell’altro, alla curiosità per l’altro. L’empatia è questo.
L’empatia si può imparare anche da adulti, magari con dosi di difficoltà maggiori, se non la si conosce, ma la differenza è che a 30 anni è un impegno cosciente, a 5 anni no: giochi e basta, l’empatia viene da sé. Diciamo che fare i castelli di sabbia sul bagnasciuga è empatia, perché poi magari arriva qualcuno che te lo distrugge, un altro ti dice che è bellissimo o uno che lo fa più bello del tuo.
Come dovrebbero intervenire i genitori per crescere nuovi adulti empatici
C’è un compito ben preciso che gli adulti hanno, per la verità, una grossa responsabilità. Perché, per esempio, non c’è più un tempo dell’ozio sociale? Perché consideriamo moderno e contemporaneo e futuribile addirittura una sorta di “solipsismo digitale”? Che cosa ha di così interessante?
È un ergastolo! Se un padre si ritagliasse invece del tempo per raccontare al proprio figlio adolescente di quando da giovane prendeva un treno con tre amici e arrivava in Danimarca, di cosa succedeva, del freddo che faceva, di cosa mangiava e dove dormiva, degli incontri che faceva, del concerto che ha visto, insomma, della vita che ha vissuto durante quell’esperienza, questo farà innamorare dell’idea del viaggio e allora, il minimo che potrà succedere è che quel figlio o quella figlia possano aprirsi alla vita e dire, a un certo punto: “Ciao: vado con i miei amici in Finlandia!”.
E voi, siete dei genitori zombie?
Vi ricordo che , cliccando su “contatti e consulenze” del sito, potrete cominciare un percorso 1:1 con me, dove vuoi e negli orari che ti fanno più comodo.
Per tutti quelli che prenoteranno tramite sito, in omaggio i pdf dei miei ebook ( editi su amazon e comunque acquistabili) e un vademecum importantissimo da seguire. Più, esercizi pratici su come dialogare coi ragazzi e come accrescere la nostra empatia.
Alla prossima amici:)