Buongiorno amici. Oggi parliamo, in diretta:insoddisfazione cronica.
Da cosa nasce l’insoddisfazione cronica?
Tutti noi, probabilmente, ci siamo sentiti insoddisfatti almeno una volta.
Nessuno ha una vita perfetta. Tuttavia, il problema nasce quando questo sentimento domina ogni singola giornata.
In genere l’insoddisfazione cronica è relazionata a due elementi: non accettare la realtà ed essere incapaci di cambiare ciò che non va.
Entrambi gli elementi sono fondamentali per sentirsi bene. Applicarne solo uno produce stanchezza (psicologica e fisica, in ordine), ma favorisce anche le emozioni spiacevoli e persino la depressione.
Cosa succede se si accetta questa condizione?
Immaginate, per un momento, di scegliere il primo approccio. Esatto, quello dell’accettazione.
Anche se ci sono elementi nella vostra vita che non vi piacciono per niente, decidete di smettere di preoccuparvi. In fin dei conti, godersi il momento è uno dei segreti della felicità umana.
Quindi, smetterete di perdere tempo a pensare a ciò che non va.
Se il vostro capo è una cattiva persona, gli porgerete l’altra guancia. Se non avete abbastanza soldi per mettere su famiglia, vi rinuncerete. Ma quali saranno gli effetti di questo atteggiamento a lungo andare?
Vi lascio il link della diretta.
Potete anche scaricarla per guardarla e riguardarla, anche con i vostri ragazzi, quando e dove volete.
Buongiorno amici. Oggi parliamo della sindrome della ragazza fortunata.
Nuovo trend
È un trend lanciato di recente su TikTok.
È la “Sindrome della ragazza fortunata” o Lucky Girl Syndrome.
Si basa sull’idea che basti auto-convincersi che le cose nella vita andranno sempre bene per farle andare davvero nel modo giusto e ottenere tutto ciò che si desidera.
Un concetto che sembra fare riferimento al pensiero positivo, alla capacità di orientare i pensieri in modo ottimistico per raggiungere così i propri obiettivi.
Ma in questo caso siamo di fronte a qualcosa di diverso e, forse, più rischioso.
Un atteggiamento positivo ha sicuramente un’influenza su una parte di quello che facciamo. Come quando ci presentiamo a un colloquio di lavoro con un atteggiamento entusiasta.
E con più probabilità, grazie a questa atteggiamento, si otterrà un riscontro positivo in chi ci dovrà valutare.
La sindrome della ragazza fortunata sembra però qualcosa di diverso e meno funzionale allo sviluppo di un’attitudine costruttiva. C’è infatti una profonda differenza. Parlare di atteggiamento positivo non significa negare l’imprevedibilità di alcuni aspetti della realtà che non sono sotto il nostro controllo.
In questo caso invece, si parla di influenzare la fortuna, ossia di un pensiero illusorio, quello di ‘controllare l’incontrollabilità’, che non ha a che fare con la consapevolezza che esistono delle conseguenze rispetto ai nostri comportamenti o alle nostre scelte.
La sindrome
In altre parole, si nega una parte della realtà.
Ed è un po’ come è successo con il lockdown, quando si diffuse quella sorta di mantra, ‘andrà tutto bene’, che sicuramente nasceva da un profondo bisogno di rassicurazione sul futuro, da un senso di impotenza, di fragilità e imprevedibilità.
Contare sulla fortuna può in qualche modo essere la risposta (illusoria) a un senso di incapacità nell’affrontare le sfide della vita, che può anche non essere consapevole.
Il fatto che questa “sindrome” venga diffusa da note influencer la rende più pericolosa.
Prima di tutto perché influenza un numero di followers che, almeno in buona parte, tende a idealizzare queste figure e potrebbe anche non possedere strumenti che mettano in discussione ciò che questi personaggi comunicano.
Quando poi si scopre che la fortuna non si può controllare, il rischio non è di mettere in discussione quell’approccio, ma se stessi. Arrivando a dirsi ‘sono una persona sfortunata, non ho saputo mettere in pratica questa attitudine’, e ciò può andare ad acuire un grande senso di inadeguatezza e incapacità.
Come ridurre questo tipo di condizionamento?
Bisogna cerca di occuparsi delle difficoltà e delle emozioni negative che avvertiamo in noi stessi, non si deve rimuoverle ma farle emergere per coglierne il reale significato.
È fondamentale smettere di paragonare le proprie vite a quelle degli altri che appaiono nei social, comprese le persone che conosciamo.
Piuttosto, prendiamo le distanze da quelle immagini perfette e patinate, che possono destare ammirazione o invidia. Per sfruttare poi in modo costruttivo anche queste emozioni.
In che modo?
Domandiamoci quale elemento di insoddisfazione della nostra vita suscita il senso di invidia o di ammirazione, spostiamo la nostra attenzione dalla vita degli altri per portarla alla nostra.
In questo modo possiamo attivarci per superare il senso di insoddisfazione.
La chiave di volta è arrivare a sentirsi attivi e responsabili per superare un senso di impotenza rispetto a determinati ostacoli, senza cadere nell’idea che siamo incapaci di affrontare la vita in generale.
Come orientare la nostra mente in modo positivo e nello stesso tempo non essere tentati dalla ricerca di facili soluzioni?
Innanzitutto, occuparsi di sé e dei propri bisogni. È bene concedersi piccoli momenti di piacere e di benessere che ci aiutano a entrare in contatto con un atteggiamento più positivo.
In più, puntare la nostra attenzione su tutto quello che può migliorare la nostra vita è un modo per cominciare a piacerci di più.
E ancora, ricordarci che la perfezione non esiste, nonostante sia ostentata nei social: pensare sia possibile raggiungerla, da una parte ci rassicura, illudendoci, e dall’altra, se facciamo paragoni con la nostra vita, ci fa sentire da schifo.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul fatto che le parole possono uccidere.
PAROLE: MATERIALE ALTAMENTE PERICOLOSO, MANEGGIARE CON CONSAPEVOLEZZA!
Se le persone si domandassero più spesso quanto possono ferire le parole che stanno per utilizzare, forse ci sarebbe meno dolore. Sì dolore nel sentirle pronunciare, nel sentirsele rivolte contro. Le parole feriscono, anche profondamente, arrivano a distruggere, possono essere inopportune. Ogni volta che pensiamo di pronunciarne una, chiediamoci sempre se è utile, è importante, ma soprattutto se potrebbe ferire.
NON CONTA QUELLO CHE VUOI DIRE, CONTA QUELLO CHE PERCEPISCE IL TUO INTERLOCUTORE
In questa frase esattamente il senso del dialogo: utilizziamo le parole con “buon senso”, riflettendo su quello che potrebbero generare nel nostro interlocutore e non sempre, con egoismo perché ci riteniamo superiori.
Perché ricordiamoci che dal dialogo si percepisce molto della persona. Chi eroga consigli, chi dà giudizi, chi si permette di pensare di sapere cosa è meglio racconta molto di sé attraverso il linguaggio che utilizza.
Le parole raccontano molto della persona.
L’errore più grande è: creare un personaggio pubblico senza avergli dato tutti gli strumenti per mantenere la sua “Personalità”. L’incoerenza parole-azioni è il rischio maggiore di crisi mediatiche e social mediatiche.
“Non ho tempo da perdere per riflettere sulle mie parole quando dialogo con te” è esattamente come dire “Di te non mi interessa nulla. Esisto solo io. Tu non sei importante”. Ma non è così che funzionano le relazioni significative in qualsiasi ambito: professione, amicizia, amore …
PAROLE, PERCEZIONE E RISPETTO
Tutto parte dal rispetto. E’ nel rispetto delle persone, nel modo in cui si dialoga, nella conversazione e nel trasferimento dei contenuti.
Attraverso l’ascolto di come si esprimono gli altri nei suoi confronti si comprende tutto. E quel tutto è il risultato di parole efficaci, parole ponderate, linguaggio attento e preciso nei confronti dell’interlocutore.
Attenzione che la finzione si scopre: alle parole ovviamente devono corrispondere azioni coerenti 😉
Empatia
Sempre leu, imperterrita, onnipresente…o almeno così dovrebbe essere.
Oggi, appena apri la pagina di un qualsiasi social leggi insulti, accuse contro quella o questa persona per motivi, per la maggior parte, futili.
E ti chiedi: ma come deve sentirsi la persona dall’altra parte?
Ok, non te lo chiedi? Prova allor così: come mi sentirei io se venissi trattato così? perché le parole sono lame taglienti.
Prima di sputare sentenze, giudicare, farsi grandi su un’altra persona, cercate di capire chi avete davanti e, in base a questo, usate tatto nell’esprimervi.
E’ questione di rispetto, comprensione, di uno scambio civile di opinioni che non necessariamente devono essere uguali alle tue .
Quindi, ragazzi, prima di parlare pensate a quello che state dicendo.
Molti credono alle fake news su internet e la maggior parte non usa precauzioni.
Buongiorno amici. Oggi discutiamo su ragazzi e sessualità.
I giovani milanesi non sono adeguatamente informati sul sesso: pur iniziando a farlo a un’età non così precoce (tra i 17 e i 18 anni) c’è chi ha detto di aver iniziato addirittura prima dei 13.
In più, uno su tre usa il coito interrotto come metodo contraccettivo e, soprattutto, quasi sei su dieci (il 56,2%) non utilizzano il preservativo.
Dati
I dati, preoccupanti, arrivano dalla sesta edizione del report annuale dell’Osservatorio dell’azienda Durex «Giovani e sessualità» che mostra come a Milano l’approccio al sesso da parte dei più giovani è «leggero, precoce e molto spesso inconsapevole» .
Cioè basato su «conoscenze errate e informazioni confuse che determinano comportamenti a rischio per sé stessi e per gli altri».
Per Filippo Nimbi, psicologo e consulente scientifico dell’azienda, «i dati sono una conferma che rispetto al passato non si sono fatti molti passi avanti: c’erano passaparola e falsi miti e ci sono ancora.
E di questo sistema i giovani sono vittime, perché fanno quello che possono con quello che hanno.
Oggi c’è più informazione, è vero, ma non c’è educazione quindi aumenta l’ignoranza, anche emotiva».
Il problema è nei comportamenti: «Tutti — spiega Nimbi — hanno sentito parlare di un’infezione o magari di un’altra, eppure quando si passa ai comportamenti da adottare per proteggersi, i più scelgono il “metodo fatto in casa”».
Ricerche
Dalla ricerca, condotta con Skuola.net e la cooperativa sociale Ebico su un campione eterogeneo di giovani tra gli 11 e i 24 anni, emerge che il 41,7% (+3% rispetto al dato nazionale) ha avuto il primo rapporto sessuale tra i 17 e i 18 anni. Tuttavia, il 9,5% lo ha avuto prima dei 13 anni.
Ma è sulla contraccezione e domande sessualmente trasmissioni che i milanesi sono più confusi: il 33,6% considera il coito interrotto un «metodo efficace contro le gravidanze indesiderate o le infezioni sessualmente trasmissibili».
Dialogo in famiglia
A complicare la situazione c’è anche il contesto in cui gli under 25 vivono, con pochi dialoghi sul tema in famiglia.
Tanto che il 47,1% preferisce rivolgersi a Internet per chiarire i dubbi e tra questi la maggior parte lo fa per l’imbarazzo di chiedere a qualcuno (31%) e perché non sa a chi rivolgersi (9,8%), con il rischio di esporsi a fake news e informazioni sbagliate.
Solo il 9,3% si rivolge ai genitori, il 5,5% al medico, il 15,2% chiede aiuto agli amici mentre l’11,9%, semplicemente, non chiede a nessuno.
E la ragione risiede, in quest’ultimo caso, nell’imbarazzo e nella vergogna che provano a chiedere o parlare con qualcuno di questi argomenti, oltre che nella mancanza di educazione.
quindi mi rivolgo a voi, cari genitori, meno tabu e più dialogo, anche su tema di educazione sessuale.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di fame emotiva:diretta.
Come sempre non voglio spoilerare l’intero tema trattato durante la diretta ma qualcosina la accenno.
Fame emotiva:diretta Cos’è
E’ quel malatissimo bisogno che alcune persone hanno, e non solo adolescenti, di tuffarsi nel cibo per cercare di non affrontare problemi, di dimenticare traumi o per farsi del male per cose di cui, in realtà, non abbiamo nessuna colpa.
E un cercare consolazione, appagamento nel cibo perché è l’unica cosa che ci fa stare bene, nella nostra mente.
Ma, in realtà, non pensiamo che, dopo la soddisfazione iniziale, i problemi ritornano e l’appagarsi si sostituisce con il senso di colpa che si ha verso noi stessi.
Fame emotiva: diretta le Cause
Svariate che vanno ripescate, per la maggior parte, nell’infanzia, nei nostri vissuti, nella nostra famiglia.
Vanno da chi vede il proprio corpo come un campo di battaglia da punire perché abusato, violentato.
Chi dice” non ho l’amore ma ho il cibo…il cibo è il mio migliore amico…no, non ho tempo di pensare ai problemi, sto mangiando”…si cerca di scappare dalla sfera sessuale, dal confrontarsi con gli altri, dal rifiutare le relazioni con le altre persone…è paura di affrontare gli ostacoli…il cibo…la cosa che mi appaga.
fame emotiva:diretta
Ma bob vado oltre e vi lascio alla diretta dove, alla fine, c’è anche un esercizio da fare in modo molto molto sincero:)
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul chiedere aiuto e sul perché è così difficile farlo.
Mamma, mamma! Mi aiuti?” Chissà quante volte abbiamo sentito dire (e abbiamo detto) questa frase. Quando siamo piccoli non ci facciamo nessun problema nel chiedere aiuto, ma non appena diventiamo grandi molte cose cambiano.
Di sicuro conoscerete persone che preferiscono sprecare moltissime energie per risolvere da soli un problema che, con un l’aiuto di qualcun altro, sarebbe presto fatto oppure che preferiscono lasciar perdere o fallire piuttosto che lasciare che qualcuno dia loro una mano. Anche voi fate parte di questo gruppo?
Torniamo a un’altra scena tipica dell’infanzia. chiedere aiuto
“Mamma, mamma! Ce l’ho fatta da solo!” o “Lasciami! Ci riesco da solo...” E ancora: “Bravissimo! Ci sei riuscito da solo!” Ecco la tipica risposta che punta a stimolare l’autonomia dei figli, ma che spesso è l’inizio di un percorso che ci porta a quest’abitudine che non sempre risulta positiva.
Perché ci riesce così difficile chiedere aiuto?
Sono molti i motivi che possono scatenare questo comportamento, e molti anche i vantaggi che si perdono quando non chiediamo aiuto.
1. Il primo motivo è probabilmente l’orgoglio: vogliamo avere soltanto noi il merito di essere riusciti a risolvere un problema, e non siamo disposti a condividerlo con nessuno.
2. Il secondo motivo che può bloccarci dal chiedere aiuto ha a che fare con il fatto di non voler ammettere che abbiamo un problema. Per esempio, è tipico delle persone che hanno delle dipendenze dall’alcol o dalla droga oppure che hanno contratto molti debiti per colpa del gioco d’azzardo. Sono tutti problemi di cui è difficile parlare.
3. Il terzo dei motivi comuni è la vergogna: non vogliamo che altri sappiano che non riusciamo a risolvere un problema. Alcune persone, infatti, pensano che chiedere aiuto sia un segno di debolezza.
4. Il quarto motivo ha a che fare con la possibilità che l’aiuto che chiediamo ci venga negato. Dietro questo timore si nasconde la paura del rifiuto, di sperimentare la sensazione di non essere abbastanza importanti da far sì che qualcuno ci dedichi il suo tempo.
In fondo, dietro tutti questi motivi se ne nasconde uno che li include tutti: la paura del giudizio degli altri. Non ci piace essere sotto lo sguardo degli altri in un momento in cui ci stiamo dimostrando deboli. Per questo, per chiedere aiuto molto spesso bisogna essere abbastanza sicuri di noi stessi. Inoltre, non chiediamo aiuto a chiunque, indistintamente: dobbiamo anche fidarci delle capacità delle persone a cui ci affidiamo. Questo ci fa capire che, in realtà, la maggior parte delle volte chiedere aiuto non è sinonimo di debolezza, ma di coraggio.
Che cosa ci stiamo perdendo quando non vogliamo chiedere aiuto?
Prima di tutto, quando non chiediamo aiuto ci costringiamo a sprecare molte più energie che, se non ci danno il risultato sperato, generano in noi un forte sentimento di frustrazione. In secondo luogo, perdiamo la possibilità di sperimentare la bontà degli altri e di migliorare la nostra visione del mondo. E perdiamo anche un’occasione di contatto con gli altri, che potrebbe arricchirci ulteriormente. Secondo la psicologia sociale, inoltre, quando chiediamo aiuto stiamo anche migliorando l’immagine che la persona che ci aiuterà ha di noi.
Non dobbiamo dimenticare che siamo animali sociali, e che anche le situazioni in cui abbiamo bisogno di collaborazione rappresentano una buona opportunità per sviluppare le nostre relazioni. Infine, considerato che quando chiediamo aiuto riceviamo in cambio le attenzioni di qualcun altro, stiamo anche perdendo l’occasione di guadagnare sicurezza e fiducia in noi stessi.
Sappiamo che aiutare qualcuno è meraviglioso, ma anche lasciare che ci aiutino non è da meno. Perché non provarci?
E se avete bisogno del mio di aiuto contattatemi trmaite las ezione “contatti e consulenze ” del sito
Io spero che parlare del chiedere aiuto vi sia stato utile.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come negoziare coi propri figli.
Comunicare con i figli adolescenti può essere complesso e a volte anche piuttosto sfidante. Per il genitore è importante imparare l’arte della negoziazione, ossia “l’abilità di negoziare, realizzare delle trattative che portino a un accordo” (dal Vocabolario Treccani).
Tempo e pazienza: come il corpo, anche la mente ha bisogno di allenamento!
Per raggiungere un cambiamento è necessario allenarsi, essere costanti e avere pazienza. Servirà tanto esercizio per far sì che le nuove modalità di comunicazione portino un frutto e si trasformino in nuove abitudini. Allenarsi significa cambiare, modificare i pensieri, le parole e le modalità di reagire.
Il cambiamento non è immediato, richiede tempo. Non c’è un interruttore che si accende o spegne nella mente, ancor di più in quella adolescente: c’è bisogno di ripetizione.
Il ruolo del genitore è fondamentale: è un allenatore, non si può pensare di salire dentro il ring e combattere con la persona che si allena. Non si tratta di imporre perché anche se questa strategia non è efficace anche se potrebbe sembrare utile nell’immediato, non lo è nel lungo periodo perché non porta ad una reale comprensione del problema. Imparare a negoziare con i figli significa trovare degli accordi e far arrivare il messaggio che si vuole far arrivare, portarli verso la propria direzione quando serve, senza condizione il loro modo di essere.
Come essere più efficaci?
– ASCOLTO:
Bisogna, anzitutto, ascoltare e porre attenzione alla scelta delle parole. Quali, e in che sequenza, vengono utilizzate? In che modo vengono comunicate? Come vengono dette? È basilare l’ascolto iniziale da parte del genitore che deve partire dalla comprensione delle esigenze e dello stato dell’altro per poi poter procedere senza che si sentano incompresi.
Le parole attivano delle reazioni nel cervello, creano immagini che innescano, a loro volta, pensieri e comportamenti. Se un adolescente, ad esempio, si definisce “un disastro”, la sua mente ed il suo corpo reagiranno a quell’immagine. Ascoltare significa dare riconoscimento: senza questa fase non si può comunicare in maniera efficace.
– PAROLE E CERVELLO:
Non vanno utilizzati verbi come “provare” e “cercare” perché non è fare. Inoltre, i verbi usati al condizionale, vengono compresi a livello cognitivo ma non innescano una reazione immediata: con i vorrei non si cambia. Il cervello ha bisogno di fiducia e una chiamata all’azione per smuoversi, soprattutto in adolescenza. Il DEVI non è molto gradito e attenzione anche ai “ma” e i “però” che andrebbero sostituite con “e” oppure “o”, salvo che non si voglia annullare il senso di quello che si trova davanti al ma: “sei stato bravo, ma potevi fare di più”. Cosa rimane nella mente di un ragazzo? Il “potevi fare di più”, non il sei stato bravo.
Porre il focus sul linguaggio che utilizziamo è un esercizio, da fare con se stessi oltre che con i figli: utilizzare i termini o i verbi giusti, per attivare un cambiamento e ottenere, gradualmente, un risultato.
– CONCRETEZZA:
Nel cervello adolescente tutto ciò che attiene al pensiero complesso, al ragionamento critico e alla riflessione più profonda è in fase di maturazione. Il compito del genitore è semplificare, rendere più comprensibile e, dunque, più flessibile. È importante usare un linguaggio che conoscono, fare esempi concreti, non fare paragoni o confronti che rimandano a qualcosa di distante e lontano dalla loro quotidianità (“Ai miei tempi”, “Quando avevo la tua età”).
– OSSERVARE:
Quante volte capita di non essere ascoltati dai figli adolescenti, anche quando ci si avvicina a loro o ci si impegna a comprendere e rispettare i loro tempi? È fondamentale andare oltre la risposta prettamente verbale e osservarli, anche nei loro comportamenti. A volte, infatti, non rispondono nel modo in cui l’adulto si aspetta: cambia il loro sguardo, il loro atteggiamento, comunicano proprio attraverso il loro silenzio.
Tenere in mente questi aspetti nella comunicazione con un adolescente permette di comprendere il loro punto di vista ed essere consapevoli che, anche quando non lo dicono a parole, ascoltano e recepiscono i messaggi del genitore.
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Buongiorno amici. Oggi riflettamo sul mettersi nei panni dell’altro.
“se fossi al suo posto”…cosa faresti? come ti sentiresti?
E quello che, tutti noi, ragazzi e adulti, dovremmo fare tutti i giorni quando,a volte senza nemmeno pensarci, giudichiamo una persona che, in fondo, non conosciamo.
Il giudizio
E sì. Quante volte4 parlando con una perosna ci fermiamo alla prima impressione e non ci itneressa andare oltre? Magari confermiamo la nostra impressione…magari la cambiamo, che sia nel bene o nel male. Ma ci fermiamo sempre all’inizio.
Quante volte, ancora, giudichiamo un atteggiamento, o del momento o sistematico, di qualcuno( collega, amico, compagno di classe) e non ci chiediamo il perché di tutto questo?
E ancora…cosa c’è alla base del bullismo? L presunzione dis sentirsi superiori..a cosa o a chi o perché non si sa. E, in questi, come nelgi altri casi, vi siete mai fermati a chiedervi “cavolo, se questo fosse fatto o detto a me, come mi sentirei? come mi comporterei”‘
“Se nella vita avessi subito X cosa, come mi comporterei e che rapporto avrei con gli altri?”
Riflettete
No, non lof acciamo mai. Eppure sarebbe tutto così bello, più semplice, più genuino.
Saremmo tutti persone migliori se solo, per una volta, cif emrassimo a riflettere su questo. Se solo, per una volta…o più…ci chiedessimo cosa sente quella persona alle nostre critiche, ai nostri giudizi fittizi, ai nostri atteggiamenti nei suoi confronti.
Servirebbe solo un po’ di empatia. Servirebbe guardarsi solo un po’ di più negli occhi e dentro se stessi. Ma siamo troppo imegnati a giudicare e a sentirci migliori degli altri.
Quindi, da oggi, fermiamoci e mettiamoci nei panni di qualcun altro.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
o tramite la piattaforma camtv col nome delc anale “adolescenti istruzioni per l’uso”
Solitamente quando ci riferiamo al termine dismorfofobia intendiamo quella specifica preoccupazionerispetto alla percezione di uno o più difetti in ambito fisico. Una eccessiva preoccupazione che determina una compromissione rispetto alle normali attività quotidiane.
La persona che ne soffre passa molte ore a preoccuparsi dei presunti difetti fisici che riscontra in merito al proprio aspetto fisico. Specificatamente in merito a;
naso
bocca
orecchie
i capelli
gambe
braccia
seno
organi genitali.
La cultura all’interno della quale viviamo, una cultura molto attenta all’estetica, non può che sollecitare un aumento dell’incidenza di tale disturbo.
Quali sono i sintomi che caratterizzano questo disturbo?
Tendenzialmente l’età di insorgenza di tale disturbo è compresa tra i 10 ed i 15 anni, durante il periodo dell’adolescenza. E non si riscontra una differenza di genere: maschi e femmine sembrano soffrirne in egual misura.
La preoccupazione in queste persone acquisisce una sintomatologia di tipo fobico-ossessivo, determinando un elevato disagio personale, e un profondo stato di vergogna che si ripercuote sia nell’ambito lavorativo che nelle relazioni personali. Le persone che soffrono di tale disturbo tendono ad isolarsi, e nella maggior parte dei casi tendono ad utilizzare dei comportamenti per mascherare il difetto. Mantenere delle posture fisse, o dedicare tanto tempo a truccarsi senza poi sentirsi sicuri.
Come capire se si soffre di dismorfofobia? Come avviene la diagnosi?
In base alla più recente revisione del Manuale Diagnostico Statistico delle Malattie psichiatriche, DSM-5, il disturbo di dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati.
Per emettere una diagnosi differenziale specifica è necessario riscontrare:
preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o trascurabili da parte di altre persone
adozione di comportamenti ripetitivi o rituali come guardarsi allo specchio, toccare la parte difettosa, ricercare rassicurazione, o di atteggiamenti mentali quali pensieri ossessivi, costante confronto con gli altri, convinzione di essere osservato e giudicato. Comportamenti in risposta alla preoccupazione per il proprio difetto fisico
forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione per il difetto fisico
difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo o dalla massa grassa. In questo caso, infatti, è probabile la presenza di un disturbo del comportamento alimentare
la consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere nulla, parziale o elevata, ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei pensieri o dei comportamenti ossessivi nella vita quotidiana.
Questi rappresentano i criteri diagnostici di tale disturbo ed ovviamente la valutazione spetta ad un clinico competente. Un altro aspetto fondamentale è la distinzione tra tale disturbo e l’anoressia nervosa.
Come nasce la dismorfofobia? Quali sono le sue cause?
Solitamente qualunque disturbo, compreso questo, ha cause che possono essere riscontrabili in fattori di natura genetica o biologica: infatti diverse prove suggeriscono che il dismorfismo sia più comune in persone che hanno genitori o parenti con lo stesso disturbo. Non è semplice però capire se i sintomi, il vedersi brutti o guardarsi spesso allo specchio ad esempio, derivino da aspetti genetici o dai loro comportamenti.
Altri studi hanno invece riportato che i pazienti che soffrono di questo disturbo hanno vissuto esperienze di bullismo, maltrattamenti psicologici e prese in giro da parte dei coetanei.
Questo non fa che peggiorare la loro sensazione di sentirsi brutti. Sperimentare queste esperienze può perciò portare allo sviluppo di un’immagine negativa di sé stessi e ad ossessionarsi sul proprio aspetto. Ciò è particolarmente vero in adolescenza, quando si è più sensibili all’apparenza fisica o al modo in cui il corpo sta cambiando.
Ovviamente un altro fattore importante è una scarsa autostima e la tendenza al perfezionismo che possono portare la persona a sviluppare una attenzione esagerata al corpo.
Come risolvere questo disturbo?
Per le persone che soffrono di questo disturbo, la chirurgia estetica sembra spesso una soluzione possibile. In realtà non fa che peggiorare i sintomi, intrappolando i pazienti in una cerchia infinita di richieste di interventi chirurgici che non sono quasi mai risolutivi.
In realtà, l’unico modo per poter usre da questo loop è parlare con un professionitsa che cerca di capire l’origine del vostro star male.
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Questa volta, mi sono cocnentrata sulla fragilità dei legami non solo tra coppie, ma anche tra amici. E, in questo caso vengono coinvolti soprattutto gli adolescenti.
E sì, perché ultimamente c’è molta più fragilità nelle relazioni, nei legami affettivi di qualsiasi genere e natura. E perché?
Il digitale- come creare rapporti solidi
Semplicemente abbiamo più opportunità e mezzi, soprattutto grazie a internet e ad app varie, di conoscere persone.
Quindi, “ow, posso conoscere tanta gene grazie al sito Tot”…c’è un hype grandissimo all’inizio dove l’interesse per la persona, o le persone, con cui parli è altissimo. Ci si incotnra dopo qualche tempo che si parla. Ma?
M apoi si scopre che tutto l’hype inr ealtà era fumo nelgi occhi. Quindi che si fa?
“ma sì dai, tanto lì sopra posso conoscere altra gente”…banalizzando i rapporti umani.
Legami- come creare rapporti solidi
Ed è strano e rutto che spesso la gente gestisce così i rapporti umani quando è nella antura dell’uomo ceracer in tutti i modi rapporti concreti, solidi per potersi sentire parte di un qualcosa.
Ma non voglio spoilerare molto della diretta.
Ascoltatela e, se avete bisogno del mio aiuto, potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito.