Buongiorno amici. Oggi parliamo di paura costante di sbagliare e di come aiutare gli adolescenti a non averne più.
«Ho sempre avuto paura dell’errore, dell’essere giudicata, dello sguardo degli altri. Mi vergogno. Se gioco a pallavolo certe volte rinuncio a gettarmi per prendere una palla per quella paura, la paura di non essere capace, di essere rimproverata. In prima media, giocavamo a palla rilanciata, un mio compagno mi ha urlato contro, dopo un errore. Ancora ci penso, ancora lo ricordo. Sento l’errore come un’ombra che mi segue e che è pronta a precipitarsi su di me. Vorrei non mi importasse del giudizio degli altri, ma invece mi importa, molto».
La paura di sbagliare che blocca i ragazzi
Sempre più frequentemente gli adolescenti hanno paura di sbagliare, non accettano gli errori e li vivono come un fallimento. Purtroppo viviamo in una società che pone troppo spesso l’accento sul risultato: ci si preoccupa di ottenere sempre buone prestazioni e ci si dimentica di quanto, invece, anche imparare a sbagliare sia importante per crescere e sviluppare una buona autostima.
È soprattutto a scuola che i più piccoli temono di sbagliare: livelli eccessivi di ansia, che spesso riguardano la paura di prendere un brutto voto o del giudizio degli altri, possono attivare un blocco e la percezione di non essere all’altezza.
Gli adolescenti hanno bisogno di ascolto, non di soluzioni, e di essere aiutati a trasformare le difficoltà in una sfida da affrontare!
Spesso gli adolescenti si bloccano davanti a un problema o a una situazione che percepiscono come difficile, assumono un atteggiamento difensivo e rinunciatario nei confronti di quello che devono affrontare e non riescono a viverlo come una sfida.
“Mi sento schiacciata da tutto quello che devo fare, mi sento di non riuscire a stare dietro a tutto. Ho mille pensieri che mi tormentano e quando mi sento così mi sale l’ansia, mi blocco e non riesco ad essere lucida.”
Ansa e difficoltà
Nel momento in cui si presentano situazioni intense e impegnative il cervello rilascia sostanze chimiche e attiva una serie di circuiti neuronali. Se si considera ciò che si sta vivendo come una minaccia, il cervello entra in uno stato di allarme e si prepara alla difesa. Al contrario, se si affronta quella condizione come se fosse una sfida, il corpo produce una maggior quantità di energia per poterla superare e viene poi rilasciato un neurotrasmettitore, la dopamina, che fa sperimentare gratificazione.
Ascoltare i figli è fondamentale, è il primo passo per instaurare e mantenere aperta una relazione improntata sul dialogo e il confronto, anche nei momenti di difficoltà. Non è sempre facile riuscire ad ascoltarli e a comprendere i loro comportamenti e le loro motivazioni. Eppure è fondamentale: sentirsi ascoltati significa potersi fidare e sentire di essere importanti per l’altro!
Genitori
I genitori hanno bisogno di acquisire consapevolezza, strumenti e strategie per fronteggiare in modo più efficace la quotidianità e le sfide che possono incontrare nella relazione con i figli e nelle diverse fasi della crescita.
In questo modo possono diventare promotori attivi potenziando il loro ruolo, rafforzando le loro competenze, promuovendo anche nei figli la consapevolezza e l’acquisizione di efficaci abilità di vita (life skills).
e vi ricordo che se avete bisogno di me potete contattarmi.
Buongiorno amici. Oggi parliamo del 15enne suicida perché bullizzato a scuola da un paio di compagni.
La villetta in cui abitava con il papà dista dal casolare abbandonato dove, poggiato a un muro esterno, lo hanno trovato privo di vita — pistola in mano, un colpo alla testa — un paio di chilometri.
La storia di Leonardo
Leonardo, quindici anni, studente al secondo anno del professionale «Alfredo Panzini», indirizzo turistico-sportivo, li ha percorsi in tuta nera e infradito, ciò che indossava quando ha salutato il padre come faceva ogni sera: «Buonanotte, sogni d’oro». Erano le 21 di domenica. Il ragazzo però non ha raggiunto la sua cameretta da letto. No, è uscito di casa e poi si è sparato con l’arma sottratta di nascosto al genitore, agente della polizia locale a Senigallia, la cittadina nell’Anconetano teatro della tragedia.
Ciò che emerge dalle indagini dei carabinieri è una vicenda legata al bullismo. Leonardo subiva ripetuti insulti volgari in classe. Ne aveva parlato con la madre e il padre, separati da tempo ma in ottimi rapporti. Si era confidato.
Non voleva più andare a scuola. Tanto che i genitori avevano deciso di andare dal preside del Panzini perché venissero presi provvedimenti. «L’appuntamento era per oggi (ieri per chi legge, ndr )», dice, quasi in lacrime, Pia Perricci, l’avvocata di famiglia che Leonardo lo ha visto crescere, tanto da definirlo così: «Gentile, tremendamente gentile».
Ora, le sole parole che filtrano dalla madre del quindicenne sono queste, affidate alla legale: «Ma perché hanno voluto distruggere mio figlio?».
La procuratrice di Ancona Monica Garulli ha aperto un fascicolo affidato alla pm Irene Bilotta. Il reato ipotizzato è quello di istigazione al suicidio e si indaga contro ignoti sebbene nella denuncia firmata dalla mamma di Leo nella notte tra sabato e domenica — con le ricerche in pieno svolgimento — ci siano due nomi, quelli dei compagni di classe di Leonardo, presunti autori di insulti irriferibili e vessazioni, anche fisiche, sempre più pesanti.
Segnali
Tutto è cominciato un paio di mesi fa, quando il quindicenne — che aveva cambiato scuola ma solo perché trovava più adatte a lui le materie insegnate al «Panzini» — aveva preso a rincasare sempre più svogliato, silenzioso, il profitto in caduta. Alle insistenze dei genitori, ha rivelato tutto ciò che stava subendo da settimane. Quei suoi modi gentili erano oggetto di scherno, continue offese volgari. Ma non solo. Poteva capitare che al bagno venisse circondato allo scopo di essere «pizzicato» — però dolorosamente e anche con delle percosse violente — in tutto il corpo.
Mercoledì Leo è tornato da scuola con un’espressione diversa sul volto, forse più risoluta. La mamma gli ha chiesto cosa fosse successo e lui ha risposto che aveva «fatto quel che deve fare ogni uomo».
Pace
Ovvero offrire «la mano, in segno di pace». Ai due bulli, il ragazzo aveva proposto una specie di distensione, con queste parole: «Adesso basta, smettetela. E diventiamo amici». «Ma all’indomani i soprusi sono ripresi. E semmai ancora più insopportabili» racconta l’avvocata Perricci.
L’ultima sera, quella di sabato, trascorsa in famiglia da Leonardo, che aveva anche una fidanzata, non è stata differente dalle altre, serena, tranquilla.
Finita la cena — c’erano anche i nonni — il ragazzo è andato a dormire. È stato il padre a scoprire che il figlio non era in casa. Sceso in taverna per prendere un dolce, si è accorto che il mazzo di chiavi lasciate sul tavolo era sparito. Le aveva prese il ragazzo per aprire la cassaforte a muro, dietro un armadio trovato con le ante aperte, in cui era custodita la Beretta Px4 d’ordinanza.
«Leo! Leo! Dove sei?» ha gridato l’uomo. Ma il ragazzo s’era già allontanato. Si sarebbe ucciso poco dopo, stando alla testimonianza di una donna che ha sentito uno sparo. Un drone dei carabinieri ha individuato il corpo fuori dal casolare. Il «Panzini» nel frattempo era stato messo sotto sorveglianza dalle forze dell’ordine. C’era l’ipotesi — esile, ma possibile — che Leo cercasse vendetta. Non avrebbe lasciato biglietti ed è stato sequestrato il suo cellulare.
Purtroppo il bullismo è una piaga sociale che nessuno è ancora riuscito a debellare completamente.
Purtroppo…
Tanti ragazzi e bambini sono ancora vittime di violenza anche cyber e, per i più deboli, l’unico modo per porre fine al tutto è metter fine alla propria vita.
Se siete ragazzi che avete subito o state subendo vessazioni di qualsiasi tipo, fuori l’online od entro, denunciate, non abbiate mai paura di farlo.
Ricordate che siete voi le vittime e che non avete colpe e motivazioni per provare paura o vergogna. Io l’ho fatto ai tempi.
E voi genitori, state attenti a qualsiasi segnale, anche il più piccolo cambiamento nei comportamenti del vostro ragazzo.
Vediamo quali sono i segnali da non sottovalutare.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di dca a 8 anni e di quali sono i segnali da non sottovalutare.
Perdita di peso, vomito autoindotto, uso di lassativi o diuretici, intolleranza al freddo, vertigini o svenimenti. Ma anche iperattività. Quali sono i campanelli di allarme
DCA
Sempre più frequentemente si parla di disturbi del comportamento alimentare, tanto che alcuni l’hanno già ribattezzata la nuova “epidemia silenziosa”.
Del resto i numeri sono chiari: 20 milioni di persone in Europa, più di 3 milioni di persone in Italia, pari a circa il 5% della popolazione, con un aumento del 40% dei casi negli ultimi tre anni.
Anche i dati forniti dalla Società Italiana di Pediatria ce lo confermano: negli ultimi anni, in epoca post-Covid, si è registrato un aumento degli accessi ai Pronto Soccorso Italiani per disturbi della condotta alimentare pari al 78,4%.
Primi segnali
La segretaria del gruppo di Studio Adolescenza della Società Italiana di Pediatria, Vita Cupertino, accende i riflettori su un altro dato che fa preoccupare ancora di più i pediatri italiani.
“I primi segni e sintomi di anoressia compaiono sempre prima, già a partire dagli 8 anni”. Dal 2019 al 2023 in effetti viene registrato un abbassamento dell’età di insorgenza dei disturbi alimentari. Basti pensare che il 20% della popolazione ammalata lo scorso anno non aveva ancora compiuto i 14 anni.
“Purtroppo non è sempre facile riconoscere in modo tempestivo l’anoressia nervosa. Non c’è un esame specifico che da solo sia in grado di dirci che si tratta o meno di anoressia nervosa. E anche la diagnosi, sebbene vi siano degli specifici criteri, non è sempre immediata” aggiunge Vita Cupertino.
In effetti, i criteri diagnostici DSM-5 per l’Anoressia Nervosa esistono, ovvero restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, intensa paura di aumentare di peso oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso ed alterazione della percezione della propria immagine corporea e/o livelli autostima.
Purtroppo però spesso i disturbi alimentari hanno una insorgenza subdola e aspecifica, che dura mesi o anni. Molte famiglie in più hanno scarsa capacità di discernimento e/o di comprendere la gravità della malattia, per cui la richiesta di aiuto può arrivare in ritardo e ci si può trovare di fronte a condizioni potenzialmente pericolose per la salute o addirittura per la vita dell’adolescente.
Attenzione ossessiva a peso e cibo
Infatti, i ragazzi affetti da anoressia nervosa tipica presentano un’estrema insoddisfazione corporea e un’attenzione ossessiva al peso corporeo e al cibo, che danno luogo a restrizioni dietetiche che impattano negativamente sull’apporto nutrizionale.
“Troppo spesso purtroppo giungono alla nostra attenzione in condizioni estreme, con parametri vitali estremamente compromessi, il che rende ancora più difficile il percorso di riabilitazione e cure” aggiunge la segretaria del gruppo di Studio Adolescenza.
E’ importante una identificazione precoce di eventuali segni o sintomi, includendo la valutazione del rapporto con il cibo e ricercando elementi suggestivi di dispercezione dell’immagine corporea. Il momento ideale potrebbe essere in occasione dei controlli di salute che vengono effettuati presso il pediatra di famiglia. “Perché ogni occasione è buona per fare prevenzione e l’iniziativa può partire da noi Pediatri, non necessariamente dalla famiglia” aggiunge l’esperta.
Riconoscere i segnali
Concentrandosi su perdita di peso, comportamenti compensatori all’assunzione di cibo, quali vomito autoindotto, uso di lassativi o diuretici, intolleranza al freddo, vertigini o svenimenti.
Ovviamente va posta attenzione sul rapporto con il cibo, inteso non solo come quantità e qualità degli alimenti assunti, ma anche come comportamenti restrittivi come tagliare finemente il cibo, produrre numerosi scarti alimentari e mangiare lentamente.
La percezione corporea è alterata
A quanto emerge dalla ricerca condotta dal Gruppo di Studio, durante il controllo medico, è importante indagare la percezione corporea, ovvero come l’adolescente si vede e giudica il proprio corpo, che risulta alterata nell’85,7%.
Gli adolescenti, specie se di sesso maschile, presentano inoltre una tendenza all’iperattività, intesa non solo come pratica di attività sportiva, ma anche di continua attività motoria, quali salire e scendere le scale, camminare sul posto e rimanere in posizione ortostatica il più possibile.
Attivi ed energici anche se sottopeso
La letteratura scientifica infatti riporta che quasi il 90% dei pazienti con anoressia nervosa non rinuncia all’attività motoria, nonostante sia stanco e affaticato. In altre parole, i ragazzi possono apparire attivi ed energici anche se estremamente sottopeso. E questo può rendere la diagnosi della malattia ancora più difficile. Ecco perché è importante parlarne e condividere i dati scientifici.
I disturbi della condotta alimentare si possono associare ad altre manifestazioni neuropsichiatriche, tra cui i disturbi dell’umore, depressione, ansia, tendenza suicidaria. Un ruolo importante è giocato dai fattori di stress sociale, in particolare dal maltrattamento, abuso, bullismo riguardante forma, peso e aspetto, ma anche da conflittualità, separazioni e lutti in famiglia.
Le più recenti evidenze scientifiche mostrano un coinvolgimento dei geni: studi condotti su gemelli, in particolare, suggeriscono una componente genetica per i disturbi alimentari che varia dal 16% al 74% .
L’influenza della genetica può essere variabile a seconda del sesso, essendo maggiore nel caso di maschi con esordio prima della pubertà e nelle femmine dopo l’inizio della pubertà.
Anche la predisposizione e l’ambiente in cui cresce il bambino fanno la differenza: i figli di persone con disturbi del comportamento alimentare hanno una probabilità 3-5 volte maggiore di sviluppare un alterato rapporto con il cibo.
Le donne con disturbi del comportamento alimentare hanno una probabilità 1,9-2,3 volte maggiore di avere una madre con simile patologia. Internet e social media sono fattori di rischio ambientale da tenere in considerazione poiché gli adolescenti possono scambiarsi idee sulla propria immagine corporea e sull’aspetto fisico e peggiorare ulteriormente il proprio rapporto con il cibo.
In ogni caso, se avete sentore di uno o più di questi segnali non abbiate paura a chiedere aiuto.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di stress genitoriale.
Essere genitori di adolescenti può essere estremamente gratificante, ma è anche un periodo carico di sfide. Il concetto di parental burnout è sempre più diffuso e indica uno stato di esaurimento fisico ed emotivo che colpisce i genitori che si trovano a gestire lo stress quotidiano in modo costante.
Stress
Questo fenomeno può colpire in particolare i genitori di adolescenti, un’età in cui i figli attraversano profondi cambiamenti, mettendo a dura prova la capacità di gestione emotiva e pratica dei genitori.
Riconoscere in tempo i segnali di stress genitoriale è fondamentale per evitare che questo si trasformi in burnout. Intervenire presto significa poter agire in modo efficace per mantenere l’equilibrio personale e familiare, garantendo una relazione sana con i propri figli. In questo articolo esploreremo come identificare i segnali del burnout genitoriale e cosa fare per prevenirlo.
Cos’è il Parental Burnout?
Il parental burnout è uno stato di esaurimento causato da uno stress genitoriale cronico, che va oltre il normale stress quotidiano. A differenza di una normale stanchezza, il burnout si manifesta come un senso costante di sovraccarico che compromette la capacità di prendersi cura dei propri figli in modo sereno ed equilibrato. Questo tipo di esaurimento può avere conseguenze negative non solo sulla salute del genitore, ma anche sulla qualità della relazione con i figli.
Per i genitori di adolescenti, il rischio di burnout può essere ancora maggiore. L’adolescenza è un periodo di transizione complicato, caratterizzato da sfide scolastiche, emotive e sociali che richiedono una costante attenzione e supporto. La pressione continua a gestire questi aspetti può portare a una condizione di stress cronico che, se non trattata, sfocia nel burnout.
Segnali del Burnout Genitoriale
Il burnout genitoriale si manifesta attraverso una serie di sintomi fisici, emotivi e comportamentali che possono essere riconosciuti se si presta attenzione. I più comuni segnali fisici includono una stanchezza cronica che non passa nemmeno dopo il riposo, disturbi del sonno come insonnia, e sintomi psicosomatici come mal di testa o tensioni muscolari. Molti genitori iniziano anche a sperimentare una costante mancanza di energia, rendendo difficile affrontare le sfide quotidiane.
Dal punto di vista emotivo, il parental burnout si manifesta con irritabilità costante, frustrazione e un senso di impotenza. Molti genitori descrivono un calo della pazienza nei confronti dei propri figli, con reazioni emotive eccessive anche di fronte a piccoli problemi. Questo può portare a sentirsi distanti emotivamente dai propri figli, come se non si avesse più la capacità di connettersi emotivamente con loro.
Anche a livello comportamentale, il burnout può manifestarsi con un graduale distacco dalle responsabilità genitoriali, come l’evitare il confronto e la comunicazione con i figli, o il preferire attività che permettono di allontanarsi dalla routine familiare. Riconoscere questi segnali del burnout è il primo passo per intervenire e prevenire che lo stress diventi cronico.
Cause Principali dello Stress Genitoriale
Le cause del burnout genitoriale possono variare, ma spesso derivano da una combinazione di fattori interni ed esterni. Uno dei fattori principali è la pressione sociale. I genitori oggi sono sottoposti a un continuo confronto con gli altri attraverso i social media, dove si vede solo la “facciata perfetta” di altre famiglie. Questa pressione a essere genitori perfetti crea aspettative irrealistiche, contribuendo a sentimenti di inadeguatezza e frustrazione.
Inoltre, la mancanza di equilibrio tra vita e lavoro è un’altra causa comune di stress genitoriale. Molti genitori si trovano a dover gestire un lavoro a tempo pieno, la casa, e le esigenze dei figli adolescenti, il che lascia poco spazio per sé stessi. La sensazione di non avere tempo per rigenerarsi o rilassarsi può portare rapidamente a uno stato di esaurimento.
Infine, le sfide specifiche legate all’adolescenza, come la ribellione, i cambiamenti d’umore e le difficoltà scolastiche o sociali, possono amplificare lo stress. Gli adolescenti richiedono un supporto costante per navigare le complessità della crescita, e questo richiede ai genitori di essere sempre presenti e disponibili, aumentando il rischio di stress cronico.
Come Prevenire il Burnout Genitoriale
Prevenire il burnout genitoriale è possibile, adottando alcune strategie pratiche per gestire meglio lo stress quotidiano. Ecco alcuni consigli utili:
Riconoscere e accettare i propri limiti: Nessun genitore è perfetto, e accettare i propri errori e limiti è il primo passo per ridurre la pressione. Essere consapevoli delle proprie capacità permette di chiedere aiuto quando necessario e di evitare un sovraccarico.
Chiedere aiuto: Non c’è nulla di sbagliato nel chiedere supporto, sia da parte del partner, che da amici o familiari. Condividere il carico emotivo e pratico può alleggerire la sensazione di sovraccarico.
Prendersi del tempo per sé: Anche se può sembrare difficile, è fondamentale trovare del tempo per dedicarsi ad attività rilassanti e gratificanti. Che sia un hobby, l’esercizio fisico, o semplicemente un momento di riposo, il self-care è essenziale per evitare l’esaurimento.
Comunicare apertamente con il proprio adolescente: Creare un dialogo aperto e sincero con i figli può ridurre lo stress di entrambe le parti. È importante ascoltare senza giudizio e mantenere un canale di comunicazione costante, costruendo una relazione basata su fiducia e rispetto.
Gestire lo stress quotidiano: Tecniche come la mindfulness, la meditazione e l’esercizio fisico regolare possono essere strumenti efficaci per ridurre lo stress. Anche semplici abitudini quotidiane, come fare delle pause regolari durante la giornata, possono fare la differenza.
Adottare queste pratiche aiuta a mantenere un equilibrio tra le responsabilità genitoriali e il proprio benessere emotivo, riducendo il rischio di burnout.
Quando Cercare Aiuto Professionale
Se i sintomi del burnout genitoriale persistono o peggiorano, può essere utile rivolgersi a un professionista. Un terapeuta specializzato in gestione dello stress o un consulente familiare può fornire strumenti pratici per affrontare le difficoltà e migliorare il benessere emotivo.
Anche il supporto di un gruppo di genitori o una rete di supporto emotivo può essere utile per condividere esperienze e ricevere consigli su come gestire situazioni difficili. Non bisogna mai sottovalutare l’importanza di prendersi cura di sé stessi per poter essere genitori efficaci e presenti.
In conclusione…
Il parental burnout è una realtà che molti genitori affrontano, ma con una maggiore consapevolezza e il giusto supporto, è possibile prevenirlo. Essere genitori di adolescenti può essere impegnativo, ma riconoscere i propri limiti e prendersi del tempo per sé stessi è fondamentale per mantenere una relazione sana e positiva con i propri figli.
Investire nel proprio benessere è il modo migliore per garantire che l’intero ambiente familiare rimanga positivo e supportivo. Non dimenticare mai che un genitore sereno e equilibrato è il miglior sostegno che un figlio possa avere.
Rivolgiti a me senza paura
Se ti riconosci in questi sintomi o senti che lo stress sta diventando ingestibile, non esitare a richiedere una consulenza personalizzata. Come esperto nel supporto genitori-figli, posso aiutarti a trovare strategie efficaci per migliorare il tuo benessere e la tua relazione familiare. Contattami qui
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo su i nostri adolescenti e come, troppo spesso, vengono giudicati e non ascoltati.
1. Introduzione–I nostri adolescenti
Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, in cui le generazioni più giovani si trovano a dover fronteggiare sfide complesse, come l’avanzamento tecnologico, la crisi climatica e la globalizzazione. Nonostante queste difficoltà, spesso i giovani vengono considerati troppo inesperti o immaturi per partecipare in modo significativo ai dibattiti sociali, politici ed economici.
Anzi, quando una persona giovane riesce a distinguersi, viene definita con facilità un “prodigio”, piuttosto che essere riconosciuta come parte di un cambiamento più ampio e generazionale.
Da qui nasce un’importante riflessione: perché è più facile dire che un giovane è un prodigio piuttosto che ammettere che la società, in gran parte composta da adulti, si sia sbagliata nei confronti di un’intera generazione? Esiste forse una forma di discriminazione anagrafica, implicita o esplicita, che delegittima automaticamente il pensiero dei giovani sulla base della loro età?
2. Il concetto di “prodigio” e la sua funzione sociale
Quando una persona giovane eccelle in un campo o manifesta idee innovative, la società tende a etichettarla come un “prodigio”. Il termine è spesso usato con ammirazione, ma nasconde una trappola insidiosa. Definire qualcuno un prodigio è un modo di mettere quella persona su un piedistallo, separandola dal gruppo dei pari e rendendo più facile per la società evitare un’autoanalisi collettiva. Infatti, se una singola persona è vista come eccezionale, allora la generazione da cui proviene può essere considerata come ordinaria o persino inadeguata.
In questo senso, l’idea del “prodigio” serve a proteggere le generazioni più adulte dall’ammettere che forse è la loro visione del mondo a essere obsoleta o sbagliata. Se un giovane riesce dove altri non riescono, è per le sue qualità straordinarie, non perché tutta una generazione di giovani potrebbe avere intuizioni valide o nuove prospettive. È un modo di minimizzare l’importanza collettiva dei giovani e di evitare di dare loro la responsabilità e la fiducia che meritano.
Definire un giovane come prodigio spesso diventa un alibi per le generazioni precedenti per non fare un serio esame di coscienza. Riconoscere che un’intera generazione ha idee diverse e, talvolta, migliori significa mettere in discussione i propri valori, le proprie scelte e il proprio modo di vedere il mondo. È un processo doloroso e scomodo, ed è per questo che la società spesso preferisce isolare i casi di successo piuttosto che accettare il cambiamento in modo più ampio.
3. La discriminazione anagrafica e la delegittimazione del pensiero giovane
La discriminazione anagrafica è un fenomeno diffuso che attraversa molti ambiti della vita, dalle decisioni politiche alle dinamiche lavorative. Un giovane può portare idee fresche, innovative e radicalmente diverse, ma spesso la sua voce viene sminuita o ignorata perché ritenuta troppo “immatura” o “incompleta”. L’età diventa un criterio di giudizio più importante della validità dei contenuti, con il risultato che il pensiero giovanile viene delegittimato.
Un esempio di questo fenomeno lo vediamo nella politica. I giovani sono spesso esclusi dai processi decisionali o vengono considerati incapaci di comprendere la complessità del mondo. Nonostante molti di loro abbiano dimostrato competenza e passione nel trattare temi complessi come il cambiamento climatico o la giustizia sociale, il loro pensiero viene facilmente accantonato con l’idea che “non abbiano abbastanza esperienza”. Ma cosa significa esattamente “esperienza”? E perché l’esperienza è considerata così cruciale quando il mondo è in rapida evoluzione?
I più anziani
Le generazioni più anziane, avendo vissuto in un determinato contesto storico e sociale, tendono a mantenere una visione del mondo costruita su paradigmi ormai superati. I giovani, invece, crescono in un’epoca di cambiamento continuo, e ciò permette loro di vedere il mondo con occhi nuovi, più adatti ai tempi moderni. Tuttavia, il fatto che queste nuove prospettive vengano sistematicamente ignorate o ridicolizzate rappresenta una forma di discriminazione anagrafica.
Infine, vi è un paradosso evidente: se da una parte si richiede ai giovani di portare innovazione e nuove idee, dall’altra le loro proposte vengono sistematicamente respinte perché non “ancorate” a una tradizione o a una presunta saggezza derivante dall’età. Così, i giovani si trovano in una posizione dove non possono mai realmente avere voce, perché il solo fatto di essere giovani li rende, agli occhi della società, incapaci di pensare in modo adeguato.
4. Il conflitto generazionale: vecchi paradigmi vs nuove prospettive
Il conflitto generazionale non è un fenomeno nuovo. La storia è piena di esempi in cui una generazione più giovane si è scontrata con le idee dei propri predecessori, proponendo nuove visioni del mondo e sfidando i paradigmi esistenti. Tuttavia, oggi questo conflitto sembra essere più accentuato, in parte a causa dei rapidi cambiamenti tecnologici e sociali che caratterizzano la nostra epoca.
Le generazioni più anziane spesso tendono a difendere i propri valori e il proprio modo di vedere la realtà. Questo è comprensibile: ogni generazione costruisce una propria identità basata sulle esperienze vissute, e ammettere che queste esperienze potrebbero non essere più rilevanti o addirittura sbagliate è estremamente difficile. Ma questo porta a una resistenza verso il cambiamento, e in particolare verso le nuove idee proposte dai giovani.
Un esempio emblematico di questo conflitto è il dibattito sul cambiamento climatico. I giovani, grazie anche al lavoro di attivisti come Greta Thunberg, hanno portato alla ribalta il tema dell’emergenza climatica. Tuttavia, molti politici e figure di rilievo delle generazioni più anziane hanno minimizzato o ignorato questi appelli, considerando i giovani come troppo emotivi o drammatici. Invece di riconoscere la validità scientifica e l’urgenza della questione, le nuove generazioni sono state bollate come “ingenue” o “idealiste”.
Questo scontro di prospettive, però, non fa altro che rallentare il progresso. In un mondo che cambia così rapidamente, aggrapparsi ai vecchi paradigmi può essere dannoso, non solo per i giovani, ma per l’intera società. Le nuove generazioni devono essere viste non come una minaccia, ma come una risorsa, capace di portare soluzioni innovative a problemi che le generazioni precedenti non sono riuscite a risolvere.
5. Il ruolo dei giovani nella società di oggi: voce o eco?
I giovani oggi hanno un ruolo sempre più importante nei movimenti sociali, nella politica e nel cambiamento culturale. Ma la domanda rimane: sono veramente ascoltati?
La risposta non è semplice. Da una parte, ci sono esempi di giovani che sono riusciti a far valere la propria voce, come Malala Yousafzai, Greta Thunberg o i ragazzi del movimento Black Lives Matter. Questi giovani sono diventati simboli di resistenza e innovazione. Tuttavia, per ogni giovane che riesce a emergere, ce ne sono molti altri le cui idee vengono soffocate o ignorate. Il rischio è che i giovani siano visti solo come una “forza lavoro fresca” da utilizzare per rinvigorire vecchie idee, senza mai permettere loro di proporre qualcosa di davvero nuovo.
Per evitare questo, è necessario che i giovani abbiano più spazi di partecipazione reale e non siano limitati a ruoli simbolici. La loro voce deve essere una voce attiva, capace di influenzare le decisioni, non solo di ripetere ciò che le generazioni precedenti hanno già detto.
Conclusione
In conclusione, la discriminazione anagrafica è un fenomeno reale e pervasivo che limita la partecipazione attiva e autentica dei giovani nella società. Definirli “prodigio” o sminuire le loro idee sulla base della loro età rappresenta un modo per evitare di riconoscere la forza e il valore collettivo di un’intera generazione. La tendenza a delegittimare le voci dei giovani non solo è ingiusta, ma è anche controproducente per la crescita e l’evoluzione della società stessa.
Ascoltare e valorizzare
Il rifiuto di ascoltare e valorizzare le nuove prospettive rischia di perpetuare vecchi paradigmi che non sono più adatti a rispondere alle sfide contemporanee. Dalla crisi climatica alla disuguaglianza economica, passando per i cambiamenti culturali e tecnologici, i giovani stanno affrontando un mondo complesso, che richiede soluzioni creative e visioni innovative. Eppure, quando il loro contributo viene sminuito per la mancanza di “esperienza”, ciò che viene effettivamente ignorato è la loro capacità di adattarsi, innovare e guardare al futuro con una chiarezza che talvolta manca alle generazioni precedenti.
Discriminazione anagrafica
Riconoscere la discriminazione anagrafica significa affrontare non solo il pregiudizio implicito nei confronti dei giovani, ma anche l’inerzia culturale che impedisce un ricambio generazionale sano e necessario. I giovani non devono essere solo spettatori delle decisioni che modellano il loro futuro, ma protagonisti attivi. Ascoltarli non significa cedere al ribellismo o all’irrazionalità, ma abbracciare la possibilità di un cambiamento positivo, capace di apportare soluzioni innovative e sostenibili.
Il futuro appartiene alle generazioni giovani e riconoscere il loro valore oggi è fondamentale per creare una società più equa, inclusiva e resiliente. La sfida non è solo quella di accogliere le idee dei giovani, ma di farlo con la consapevolezza che una società che non sa valorizzare il pensiero giovane è una società che rischia di condannarsi alla stagnazione.
È giunto il momento di superare la visione secondo cui l’età è un criterio di giudizio per la validità delle idee. Solo così potremo costruire un mondo che valorizzi il potenziale di tutti i suoi membri, indipendentemente dall’anno di nascita, e che sappia davvero evolversi per affrontare le sfide del futuro.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo su una frase che mi è stata detta più volte: “Terry mi sento morto dentro”.
“Terry mi sento morto dentro”. Sentirsi morti dentro è il risultato di un periodo di cambiamento o di una cattiva gestione emotiva, ma può anche nascondere un disturbo psicologico.
Quando qualcuno dice “mi sento morto dentro”, in realtà sta chiedendo aiuto e sta cercando di comunicare che ha perso la motivazione, l’entusiasmo e la capacità di provare piacere o interesse giorno per giorno.
In questi casi la vita diventa un susseguirsi routinario di momenti senza uno scopo apparente; quella scintilla di voler migliorare, che ci mobilita tutti, si spegne dentro. Cosa succede? Come si può migliorare questa situazione?
Non sarebbe esatto presumere immediatamente che la persona soffra di qualche disturbo psicologico, ci sono diverse variabili da considerare. È importante capire che gli stati d’animo fluttuano e non è naturale essere sempre felici o sulla cuspide emotiva. Tuttavia, rimanere a lungo in quel quadro di apatia può essere patologico ed è conveniente cercare supporto. Vedi perchè.
“Terry mi sento morto dentro”: segni che riflettono questo stato
Questa esperienza di vuoto interiore può essere diversa per ogni persona. C’è chi la vive in modo più simile a una profonda tristezza, altri provano emozioni simili all’angoscia e c’è anche chi sembra non provare nulla.
In ogni caso, i seguenti sono alcuni segni che possono aiutarti a identificare se ti trovi in questo stato.
Pensi di non avere uno scopo o un obiettivo. Ti ritrovi bloccato e senza meta.
La vita ti sembra vuota e priva di significato. Spesso ti chiedi perché sei qui e non trovi una risposta convincente.
Sembri separato da te stesso. Ad un certo punto, ti rendi conto che non ti conosci o non capisci te stesso; Non sai cosa vuoi o di cui hai bisogno.
Hai perso la motivazione e la capacità di provare piacere. Niente genera interesse in te, nemmeno quelle attività che ti piacevano o ti divertivano.
Ti senti profondamente soloe disconnesso dagli altri. Anche se sei circondato da persone, non riesci a stabilire legami profondi e significativi. Insomma, non ti senti compreso o supportato nelle tue relazioni; né ti connetti con le esperienze e le esperienze degli altri.
Non puoi provare emozioni o connetterti con esse. Ti senti intorpidito a livello affettivo e questo torpore emotivo ti impedisce di provare gioia, tristezza, rabbia o giubilo per gli eventi della tua vita. Per lo stesso motivo, ti è difficile esprimere le tue emozioni, verbalizzarle e condividerle.
“Terry mi sento morto dentro”- perché?
Sono molte le situazioni, patologiche e non, che portano una persona a sentirsi “morta dentro” per un tempo più o meno prolungato. I più comuni sono dettagliati di seguito.
Profonda tristezza e angoscia sono associate alla sensazione di essere “morti dentro”.
Hai subito un duro colpo emotivo
È comune che, dopo aver attraversato un’esperienza dolorosa e scioccante, i sentimenti sembrino congelarsi. Pertanto, se stai affrontando un duello, è probabile che ti senta “morto dentro”. Ricorda che il lutto nasce dalla perdita di una persona cara, ma anche da un licenziamento dal lavoro, dalla fine di un’amicizia o da un cambio di fase della tua vita, per esempio.
Questo vuoto e ottusità è comune, specialmente quando si verifica un lutto ritardato; quello in cui la persona non reagisce immediatamente all’evento, reprime le proprie emozioni e “congela” la sofferenza per dopo.
Non sai come gestire le tue emozioni
Forse quella sensazione di disconnessione emotiva è un meccanismo usato inconsciamente per evitare il dolore. Infatti, all’interno delle principali strategie di coping utilizzate dalle persone, questa si concentra sulla soppressione, la negazione o l’evitamento dell’emozione dolorosa e scomoda con cui non sanno come affrontare.
Ti manca il supporto sociale
L’isolamento sociale non è solo una conseguenza dell’apatia, ma può esserne anche la causa. Tieni presente che, in quanto esseri sociali, le persone hanno bisogno che gli altri condividano esperienze, ricevano sostegno e creino un senso di appartenenza.
La mancanza di legami significativi e la solitudine che ciò comporta, secondo uno studio pubblicato su Harvard Review of Psychiatry, è una delle componenti principali della sensazione di vuoto.
Stai affrontando una crisi esistenziale.
Una crisi esistenziale è un periodo di domande interne sul significato della propria vita. Di fronte a così tante domande senza risposta, può placarsi un sentimento di passività, abbandono e disperazione. Queste crisi sono più comuni in alcune fasi della vita (come l’adolescenza) e arrivano a generare una prospettiva negativa di noi stessi, degli altri e del futuro.
” Terry mi sento morto dentro”- Sperimenti la dissociazione
La dissociazione implica una disconnessione tra la mente di una persona e la sua realtà presente; questo può portarla a sentirsi strana e distaccata dal mondo che la circonda.
Soffri di ottusità affettiva
D’altra parte, se mi sento “morto dentro”, probabilmente sto sperimentando un fenomeno noto come affetto attenuato. Consiste in un’indifferenza o mancanza di reazione agli eventi che dovrebbero innescare una risposta emotiva. E può insorgere come sintomo isolato o come parte di una condizione più complessa come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD).
Hai un disturbo psicologico- “Terry, mi sento morto dentro”
Oltre ai disturbi legati al trauma, la profonda sensazione di vuoto è anche associata ad altre condizioni. Secondo il già citato articolo di Harvard Review of Psychiatry,può comparire nel contesto della depressione o di altri disturbi affettivi, nella schizofrenia o nel disturbo narcisistico di personalità.
Allo stesso modo, i sentimenti cronici di vuoto sono una delle esperienze più comuni e caratteristiche all’interno del disturbo borderline di personalità. È anche uno dei criteri diagnostici che compongono il DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
Quando la sensazione di vuoto è di lunga durata e influenza la vita quotidiana, è pertinente cercare aiuto.
“Terry mi sento morto dentro”: come affrontarlo?
I passaggi per superare questo stato dipendono in gran parte dalle sue cause. In generale, i seguenti sono alcuni suggerimenti utili:
Rivedi le tue esperienze di vita più rilevanti. In essi puoi trovare la radice di quella sensazione di vuoto e disconnessione; applicare strumenti come la linea della vita.
Cerca di riconnetterti con le tue emozioni. Questo può essere scomodo per te, ma il sentimento è l’unico modo per rilasciare la carica emotiva contenuta.
Concediti del tempo. Quando stai attraversando un lutto, ti stai riprendendo da un evento difficile o stai affrontando un grande cambiamento, hai bisogno di tempo per riadattarti. Consenti a te stesso di sentire e non forzarti a sperimentare la felicità se non la vivi in quel modo.
Analizza quali sono le tue strategie di coping. Cioè, quali modi o risorse usi per affrontare situazioni difficili o stressanti. Se tendi a reprimere o sopprimere il dolore, considera di iniziare a provare altre tecniche.
Creare reti di supporto. È vero che quando la demotivazione intrappola è difficile avvicinare gli altri per vivere insieme; ma condividere tempo ed esperienze con altre persone può darti l’incoraggiamento e il rinforzo di cui hai bisogno per uscire da quello stato.
Pratica l’attivazione comportamentale. Questa è una tecnica ampiamente utilizzata nel trattamento della depressione; Consiste nell’impegnarsi in attività che forniscono piacere o rinforzo. Sarà necessario fare uno sforzo in più per programmare e assecondare queste dinamiche (che al momento non sono allettanti), fino a quando non inizierai ad attivarti.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di ferite d’infanzia e cosa succede se non le elabori.
La teoria dell’attaccamento spiega quanto sia importante per ognuno di noi, per una crescita psico-fisica sana, avere una base sicura a cui tornare. La base sicura è il genitore, il caregiver in generale, cioè qualcuno che, oltre che prendersi cura del bambino nutrendolo e garantendo il soddisfacimento dei bisogni primari per la sopravvivenza, soddisfa il bisogno di amore, anch’esso indispensabile non per la sopravvivenza, ma per la vita.
Sai cos’è la deprivazione emotiva?-ferite d’infanzia
Partiamo da un preconcetto: la maggior parte dei genitori non è consapevole di star trascurando emotivamente il proprio figlio. Spesso succede che questo bisogno di amore e conferme non sempre vengano soddisfatti, e non necessariamente per cattiva volontà, ma a volte per mancanza di tempo ed energie, o perché anche i genitori stessi a loro volta sono stati bambini e probabilmente non hanno ricevuto abbastanza amore e non hanno quindi imparato ad amare.
A volte sono piccoli gesti di noncuranza protratti nel tempo a creare il seme della deprivazione emotiva. Problemi che non sempre vengono colti con velocità e immediatezza data l’apparente normalità nella quale il bambino sembra vivere.
Possiamo considerare tre sottospecie di trappola da deprivazione emotiva
1. Deprivazione di accudimento amorevole: i tuoi genitori ti tenevano abbastanza in braccio? ti coccolavano abbastanza? Ti consolavano e calmavano? Giocavano con te?
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2. Deprivazione di empatia e riconoscimento: i tuoi genitori erano interessati ad ascoltarti? Erano capaci di capire i tuoi bisogni ed i tuoi sentimenti? Comunicavano con te?
3. Deprivazione di protezione e guida: da piccolo/a potevi fare riferimento ai tuoi genitori per essere supportato/a e protetto/a in caso di bisogno? C’era qualcuno che badava a te e ti faceva sentire al sicuro?
La disregolazione emotiva-ferite d’infanzia
I bambini durante la loro crescita cambiano e modificano continuamente il loro modo di “sentirsi” nel mondo. Durante questo percorso è capitato a molti di loro di non riuscire a dare un nome e un senso a quelle sensazioni che provano, che qualche volta possono arrivare a ingombrare tutto il loro sentire, non lasciando spazio e tempo per altro. Quando ciò succede ha inizio un disregolazione delle emozioni che può stravolgere e dare sofferenza in ogni ambito della loro vita.
Immaginiamo delle situazioni comuni in cui al bambino viene chiesto di reprimere le proprie emozioni, di non fare richieste, di non piangere perché “diventare grandi vuol dire risolversi i problemi da soli” senza chiedere l’aiuto degli altri. O ancora, quelle situazioni in cui al bambino non viene mai dato un rinforzo positivo ma gli si rimanda che avrebbe potuto sempre fare di più, che qualcun altro è stato più bravo di lui ecc.. tutto questo può interferire significativamente con la costruzione della propria autostima e sul proprio benessere emotivo.
Quando c’è un bambino arrabbiato, preoccupato, emozionato, gioioso è necessario che ci sia un adulto capace di ascoltare e di non invalidare qualsiasi tipo di emozione si presenti. Chiedere a un bambino preoccupato cosa lo disturbi in quel momento è il primo passo per educare alle emozioni. Se, al contrario, dinanzi a uno stato di preoccupazione ovvero di agitazione c’è un adulto che fa sentire inadeguato un bambino, quest’ultimo imparerà a non dar voce alla sua emotività.
Non ascoltare l’emotività di un bambino e non educarlo alle emozioni lo faranno crescere con l’inconsapevolezza di ciò che sentirà poiché l’emotività del bambino di ieri non sarà connessa con quella dell’adulto di domani.
ferite d’infanzia: come diventiamo da adulti?
Quando i bisogni emotivi di un bambino non vengono soddisfatti durante l’infanzia, lo sviluppo della personalità verrà modellato in modi specifici. In effetti, una forte carenza emotiva può invalidare la sfera emotiva del bambino e l’adulto di domani, ne risulterà completamente sconnesso.
Le conseguenze della mancanza di affetto sono innumerevoli e diverse da individuo a individuo anche per aspetti individuali che possono incrementarle o ridurle, tuttavia sicuramente l’assenza di amore nelle sue diverse forme, lascia un segno e compromette l’immagine di sé, l’autostima e le relazioni nel corso della vita. Ecco alcune conseguenze:
1. Dipendenza affettiva
Non ti senti amato/a dal tuo partner? Forse dovresti accettare che non hai avuto dei buoni genitori!
Di fatto la carenza affettiva induce alla dipendenza emotiva. Le persone alle quali è mancato l’amore andranno per il mondo con avidità alla continua ricerca di affetto. Di qualunque forma affettiva possa loro confermare anche in maniera anomala, disturbata e non veritiera che vi sia dell’amore e della considerazione. Ricercheranno conferme e riconoscimento attraverso rapporti di dipendenza, rapporti nocivi ed insoddisfacenti. Infatti sono facili prede di approfittatori che tendono ad usare tale fragilità per manipolarla per i loro fini.
La relazione di coppia diventa quindi un’opportunità mediante la quale guarire una volta per tutte le proprie ferite: il partner diventa, in un certo senso, un sostituto del proprio padre o della propria madre e si pretenderà di essere amati incondizionatamente come ci si sarebbe aspettati dai propri genitori.
Tali presupposti comportano nella coppia comportamenti disfunzionali: la relazione diventa tesa e conflittuale, la comunicazione diventa aggressiva e sfidante dato che si pretenderà con forza ciò che si pensa spetti di diritto. Non mancano atteggiamenti passivo aggressivi vittimistici che lentamente vanno a ledere l’affettività, la sessualità e in più in generale l’intera relazione.
2. Emarginazione
Sei fermamente convinto che l’amore o la vera amicizia non esistano? Forse hai paura di amare o peggio pensi di non essere all’altezza di stringere legami!
Per chi soffre di un vuoto affettivo la chiusura di un legame vuol dire cadere in una profondissima solitudine, avvertire un “nulla” che diventa intollerabile, andare avanti con una profonda sofferenza.
e carenze affettive nell’infanzia portano l’adulto ad una rassegnazione, a un ritiro emotivo e a un substrato depressivo. Ci si abitua a non essere abbracciati, a non essere baciati, a non essere amati e ci si convince di stare bene, che non sono necessarie avere relazioni perché non si ha bisogno di niente.
3. Frustrazione in ambito lavorativo
Odi tutti: i tuoi colleghi e il tuo datore di lavoro? Sappi che l’ostilità verso gli altri nasce sempre da una mancanza….magari sei tu che non sei mai stato valorizzato da chi avrebbe dovuto farlo!
L’ambito affettivo-sentimentale non è l’unico contesto in cui possono venire fuori le proprie carenze affettive. Può avvenire lo stesso anche in ambito lavorativo. Chi non si è sentito riconosciuto e valorizzato durante l’infanzia potrà provare, per esempio, una fortissima frustrazione se non si sentirà valorizzato dal suo capo o dai suoi colleghi. Queste figure diventeranno inconsciamente una proiezione dei genitori.
4. Sviluppo di comportamenti aggressivi
Ti arrabbi al minimo intoppo e pensi che tutto ti sia dovuto? Probabilmente hai sviluppato un meccanismo di difesa inconscio per riscattarti da quella ancestrale ingiustizia subita
Un bambino cresciuto nell’indifferenza può sviluppare un comportamento aggressivo da adulto, specialmente se è stato sottoposto a continua trascuratezza emotiva. L’abbandono, l’ignoranza, la disaffezione o l’abuso sui minori possono trasformarsi in rabbia, risentimento verso i genitori o addirittura verso la società. Di conseguenza, è molto probabile che un orfano d’amore assuma un comportamento aggressivo.
Bastano delle piccolezze come un ritardo di un quarto d’ora o la mancata risposta ad un sms per mandarlo in escandescenza. Per chi si trascina carenze emotive, ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa può innescare una sensazione di disperazione che si traduce con rabbia e accuse.
Per esempio, se il partner non risponde ad un sms, penserà cose altamente ansiogene del tipo: ” Fa cosi perché non gliene importa nulla di me”, ” Non può rispondermi perchè è con un altro/a” oppure ” Lo sapevo: ha intenzione di lasciarmi”.
5. Totale mancanza di empatia-ferite d’infanzia
Il tuo migliore amico o peggio il tuo partner mostra indifferenza verso i tuoi bisogni? Se è cresciuto privato dell’amore dei suoi genitori non c’è da meravigliarsi!
Un bambino che riceve amore sa donare amore, mentre se un bambino manca di amore e di affetto, può riprodurre lo stesso modello di comportamento da adulto, divenendo apatico e sviluppando la sua indifferenza verso la sofferenza degli altri. Potrebbe entrare in uno stato di freezing, non sentire il dolore degli altri e comportarsi in un modo totalmente privo di empatia, anche influenzando le sue relazioni sociali.
E tu, che adulto sei diventato?
E’ davvero triste che la vita di un bambino possa essere influenzata per sempre. Molto di più se è dovuto alla mancanza di attenzione, amore e affetto dei loro genitori o tutori. Adesso sei adulta/o, hai il potere e il diritto di amarti e di stare bene con te stessa/o. Diventa il genitore di te stessa/o e che non hai mai avuto. Rimetti a posto quel tassello mancante nel tuo sistema di credenze.
Non aspettare che siano gli altri a farlo, Non aspettarti considerazione dall’esterno!
Hai presente quando vedi un bambino andare per la prima volta in bicicletta sotto gli occhi ammirati dei genitori? Il bambino dice «guardami, mamma, guarda quanto sono bravo». Molti adulti vivono bloccati in questa modalità. «vi prego, mondo! Nota quanto sono bravo». Questo arresto è legato a carenze nel passato. Nessuno può tornare indietro e darti la considerazione e la comprensione che non hai mai avuto quando più ne avevi bisogno. Quel bisogno, però, ora è rimasto intatto e ciò che posso fare è darti i mezzi per soddisfarlo da solo. Perché tu puoi farlo.
Puoi guardare a te stesso come farebbe un genitore fiero e orgoglioso di ciò che sta diventando il suo bambino. Puoi e anzi, meriti di essere considerato, stimato e amato. L’unico inconveniente è che gli altri inizieranno a notarti solo quanto tu noterai te stesso. Gli altri, inizieranno ad amarti davvero solo quando tu inizierai ad amarti.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo su la scuola: com’è e come dovrebbe essere.
1. Introduzione: Il vero scopo dell’educazione
La scuola non dovrebbe essere solo un luogo dove si acquisiscono nozioni teoriche per ottenere un diploma o una laurea. In realtà, dovrebbe rappresentare un laboratorio di vita, un ambiente che fornisce agli studenti gli strumenti necessari per affrontare il mondo esterno, non solo dal punto di vista accademico ma soprattutto personale e sociale.
Prepararsi alla vita significa sviluppare competenze pratiche e trasversali, come la capacità di pensare criticamente, risolvere problemi, lavorare in squadra e gestire le proprie emozioni.
Oggi, purtroppo, il sistema scolastico è spesso troppo focalizzato sull’ottenimento di risultati formali e sul rispetto rigido di programmi ministeriali, trascurando il vero obiettivo dell’educazione: formare persone consapevoli, empatiche e capaci di adattarsi a una realtà in continuo cambiamento.
Domanda chiave: Stiamo davvero preparando i giovani alla vita o stiamo soltanto creando una generazione di “macchine da voto”?
2. La scuola di oggi: Un riflesso della società
La scuola odierna, soprattutto nel contesto degli adolescenti, è il riflesso di una società sempre più orientata al risultato. Gli adolescenti vivono in un ambiente altamente competitivo, dove le aspettative sono elevate, non solo in termini di prestazioni scolastiche, ma anche di successo personale e sociale.
La pressione per eccellere è forte: i giovani si trovano a dover eccellere non solo a scuola, ma anche in attività extra-curricolari, sport, hobby, e relazioni sociali. Tutto questo genera una sorta di ansia da prestazione, in cui l’errore o il fallimento sono percepiti come inaccettabili.
Oltre a questo, le nuove tecnologie e i social media hanno amplificato l’importanza dell’immagine e della performance. I giovani sono continuamente esposti a modelli di successo irrealistici e sono bombardati da informazioni che possono accentuare la loro vulnerabilità emotiva.
La scuola, anziché fungere da rifugio sicuro e luogo di crescita, spesso si allinea a questa logica, diventando un altro contesto dove bisogna primeggiare, fare tutto “perfettamente” e ottenere voti alti.
Impatto psicologico: Il costante confronto e la pressione scolastica possono condurre a disturbi legati all’ansia e alla depressione, aumentando il rischio di burnout in età molto giovane.
3. Il comportamento degli insegnanti: Cosa fanno e cosa dovrebbero fare
Gli insegnanti, per definizione, svolgono un ruolo fondamentale nella vita degli adolescenti, poiché rappresentano figure autorevoli che possono influenzare lo sviluppo personale oltre che accademico degli studenti. Ma nella realtà quotidiana, come agiscono?
Oggi, molti insegnanti sono sopraffatti dai carichi burocratici e dalle aspettative legate ai risultati degli esami. Questo li porta spesso a concentrarsi quasi esclusivamente sulla trasmissione di contenuti teorici, limitandosi all’insegnamento delle nozioni necessarie per superare le prove scritte e orali.
Le relazioni umane tra studenti e insegnanti, e il supporto emotivo che potrebbe fare la differenza nel percorso di crescita, vengono spesso relegati in secondo piano.
Un insegnante, però, dovrebbe essere molto più di un semplice “distributore di nozioni”. Dovrebbe essere una guida, una persona di riferimento capace di ascoltare e comprendere le sfide emotive e sociali che gli adolescenti affrontano quotidianamente.
Il loro compito dovrebbe includere non solo l’insegnamento del contenuto curriculare, ma anche la promozione di abilità di vita come la gestione delle emozioni, la capacità di lavorare in gruppo e di risolvere problemi reali.
Cambiamento necessario: Un insegnante deve riconoscere che ogni studente è un individuo con bisogni diversi e non semplicemente un numero in una classe. L’educazione dovrebbe essere personalizzata e non generalizzata.
4. Il difetto dell’approccio attuale: Oltre il programma scolastico
Il problema principale del sistema scolastico attuale risiede nella sua ossessione per i risultati accademici, spesso trascurando l’importanza della crescita personale e della maturazione emotiva degli studenti. Le lezioni vengono progettate con l’obiettivo di coprire il programma ministeriale entro la fine dell’anno, e l’intero sistema è orientato verso il raggiungimento di performance misurabili, come i voti nei test standardizzati o il punteggio negli esami finali.
Questo approccio, tuttavia, non tiene conto del fatto che l’educazione è molto di più del semplice apprendimento di nozioni teoriche. I giovani devono imparare a gestire la frustrazione, affrontare il fallimento, lavorare in team e sviluppare la resilienza – abilità essenziali che raramente vengono affrontate nei programmi scolastici.
Concentrarsi esclusivamente sul trasferimento di conoscenze senza curarsi dello sviluppo integrale dello studente porta alla creazione di giovani adulti impreparati ad affrontare le sfide del mondo reale, che richiedono ben più della sola competenza accademica.
Conclusione critica: Il vero fallimento del sistema scolastico moderno non risiede solo nel non insegnare abbastanza contenuti, ma nel non riuscire a preparare i giovani ad affrontare la vita con consapevolezza e autonomia.
5. Come dovrebbe migliorare la scuola: Una visione verso il futuro
Il futuro dell’educazione deve guardare oltre i voti e i diplomi. La scuola del domani dovrebbe essere un ambiente dove si imparano anche le competenze emotive e sociali, così come quelle accademiche.
Un modello educativo che integri l’insegnamento delle cosiddette “soft skills” – come la capacità di comunicare in modo efficace, la risoluzione dei conflitti, la gestione dello stress e delle emozioni – sarebbe essenziale per preparare i giovani alle sfide della vita moderna.
Alcune proposte di miglioramento includono:
Formazione continua degli insegnanti: È fondamentale fornire ai docenti una formazione adeguata non solo in ambito didattico, ma anche nelle competenze relazionali e di gestione delle emozioni. Gli insegnanti devono essere capaci di guidare gli studenti anche nel loro percorso di crescita personale.
Educazione personalizzata: Le classi non dovrebbero essere luoghi in cui ogni studente è trattato allo stesso modo. La personalizzazione dell’insegnamento, attraverso piani educativi individualizzati, permette a ogni ragazzo di sviluppare le sue potenzialità uniche.
Inserimento di programmi di educazione emotiva: A scuola dovrebbe esserci spazio per l’educazione alla consapevolezza emotiva, alla gestione dello stress e alla risoluzione dei conflitti. Questi strumenti sono fondamentali per affrontare il mondo esterno con sicurezza e consapevolezza.
Collaborazione con le famiglie: La crescita di un giovane non può dipendere solo dall’ambiente scolastico. La scuola dovrebbe lavorare a stretto contatto con le famiglie per garantire che gli studenti ricevano un sostegno adeguato anche fuori dall’aula.
Il futuro della scuola: L’istruzione non dovrebbe essere vista solo come un mezzo per ottenere un titolo, ma come un percorso di crescita globale, che forma cittadini consapevoli, empatici e pronti ad affrontare il mondo.
Buongiorno amici. Oggi parliamo del fatto che la felicità è uno stato mentale.
Cosa pensano gli adolescenti della felicità? Come la identificano? Ritengono che sia possibile essere felici? Sono domande importanti sulle quali, forse, come educatori e genitori dovremmo soffermarci più spesso in un’ottica progettuale. Soprattutto dovremmo chiederci: la felicità si può insegnare ai nostri ragazzi?
Cos’è a felicità per i ragazzi?
Ragazzi e ragazze spesso non riescono a dare alla felicitàuna vera e propria definizione, caratterizzandola talvolta con la negazione di determinate sensazioni e condizioni oppure frequentemente anche con l’esplicitazione delle circostanze in cui ne fanno esperienza. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza per le loro vite e la transitorietà. La felicità evoca soprattutto in loro l’idea di star bene con sé e con gli altri.
Nonostante l’incerta definizione, i giovani identificano quindi facilmente come fonte principale di felicità la vita “sociale”, ovvero le relazioni con i pari ma anche con familiari e adulti. Mostrano di dare peso alla soddisfazione che provano nei confronti della propria vita.
Ovvio che i medesimi ambiti che li rendono felici siano anche motivo di ansia e frustrazione, quando le cose non vanno per il verso giusto. Pertanto l’approccio alla “felicità” si mostra “cauto” e “timoroso”, oppure a volte persino “provocatorio” e “ambivalente”. Essere felici spaventa e quindi per alcuni è meglio “investire” energie soltanto nelle emozioni, le spesso evocate “good vibes”, di sicuro più effimere ma senz’altro più “certe”.
Un lungo viaggio
La felicità è un lungo viaggio, una vera e propria scommessa con sé stessi. Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, avere comportamenti prosociali, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le proprie emozioni.
Saper risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé, avvertire un forte senso di coerenza e significato della propria vita. Alcune di queste caratteristiche corrispondono perfettamente a quelle che vengono definite “life skills”, competenze individuali sulle quali anche la scuola sta cercando di puntare in maniera più significativa.
Per essere felici in maniera “duratura e sostenibile” occorre “allenarsi”. L’idea di felicità, che può essere insegnata e trasmessa ai nostri giovani, ha a che fare con la “scienza del sé. La definizione di felicità più pericolosa – avverte il prof. Formica – è quella che la “banalizza”, ponendola alla stregua di “un’emozione da provare più a lungo possibile.
Infelicità ed incertezza
La radice dell’infelicità giovanile, poi, risiede nel generale fraintendimento che riguarda l’idea di libertà, quest’ultima infatti oggi corre costantemente il rischio di sconfinare nell’arbitrio senza un quadro etico di riferimento. Diviene spesso anche un paravento per poter rendere lecito tutto e il contrario di tutto, è infatti scissa dal senso di responsabilità.
Difficile essere felici nell’incertezza di cui si connota l’orizzonte futuro, difficile anche sfuggire alle seduzioni persuasive del narcisismo che costantemente fa capolino dai social e accettare di poter essere felici per come si è, al di là di qualsiasi “proiezione” o “idealizzazione”.
Difficile certo, ma non impossibile.Coltivare la scintilla creativa che è presente nei nostri adolescenti, dunque, può essere un modo per insegnare loro la felicità. Altrettanto spazio andrebbe lasciato alla spiritualità, che spesso fa da humus al pensiero creativo e che permette di operare una ricerca di “senso” nel vivere quotidiano.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul tema “stop ai paragoni”.
Oggi voglio solo fare una piccola riflessione.
Non solo scuola
Quante volte ho visto e sentito, sia in famiglia che a scuola, adulti che sminuiscono un ragazzo facendo paragoni con qualcun altro.
E questo qualcun altro è il compagno, la sorella, il fratello, il cugino… c’è sempre qualcuno migliore di lui. Ma è davvero così?
C’è sempre qualcuno migliore di noi e noi siamo davvero inferiore a tutti gli altri?
Ragazzi e adulti
Mi rivolgo ad entrambe le categorie.
Nessuno, e ripeto nessuno, è superiore o inferiore a nessun altro.
Fortunatamente siamo tutti diversi e tutti, e ripeto tutti, abbiamo delle abilità, delle inclinazioni, delle caratteristiche che ci rendono unici nel nostro genere.
Purtroppo molto spesso i genitori decidono prima ancora che un ragazzo scelga un indirizzo di studi specifico, quello che, questo, deve fare. Loro hanno un’idea di quello che in futuro un figlio deve essere, diventare, quale lavoro andrà a fare, chi dovrà frequentare.
Aspettative che per la maggior parte dei casi sono diverse dai desideri e le reali inclinazioni dei figli.
E quindi?
Frustrazioni
E quindi succede che i ragazzi si sentono sbagliati, frustrati, inferiori, non all’altezza delle aspettative dei genitori.
Quindi scelgono la scuola o un lavoro solo per accontentarli ma che succede? Che non riusciranno e non perché sono dei falliti( ho sentito anche queste parole)ma perché non è nelle loro corde quello che stanno facendo.
Cosa si deve fare allora? Spingere i ragazzi ad approfondire i loro talenti. Ricordando che saranno sicuramente diversi da quelli che voi, adulti, vi aspettate ma va benissimo così.
Dovete insegnar loro a combattere per i loro sogni, per realizzare i loro obiettivi. Ad impegnarsi con tutte le loro forze per diventare quello che vogliono .
Insegnate loro a cadere e a rialzarsi perché è dagli errori che si impara a diventare adulti. E voi, genitori in primis, camminate sempre accanto a loro, non davanti a loro. E se avete bisogno di me contattatemi https://dottoressanapolitano.it