Buongiorno amici. Oggi riflettamo sul mettersi nei panni dell’altro.
“se fossi al suo posto”…cosa faresti? come ti sentiresti?
E quello che, tutti noi, ragazzi e adulti, dovremmo fare tutti i giorni quando,a volte senza nemmeno pensarci, giudichiamo una persona che, in fondo, non conosciamo.
Il giudizio
E sì. Quante volte4 parlando con una perosna ci fermiamo alla prima impressione e non ci itneressa andare oltre? Magari confermiamo la nostra impressione…magari la cambiamo, che sia nel bene o nel male. Ma ci fermiamo sempre all’inizio.
Quante volte, ancora, giudichiamo un atteggiamento, o del momento o sistematico, di qualcuno( collega, amico, compagno di classe) e non ci chiediamo il perché di tutto questo?
E ancora…cosa c’è alla base del bullismo? L presunzione dis sentirsi superiori..a cosa o a chi o perché non si sa. E, in questi, come nelgi altri casi, vi siete mai fermati a chiedervi “cavolo, se questo fosse fatto o detto a me, come mi sentirei? come mi comporterei”‘
“Se nella vita avessi subito X cosa, come mi comporterei e che rapporto avrei con gli altri?”
Riflettete
No, non lof acciamo mai. Eppure sarebbe tutto così bello, più semplice, più genuino.
Saremmo tutti persone migliori se solo, per una volta, cif emrassimo a riflettere su questo. Se solo, per una volta…o più…ci chiedessimo cosa sente quella persona alle nostre critiche, ai nostri giudizi fittizi, ai nostri atteggiamenti nei suoi confronti.
Servirebbe solo un po’ di empatia. Servirebbe guardarsi solo un po’ di più negli occhi e dentro se stessi. Ma siamo troppo imegnati a giudicare e a sentirci migliori degli altri.
Quindi, da oggi, fermiamoci e mettiamoci nei panni di qualcun altro.
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Quello che blocca gli adolescenti nell’esprimere la propria individualità
Buongiorno amici. Oggi parliamo de la paura del giudizio.
Quando si ha paura del giudizio è come avere un riflettore costantemente puntato su di sé, come se tutte le attenzioni dell’altro fossero su di sé, su ciò che si giudica di se stessi, in particolare su ciò che si reputa essere un proprio difetto.
Questa paura porta gli adolescenti a sperimentare una maggiore fatica nel relazionarsi agli altri, esporsi, mostrare il proprio pensiero. In alcune situazioni si tende a non agire o non esprimersi, pur di non rischiare di ricevere una valutazione negativa.
Come si manifesta la paura del giudizio nei ragazzi?
Nel cervello degli adolescenti si verifica una maggiore attivazione del sistema limbico, del circuito deputato alla gestione delle emozioni, ovvero quelle coinvolte nelle reazioni emotive e nelle risposte comportamentali. L’iperattivazione di queste aree può spiegare il maggiore interesse verso il gruppo dei pari, la maggiore attenzione al confronto con loro e all’accettazione oppure al rifiuto da parte dei coetanei.
“Dentro di me sento crescere pensieri e opinioni su varie cose che mi accadono, ma ho la tendenza a tenerle dentro per paura di dire qualcosa di stupido”
“Quando mi devo preparare prima di uscire ci metto sempre molto tempo: non lascio nulla al caso, perché i miei amici sono abituati a vedermi in un certo modo e non posso permettermi di non essere perfetta”
“In classe ascolto e seguo la lezione ma sembro sempre poco coinvolto perché quando l’insegnante fa le domande non alzo mai la mano per rispondere. Ho talmente paura di sbagliare e di fare una figuraccia davanti agli altri che preferisco rimanere in silenzio”
Lo sguardo degli altri per definire se stessi: quale impatto sul cervello adolescente?
È un po’ come vivere con tanti occhi che guardano e scrutano ciò che viene fatto e detto che amplifica questa importanza del giudizio esterno e interno. Questa sensazione può indurli a sovrastimare l’impatto reale di questa valutazione.
“Un esempio potrebbe essere quello di una quattordicenne che non vuole giocare con i suoi genitori e fratelli a un gioco da tavolo perché sa che i suoi amici non lo troverebbero cool, anche se nessuno la sta guardando, ma lei è certa che in qualche modo gli altri potrebbero facilmente venire a scoprirlo” (Dal libro Inventare se stessi. Cosa succede nel cervello degli adolescenti di Sarah-Jayne Blakemore).
Il solo pensare di essere guardati è associato ad una maggiore attività della corteccia prefrontale mediale, una zona chiave di ciò che viene definito “cervello sociale”, coinvolta nella comprensione delle relazioni con gli altri.
Gli adolescenti, dunque, si sentono più in difficoltà e mostrano segni più marcati di imbarazzo o vergogna anche al solo pensiero di essere osservati dagli altri, anche se questo non accade realmente.
Puntare sulle loro risorse per aiutarli a mettersi in gioco
Una delle funzioni degli adulti è quella di aiutare i ragazzi a riconoscere e conoscere i filtri con i quali si osserva il mondo e le paure per esprimerle senza vergogna o timore con la finalità di comprendere i propri stati interni e imparare esperienza dopo esperienza a gestirli per affrontare in modo più efficace le sfide quotidiane.
Gli adolescenti sentono la pressione sociale, dei familiari, delle aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici e anche quella social in cui tutto appare perfetto. È importante trasmettere ai figli il messaggio che la perfezione è una convinzione che limita e che non esiste.
Le differenze individuali sono alla base di tutto e ci rendono tutti diversi. Il sostegno del genitore, inteso come ascolto, accettazione e rinforzo con le giuste parole è indispensabile per nutrire la loro autostima e aiutarli a credere in se stessi e nel loro valore.
Si può anche spiegare ai ragazzi che è fisiologico in questa fase dello sviluppo, non piacersi sempre, sentirsi “fuori posto”: hanno bisogno di conoscere se stessi, di sapere che si tratta di un periodo transitorio.
Spesso hanno la percezione di essere gli unici a sentirsi così, mentre si tratta in realtà di un vissuto comune perché devono ancora metabolizzare tutti i cambiamenti che stanno vivendo, così da imparare a muoversi con più consapevolezza e sicurezza.
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Solitamente quando ci riferiamo al termine dismorfofobia intendiamo quella specifica preoccupazionerispetto alla percezione di uno o più difetti in ambito fisico. Una eccessiva preoccupazione che determina una compromissione rispetto alle normali attività quotidiane.
La persona che ne soffre passa molte ore a preoccuparsi dei presunti difetti fisici che riscontra in merito al proprio aspetto fisico. Specificatamente in merito a;
naso
bocca
orecchie
i capelli
gambe
braccia
seno
organi genitali.
La cultura all’interno della quale viviamo, una cultura molto attenta all’estetica, non può che sollecitare un aumento dell’incidenza di tale disturbo.
Quali sono i sintomi che caratterizzano questo disturbo?
Tendenzialmente l’età di insorgenza di tale disturbo è compresa tra i 10 ed i 15 anni, durante il periodo dell’adolescenza. E non si riscontra una differenza di genere: maschi e femmine sembrano soffrirne in egual misura.
La preoccupazione in queste persone acquisisce una sintomatologia di tipo fobico-ossessivo, determinando un elevato disagio personale, e un profondo stato di vergogna che si ripercuote sia nell’ambito lavorativo che nelle relazioni personali. Le persone che soffrono di tale disturbo tendono ad isolarsi, e nella maggior parte dei casi tendono ad utilizzare dei comportamenti per mascherare il difetto. Mantenere delle posture fisse, o dedicare tanto tempo a truccarsi senza poi sentirsi sicuri.
Come capire se si soffre di dismorfofobia? Come avviene la diagnosi?
In base alla più recente revisione del Manuale Diagnostico Statistico delle Malattie psichiatriche, DSM-5, il disturbo di dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati.
Per emettere una diagnosi differenziale specifica è necessario riscontrare:
preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o trascurabili da parte di altre persone
adozione di comportamenti ripetitivi o rituali come guardarsi allo specchio, toccare la parte difettosa, ricercare rassicurazione, o di atteggiamenti mentali quali pensieri ossessivi, costante confronto con gli altri, convinzione di essere osservato e giudicato. Comportamenti in risposta alla preoccupazione per il proprio difetto fisico
forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione per il difetto fisico
difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo o dalla massa grassa. In questo caso, infatti, è probabile la presenza di un disturbo del comportamento alimentare
la consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere nulla, parziale o elevata, ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei pensieri o dei comportamenti ossessivi nella vita quotidiana.
Questi rappresentano i criteri diagnostici di tale disturbo ed ovviamente la valutazione spetta ad un clinico competente. Un altro aspetto fondamentale è la distinzione tra tale disturbo e l’anoressia nervosa.
Come nasce la dismorfofobia? Quali sono le sue cause?
Solitamente qualunque disturbo, compreso questo, ha cause che possono essere riscontrabili in fattori di natura genetica o biologica: infatti diverse prove suggeriscono che il dismorfismo sia più comune in persone che hanno genitori o parenti con lo stesso disturbo. Non è semplice però capire se i sintomi, il vedersi brutti o guardarsi spesso allo specchio ad esempio, derivino da aspetti genetici o dai loro comportamenti.
Altri studi hanno invece riportato che i pazienti che soffrono di questo disturbo hanno vissuto esperienze di bullismo, maltrattamenti psicologici e prese in giro da parte dei coetanei.
Questo non fa che peggiorare la loro sensazione di sentirsi brutti. Sperimentare queste esperienze può perciò portare allo sviluppo di un’immagine negativa di sé stessi e ad ossessionarsi sul proprio aspetto. Ciò è particolarmente vero in adolescenza, quando si è più sensibili all’apparenza fisica o al modo in cui il corpo sta cambiando.
Ovviamente un altro fattore importante è una scarsa autostima e la tendenza al perfezionismo che possono portare la persona a sviluppare una attenzione esagerata al corpo.
Come risolvere questo disturbo?
Per le persone che soffrono di questo disturbo, la chirurgia estetica sembra spesso una soluzione possibile. In realtà non fa che peggiorare i sintomi, intrappolando i pazienti in una cerchia infinita di richieste di interventi chirurgici che non sono quasi mai risolutivi.
In realtà, l’unico modo per poter usre da questo loop è parlare con un professionitsa che cerca di capire l’origine del vostro star male.
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Buongiorno amici. Ogg parliamo di autolesionismo adolescenziale.
Non ne vorremmo parlare. Eppure tacere sull’autolesionismo è il primo errore. Sempre più ragazzine, ragazzi e giovani donne si tagliano braccia e gambe. O si provocano piccole ustioni o bruciature di nascosto. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa che da anni studia e affronta i disagi che portano all’autolesionismo
Non è un disturbo marginale. In Europa, pratica l’autolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti. Sono dati inquietanti, frutto di una meta analisi basata su molti studi sull’argomento che hanno coinvolto la popolazione in generale. In Italia, però, la situazione non è migliore, anzi. «Prima della pandemia da Covid-19 la fotografia italiana riguardo all’autolesionismo rispecchiava questi dati europei, in particolare per gli adolescenti i casi interessavano circa il 17% dei giovani».
«Dopo il lockdown e le varie restrizioni, però la situazione è fortemente peggiorata. Dal 2020 al 2021 si è assistito a una crescita del +10%, in particolare tra gli adolescenti. Adesso si stima che l’autolesionismo interessi circa il 27% dei ragazzini»
Perché sono così tanti quelli che si tagliano
Forse dovremo scrivere perché sono così tante quelle che praticano l’autolesionismo. Anche per questo problema, infatti, le donne hanno “vinto” il primo premio. «Sicuramente il sesso femminile è un fattore di rischio, ma anche tra i ragazzi l’autolesionismo non suicidario è molto diffuso. In parole più semplici, ci si fa male non con lo scopo o l’intento di arrivare a togliersi la vita (meno male! ndr).
Ma perché provocarsi del dolore aiuta a stare meglio» chiarisce la professoressa Borroni. L’autolesionismo, in pratica, aiuta a gestire un disagio. A tenerlo sotto controllo. «Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, l’autolesionismo non suicidario compare come disturbo mentale autonomo, che necessita di ulteriori studi» spiega la professoressa Serena Borroni. «È anche vero, però, che il provocarsi dolore o ferite è un sintomo trasversale, comune ad altri problemi psicologici».
L’autolesionismo come valvola di sfogo
Tagli, punture, bruciature di sigarette. Ma anche sbattere la testa contro il muro. O sfregarsi la pelle fino a farla sanguinare. Sono queste le strade più comuni percorse da chi sceglie di darsi dolore, fino ad arrivare al sanguinamento o a serie echimosi. «Provocarsi una lesione permette di provare una sensazione di sollievo. Soprattutto in chi vive un profondo disagio, come la rabbia, la tristezza, una forte ansia, una tensione interiore. O comunque un disagio cognitivo emotivo» chiarisce la psicologa clinica e psicoterapeuta. Si prova sollievo dalla sofferenza interiore, grazie al sanguinamento o al dolore che ci si è inflitti. Ma come è possibile? «Si sposta il disagio dal piano emotivo e psicologico a quello fisico e lo si fa in modo consapevole. Quindi è come se in qualche modo si riuscisse a gestire quel malessere, che porta a compiere azioni di autolesionismo» .
Può nascere una dipendenza
Il fatto che l’autolesionismo provochi sollievo è uno stimolo a ripetere l’azione, anche se poi le braccia si ripieno di taglie e ferite. Nel momento in cui si vive un forte disagio interiore, ciò che fa stare meglio viene subito praticato. Pure se “il meglio” è finire al Pronto Soccorso. «La tendenza a ripetere i gesti di autolesionismo, alla lunga, può provocare una vera e propria dipendenza, perché certi comportamenti diventano l’unico modo che la persona ha nell’alleviare la propria sofferenza psichica»
A volte si comincia per curiosità
A volte, si comincia a farsi del male per imitazione. Soprattutto tra i giovanissimi capita che un’amica lo faccia e, magari, ci si taglia solo per provare la stessa sensazione che prova lei. Oppure perché si è visto qualche video sul web. O ancora peggio perché si è deciso di partecipare a qualche “challenge” online. «Se l’episodio di autolesionismo è unico, e magari il ragazzo o la ragazzina lo raccontano spontaneamente ai genitori, si può considerare non patologico. Se, però, si ha la sensazione che non sia il primo o l’ultimo, allora è bene fare molta attenzione e rivolgersi a uno psicologo, in grado di affrontare questo problema» conclude la psicologa sociale.
Attenzione a questi campanelli d’allarme
Maglie e pantaloni lunghi, sempre. Anche in estate. Braccia e gambe costantemente coperte. Lividi che compaiono senza un motivo. Rifiuto di frequentare piscine, palestre o altre situazioni dove si deve esporre il proprio corpo. Possono essere questi i primi segnali da non trascurare se si teme che il proprio figlio o la propria figlia pratichi l’autolesionismo. «I ragazzi tendono a nascondere il problema, perché mettono in atto una strategia disfunzionale che però a loro risulta utile per sentirsi subito meglio» .
«Se oltre ai segnali precedenti, l’adolescente ha un cambiamento nello stile di vita, è molto più introverso sta, ancora più del solito, chiuso in bagno o in camera, allora è importante valutare la necessità di un intervento specialistico»
L’autolesionismo non passa da solo
Sicuramente l’adolescenza è uno dei periodi più critici nella vita di una persona. Ma non si può confinare l’autolesionismo a uno dei tanti cambiamenti che avvengono nel passaggio dall’età puberale a quella adulta.
L’approccio cambia in base a vari fattori, primo fra tutti la gravità delle lesioni che ci si provoca. Perché, se è vero che l’intento di chi pratica autolesionismo non è quello suicidario, è anche vero che, spesso, si arriva a farsi molto male.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di psicofarmaci e dell’abuso che un ragazzo può fare per cerare lo sballo.
Alcuni li definiscono “farmaci dello sballo”, si tratta di psicofarmaci senza prescrizione medica e utilizzati quindi non a scopo curativo ma “ricreativo”, un nuovo modo di superare i limiti ma che mette a rischio la propria salute e la propria vita.
A lanciare l’allarme è la Società italiana di neuro-psico-farmacologia. Il fenomeno è pericoloso e in crescita e a fotografarlo è lo studio ESPAD dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR): un aumento che si attesta tra il 15 e il 20 per cento negli ultimi 5 anni, grazie anche alla facilità di reperimento di questi medicinali. Si tratta infatti di farmaci troppo spesso disponibili in casa (42%), acquistati facilmente su Internet (28%), recuperati per strada (22%), sfuggendo così al controllo di adulti e medici. Nel 2021 inoltre, a causa della pandemia, si è registrato un aumento per tutte le tipologie di consumo di psicofarmaci. Consumi che avrebbero superato il 6%, alimentando la dipendenza associata anche agli effetti collaterali di altre sostanze psicoattive (tabacco, energy drink, benzodiazepine e sostanze stupefacenti), e lo sviluppo di comportamenti pericolosi.
Le cure farmacologiche nel campo della salute mentale, anche dei bambini e degli adolescenti, sono fondamentali. La ricerca ha compiuto passi straordinari in tutti i campi per questa fascia d’età ma è necessaria una grande attenzione.
Ma quali sono le motivazioni che spingono i ragazzi all’utilizzod egli psicofarmaci?
Questi psicofarmaci rappresentano per molti un’ancora di rassicurazione per aumentare le performance scolastiche e i livelli di attenzione, per migliorare l’aspetto fisico quando combinati a farmaci dietetici, per potenziare i livelli di autostima, per sentirsi in forma ma anche per migliorare sonno e umore. In molti casi questi farmaci vengono assunti con il solo scopo di “sballarsi”, sottolineano gli esperti, e spingono quindi i giovani ad assumerli sfuggendo al controllo della famiglia: “Per determinati tipi di farmaci come ansiolitici o barbiturici l’utilizzo è proprio finalizzato alla sregolatezza e a un momento di evasione, spesso consumati insieme ad alcolici o cannabis per aumentarne gli effetti”.
Le ragazze sono più a rischio– psicofarmaci
Le studentesse utilizzano in percentuale maggiore tutte le tipologie di psicofarmaci analizzate, con un rapporto di genere minimo pari a 1,8 in relazione ai farmaci per l’attenzione e un rapporto massimo più che triplo (3,4) quando si analizzano quelli per le diete.
I rischi maggiori
I rischi legati al consumo di psicofarmaci senza prescrizione sono diversi, soprattutto comportamentali e di dipendenza.
La sostanza illegale più diffusa è la cannabis, seguita dalle cosidette New Psychoactive Substances, sostanze sintetiche che mimano gli effetti di altre sostanze più note.
Il Rapporto della Sinpf riferisce inoltre che il 18% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso del 2021; il 2,8% ne ha fatto un uso frequente e che quasi il 10% degli studenti è un “poliutilizzatore”, almeno due sostanze negli ultimi 12 mesi.
I consigli per genitori
Assolutamente non sottovalutate nessu sintomo o cmabiamento comportamentale nei vostri ragazzi.
Non fate l’interrogatorio di terzo grado ma cercate di discuterne con i diretti interessati cercando di capirne le motivazioni
E, se avete bisogno del mio aiuto, che voi siate ragazzi genitori, contattatemi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Io spero che parlare dell’abuso che un ragazzo può fare di psicofarmaci vi sia stato utile per riflettere e prendere una decisione importante.
Molte volte, purtroppo, ancora oggi vedo molti genitori insegnare ai loro ragazzi a non avere paura.
Quasi come fosse un difetto, un qualcosa da nascondere, di cui vergognarsi.
“Non piangere che sembri debole”
“la paura è cosa da femminucce. Tus ei un uomo devi essere coraggioso”
Vis emrbano frasi corrtte e sensate queste da inculcare a bamibini e ragazzi in via di sviluppo?
Emozioni
La paura, se non portata all’eccesso facendola diventare patologia ( ma qui parliamo di altro, di attacchi di panico di cui abbiamo già parlato tempo fa ma se volete riprenderò l’argomento), è uns entimento come tutti gli altri, un’emozione.
E, come tutte le emozioni, e dicod avvero tutte, va vissuta, affrontata, esternata.
Non possiamo solo condividere , esternare gioia. Siamof atti di emozinoi e reazioni emtive a parole sentite, situazioni…tutto provoca in noi emozioni.
Che sia rabbia, dolor,e gioia, disgusto tutto va vissuto, elaborato, esternato. Perché nessuna emozione è qualcosa di cui vergognarsi.
Perché se la vediamo in questo modo allora dovremmo vergognarci di noi stessi ogni singolo momento della nostra giornata.
Affrontare le paure
E’ difficle, per un ragazzo che vive in un ambiente in cui è abituato a nascondere le sue paure, imparare, da solo, ad affrontarle.Perché sis entirebbe quasi in colpa verso la famiglia, perché “no, non devo farle trapelare, non posso, perché mi hannod etto che sbagloato”.
E invece l’unica coa sbagloata è fare quello che ti hannod etto.
Sapete chi è davvero la perosna coraggiosa? E’ quella che non ha paura di avere paura.
E’ quella che esterna le sue emozioni, che le affronta, che le guarda in faccia.
E va benissimo se piangiamo, se ci arrabbiamo, se c’è qualcosa di cu abbiamo una fottutissima pura e chiediamo aiuto per affrontarle.
E sapete perché? Perché siamo umani, perché solo se affrontiamo e viviamo a pieno le nostre emozioni cis entiamo bene.
Sembra assurdo ma un lutto, nons empre ins ensos tretto, deve essere vissuto, affrontato se non vogliamo vivere nell’angoscia per tutta la nostra vita. Piangiamo, soffriamo, va benissimo così.
Ricrodate, carig enitori, che la paura non deve essere sconfitta, non deve essere nascosta, non è uan vergogna. Va semplicemente gestita.
E allora, prendete per mano i vostri ragazzi e cercate di trovare, insieme a loro, al soluzione più giusta perpoter gestire le loro paure.
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Arrivare in alto superando se stessi, non gli altri.
Buonigorno amici. Oggi parliamo di superare se stessi
Non si arriva in alto superando gli altri, ma se stessi.
Insegnamento
Questo dovrebbe essere l’insegnamento che tutti i genitori dovrebbero dare ai propri ragazzi e prima ancora bambini. Invece?
Ince molto spesso,s empre più spesso si educano i figli alla competizione.
Competizione
Che se sana, fine allo sport, è anche giusta. Ma il probema è che questi ragazzi vengono educati ad essere miglori degli atri, a essere superiori algi altri.
A pensare che se non riescono a superari glia ltri, ad ogni costo e senza guardare in faccia a nessuno, non saranno nulla nella vita perdendo, ai loro occhi, lA STIMA DEIG ENITORI.
Ed ecco che compaiono i paragoni tra parenti,compagni, ragazzini della stessa età…in ogni luogo: in plestra, nello sport, a scuola.
“Guarda tuo fratello com’è bravo..dovresti essere come lui”
“guarda Paolo com’è forte”.
Vis embra giusto questo?
Empatia
Ma provate a mettervi solo per un attimo in un ragazzo che solo ora sta scoprendo se stesso e cosa vuole essere nella vita, e che, invece di essere supportato dai genitori ad impegnarsi per raggungere i suoi obiettivi, lo denigra.
Se stessi
I ragazzi devono dare sempre il massimo di se stessi per superare i propri limiti, le proprie insicurezze e paure. Perché tutti abbiamo dei talenti, che magari sono diversi da quelli della massa ma sono i nostri e, in quanto tali, vanno coltivati e alimentati e rispettati.
E allora isnegnamo ai ragazzi ad alzare sempre un pochino di più la nostra perosale asticella.
Acadere, sbalgiare, e rialzarsi sempre più fprti. Perché cadendo si impara, perché l’insegnamento viene soprattutto dagli errori.
Non dovete fare una gara col mondo a chi arriva più in alto perché nessuno arriva mai, tutti dobbiamo sempre imparare qualcosa da chiunque ne sa più di noi.
Piuttosto, superate voi stessi e datevi una pacca sulla spalla ogni volta che lo fate:)
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Buongiorno amici. Oggi parliamo de l’attesa e la forza dei desideri.
Il desiderio ci fa sentire una mancanza, ci fa sentire quello di cui abbiamo bisogno, quello che vogliamo, ci prepara all’attesa.
Troppo spesso, invece, gli adulti per primi perdono la bellezza del desiderare e si cerca di ottenere tutto e subito, non riuscendo a trasmettere questo valore anche ai più piccoli. Eppure sono proprio i desideri il motore che permette di trovare le energie e la forza per alimentare dei progetti e conquistare ciò che per noi conta davvero.
Bisogno o desiderio? Comprendiamo bene il loro significato!
Spesso le parole bisogno e desiderio vengono utilizzate come sinonimi, come se avessero lo stesso significato, ma non rappresentano la stessa cosa.
Il termine bisogno “con valore generico, indica mancanza di qualche cosa. Più comunemente, la necessità di procurarsi ciò che manca per raggiungere un fine determinato, oppure ciò che è ritenuto utile per il conseguimento di uno stato di benessere materiale o morale” (Dizionario Treccani). Il bisogno è qualcosa che parte dal corpo e nasce da una spinta interna, si attiva a partire da ciò che manca e spinge a metter in atto un’azione specifica per ottenerlo, generando piacere se si raggiunge il risultato oppure frustrazione se non si riesce.
Il termine desiderio, invece, “è un sentimento intenso che spinge a cercare di raggiungere, possedere o realizzare ciò che può soddisfare un bisogno. Può indicare un sentimento costante di mancanza di qualcosa che si ritiene necessario al nostro benessere” (Dizionario Treccani). Il desiderio indica, dunque, un vissuto, un processo che tende verso qualcosa: non si resta immobili, in attesa, ma si avverte una spinta che mette in cammino verso una certa direzione.
Se questa distinzione non è chiara per gli adulti, possiamo immaginare quanto sia ancor più faticoso comprenderla per i più piccoli.
Hanno bisogno di tempo per imparare a distinguere tra bisogni e desideri ed hanno bisogno, per riuscirci, della guida e dell’aiuto dei genitori, che possono abituarli, gradualmente, a comprendere e vivere il valore dell’attesa.
Pur essendo differenti, bisogni e desideri hanno un importante elemento in comune: la frustrazione che si sperimenta quando non è possibile
Aiutare i figli a tollerare la frustrazione
Si tratta di un vissuto che fisiologicamente ognuno di noi, anche i più piccoli, può sperimentare: viverla in modo adeguato permette, al bambino prima e poi gradualmente a ragazzi e adulti, di conoscerla ed elaborarla.
Frustrazioni
Spesso può essere faticoso per un adulto tollerare la frustrazione sperimentata dal figlio: entrano in gioco molte emozioni e sentimenti differenti tra cui dispiacere, senso di colpa o ad esempio imbarazzo quando ci si trova di fronte ad altre persone, e ciò porta a soddisfare il prima possibile il desiderio del momento per recuperare la tranquillità.
Soddisfare ogni desiderio, però, sebbene porti ad un risultato immediato, non è la strategia più efficace nel lungo periodo.
Da un lato i bambini apprendono che quella modalità funziona per ottenere ciò che vogliono, dall’altro si trasmette loro, in modo indiretto, il messaggio che non hanno competenze e capacità per conquistare qualcosa in autonomia.
Le attese
La capacità di attendere aiuta nel raggiungere un desiderio: sapere e accettare che non si può avere tutto e subito e che per ottenere degli obiettivi servono impegno, costanza e determinazione, permette ai bambini di mettersi in gioco, sviluppare la pazienza, rinforzare la fiducia in se stessi e incrementare l’autostima.
Imparare a tollerare la frustrazione, gradualmente e con modalità e tempi differenti in funzione dell’età dei bambini, permette dunque anche di iniziare a costruire le fondamenta della loro resilienza, rendendoli più efficaci nel superare anche le avversità, migliorando le proprie capacità di adattamento e sviluppando le proprie risorse.
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Io spero che parlare de l’attesa e la forza dei desideri vi sia stato di aiuto.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo di doni materiali Vs tempo.
I regali. Belli, graditi sempre e certamente rendono felici, soprattutto se inaspettati e fatti da persone che ti amano davvero.
Ma siamo sicuri che sono i doni materiali che rendono davvero felici un ragazzo, un bambino, vostro figlio?
Doni
Mi è capitato molto molto spesso di lavorare in famiglie in cui genitore X, o entrambi a volte, per colmare le carenze d’affetto o il tempo non passato coi figli per motivi di lavoro, pensano di mettere un cerotto e compensare a tutto questo con regali.
Ogni volta regali su regali. Soldi spesi per far felice un figlio. Ma poi?
C’è chi davvero non vada a spese. “gli io comprato un tablet così quando torno a casa dal lavoro stanco e voglio riposare può guardare un film e stiamo tutti tranquilli”.
“continuava a fare i capricci e, per farla smettere le ho comprate quello che voleva”.
Beh, prendete quindi il regalo come un modo per scaricarvi la coscienza. O come baby sitter… O perché non sopportare i capricci quando dovreste essere voi a educare vostro figlio.
Conseguenze
E se vi dicessi che tutto questo è inutile?
Vi sono due conseguenze :p vostro figlio diventa molto furbo e trova un modo per avere da noi tutto quello che desidera; o odierà tutti i doni facendo pagare lo scotto ai figli futuri.
E quindi?
Il tempo
Quindi donate tempo. È la cosa più importante.
I ragazzi hanno bisogno di attenzioni, di tempo passato con voi.
Hanno bisogno di emozioni, di ricordi legati ad un momento che ricorderanno per sempre.
Se regalate un gioco e poi non giocate con loro il dono non avrà senso. Perché loro ricorderanno il momento in cui siete insieme a loro.
Ricorderanno le risate fatte insieme.
E quando tornate a casa dal lavoro, passate tutto il tempo che ho rimane con loro. È questo il dono più grande.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di emozioni e dell’educazione a queste.
Siamo emozione, viviamo di emozioni eppure?
Puntualmente c’è qualcuno, quando siamo piccini, che ci vieta di esternarle o che ci condiziona talmente tanto da essere impauriti.
Atteggiamenti
I bravi genitori sono quelli che accettano i bimbi e i ragazzi così come sono.
Sono quelli che insegnano loro a esprimere le loro emozioni, i loro pensieri e desideri liberi da condizionamenti.
I bravi genitori sono quelli che non giudicano, non ricattano moralmente per portare il bimbo a are quello che loro genitori, decidono debba fare o essere.
Errori
Molti sono gli errori che portano poi, il bimbo a diventare prima un ragazzino frustrato, poi un adulto violento .
E quali sono questi atteggiamenti?
L’inculcare paura.
Non andare lì che c’è il mostro.
Quante volte anche i nonni l’hanno detto. Pensando che ,in questo modo, un bimbo stia lontano dai pericoli.
Invece che succede? Lo intimoriscono facendolo diventare insicuro di quello che davvero può fare.
Dire bugie
Se tic almi la mamma ti porta alle giostre.
E anche qui…sappiamo tutti benissimo che non sarà così però…”almeno così sta buono”. E cosa insegni in questo modo A mentire, a irretire, a ottenere quello che vuoi con la menzogna.
Senso di colpa
Se fai così la mamma piange.
Ma perché? Perché dire una frase del genere invece di spiegare ad un bambino le conseguenze di un’azione non bellissima?
Perché farlo sentire in colpa? Altro insegnamento malsano. E altro modo per crescere un adolescente insicuro.
Essere ipercritici
Sei un pasticcione, non sai fare nulla.
Ecco, atteggiamento che non si deve assolutamente avere. Sei tu il genitore, sei tu che devi essere esempio camminare mano nella mano con una personcina che diventerà un adulto sano o meno.
Sei tu che devi insegnare a tuo figlio a sbagliare perché così impara dai suoi errori e trovare, insieme, un modo per…aggiustare il tiro.
Se pronunci frasi di questo tipo non fai altro ch distruggere l’autostima di un minore.
Condizionare l’amore
Se non mangi non ti voglio più bene.
Quindi il tuo amore va in base a quello che io devo fare per te E se, casualmente, dovessi sbagliare o fare qualcosa che non rientra nei tuoi piani l’amore svanisce? Tremendo.
Invalidare le emozioni
Arrabbiarti non ti servirà a nulla.
Perché? Tutte le mozioni vanno esternate, tutte vanno vissute e condivise e mostrate.
Non deve esserci nessun condizionamento, nessuna vergogna. E’ giusto esternare rabbia, dolore, gioia, tristezza, sorrisi e lacrime. Se tu e devi essere padrone delle tue emozioni.
Punire le emozioni
Se piangi ancora niente gelato.
Un’altra cosa che davvero non capisco è vergognarsi del pianto.
Piangere serve, coem sorridere, come arrabbiarsi.
Si pò piangere per mille motivi e tutti devono essere rispettati. Il non pianto davnti a qualsiasi occasione che, invece lo prevede, non deve essere un pregio, un premio.
Se non piango sono migliore di un altro. No, il contrario.
Non possiamod ecidere quali emozini deve provare ed esternare un bamibo.
Quello che dobbiamo fare è decidere di aiutarlo a farlo.
E se avete bisogno dime potete contattarmi tramite la sezione contatti e consulenze del sito