Ciao amici. Oggi parliamo di fratelli narcisisti:quali tratti presentano e cosa fare.
Errori
Spesso arriva un momento nella vita in cui diventiamo consapevoli di essere stati vittime di una famiglia disfunzionale in cui i genitori davano la priorità a un figlio rispetto agli altri. Le preferenze espresse dai genitori plasmano nel tempo la figura di quei fratelli narcisisti con cui si è quasi sempre in guerra.
Liti, condotte egoiste e abusive, pretese eccessive, rimproveri… Se avere un fratello è, in media, un dono della vita e un alleato costante anche a distanza, ci sono situazioni in cui questa formula viene meno. A volte cresciamo con una presenza chiaramente dannosa, plasmata deliberatamente da genitori con tratti altrettanto narcisisti.
Quasi senza sapere come, ci troviamo coinvolti in estenuanti dinamiche che segnano la nostra infanzia e persino la nostra vita adulta. Da un lato, vi è un padre o una madre che ripone tutte le attenzioni, le speranze e gli affetti solo su un figlio.
D’altra, bisogna fare i conti con un fratello tirannico, viziato, competitivo e talvolta anche aggressivo verbalmente o fisicamente. Sono realtà silenziose e molto complesse di cui vale la pena parlare.
Fratelli narcisisti, frutto di un’educazione selettiva
“Plasmare” un narcisista è più facile di quanto pensiamo. È sufficiente rafforzare l’egocentrismo del bambino e disattivarne l’empatia.
È sufficiente educare sulla base di una visione gonfiata e sproporzionata di sé, con messaggi quali: “sei il più bello, il più intelligente, la mamma ti ama più di ogni altra cosa al mondo, etc”.
I fratelli narcisisti sono il risultato di un’educazione ineguale e discriminatoria che li ha portati a costruire un’identità distorta. Questa identità è stata alimentata dall’interiorizzazione delle narrazioni dei genitori che ha permesso loro di presumere, sin dalla più tenera età, che loro e solo loro erano degni di ogni forma di amore e di attenzione.
A poco a poco si è eretta una personalità dannosa che negli anni si fa più pronunciata e dannosa.
Quali tratti e comportamenti mostrano?
Chi cresce con un fratello o una sorella narcisista conserva nella memoria molti ricordi d’infanzia non sempre piacevoli. Nel corso degli anni, il rapporto diventa più teso, dannoso e complesso.
Al punto che in età adulta è comune mantenere le distanze o acconsentire a incontri occasionali per mero impegno familiare. Vediamo ora alcuni tratti che definiscono i fratelli narcisisti:
Fin da piccoli avevano bisogno di attenzioni e riconoscimenti eccessivi.
Tengono conto solo delle proprie esigenze.
Già da bambini ricorrevano spesso a bugie e ricatti.
Hanno sempre mostrato un bisogno ossessivo di competere per quasi tutto.
Ci incolpano per qualsiasi disaccordo o problema familiare.
Amano mostrare i loro successi alla famiglia.
Proiettano sempre un chiaro antagonismo nei confronti dei fratelli.
Sono reattivi, polemici, non empatici e ascoltano a malapena.
Raramente mostrano interesse per la vita dei loro fratelli.
Quando ci difendiamo o li rimproveriamo per il suo atteggiamento, ci dicono di essere troppo sensibili.
Convincono i genitori a schierarsi sempre a loro favore.
I fratelli narcisisti a volte ci allontanano dalla famiglia
I fratelli narcisisti sono un pomo della discordia, l’elemento dirompente, l’innesco di qualsiasi discussione e quella figura che porta sempre con sé una battaglia che non vogliamo avviare.
Una situazione simile, come possiamo ben supporre, ha un costo. È comune allontanarsi dalla famiglia disfunzionale.
Se l’origine di tutto è l’atteggiamento dei genitori che hanno deliberatamente creato divisione e preferenze, è comune scegliere di evitare, per quanto possibile, il contatto. Quando l’amore della famiglia non è incondizionato, ogni interazione inasprisce la sofferenza.
Come trattare un fratello o una sorella con tratti narcisisti?
Avere uno o più fratelli narcisisti significa dover fare i conti con una gerarchia familiare nella quale ci troviamo alla base, mentre il figlio prediletto è al vertice.
Tuttavia, a volte, ci è impossibile prendere le distanze. In questi casi, è opportuno tenere conto di quanto segue:
Non aspettarsi niente da loro. Bisogna accettare la realtà, ovvero che i fratelli e i genitori non ci apprezzano e non tengono conto dei nostri bisogni. Evitiamo quindi di dipendere da loro in qualsiasi aspetto, e smettiamo di sperare in un cambiamento miracoloso.
Stabilire precisi limiti. Se siamo costretti a mantenere i contatti con i fratelli narcisisti, chiariamo cosa possono aspettarsi da noi o meno. Non tutto è lecito ed è necessario chiarirlo il prima possibile.
Sanare le ferite passate. Siamo cresciuti in una famiglia disfunzionale che ha concentrato l’affetto solo su un figlio. Probabilmente abbiamo molti ricordi ed esperienze da affrontare. Non esitiamo, dunque, a chiedere l’aiuto di un esperto.
Ultimo, ma non meno importante, concentriamo sulle figure che ci offrono davvero affetto, approvazione e comprensione nella vita quotidiana. Quella e nessun’altra è la nostra vera famiglia; quella che abbiamo scelto e formato.
Vi ricordo che se avete bisogno di aiuto potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
Chi sono? come comportarsi? Cerchiamo di comprenderli
Buongiorno amici. Oggi occupiamoci di quelli che vengono definiti adolescenti difficili.
Chi sono
L’ottimista vede la rosa e non le spine;
il pessimista si fissa sulle spine, dimenticandosi della rosa.
Khalil Gibran
“Una spina è una rigida protuberanza, appuntita e spesso lacerante, che fuoriesce dalla superficie di numerose piante.
È bene ricordare che sia le sottili e rigide punte aghiformi dei cactus che le sporgenze più o meno grosse, carnose e acuminate di alcuni arbusti, come le rose sono tutte spine.
La presenza di spine assume valore difensivo verso gli attacchi dei predatori, ma benché, in generale, queste siano solo un meccanismo di difesa passiva, in alcune specie possono essere vuote e contenere al loro interno sostanze tossiche, urticanti o nocive che possono causare all’aggressore una sofferenza più o meno durevole se non anche una paralisi.”
Le spine
Al di là della metafora, gli adolescenti e i giovani, definiti difficili, si presentano come tante spine pronte a pungere o per una costante difesa o per una voluta offesa verso gli altri.
Di fronte a tutto ciò che ci punge, ci fa del male, ci offende, ci disturba, mettiamo in atto delle strategie immediate di ripulsa, di difesa, di esclusione.
Ma così facendo rischiamo di perdere delle opportunità di relazione emancipante, di crescita reciproca, di gestione della conflittualità, di prospettive educative e innovative.
Per interagire con gli adolescenti “difficili” bisogna superare la barriera del dolore soggettivo e vedere al di là delle spine la rosa, il fusto pieno d’acqua, le funzionalità e i loro bisogni.
Se li ignori, continueranno a lasciarsi travolgere dai loro impulsi di distruggere/distruggersi; se li combatti scendi sul piano della guerra senza quartiere con il risultato di sfiancarti e di essere perdente.
In qualsiasi modo perderai, o perché sarai sconfitto dallo loro “sfacciataggine” o perché non ti curerai del loro malessere.
Abbracciare ciascun giovane che si presenta con le spine, significa non farsi irretire o bloccare nei tentativi di relazioni significative.
Spesso questi adolescenti difficili si presentano con le spine per metterci alla prova, per saggiare la capacità di resistenza e di fiducia d’accordare, per difendersi da un dolore vissuto, per esprimere la rabbia di torti subiti, di frustrazioni o di illusioni svanite nel nulla.
Ogni educatore, come ogni genitore, deve saper superare il dolore ineluttabile della puntura della spina e lo può fare non con la freddezza di un guanto antidolore, ma con un abbraccio caldo e metaforico che annulli le asperità e le apparenti ruvidezze.
ADOLESCENTI DIFFICILI: I COMPORTAMENTI
I cactus li incontriamo nei ragazzi che mentono.
Lo fanno spudoratamente e assiduamente per salvaguardare la propria immagine, la propria autostima. Se fossero sicuri dell’accoglienza non valutativa, seppur correttiva, non avrebbero alcun motivo di mentire.
Ma essi si ritrovano e si ritagliano soltanto angoli e margini della famiglia, della scuola, del gruppo classe e si difendono con il nascondersi, il negarsi come persone, il barare.
Tra di essi ci sono quelli che mentono esibendo un sé grandioso; tentano di colpire la percezione altrui con aneddoti, storie, comportamenti da gradasso.
Lo possono fare maldestramente e vistosamente, a tal punto da essere compatiti, derisi e sopportati, oppure in maniera spaccona, bullesca, fino al punto da essere perseguitati, castigati, esclusi dalle relazioni.
Dietro il sé grandioso si annida la paura di non poter essere stimato così come ci si percepisce;
rimane un tentativo di apparire, di sbalordire, come fa il bambino povero quando accentua il tintinnio dei pochi soldi in tasca.
Se tu ti scagli contro questi comportamenti da mentitore senza coglierne il significato recondito, rimani incastrato da queste spine e non cogli l’acqua del cactus.
Altri ragazzi mentono per nascondere parti del loro sé,.
Come uno spazio privato che non lo si vuole dischiudere a un altro, a un estraneo, a un giudicante.
Nessuno ha loro insegnato che le parti del sé, apparentemente più fragili, contribuiscono a costruire la simpatia che emaniamo dalla nostra persona.
Guai se fossimo perfetti! Saremmo antipatici e odiosi ai più.
Altri, ancora, mentono per abitudine, per stile acquisito; hanno strutturato un falso sé che li induce alla bugia in maniera automatica e impulsiva.
In questo modo, essi si preservano dall’imbarazzo dell’ammissione e dalla vergogna dei loro comportamenti; non provano senso di colpa per la bugia, ma la utilizzano come difesa, come scudo protettivo da eventuali e fantasiose reprimenda.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che rubano.
I bambini piccoli quando si appropriano di oggetti, giochi, cose che non gli appartengono lo fanno proprio per soddisfare il desiderio di possesso, per esprimere senso di invidia e gelosia nei riguardi di qualche compagno che possiede tutto ciò che loro bramano e non hanno.
È una fase evolutiva della crescita dove gradualmente s’impara a saper rinunciare, a non essere più onnipotente, a non ricevere gratificazioni immediate.
A saper posticipare il piacere, la soddisfazione, a saper condividere con gli altri i propri oggetti, a saper accettare di accontentarsi di quello che si ha senza volere a tutti costi possedere la qualsiasi.
È il passaggio dalla fase egocentrica a quella allocentrica, relazionale; è la fase dell’accettazione della realtà che mi circonda, rispetto al senso di onnipotenza con la quale avevo convissuto fino adesso.
Per cui il rubare del bambino non ha lo stesso significato di quello di un adulto; è come se il piccolo si attardasse in questo meraviglioso mondo in cui aveva vissuto ed ora è costretto, suo malgrado, ad abbandonare per un altro dove ci sono dei limiti, delle condivisioni, delle rinunce.
Il rubare degli adolescenti difficili ha un altro significato, più variegato e complesso.
In alcuni può significare la difficoltà che si sperimenta a crescere e doversi basare esclusivamente sulle proprie forze, capacità ; l’appropriazione indebita di oggetti non propri li fa sentire ancora onnipotenti, rispetto a tutto ciò che non riescono a conquistarsi con il proprio sforzo, le proprie attitudini, la propria intelligenza.
Così rubano motorini che non possono comprare, copiano il compito che non riescono a svolgere, si appropriano della bici più in voga che non si possono permettere.
L’oggetto riempie un’assenza di capacità e rimanda indietro la fatica del “doverseli conquistare” con i propri sforzi.
Perché rubano?
Per altri assume un significato simbolico di potenza, destrezza, forza, capacità.
Ci si reputa “bravi e furbi” perché ce se n’è appropriato. L’oggetto rubato diventa, quindi, un trofeo di guerra da esibire e mostrare con orgoglio al gruppo dei pari o alla banda d’appartenenza.
In questo modo si manifesta, anche, un’identità di genere: per i maschi la forza, la nascente virilità e la destrezza del rubare;
per le ragazze il mostrare la propria femminilità con i vestiti, collane e vari oggetti alla moda, anch’essi sottratti agli altri.
Le vittime predilette dell’atto del rubare sono i figli di papà, gli “sfigati”, i ricchi, i secchioni. Sono quei compagni distanti da loro anni luce per impegno, rispetto delle regole, buona educazione.
È come se si volessero vendicare di non poter o voler essere come loro, che sono apprezzati e stimati nel contesto scolastico o sociale dove vivono.
Altri rubano per “partito preso” per “andare contro” qualcuno, contro chi comanda, contro l’adulto che vuole dominare.
L’importante è che, rubando, si cerca la sfida con la legge, con i rappresentanti di essa. In questa sfida c’è la gioia sadica di “farla franca”, di vedere sconfitti tutti quelli che loro non apprezzano e combattono, perché esigenti e diversi.
Questi adolescenti difficili sono figli e schiavi di questa madre società del benessere che se da una parte abbaglia con i sogni del piacere e delle soddisfazioni, dall’altra non ti permette di avere gli strumenti per acquistarli o per prenderne le distanze in maniera matura.
Capire le dinamiche psicologiche che spingono gli adolescenti a rubare, permette all’adulto di intervenire per placare il senso di disfatta che riempie la loro esistenza e per addolcire le loro relazioni interpersonali.
I cactus li incontriamo negli adolescenti difficili che aggrediscono sistematicamente gli altri.
Sono come dei cerberi, protesi ad abbaiare e dilaniare tutto ciò che incontrano e toccano. Il bullo, l’aggressore sistematico tenta di presentarsi da “spaventoso” per non far emergere lo “spaventato” che è.
È una maniera di affermare, con la forza fisica, la propria personalità.
Solamente che questa forza fisica la utilizza contro i più deboli, gli inermi, i pavidi e non con altri di pari età, forza, aggressività.
L’educatore che riesce a far emergere tale senso di inadeguatezza e fragilità psichica, ha la possibilità di recuperare il bullo di turno e porre fine alle varie aggressioni.
I ragazzi bulli sono dei frustrati
sul piano scolastico e tentano di conquistare l’ammirazione con la forza fisica o con i continui pestaggi verso i più deboli.
Le bravate di questi adolescenti difficili servono per scacciare il senso di inadeguatezza in ambito scolastico e recuperare l’immagine di loro stessi.
Ricevendo applausi, sorrisi, connivenze tacite dal pubblico degli astanti, si fregia di una considerazione che riesce a riempire quella poco positiva di studente.
Ogni aggressione realizzata in contesti diversi, fa emergere dei significati che altrimenti verrebbero considerati solamente come comportamenti disturbanti o disturbo da condotta.
Bullismo
Ma il bullismo o le varie aggressioni nel contesto scolastico, denotano che c’è un mancato riconoscimento come ragazzo-studente da parte degli insegnanti, dei compagni e non ultimo da se stesso.
Egli si sente un “pesce fuor d’acqua” e fa di tutto per farsi notare e per debellare il senso di noia e inutilità della sua presenza.
A casa potrebbe attuare le sue forme di aggressioni come per non subire i contraccolpi di disarmonie e separazioni dei propri genitori e lenire il suo dolore.
Attira l’attenzione su di sé, pur di non subire la pesantezza della solitudine del disastro affettivo dei propri genitori.
Con i pari età potrebbe essere sollecitato e sfidato a far emergere ampollosamente la propria identità virile, pena la disistima e l’incapacità a farsi valere in altre modalità e capacità al di fuori della mera brutale forza fisica.
Forza apparente
Quando un ragazzo crede di avere un solo modo per essere stimato all’interno del gruppo dei pari, degli amici, del contesto abitativo, quello di far valere la propria aggressività e forza fisica come virilità, rischia di costruire un fantoccio di uomo inconsapevole dell’emotività, della propria dolcezza e sensibilità.
Quando le aggressioni e i pestaggi avvengono contro i barboni, le persone diversamente abili, gli stranieri, allora emerge il meccanismo psicologico della proiezione.
Si scaricano su queste persone deboli, periferiche, portatrici di qualche difficoltà, le proprie paure, i propri fallimenti, i propri fantasmi.
Le tematiche persecutorie interne alla propria vita si proiettano fuori;
gli aspetti di sé temuti o disprezzati si scaricano nelle figure dei più deboli, nelle minoranze come forma di non appropriazione di queste parti che ineluttabilmente farebbero soffrire.
Gli adolescenti difficili che si divertono a far del male a tali persone, che deridono quelli in difficoltà, che bruciano il clochard di turno che dorme in una panchina del giardino cittadino, fanno emergere il senso di desolazione e di vuoto che li accompagna nella vita.
Sono ragazzi che hanno di bisogno di fermarsi per riflettere e prendere in mano la loro esistenza, per dare un senso ai loro giorni sempre uguali, risanando ferite e riscoprendo il caldo abbraccio di persone che li vogliono bene.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che distruggono tutto ciò che appartiene al pubblico, agli altri e non a loro.
Sono gli adolescenti difficili che camminano e rompono i vetri dei negozi, strisciano le macchine posteggiate, tirano pietre ai lampioni della città, calpestano i fiori delle aiole che adornano le strade.
Lo fanno per noia, per il gusto sadico del distruggere senza alcun motivo o causa scatenante. Essi desiderano lasciare una traccia, un segno del loro passaggio, del loro esserci.
Vogliono lanciare il messaggio che la loro presenza non è evanescente, ma concreta, precisa e vistosa.
Nell’attuare tali comportamenti devianti, essi non hanno la consapevolezza del danno arrecato, delle conseguenze legali a cui vanno incontro; lo fanno per trascuratezza, per esprimere il non senso della loro vita.
Se sporcano i sedili del treno lo fanno con disinvoltura; se danneggiano un edificio lo fanno perché non appartengono a nessuno, come loro non appartengono a questa società.
Se sono ripresi perché urinano per strada davanti alla gente, si arrabbiano maldestramente mandando a quel paese l’incauto passante che si era permesso di far loro notare il comportamento ineducato.
In questo modo gli adolescenti difficili salgono agli onori della cronaca e ottengono quella visibilità che altrimenti non avrebbero per comportamenti consoni alla norma.
Mentre da una parte c’è una vena esibizionistica o aggressiva contro le “cose degli altri”, dall’altra fanno emergere delle motivazioni psicodinamiche che ci permettono di intravedere vuoti e bisogni affettivi non soddisfatti.
Motivazioni
Essi si sentono periferici, di non appartenere al nucleo dove vivono e trascorrono le giornate, di non avere la consapevolezza del loro valore perché trascurati o abbandonati al loro destino.
In queste condizioni di deprivazione affettiva e senso di appartenenza, l’adolescente grida la sua esclusione con la distruzione di tutto ciò che incontra e che maneggia.
E quei pochi momenti di affettività li immortala sui muri scrivendo il proprio amore o che si è innamorati.
Che bisogno ha di farlo sapere a tutti, quando gli altri pari età lo nascondono per paura o per timidezza?
È un’uscita impulsiva e diversa dagli usuali comportamenti distruttivi e induce alla tenerezza per questo ulteriore grido di bisogno di normalità e affettività.
Dietro ogni comportamento disturbante degli adolescenti difficili si trova sempre un vuoto e un bisogno affettivo. Se tali ineludibili esigenze venissero riconosciute e soddisfatte non ci sarebbero ragazzi dediti alla devianza o alla delinquenza.
vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto , potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di chi ti critica… perchè, fondamentalmente, è schiavo di ciò che odia di se’.
“chi ti critica”…. Le persone infelici hanno in comune un aspetto: dare la colpa agli altri! Sono soliti puntare il dito accusatore contro gli altri. Se capita qualcosa di spiacevole è sempre colpa di qualcuno: di aver avuto dei pessimi genitori, un figlio troppo presto, di avere un padrone-despota sul lavoro o magari un partner sconsiderato oppure di vivere in un paese di corrotti. Ogni capro espiatorio è buono. La perenne lotta contro il mondo nasconde in realtà ragioni psicologici molto più profonde e radicate.
Vivere in pace con se stessi non ha prezzo!
Se abbiamo accanto una persona che ama criticare, è bene fare attenzione! Potrebbe contagiarci con la sua negatività, creando dentro di noi uno squilibrio emotivo. Per questo è vitale proteggere il proprio spazio fisico e psicologico; crearsi, pertanto, una corazza contro le critiche non costruttive.
chi ti critica…Quello che gli altri pensano di te corrisponde alla loro realtà non alla tua
La perenne lotta contro il mondo nasconde ragioni psicologici molto profonde e radicate Un’eccessiva propensione alla critica infatti nasconde un forte senso di inadeguatezza e una scarsa autostima. Paradossalmente si tratta di soggetti che hanno bisogno di contestare tutto e tutti per compensare a una profonda frustrazione mai elaborata. E porsi in posizione di difesa “a priori” consente a tali individui di porsi immediatamente su un gradino più alto, un gradino su cui poi difficilmente qualcuno riuscirà a ferirli.
chi ti critica… Le critiche possono essere costruttive ma è bene fare attenzione quando diventano distruttive
E lo diventano quando ti criticano perché non sono capaci di capire il tuo punto di vista; perché non sono in grado di vestire i tuoi panni, non conoscono la tua storia e non capiscono cosa ti ha spinto a prendere una determinata strada.
altri casi le persone criticano perché vedono riflesse in te determinate caratteristiche o desideri propri che non vogliono riconoscere. Per esempio, una tua collega o magari una tua amica, che è infelice con il suo partner, può criticare aspramente il divorzio, ribadendo così la sua posizione: ripetere a se stessa che deve continuare a sopportare questa situazione.
E il lato curioso è che quanto più dura è la critica tanto più forte è la negazione alla sua base. Quindi, se siamo in procinto di divorziare o allontanarci da chi non merita più le nostre attenzioni, verremo inevitabilmente criticati da chi non è in grado di separarsi dal proprio partner pur vivendo una situazione tossica.
pratica, a volte la critica distruttiva non è altro che un meccanismo di difesa conosciuto come “proiezione”. In questo caso, la persona proietta sugli altri tali sentimenti, desideri o impulsi che sono troppo dolorosi o che non è in grado di accettare, in modo tale che li percepisce come qualcosa di estraneo e punibile.
Chi fa questo solitamente ha una bassa autostima, non riesce ad accettare se stesso e tanto meno gli altri. Ecco spiegata la sua facilità nel giudicare e affibbiare etichette!
chi ti critica…Non dare importanza a ciò che dicono gli altri
Anche se siamo convinti del contrario, nessuno è in grado di decodificare i sentimenti altrui. Facciamo fatica a capire noi stessi, figuriamoci sapere cosa stanno vivendo, provando, imparando o soffrendo gli altri.
torto più grande che tu possa fare a te stessa è dare troppa importanza a ciò che dicono gli altri di te. Sappi che le persone più infelici al mondo sono quelle che si preoccupano troppo di quello che pensano gli altri.
Se fai troppa attenzione alle critiche, metti in pericolo il tuo benessere e il tuo equilibrio emotivo. Anzi, dedica il tuo tempo a migliorarti e a migliorare il tuo ambiente. Ricorda, si vive una sola volta: non credi che il tuo tempo sia troppo prezioso per stare dietro a chi non sa apprezzarti. Le persone ovvero sia parenti, amici che conoscenti, hanno potere sul tuo stato emotivo solo se tu lo permetti. Puoi evitarlo concentrandoti sul tuo auto-sostegno. Controlla la tua voce interiore. Silenziala quando è d’accordo con le critiche delle persone a te vicine e ci ricama su.
Non fare mai l’errore di pretendere da te stessa di essere impeccabile, perfetta, disponibile agli occhi di tutti! Sei un essere umano, con i tuoi pregi e i tuoi difetti; puoi sbagliare, puoi dire cose che magari al momento non pensi, puoi piangere, puoi ridere, puoi gridare, puoi innamorarti e disinnamorarti, puoi decidere di cambiare strada o idea all’ultimo momento….non devi dar conto a nessuno.
L’importante è seguire un comportamento volto a migliorarti costantemente e che ti offra la possibilità di vivere la tua vita senza ricatti emotivi e senza dipendenze. Ovviamente nel rispetto del prossimo e delle persone a te care.
chi ti critica.. Guarisci la parte di te che è ferita
Non prestare attenzione a ciò che fanno o smettono di fare gli altri, fai attenzione a quello che fai tu o smetti di fare. Se vuoi guarire le ferite emotive causate dalle critiche altrui, non dimenticare mai che sei una persona unica e speciale.
Se dai credito a quello che gli altri pensano o dicono di te, rischi di diventare quello che non sei. Il voler compiacere gli altri a discapito della tua identità non è per niente salutare.
Ci sono alcuni giorni in cui riesci a farti scivolare addosso giudizi e commenti, mentre in altre occasioni il giudizio degli altri pesa parecchio, e ti arrovelli tutto il tempo, lasciandoti condizionare.
di non essere un bravo genitore? Pensi di essere giudicata perché vai dall’estetista tutte le settimane? Temi che le tue idee possano essere motivo di critiche? Prima di uscire ti guardi mille volte allo specchio perché temi che vi sia qualcosa di te fuori posto? Ma cosa pensano le persone ha davvero così tanta importanza?
Lo so, a volte si ha l’impressione che tutti stiano guardando noi, ma dobbiamo imparare che è solo frutto delle nostre insicurezze! Il mondo non sta a guardare quello che facciamo o smettiamo di fare. E’ la nostra insicurezza che ci porta a vedere le cose con la lente d’ingrandimento!
importa quello che fai o come lo fai, ci sarà sempre qualcuno pronto a contestare il tuo operato. Cerca di vivere e di comportarti come ritieni più opportuno. Sii sempre te stessa! Sappi che l’unico modo per vivere in armonia con le tue emozioni è fare quello che senti di fare, in ogni momento. Non aspettarti che gli altri comprendano il tuo viaggio, soprattutto se non hanno mai dovuto percorrere la tua stessa strada.
Ora hai due possibilità: terminare la lettura di questo post con un’obiezione del tipo: “sì ma non è facile” e continuare a farti condizionare dagli altri. Oppure, puoi concentrarti sull’idea che sia possibile e iniziare a fare tue queste idee, giorno dopo giorno.. per te stessa. Quale opzione scegli?
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di fomo estiva, ossia la paura dei ragazzi di essere tagliati fuori durante le vacanza.
Durante le vacanze, in cui si dovrebbe pensare a divertirsi e a trascorrere momenti di condivisione con la famiglia e con gli amici, gli effetti della FOMO potrebbero prendere il sopravvento.
Non a caso è proprio in questo periodo che molti adolescenti fanno più fatica a staccarsi dalla tecnologia.
Fomo
I ragazzi, sono in pausa dalla scuola, hanno più tempo libero a disposizione, per cui sono ancora più spinti a controllare cosa stanno facendo gli altri e venire a contatto.
Foto di persone felici che si riuniscono con parenti e amici, che trascorrono vacanze da sogno, che escono e fanno attività divertenti con i coetanei.
I sentimenti di ansia, isolamento e solitudine colpiscono in particolare i ragazzi con bassa autostima e maggiore insicurezza, i quali dimenticano spesso quanto sui social network le apparenze possano ingannare.
La F.O.M.O.
Fear of Missing Out, letteralmente la “paura di essere tagliati fuori”, è una condizione patologica che emerge nel momento in cui si è impossibilitati a controllare cosa stanno facendo i propri contatti online oppure quando non si visualizzano gli aggiornamenti di profilo o nuove condivisioni.
Si riferisce alla preoccupazione eccessiva e ossessiva di potersi perdere gli aggiornamenti, ma anche all’ansia e all’invidia che gli altri facciano esperienze gratificanti nelle quali non si è presenti o coinvolti direttamente.
La FOMO evidenzia uno stato di ansia sociale caratterizzato dal bisogno di controllare ripetutamente i profili social e le chat alla ricerca di aggiornamenti e notizie per essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo.
Rappresenta un comportamento automatico che, se non soddisfatto, può causare uno stato di sofferenza, una vera e propria “crisi di astinenza”.
Genitori
I genitori devono fare attenzione perché si tratta di una condizione presente soprattutto tra i giovani, dove il bisogno di appartenenza e la paura di essere esclusi dal gruppo sono amplificati dai social network .
Quali sono i segnali d’allarme della FOMO?
– Controllare e monitorare costantemente lo smartphone, in particolare l’attività degli amici e dei familiari sui vari social network;
– ritardare il momento in cui si va a dormire per visualizzare in tempo reale, anche durante la notte, i vari aggiornamenti;
– avere la sensazione che si sta perdendo qualcosa di quello che sta succedendo, l’angoscia di restare fuori dalla web-community;
– commentare sempre e condividere tutto nella rete;
– avere l’illusione, attraverso l’uso compulsivo dello smartphone, di essere sempre in contatto con qualcuno e di non essere mai soli;
– si tende a togliere del tempo ad altre attività, come lo studio, lo sport, le uscite, il lavoro;
– possedere la convinzione che quello che sta accadendo e accadrà online sarà migliore di ciò che si sta facendo nella vita reale;
– fare un confronto costante, tra sé e gli altri, in base agli aggiornamenti e alle notizie dei social e delle chat che spesso crea rabbia e invidia;
– avere la percezione che gli altri siano più felici e più fortunati.
Conseguenze
La FOMO può distogliere completamente i ragazzi dal momento presente, non permette di godersi il qui ed ora perché la mente è concentrata solo su quello che non si ha.
Sul fatto che ci si sta perdendo qualcosa di divertente, senza pensare che spesso ciò che viene condiviso sui social non è la realtà assoluta ma solo ciò che l’altro vuole mostrare.
Ecco 7 consigli per aiutare i figli a gestire la paura di essere tagliati fuori
1. Mettete dei paletti e aiutateli a staccarsi da ciò che avviene sul web.
Attraverso alcune regole di utilizzo dello smartphone, portateli a rimandare il controllo continuo e sistematico degli aggiornamenti, delle notifiche, dei social network e delle chat.
Devono mettersi gradualmente nella condizione di provare sulla propria pelle che, anche se non leggono immediatamente quello che ha postato l’amico, non crolla il mondo e che, farlo in un altro momento, non cambia assolutamente nulla.
2. Fategli capire che i social non sempre rispecchiano la realtà.
I ragazzi sembrano non tenere conto che in rete si mostra principalmente la parte migliore, filtrata di se stessi, e che si può anche mentire.
Infatti, molte volte si focalizzano eccessivamente su quello che gli altri pubblicano, scrivono o condividono sui social come se fosse sempre una comunicazione reale della loro vita.
Troppe volte tendono ad amplificare, pensando “a lui va sempre tutto bene”, “io non faccio mai qualcosa di bello”.
È fondamentale che gli venga trasmesso il messaggio che la realtà è quella che si vive nel quotidiano, non quella che si esibisce, per cui non bisogna farsi condizionare da ciò che si vede sul web.
3. Aiutateli a riflettere sulle emozioni che provano in quei momenti.
È importante che si chiedano: “Cos’è che mi provoca ansia, cosa mi infastidisce?”. Cercate di farli parlare e di farli sfogare, perchè spesso alla base dell’impulso a controllare internet,
C’è una sensazione di solitudine, di inutilità e di invidia per gli altri.
Il fatto che comprendano, dunque, quali sono i vissuti sottostanti è il primo passo per affrontare il proprio malessere e pensare a cosa si potrebbe fare per migliorare la propria situazione, avvertendo la vostra vicinanza e sentendosi sostenuti.
4. Devono concentrarsi di più sulla loro vita.
È importante che pensino meno agli altri e più a se stessi, ritagliandosi quanto più tempo possibile per stare con gli altri e dedicarsi ad attività piacevoli e divertenti, senza distrazioni tecnologiche.
Devono capire che quello che gli altri pubblicano non li riguarda direttamente e non li deve influenzare in alcun modo, perché gli altri hanno un potere su di loro nella misura in cui sono loro a concederglielo.
5. Prediligere gli amici reali.
Troppe volte, i ragazzi danno più importanza a quello che succede sul web rispetto alla loro realtà di tutti i giorni, ma è importante non permettere allo smartphone di allontanarli da chi hanno realmente vicino.
Fategli capire che essere sempre connessi anche quando si è in gruppo o in altre situazioni sociali, estraniarsi e disconnettersi dalla realtà, è dannoso per loro.
6. Rompere la routine.
È importante che, soprattutto in estate, si stacchino completamente dalla solita routine quotidiana a cui sono abituati.
Per non restare sempre appiccicati al cellulare e per spendere il loro tempo e le loro energie diversamente: metteteli, dunque, nelle condizioni di trascorrere più tempo all’aria aperta e spronateli a dedicarsi ad altre attività piacevoli e rilassanti.
Proprio per prendere una pausa dall’iperconnessione e ricaricarsi attraverso nuove esperienze stimolanti.
7. Chiedere aiuto.
Se non riuscite a gestire in alcun modo l’impulso irrefrenabile dei vostri figli a connettersi e a ridurre il loro malessere, è utile chiedere un aiuto professionale per cercare di focalizzare meglio il disagio e individuare strategie mirate per superarlo.
È fondamentale che i ragazzi imparino a gestirsi autonomamente e a non essere succubi della connessione. Sono loro che dettano le regole della loro vita, non il telefono!
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi nella sezione contatti e consulenze del sito
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cos’è e come metterla in pratica all’interno della famiglia.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di comunicazione non violenta.
I conflitti sono comuni nelle famiglie e di per sé non sono negativi. Tuttavia, possono diventarlo quando non sono gestiti in modo appropriato e causano ferite che non si rimarginano. Che ruolo gioca la comunicazione nonviolenta in questo contesto?
La comunicazione non violenta è un modello sviluppato da Marshall Rosenberg che rende più facile per le persone comunicare con empatia e assertività. Nel contesto familiare, questo concetto si applica alla comunicazione tra i diversi membri.
Gli strumenti offerti dalla comunicazione non violenta permettono di trasformare una situazione conflittuale che può sorgere nella convivenza quotidiana e relazionarsi con gentilezza, rispetto e armonia.
Questo modello di comunicazione, chiamato anche comunicazione empatica, ha lo scopo di sostituire i modelli di risposta difensivi o evitanti ai giudizi e alle critiche di altri membri della famiglia con altri basati sull’empatia.
Le reazioni di resistenza, difesa e violenza sono ridotte al minimo, poiché quando ci concentriamo sul chiarire ciò che osserviamo, sentiamo e desideriamo, invece di dedicarci alla diagnosi e al giudizio, la compassione tende a emergere naturalmente.
La comunicazione empatica rimuove le barriere tra le persone per favorire la comprensione.
Linee guida per una comunicazione non violenta in famiglia
In caso di conflitto tra due familiari, la comunicazione non violenta propone di seguire le seguenti fasi:
Osservazione dei fatti: come li vedo io e come li vede l’altro.
Come ci sentiamo (io e l’altro)?: con empatia, senza giudicare, rifiutare, ecc.
Quali sono i bisogni autentici alla base dei sentimenti scoperti?
Avanzare una richiesta diretta a raggiungere l’obiettivo o il desiderio genuino (necessità). Cosa possiamo e dobbiamo chiedere a noi stessi o all’altro per risolvere il problema e arricchire la nostra vita.
Dopo aver fatto la richiesta, è necessario assicurarsi che il messaggio sia stato compreso in modo soddisfacente con domande dirette.
L’idea è capire come l’interlocutore ha inteso le nostre parole e poter correggere qualsiasi interpretazione errata (Rosenberg, 2013). In sintesi, la struttura suggerita da Rosenberg (2013) è la seguente:
“Quando fai o dici…”
“Sento che…”
“Perché ho bisogno di…”
Se sei d’accordo, vorrei che tu…”.
Un’ulteriore fase consiste nel rispettare i passaggi descritti con i diversi membri della famiglia. In primo luogo, percependo ciò che pensano, provano e di cui hanno bisogno per poi scoprire ciò che desiderano per arricchire la loro vita ascoltando la richiesta che ci fanno. Allo stesso modo, invitiamoli a fare lo stesso e stabiliamo un flusso di comunicazione assertiva.
La comunicazione non violenta: lessico dei sentimenti e dei bisogni in famiglia
L’espressione degli stati emotivi deve essere chiara e precisa in modo da aiutarci a connetterci con gli altri. Rosenberg distingue tra sentimenti piacevoli, quando i bisogni sono soddisfatti, e sentimenti spiacevoli, quando i bisogni non sono soddisfatti.
Da un lato, menziona sentimenti piacevoli come affetto, fiducia, entusiasmo, speranza, pace, felicità, gratitudine, interesse, ispirazione e apertura. D’altra parte, elenca sentimenti spiacevoli come desiderio, avversione, confusione, rabbia, irrequietezza, paura, tristezza, rabbia, dolore e vergogna.
Tuttavia, vi sono due elementi che ostacolano con frequenza l’espressione dei sentimenti. Uno è la mancanza di alfabetizzazione emotiva in famiglia, che complica la capacità dei membri di esprimersi apertamente e con chiarezza.
Un altro ostacolo è la paura comune di mostrarsi vulnerabili agli altri, quando proprio la vulnerabilità facilita la risoluzione dei conflitti (Vivas, Gallego e González, 2007).
Quanto all’espressione dei bisogni, significa collegare il sentimento con tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere fisico, emotivo e spirituale.
Ancora una volta, Rosenberg fornisce un elenco di bisogni umani, tra cui connessione, vicinanza, autonomia, integrità, partecipazione, libertà e interdipendenza, che possono guidarci nel capire quale bisogno non abbiamo soddisfatto.
La comunicazione non violenta permette la comprensione sulla base dell’empatia e del rispetto.
Uno strumento utile in casa: la scatola dei sentimenti
La scatola dei sentimenti è uno strumento utile da usare a casa per favorire la comunicazione non violenta. Consiste nel lasciare su un tavolo, accessibile a tutti, una scatola con all’interno dei pezzetti di carta.
Attraverso questa risorsa, tutti i membri della famiglia possono condividere i diversi eventi che hanno causato loro disagio durante la giornata.
A fine giornata, ogni membro leggerà un pezzo di carta a caso e proporrà una soluzione o un bel commento per trovare una soluzione al problema. Questa dinamica aiuta a essere consapevoli e responsabili in quanto a pensieri, sentimenti e azioni; di conseguenza, ha prendere decisioni migliori.
Conclusioni
La comunicazione non violenta ci aiuta a connetterci con noi stessi e con gli altri. Grazie a essa, possiamo aumentare la comprensione e l’empatia, basando la convivenza sull’onestà e l’impegno.
E se anche voi avete bisogno di ritrovare una serenità familiare contattatemi tramite form per cominciare un percorso di…rinascita.
Spero che aver parlato di comunicazione non violentavi sia stato utile.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di violenza familiare.
La violenza in famiglia è una forma di aggressione. Si basa su continue critiche, umiliazioni, disprezzo e manipolazioni da parte di genitori, fratelli o altre figure nei confronti di un membro specifico.
Una simile dinamica condivisa quasi sempre dipende da un individuo alle cui azioni aderiscono alcuni membri della famiglia meno potenti.
Se è vero che quando parliamo di bullismo, visualizziamo quasi istantaneamente il cortile di una scuola o un ambiente di lavoro, c’è un altro scenario che spesso trascuriamo. Anche la famiglia molesta e umilia, e questo attacco psico-emotivo a volte può essere pari o più dannoso delle esperienze di bullismo scolastico.
Avere il nemico in casa significa non godere di riparo o sostegno. Crescere come la pecora nera o il brutto anatroccolo è traumatico e di rado il trauma viene correttamente affrontato in età adulta.
Avere uno o più intimidatori con lo stesso codice genetico significa dover affrontare situazioni di disagio anche se non si vive più nel nucleo familiare. Proviamo a descrivere più in dettaglio questa realtà.
In cosa consiste la violenza in famiglia
Spesso diciamo che il modo più comune per evitare uno stalker è allontanarsi da quella presenza. Tuttavia, come ben sappiamo, questo non è sempre possibile.
Il bambino vittima di bullismo deve tornare a scuola ogni giorno. Il lavoratore che subisce mobbing deve rispettare la sua giornata lavorativa. E la persona vittima di violenza in famiglia trascorre molti anni in un ambiente dal quale le è impossibile scappare.
Oltre a ciò, a volte queste dinamiche aggressive si perpetuano anche quando la vittima ha già raggiunto l’età adulta. Perché il familiare “bullo” prende una vittima e intensifica il comportamento offensivo e umiliante. L’aspetto più grave è che di solito c’è alleanza o silenzio da parte degli altri membri.
Questa forma di violenza domestica non è nuova. È una realtà con una lunga tradizione spesso messa a tacere nella nostra società.
Bulli in famiglia: chi e come sono
Possono essere i genitori e persino i fratelli. Allo stesso modo, quando si inizia una relazione, può capitare che suoceri e cognati rivolgano critiche e umiliazioni costanti. In generale, la persona che maltratta un familiare presenta uno o più tratti molto specifici:
La sua aggressività si basa sulla parola.
Mostra un comportamento immaturo.
Usa le bugie per convincere anche gli altri membri.
Controlla la persona.
È vendicativa.
L’aggressore in famiglia può anche essere manipolatore.
Potrebbe agire per gelosia e invidia.
Può mostrarsi arrogante e narcisista.
Potrebbero verificarsi notevoli sbalzi d’umore.
È abile nel fraintendere tutto, nel cambiare ciò che la vittima fa o dice e la umilia.
Come si manifesta la violenza in famiglia?
Essere vittima di violenza in famiglia può creare confusione da bambini, poiché si normalizzano determinate dinamiche. Tuttavia, crescendo ci si rende conto che certi comportamenti non solo leciti.
Questo perché feriscono, intimidiscono e privano di rispetto e benessere, dimensioni a cui tutti abbiamo diritto. I segnali di violenza sono molto vari, ma è necessario riconoscerli il prima possibile:
Si umilia la vittima per la sua persona, le azioni e le parole. Viene resa il brutto anatroccolo.
Si sminuisce.
La persona viene zittita e privata di importanza all’interno della famiglia.
Si adottano comportamenti di critica e di costante disprezzo rendendo la vittima nella pecora nera.
Si crea caos trasformando ogni conversazione in una discussione, assegnando colpe e pronunciando false affermazioni.
Ricatti e manipolazioni emotive.
Paragoni umilianti (tuo fratello è una persona migliore di te).
Superiorità, battute dannose e commenti umilianti.
È comune accusare la vittima di egoismo, di avere in mente solo i propri interessi.
Effetti psicologici
La famiglia prepotente si comporta come un animale territoriale. Molte volte il fratello, il cognato, la madre, il suocero o il padre molesti sono spinti dalla gelosia, da quell’invidia che cerca di espellere qualcuno dal nucleo familiare; indipendentemente dal legame. Come possiamo dedurre, l’impatto mentale e sociale è immenso.
Sono in aumento, di fatto, gli studi sugli effetti delle molestie domestiche. Per esempio, uno studio di ricerca condotto presso l’Universidad Central del Sur. La ricerca indica chiaramente che la violenza tra fratelli provoca profonda angoscia e disturbi dell’umore.
Sappiamo anche che più si protrae la situazione, maggiore è l’impatto sulla persona. Chi cresce in un ambiente disfunzionale tende ad adottare condotte autodistruttive.
Come rispondere alla violenza in famiglia
Nessuno ha il diritto di ferirci in alcun modo. È pienamente giustificato difendersi, rispondere il prima possibile e persino segnalare tali situazioni, indipendentemente dal fatto che il molestatore sia un familiare. Nessuno dovrebbe infondere paura e insicurezza, criticarci, ignorarci o annullarci come persone.
Stabilire limiti, salvaguardare le nostre emozioni, praticare la cura di sé, cercare figure di supporto valide e mantenere le distanze dai familiari aggressivi è la chiave del nostro benessere. La famiglia dovrebbe essere sempre un luogo di nutrimento, non un campo di battaglia.
Ragazzi io vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Sperando che parlare di violenza familiare vi sia stato d’aiuto vi abbraccio:)
Ciao amici. Oggi riflettiamo sull’importanza dell’ascoltare, dell’ascolto attivo per i ragazzi.
Voglio giusto lasciarvi questo pensiero come riflessione.
E quanta veritàc’è in queste parole amici.
Ascoltare
Molto spesso parlo di ascolto attivo. E, altrettante volte, mi viene detto “ma io ascolto mio figlio”. Forse, ma non attivamente. Che cosa vuol dire?
Si ascolta attivamente una persona che ci sta parlando quando prestiamo attenzione alle sue parole, quando comunichiamo con lei pur non dicendo nulla ma parla il nostro sguardo. Quando ci accorgiamo del suo stat d’animo mentre parliamo.
Errori
“ma certo che ascolto”…mmm…ragioniamo al contrario. Vi è mai capitato, parlando, confidandovi con qualcuno, un amico, un parente, marito, fidanzato, genitore, di parlare e, ad un certo punto, di accorgervi che l’altra persona è distratta?
E come vi siete sentiti? Malissimo.
Vi sentiti non considerati, sentite l’indifferenza della persona che dovrebbe dialogare con noi e cosa fate? Ovviamente, smettete di parlare e , dentro la vostra mente, balza l’idea di non confidare mai più nulla a quella persona perchè tanto non mi ascolta.
Ora, pensiamo in questa situazione un adolescente. E già dovreste essere felici che un ragazzo a quall’età viene da voi pe confidarsi.
Adolescenti
Che cosà farà secondo voi?
Cercherà ascolto in altre persone, in altri luoghi e, spesse volte, è proprio da lì che cominciano i problemi.
E allora non fate che ciò accada.
Se vostro figlio vien da voi per parlarvi di qualsiasi cosa sia importante er lui, non sminuitela.
Lasciate quello che state facendo e mostratevi realmente attenti, interessati.
Perché per loro, in particolar modo, ma per tutti, ascoltare significa esserci, essere visti, considerati e riconosciuti. Semplicemente importanti e amati.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di autolesionismo negli adolescenti: perché lo fanno e come comportarsi.
Autolesionismo
L’AUTOLESIONISMO o il farsi del male intenzionalmente da soli, è estremamente diffuso già a partire dai 12-13 anni di età.
Ci sono delle forme di autolesionismo presenti anche nei bambini che però si manifestano in maniera differente rispetto all’adolescenza.
Generalmente i ragazzi usano lamette o oggetti appuntiti o taglienti per graffiarsi, tagliarsi (cutting) e ferirsi in qualche modo, oppure si bruciano con accendini o si colpiscono, sbattono i pugni o altre parti del corpo su pareti, muri, vetri.
La maggior parte delle volte tagli o ferite sono nascoste e non si vedono perché sono nelle parti più intime o sono coperte da accessori e abbigliamento.
Genitori
I genitori non si accorgono con facilità e immediatezza di ciò che fanno i figli e bisogna imparare a riconoscere i segnali per poter intervenire preventivamente.
Per questa ragione è importante leggere anche
Per il genitore molto spesso è uno shock accorgersi del comportamento autolesionista del figlio.
Arrivano increduli, portano le foto di ciò che trovano nella stanza o nel bagno e delle parti del corpo del figlio: “guardi cosa si è fatto?”, “è possibile che non me ne sia mai accorta?”, “perché si fa questo?” e soprattutto domandano “cosa posso fare?”.
A volte gli adulti arrivano a leggere anche ciò che scrivono e oltre lo sconvolgimento, si sentono profondamente in colpa di non essersi mai accorti di niente prima e di aver lasciato il figlio solo in quella sofferenza.
Non sanno come reagire perché non avrebbero mai pensato che potesse arrivare a farsi del male da solo.
Cosa fare
Istintivamente viene dai dirgli “ma che fai?”, “non lo fare!”, però bisogna stare molto attenti a come si interviene e si parla con loro perché si potrebbe aggravare la situazione.
Emotivamente sono fragili, anche loro si sentono profondamente in colpa nei confronti del genitore e si vergognano di ciò che fanno.
Altri nutrono una profonda rabbia perché il o i genitori non lo comprendono e quindi una frase sbagliata potrebbe creare più dolore e reazioni impulsive.
Bisogna innanzitutto capire perché lo fanno. È una modalità con cui gestiscono il dolore interno, non hanno altre strategie, emozioni forti, delusioni, rabbia sofferenza, attiva uno stato interno che fa troppo male, come se si scoppiasse in quel momento e da qualche parte tutto questo deve uscire.
Il farsi del male abbassa i livelli di compressione interna e si ha una sensazione transitoria e illusoria di benessere perché poi ci si ricarica di nuovo e si rischia di entrare in un circolo vizioso per cui tante volte diventa quasi un’esigenza e un bisogno.
Come comportarsi
Capito questo è chiaro che non si possa intervenire con aggressività o con troppa remissività. Hanno bisogno di essere contenuti, di un sostegno e di un supporto.
Cercate di far aprire il canale delle parole, di farli parlare e di farvi raccontare tutto, da quando hanno iniziato, perché e come si sentono.
Se capiscono che non siete delusi, che non siete arrabbiati, gli alleggerite e si sentiranno meno in colpa.
Non bisogna considerarli pazzi, stanno esprimendo un disagio interno attraverso il corpo, è una modalità patologica ma è una comunicazione importante.
Comprendete come potete intervenire, per esempio molti di loro hanno anche problemi di bullismo a scuola e di relazioni con i compagni, circa il 50% delle vittime di bullismo è anche autolesionista. In questo caso andate a parlare con la scuola per capire cosa succede e far intervenire i professori.
Non opprimete
Ricostruite con loro la storia di questi anni in cui loro sono stati male, non assillateli con il “perché lo fai?”, “perché lo hai fatto?”, “perché non me ne hai parlato prima?”, li portate ad una maggiore chiusura, hanno bisogno di sentirsi capiti, NON colpevolizzati.
È ovvio che si fanno del male hanno una profonda sofferenza, quindi non andate a rimarcare il problema.
Servirebbe anche un consulto con un professionista specializzato in queste problematiche, che aiuti a gestire la situazione nel modo più appropriato.
Non chiedete mille volte se lo hanno fatto di nuovo, non fate i segugi che controllate tutto quello che fanno perché si sentiranno oppressi, serve PRESENZA non OPPRESSIONE.
Se vedono il vostro dolore saranno ancora più appesantiti e compressi. Fate capire che ora siete attenti, che vi accorgete di cosa succede e dategli un rinforzo per affrontare i problemi in maniera più adattiva e funzionale al loro benessere.
E se avete bisogno di me contattatemi tramite la sezione “contatti e consulenze “del sito.
Cos’è, come capire se un ragazzo ne è affetto e come proteggerli
Buongiorno amici. Oggi parliamo di sadfishnig.
Con il termine sadfishing si definisce un comportamento complesso di cui, probabilmente, siamo stati testimoni in più di un’occasione. Ci sono persone che pubblicano nei loro social network frasi, testi o espressioni con contenuti emotivi angoscianti e persino preoccupanti.
È molto comune leggere frasi come “La vita non ha senso”, “ È chiaro che a nessuno importa di me”, “Sono sempre più solo” o “Se sparissi, sicuramente non importerebbe a nessuno”.
In certi casi, leggendo simili messaggi, si è portati a pensare che l’intento reale della persona sia attirare l’attenzione. E a volte può essere così. Tuttavia, negli ultimi anni, gli esperti prestano particolare attenzione a queste realtà che sono sempre più frequenti nel mondo on line.
Come facciamo a sapere se una persona sta realmente chiedendo aiuto? Come possiamo distinguere chi cerca attenzione da chi sta realmente soffrendo? Questo è un fenomeno a cui dovremmo prestare più attenzione. Per questo motivo, oggi lo analizzeremo.
Sadfishing, i post carichi di tristezza nel mondo on line
Siamo consapevoli che spesso la nostra realtà è piena di anglicismi ed etichette difficili da ricordare e da gestire. Questa espressione, tuttavia, è utile per descrivere comportamenti e situazioni nuove, soprattutto quando provengono dal mondo digitale e dalla rete.
Con il termine “sadfishing”, ci riferiamo ad una persona che rende pubbliche nella sua comunità virtuale le sue emozioni ed i suoi pensieri negativi.
Come abbiamo sottolineato all’inizio dell’articolo, a molti di noi sarà capitato di vedere post simili in più di un’occasione. Il nostro interesse per questo fenomeno è dovuto a due motivi ben precisi:
Il primo, sapere come i lettori giudicano ed elaborano questo tipo di messaggi.
Il secondo, verificare se la persona che ha scritto quel post sta chiedendo veramente aiuto.
Sono qui e voglio la tua attenzione
In alcuni casi, è proprio questo: un campanello di allarme. È come il bambino che rimprovera gli adulti per essere ascoltato.
Con questo atteggiamento ottiene la loro attenzione facendo leva sulle emozioni. In questo caso, non c’è manipolazione o inganno. È un esercizio di catarsi per far sì che qualcuno risponda all’appello.
Negli ultimi mesi, a seguito della pandemia, dei lockdown e delle zone rosse è aumentato il disagio sociale e il fenomeno del sadfishing. Una cosa che sappiamo tutti è che quando si tira in ballo la sfera emotiva, la nostra parte empatica risponde.
Pertanto, quando leggiamo dei post in cui c’è scritto “Sono al limite”, “Non so se riuscirò a superare questo momento” o “Ogni giorno mi sento sempre più triste”, li interpretiamo non solo come dei tentativi di attirare l’attenzione, ma anche come una richiesta di aiuto o di supporto.
In fondo, chi scrive vuole sapere se anche gli altri si sentono come lui e che non è il solo a provare certi sentimenti.
I giovani tra i 14 ed i 22 anni sono quelli che praticano di più il sadfishing (e bisogna tenerli in considerazione)
Se si hanno dei dubbi sul fatto che qualcuno stia cercando di attirare l’attenzione o stia davvero chiedendo aiuto, è sempre meglio optare per la seconda ipotesi e rispondere. Non costa niente chiedere a quella persona se ha bisogno di qualcosa.
Non è un comportamento scorretto contattare privatamente la persona che ha scritto quel post pieno di angoscia e chiederle se ha bisogno di qualcosa o se vuole parlare. Lo studio condotto dal Dipartimento di Pediatria del St. Joseph Health di Washington, ci mostrano dei dati importanti.
Gran parte dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 22 anni che soffrono di depressione o ansia vedono i social network come l’unico modo per entrare in contatto con gli altri. I messaggi che pubblicano, pertanto, sono delle vere e proprie richieste di aiuto.
Il miglior consiglio che possiamo darvi è di rispondere sempre a questo tipo di messaggi
Internet è la nostra finestra sul mondo. Siamo arrivati ad un punto in cui i social network sono diventati i mezzi più utilizzati per esprimere i nostri pensieri, i nostri bisogni e sfogare la nostre frustrazioni.
I giovani di oggi vedono i social network come l’unico mezzo per esprimersi e dove rifugiarsi. Questo è qualcosa che non possiamo ignorare.
Di fronte a pratiche come il sadfishing è molto difficile individuare ciò che è vero da ciò che non lo è. Pertanto, è importante riflettere su quando segue:
La migliore risposta a questa situazione è comunicare in privato con quella persona e darle supporto.
Quando rispondiamo a questi messaggi carichi di angoscia emotiva, bisogna evitare di ricorrere alla mera simpatia. Non dobbiamo semplicemente mettere un Mi piace o commentare con un semplice “A me succede la stessa cosa”.
È preferibile usare frasi come: “Mi dispiace per quello che stai passando, come posso aiutarti?”. Sono più utili in queste situazioni.
Il pericolo di pubblicare sui social network come ci sentiamo
Non va bene, non è consigliato ed è meglio non farlo. Quando stiamo attraversando un brutto periodo, non è conveniente rendere pubblici i nostri sentimenti sui social network. E non lo è per una serie di ragioni.
La prima è che quella testimonianza digitale non verrà cancellata e tutte le discussioni saranno pubbliche.
La seconda perché esistono i troll. C’è chi userà il nostro post contro di noi per ridicolizzarci e umiliarci. Ciò può aggravare ulteriormente la nostra sofferenza.
Il terzo motivo per cui non è bene scrivere questo tipo di post è che non tutti sono qualificati a dare dei consigli. Anche con tutte le buone intenzioni, qualcuno potrebbe dirci o proporci qualcosa che in pratica ci fa stare peggio.
In fin dei conti, in queste circostanze abbiamo bisogno di comprensione e sostegno. È meglio che il vero aiuto provenga da degli esperti.
Conclusioni
Non possiamo che ripetere quando detto in precedenza: non bisogna ignorare questo tipo di messaggi. A volte, chi ha più bisogno d’aiuto è chi grida di meno e scrive di più dove non dovrebbe (sulle bacheche di Facebook o su Twitter).
Non vogliono studiare, non aiutano, rispondono male. Che fare?
Buongiorno amici. Oggi poniamo l’attenzione sugli adolescenti non collaborativi.
Non è sempre facile fare il genitore, soprattutto quando i figli sono un po’ ribelli, non obbediscono facilmente, non ascoltano, rispondono, non collaborano in casa e fanno i compiti a fatica.
Capita spesso di trovarsi incastrati in un meccanismo snervante, un dinamica che si instaura tra genitore e figlio basata su un tira e molla continuo, su un braccio di ferro a volte faticoso.
Tante volte, però, i comportamenti oppositivi del figlio sono una ricerca di attenzioni e soprattutto una ricerca di accettazione.
Gli adolescenti, quando non corrispondono al figlio che i genitori avrebbero voluto, quando la madre o il padre sono appesantiti dai loro comportamenti, non studiare, non riordinare, apparente menefreghismo, o rispondere male, scatta un meccanismo per cui si sentono rifiutati e tirano ancora di più la corda.
Ricerca di attenzioni
Le loro diventano reazioni oppositive, “mi vedono solo se vado bene a scuola, quindi ho deciso di andare male” , “mi devono voler beve anche se non faccio quello che mi dicono”, “non hanno capito che così mi fanno solo soffrire e allora faccio soffrire anche io loro”, “mi faccio bocciare così si accorgono che sto male“.
Questo non significa che bisogna dargliele tutte vinte ma semplicemente che si deve comprendere per evitare di creare un circolo vizioso, come un cane che si morde la coda.
Sono adolescenti, sono ragazzi in pieno conflitto con se stessi e a volte con il mondo che li circonda, non tutti sono omologati alla massa, tanti non riescono ad integrarsi e sono ancora più complessi da gestire e sfogano tutto dentro le mura domestiche.
Tanti ragazzi sono in crisi con il proprio corpo, con la propria identità per questo è la fase in cui avrebbero più bisogno di stabilità intorno a loro e di accettazione, anche o soprattutto, quando non sono il figlio modello.
Diventa quasi una sfida con il genitore e sono pronti a tirare la corda e la prima cosa che intaccano in assoluto è la scuola perché il genitore in genere tiene particolarmente al rendimento scolastico.
PIÙ FATE VEDERE CHE TENETE AD UNA COSA, PIÙ LORO LA INTACCHERANNO E ANDRANNO CONTRO.
Non capiscono che il male lo fanno a se stessi stessi, vogliono solo essere accettati e riconosciuti, a prescindere dalla scuola o da altre cose simili dove ci si basa sul rendimento come per esempio le prestazioni sportive.
A volte si devono confrontare con fratelli pesanti, ingombranti, che sono bravi, che vengono osannati dai genitori e si sentono ancora meno accettati e fuori luogo, rischiando di diventare rabbiosi e nervosi con il fratello o sorella in questione.
I COMPORTAMENTI PROVOCATORI SONO COMUNQUE RICERCHE DI ATTENZIONE E UNA RICERCA DI AFFETTO.
Che fare e come comportarsi con loro?
1. LEGGERE OLTRE I COMPORTAMENTI APPARENTI DEL FIGLIO E CAPIRE IL MESSAGGIO CHE VUOLE VERAMENTE MANDARE.
Si sentirà riconosciuto. È importante ricordare che comprendere non significa dargliela vinta su tutto ma leggere tra le righe per essere più efficaci ed evitare inutili litigate e scontri.
2. FARE UNA SORTA DI AUTOANALISI E DI VALUTAZIONE DEI PROPRI ATTEGGIAMENTI e comportamenti ogni tanto non guasta.
Significa anche capire che l’adolescenza di oggi è molto diversa dalla nostra, che i tempi sono completamente cambiati e che ogni tanto dobbiamo anche guardare dal loro punto di vista, senza perdere mai il nostro di adulti.
3. NON FATE MAI PARAGONI CON I FRATELLI O SORELLE O AMICI PIÙ BRAVI,
facendo raffronti sui risultati, sui comportamenti. “se fossi come lui”, “perché lei ci riesce e tu no?”, “guarda tuo fratello o tua sorella come sono bravi?”, “e il tuo amico come è andato?”, “anche lui si è comportato come te?”.
Sono tutte frasi da evitare perché pesano come macigni sulla testa dei figli e li fanno sentire ancora più pressati e sbagliati rischiando solo di esasperare i suoi comportamenti.
4. NON ACCUSATELI DIRETTAMENTE
con frasi dei tipo “tu sei cattivo”, “cosi mi fai star male”, “così mi mandi ai pazzi”, si sentiranno solo più fuori luogo, meno amati e poi compresi e in più proveranno sensi di colpa per farvi star male
. Dovete attaccare i loro comportamenti, il dissenso è verso ciò che fanno, non verso la loro persona.
5. RIPRENDETE IL DIALOGO IL PIÙ POSSIBILE,
abbassate i toni e dategli qualche attenzione in più, anche se secondo voi non se la meritano per come si comportano.
Ovviamente non va bene neanche il contrario ossia il diventare servizievoli o far finta di niente e fargliele passare tutte. La sana via di mezzo è sempre la soluzione migliore.
Il ruolo autorevole di contenimento e di chi instrada e governa, è sempre del genitore, non del figlio.
Se invece fate sempre ciò che dice andate solo a rinforzare quella modalità di comportamento e gli fate capire che “più fa i capricci, più ottiene”.
6. APPROCCIATEVI A LORO IN MANIERA DIVERSA,
non partite dalla scuola, dall’attenzione per i voti o per i compiti, ma iniziate da domande che indagano sul loro stato emotivo, anche se vi rispondono a monosillabi o a mezza bocca.
E’ pur sempre una risposta o anche se non vi guardano e stanno attaccati al cellulare, vi stanno pur sempre ascoltando, non vi dimenticate che loro vivono in multitasking.
In questo modo si sentiranno riconosciuti come persone e non solo in funzione del rendimento scolastico.
Se si sentono pressati sulla scuola e capiscono che fate particolare ai voti intaccheranno per prima la scuola.
7. CERCATE DI CAPIRE GLI STATI EMOTIVI CHE SI NASCONDONO DIETRO QUESTI ATTEGGIAMENTI OPPOSITIVI,
il perché si comportano così, ripartendo dal dialogo evitando il più possibile urla e punizioni.
8. NON ESSERE SEMPRE PREVENUTI NEI LORO CONFRONTI.
Lo sanno di essere sbagliati e questo li fa star male, sanno che non siete contenti di loro, e in più se magari qualche volta fanno qualcosa bene o di giusto e voi sminuite o partite prevenuti che tanto è sempre colpa loro o sono sempre loro a creare i problemi staranno ancora più male e reagiranno peggio.
Contatti
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Io spero che parlare di adolescenti non collaborativi vi sia stat di aiuto per capire se chiedere aiuto .