Buongiorno amici. Oggi parliamo di ascolto empatico.
Lo facciamo trmaite la diretta che ho girato givedì sera e che ha avuto non poche persone interessate, fortunatamente, al tema.
Ascoltare- ascolto empatico
Sì, perché l’ascolto attivo, o empatico, dovrebbe essere la base per qualsiasi tipo dir elazione. E’ l’unico modo corretto per ascoltare e, di cosneguenza, avere un dialogo costruttivo e sano con chi ci sta dif ronte. Che sia un ragazzo, o una persona adulta.
Mettersi nei panni di- ascolto empatico
Ma xosa vuol dire? Vuol dire ascoltare con le orecchie di chi ci sta di fronte e guardare con gli occhi di chi ci sta di fronte.
Vuol dire mettersi nei pannid ella persna che ci sta parlando e capire cosa sente davvero in quel momento.
E’, anche, ascoltare senza essere prevenuti ( come molti genitori fanno), senza pregiudizi o giudizi.
E’ ascoltare mettendo da parte il nostro ego , il nostros entirci superiori( anche questo è qualcosa che fa qualche genitore, purtroppo).
Non voglio spoilerare molto quindi vi lascio il link per poter vedere la diretta completa.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come negoziare coi propri figli.
Comunicare con i figli adolescenti può essere complesso e a volte anche piuttosto sfidante. Per il genitore è importante imparare l’arte della negoziazione, ossia “l’abilità di negoziare, realizzare delle trattative che portino a un accordo” (dal Vocabolario Treccani).
Tempo e pazienza: come il corpo, anche la mente ha bisogno di allenamento!
Per raggiungere un cambiamento è necessario allenarsi, essere costanti e avere pazienza. Servirà tanto esercizio per far sì che le nuove modalità di comunicazione portino un frutto e si trasformino in nuove abitudini. Allenarsi significa cambiare, modificare i pensieri, le parole e le modalità di reagire.
Il cambiamento non è immediato, richiede tempo. Non c’è un interruttore che si accende o spegne nella mente, ancor di più in quella adolescente: c’è bisogno di ripetizione.
Il ruolo del genitore è fondamentale: è un allenatore, non si può pensare di salire dentro il ring e combattere con la persona che si allena. Non si tratta di imporre perché anche se questa strategia non è efficace anche se potrebbe sembrare utile nell’immediato, non lo è nel lungo periodo perché non porta ad una reale comprensione del problema. Imparare a negoziare con i figli significa trovare degli accordi e far arrivare il messaggio che si vuole far arrivare, portarli verso la propria direzione quando serve, senza condizione il loro modo di essere.
Come essere più efficaci?
– ASCOLTO:
Bisogna, anzitutto, ascoltare e porre attenzione alla scelta delle parole. Quali, e in che sequenza, vengono utilizzate? In che modo vengono comunicate? Come vengono dette? È basilare l’ascolto iniziale da parte del genitore che deve partire dalla comprensione delle esigenze e dello stato dell’altro per poi poter procedere senza che si sentano incompresi.
Le parole attivano delle reazioni nel cervello, creano immagini che innescano, a loro volta, pensieri e comportamenti. Se un adolescente, ad esempio, si definisce “un disastro”, la sua mente ed il suo corpo reagiranno a quell’immagine. Ascoltare significa dare riconoscimento: senza questa fase non si può comunicare in maniera efficace.
– PAROLE E CERVELLO:
Non vanno utilizzati verbi come “provare” e “cercare” perché non è fare. Inoltre, i verbi usati al condizionale, vengono compresi a livello cognitivo ma non innescano una reazione immediata: con i vorrei non si cambia. Il cervello ha bisogno di fiducia e una chiamata all’azione per smuoversi, soprattutto in adolescenza. Il DEVI non è molto gradito e attenzione anche ai “ma” e i “però” che andrebbero sostituite con “e” oppure “o”, salvo che non si voglia annullare il senso di quello che si trova davanti al ma: “sei stato bravo, ma potevi fare di più”. Cosa rimane nella mente di un ragazzo? Il “potevi fare di più”, non il sei stato bravo.
Porre il focus sul linguaggio che utilizziamo è un esercizio, da fare con se stessi oltre che con i figli: utilizzare i termini o i verbi giusti, per attivare un cambiamento e ottenere, gradualmente, un risultato.
– CONCRETEZZA:
Nel cervello adolescente tutto ciò che attiene al pensiero complesso, al ragionamento critico e alla riflessione più profonda è in fase di maturazione. Il compito del genitore è semplificare, rendere più comprensibile e, dunque, più flessibile. È importante usare un linguaggio che conoscono, fare esempi concreti, non fare paragoni o confronti che rimandano a qualcosa di distante e lontano dalla loro quotidianità (“Ai miei tempi”, “Quando avevo la tua età”).
– OSSERVARE:
Quante volte capita di non essere ascoltati dai figli adolescenti, anche quando ci si avvicina a loro o ci si impegna a comprendere e rispettare i loro tempi? È fondamentale andare oltre la risposta prettamente verbale e osservarli, anche nei loro comportamenti. A volte, infatti, non rispondono nel modo in cui l’adulto si aspetta: cambia il loro sguardo, il loro atteggiamento, comunicano proprio attraverso il loro silenzio.
Tenere in mente questi aspetti nella comunicazione con un adolescente permette di comprendere il loro punto di vista ed essere consapevoli che, anche quando non lo dicono a parole, ascoltano e recepiscono i messaggi del genitore.
Vi ricordo ceh se avete bisogno di me potete contattarmi allas ezioen “contatti e consulenze ” del sito
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo su questa frase: i miei genitori non mi hanno mai capito.
Viviamo in una società in cui girano tante idee che sembrano condivise, oggi vogliamo dedicare particolare attenzione ad una di esse. “I genitori saranno sempre lì per noi, saranno il nostro più grande rifugio e ci daranno ali per volare e radici per ricordare dov’è casa nostra.” Questa immagine è molto stimolante e, in effetti, per più di una persona fortunata, questa tela concettuale può essere una realtà quotidiana.
Tuttavia, una parte della popolazione fa i conti con traumi messi a tacere da un rapporto complesso con i propri genitori. Perché, a volte, non è necessario che i nostri caregiver ci abbiano maltrattato per farci sentire danneggiati in modi inimmaginabili. Dopotutto, nelle famiglie possono comparire alcune microaggressioni che attaccano e distruggono i legami affettivi.
Una dinamica distruttiva abituale è la critica dei genitori nei confronti delle decisioni e del modo di essere dei figli. Ad esempio, dà fastidio che non siano a immagine e somiglianza del genitore. Li infastidisce il fatto che non condividano i valori della madre. Inoltre, che non sono conformi alle prospettive che entrambi avevano pianificato per il loro futuro.
Ci sono scenari familiari che assomigliano a una setta, per cui ogni gesto o decisione che devia dalle linee guida dei genitori viene visto come un tradimento. Come affrontare queste situazioni? I genitori sono tenuti a comprendere i comportamenti e le personalità dei propri figli in ogni momento? Lo analizziamo.
«I genitori, per essere felici, devono dare. Dai sempre, questo è quello che fa un padre.
-Honoré de Balzac-
Il rispetto tra genitori e figli è essenziale per la convivenza.
I miei genitori non mi hanno mai capito: per quale motivo?
Ci sono bambini che non rispettano i loro genitori e genitori che non hanno mai amato i loro figli come meritavano. I rapporti familiari sono intricati labirinti che spesso diventano autentiche fabbriche di sofferenza emotiva. È comune, infatti, raggiungere l’età adulta trascinandosi dietro i vuoti e i sapori di una relazione che non è mai stata del tutto soddisfacente.
“I miei genitori non mi hanno mai capito”. Questa è una percezione che molte persone si portano dietro quasi come una frattura interna difficile da descrivere a parole. Perché alla domanda se i genitori sono obbligati a capire i propri figli, va notato che esiste una dimensione più importante di questa. Intendiamo rispetto.
Ciò che un genitore dovrebbe sempre fare è rispettare, essere quel rifugio sicuro da cui una persona può svilupparsi liberamente nella direzione che desidera. Anche se non sei d’accordo o non ti sintonizzi al 100% con le decisioni che un bambino prende nel corso della sua vita.
La ricerca della Texas Tech University, ad esempio, evidenzia la rilevanza del costrutto del rispetto in tutte le relazioni interpersonali. Tuttavia, nel contesto della famiglia, questa dimensione agisce come quell’indiscutibile tendine psicologico che dà potere ai genitori durante l’educazione e l’educazione.
Avere 10 o 15 anni e sentire che i nostri genitori non vogliono capire i nostri bisogni e desideri fa male. Queste ferite rimangono con noi fino all’età adulta, il che spesso crea relazioni complicate a livello familiare.
Motivi per cui i genitori non capiscono i loro figli
Perché i miei genitori non mi hanno mai capito? Cosa ha costruito quel muro senza alcuna porosità capace di separarci in quasi ogni aspetto della vita? È comune porsi queste domande quando la disaffezione e l’attrito creano distanze tra noi ei nostri genitori. In generale, il trigger per queste situazioni è solitamente molto ampio:
A volte i genitori presumono che allevare un figlio implichi soddisfare i suoi bisogni primari nell’ambito di una certa disciplina; nient’altro. Raramente hanno una conversazione con loro, né si preoccupano di sapere come sono, cosa pensano, cosa provano, quali sono i loro sogni.
Il distacco causato dalla mancanza di connessione emotiva costruisce anche quei legami che mancano di comprensione e persino di rispetto.
Ci sono genitori che si buttano a capofitto nel loro lavoro e nelle loro giornate impegnative, credendo che, in questo modo, non solo daranno ai loro figli ciò di cui hanno bisogno, ma che saranno un buon modello. Tuttavia, raramente offrono loro ciò di cui hanno più bisogno: il loro tempo, la loro attenzione.
Un altro fattore è tracciato dagli stili di personalità e dalle evidenti carenze quando si tratta di crescere un figlio. Incompetenza, autoritarismo o narcisismo sono anche alla base di questa incomprensione da parte dei caregiver.
Ci sono genitori che non accettano che i figli rivendichino i loro spazi e prendano le proprie decisioni.
Come guarire le ferite dovute alla mancanza di comprensione dei nostri genitori
Spesso trascuriamo il ruolo che hanno i genitori nella costruzione del mondo interno dei propri figli. Una parte del nostro benessere psicologico si costruisce su quegli anni di interazione con le nostre figure di cura. Grazie a loro, moduliamo meglio le nostre emozioni e abbiamo l’opportunità di sviluppare un buon concetto di sé e una sana autostima.
Ora, è vero che crescere un figlio non è mai facile, ci sono pilastri che non dovrebbero mai mancare in quel processo. Oltre all’amore, alla cura e al rispetto, c’è senza dubbio la comprensione. Tuttavia, se uno raggiunge l’età adulta con il disgusto che i suoi genitori non lo abbiano mai capito, come possiamo guarire quella ferita? Lo analizziamo.
Comprensione è rispetto e senza questa dimensione nessun legame sarà soddisfacente o sano.
Create la vostra rete di supporto
Se i nostri genitori non ci hanno mai capito, è molto probabile che non ci siano quando ne abbiamo bisogno. Non saranno quella rete sicura su cui appoggiarsi ogni giorno. Di fronte a una mancanza così dolorosa, ognuno deve forgiare se stesso e creare la propria “famiglia”; quella che, senza essere di sangue, configura un rifugio dove ci sentiamo amati.
Gli amici, il partner e anche altre figure familiari come zii o cugini, possono essere quel punto di appoggio quotidiano che ci sarà sempre, qualunque cosa accada. Qualcosa di simile ci dà sicurezza e benessere.
Accettate che i vostri genitori abbiano le loro convinzioni e voi le vostre
Se i nostri genitori non ci hanno mai capito o accettato le nostre decisioni o il nostro modo di essere, probabilmente è perché si sono aggrappati a un tipo di convinzione in cui non ci inseriremo mai. In questi casi, sarà inutile che ci sforziamo di essere accettati o di cercare la loro accettazione rinunciando alle nostre essenze. In questo modo andremo solo contro noi stessi.
Sebbene sia complicato, dobbiamo presumere che loro abbiano la loro particolare visione della vita e noi abbiamo la nostra. Ricordiamoci che amare è capire e chi non si sforza di realizzare un tale mestiere emotivo non ci ama come meritiamo.
Agire in base ai nostri valori fondamentali
Se siamo chiari sui nostri valori fondamentali, saremo sempre nella giusta direzione. In generale, un principio che dovrebbe sempre guidarci è quello dell’autoconservazione. È quell’impulso capace di allontanarci da ciò che è dannoso, che ci ricorda che è lecito porre limiti e persino difendersi con rispetto e assertività da ciò che ci sembra ingiusto.
Il padre o la madre che si rifiutano di capire i propri figli fa loro credere che in loro ci sia qualcosa di sbagliato e difettoso. Non è salutare rimanere in legami così dannosi.
Aiuto professionale per guarire le ferite
È difficile uscire indenni da un ambiente familiare in cui non siamo stati capiti e, sì, da quelli in cui siamo stati oggetto di critiche e rimproveri. Questo potrebbe renderci esseri più insicuri, persone che, a volte, hanno ascoltato più i propri genitori che se stessi.
Se questo è il nostro caso, se non siamo riusciti a uscire da questa prigione emotiva e trasciniamo nodi che spengono il nostro benessere, non esitate a richiedere un aiuto .
Contattatemit rmaite la sezione contatti e consulenze del sito
Quando i bambini e gli adolescenti sono deprivati delle loro emozioni.
Adultizzare i ragazzi-diretta molto interessante che tutti dovrebbero ascoltare, genitori e figli,
I genitori per capire il male che hanno provocato e i figli per cercare di elabroare e tornare a vivere.
Adultizzare i ragazzi-diretta
Ossia deprivare i miori delle loro eozioni, della loro autonomia e della loro personalità.
Ifigli, così, hanno solo obblighi e doveri, devono per forza soddisfare i bisogni dei loro genitori e non hanno la possibilità di esprimere le proprie emozioni e le proprie debolezze.
Le debolezze
Eh sì, perché i genitori ingombranti, così li chiamerò nella diretta a ragion veduta, educano i figli a non esprimere , esternare nessuna emozione, tantomeno le loro debolezze perché considerate vergognose.
Buonigorno amici. Ogg riflettimao suo danni de la ricerca della perfezione sui ragazzi.
Quando parliamo di perfezionismo ci riferiamo a quella tendenza di raggiungere la perfezione, ovviamente ideale, in quanto non esiste. Il fatto che la perfezione non esista, non significa che non dobbiamo applicarci per cercare di raggiungere risultati sempre migliori.
Il meglio di se’
Dare il meglio di se stessi è importante, ma non si deve mai perdere l’aspetto ludico, del piacere e del divertimento, nonché quello umano della vita, soprattutto quando parliamo di bambini e adolescenti in fase di sviluppo.
Devono imparare a sbagliare e a ricavare qualcosa di utile dai propri errori.
Fare tutto bene, secondo dei criteri imposti dall’esterno non aiuta a crescere perché non fa vivere il senso profondo delle cose, non permette di entrare in relazione con l’ambiente e con le persone.
Spoglia la vita degli aspetti emotivi a favore di un risultato, di un numero o di una posizione.
Perfezionismo
Il perfezionismo sembra un problema molto frequente e in aumento soprattutto in questa fase storica e purtroppo, è presente fin dalla prima infanzia, a partire dai primi anni di vita.
I più piccoli non sentono solo la pressione sociale, dei familiari, delle loro aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici, ma anche quella social. Basta fare un giro nei vari social media che troviamo tutorial su come fare qualsiasi cosa “perfetta”.
Vuoi fare una festa perfetta? Vuoi fare il regalo perfetto ecc… una ricerca della perfezione anche nelle nostre attività quotidiane, come se non si potesse più fare qualcosa di “normale”.
Nella vetrina della rete sembrano tutto bravi in qualcosa, tutti capaci, tutti talenti, macchine da like.
A volte credo non esistano più bambini “normali”. Ascolto prettamente genitori che sottolineano di quanto i figli siano bravi e talentuosi in tutto ciò che fanno; difficilmente li sento orgogliosi di ciò che sono i loro bambini.
Dovere
A cosa può portare questa ricerca del perfezionismo?
Il perfezionismo non deve essere scambiato con la capacità di mettersi in gioco e di migliorarsi: è un DOVER fare alla perfezione, non un VOLER.
Spesso il perfezionismo nasce dalle pressioni familiari, da aspettative troppo elevate che i genitori riversano nei confronti dei loro figli. Si origina anche dalla paura di sbagliare, del giudizio e della valutazione di chi ci sta intorno.
Piacere di fare
Questa ricerca della perfezione non favorisce il piacere di fare le cose e può generare insoddisfazione.
Un bambino o un adolescente non riescono a godersi i risultati ottenuti, pensano di non aver fatto abbastanza anche quando hanno fatto tutto bene.
“Potevo fare meglio”, “Qui non è proprio perfetto”, “ Non è andata come volevo”. Frasi spesso accompagnate da un po’ di delusione.
Così non riescono a vivere ciò che stanno facendo, rischiano di non essere mai contenti e soddisfatti, e di sviluppare con il tempo anche un’ansia da prestazione.
In questo modo si rischia che anche un consiglio venga letto come una critica, può generare frustrazione e un automatico giustificare le proprie azioni. Non ci si accontenta mai, anche quando è andato tutto bene.
Non si prende in considerazione il “poteva andare peggio”, ma si vede solo il “poteva andare meglio”.
Quando qualcosa non va per il verso giusto c’è il rischio che venga intaccato l’umore e che l’errore o ciò che la testa legge come tale anche quando non lo è, rimanga un pensiero fisso.
Blocchi
Nei casi più gravi si può andare incontro anche a un blocco, un rifiuto, un impuntarsi, un non voler andare più avanti.
A volte preferiscono abbandonare ciò che stanno facendo perché non riescono a gestire le emozioni che si attivano e la paura di sbagliare.
Tutto questo perfezionismo rischia anche di andare a intaccare l’autostima perché possono arrivare a pensare di non essere adeguati e di non essere in grado di fare le cose.
Si può fare senza dover sempre dimostrare.
Gli adulti
Come devono intervenire gli adulti?
La sfera creativa e del piacere sono spesso messe in secondo piano a discapito di quella del dovere e della riuscita personale che si basa su un metro di giudizio secondo il quale sei realizzato se ottieni voti alti, medaglie, punteggi alti ecc…
I figli non devono vivere nel dimostrare sempre qualcosa per essere riconosciuti. Non sono le prestazioni “perfette” che devono far felice un genitore, è un figlio in equilibrio che deve far felice un padre o una madre.
Puntare alla crescita personale è un insegnamento importante come fargli capire che si devono mettere sempre in gioco senza paura del giudizio.
Nella vita c’è sempre da imparare, non si vale meno rispetto agli altri quando non si è ai massimi livelli.
Impegnarsi
Sono i valori di una persona che arricchiscono. Il rischio è che il perfezionismo diventi patologico. Dobbiamo porre attenzione quando un figlio perde il piacere nel fare le cose, quando cerca solo il risultato, quando diventa più importate dimostrare piuttosto che provarci e impegnarsi per raggiungere gli obiettivi.
Si può migliorare senza pressioni mentali, concentrarsi sul processo, non sul risultato.
È importante abbassare le aspettative e le pressioni esterne e puntare maggiormente sui canali espressivi valorizzando l’importanza dell’essere se stessi.
La competizione è importante ma deve essere sana. Il confronto con gli altri serve per migliorarsi e per crescere, non va subìto.
Competizione
Non è tutto una gara o una sfida, neanche tra fratelli. Si devono evitare gli inutili confronti e puntare sulla valorizzazione delle risorse interne e delle differenze individuali.
I ragazzi oggi vivono già in una società altamente competitiva dove si respirano in ogni angolo le pressioni sociali e social.
A volte serve riequilibrare e abbassare un po’ l’asticella, non si può pensare di essere al top in tutto. È importante lavorare sugli aspetti legati al piacere e al divertimento.
Non possono diventare giudici troppo severi di se stessi, non godersi i propri risultati e non essere mai soddisfatti di se stessi.
Che voi siate ragazzi o adulti, se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite l sezione ” contatti e consulenze” del sito
Buongiorno amici. Oggi riflettamo sul mettersi nei panni dell’altro.
“se fossi al suo posto”…cosa faresti? come ti sentiresti?
E quello che, tutti noi, ragazzi e adulti, dovremmo fare tutti i giorni quando,a volte senza nemmeno pensarci, giudichiamo una persona che, in fondo, non conosciamo.
Il giudizio
E sì. Quante volte4 parlando con una perosna ci fermiamo alla prima impressione e non ci itneressa andare oltre? Magari confermiamo la nostra impressione…magari la cambiamo, che sia nel bene o nel male. Ma ci fermiamo sempre all’inizio.
Quante volte, ancora, giudichiamo un atteggiamento, o del momento o sistematico, di qualcuno( collega, amico, compagno di classe) e non ci chiediamo il perché di tutto questo?
E ancora…cosa c’è alla base del bullismo? L presunzione dis sentirsi superiori..a cosa o a chi o perché non si sa. E, in questi, come nelgi altri casi, vi siete mai fermati a chiedervi “cavolo, se questo fosse fatto o detto a me, come mi sentirei? come mi comporterei”‘
“Se nella vita avessi subito X cosa, come mi comporterei e che rapporto avrei con gli altri?”
Riflettete
No, non lof acciamo mai. Eppure sarebbe tutto così bello, più semplice, più genuino.
Saremmo tutti persone migliori se solo, per una volta, cif emrassimo a riflettere su questo. Se solo, per una volta…o più…ci chiedessimo cosa sente quella persona alle nostre critiche, ai nostri giudizi fittizi, ai nostri atteggiamenti nei suoi confronti.
Servirebbe solo un po’ di empatia. Servirebbe guardarsi solo un po’ di più negli occhi e dentro se stessi. Ma siamo troppo imegnati a giudicare e a sentirci migliori degli altri.
Quindi, da oggi, fermiamoci e mettiamoci nei panni di qualcun altro.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
o tramite la piattaforma camtv col nome delc anale “adolescenti istruzioni per l’uso”
Quello che blocca gli adolescenti nell’esprimere la propria individualità
Buongiorno amici. Oggi parliamo de la paura del giudizio.
Quando si ha paura del giudizio è come avere un riflettore costantemente puntato su di sé, come se tutte le attenzioni dell’altro fossero su di sé, su ciò che si giudica di se stessi, in particolare su ciò che si reputa essere un proprio difetto.
Questa paura porta gli adolescenti a sperimentare una maggiore fatica nel relazionarsi agli altri, esporsi, mostrare il proprio pensiero. In alcune situazioni si tende a non agire o non esprimersi, pur di non rischiare di ricevere una valutazione negativa.
Come si manifesta la paura del giudizio nei ragazzi?
Nel cervello degli adolescenti si verifica una maggiore attivazione del sistema limbico, del circuito deputato alla gestione delle emozioni, ovvero quelle coinvolte nelle reazioni emotive e nelle risposte comportamentali. L’iperattivazione di queste aree può spiegare il maggiore interesse verso il gruppo dei pari, la maggiore attenzione al confronto con loro e all’accettazione oppure al rifiuto da parte dei coetanei.
“Dentro di me sento crescere pensieri e opinioni su varie cose che mi accadono, ma ho la tendenza a tenerle dentro per paura di dire qualcosa di stupido”
“Quando mi devo preparare prima di uscire ci metto sempre molto tempo: non lascio nulla al caso, perché i miei amici sono abituati a vedermi in un certo modo e non posso permettermi di non essere perfetta”
“In classe ascolto e seguo la lezione ma sembro sempre poco coinvolto perché quando l’insegnante fa le domande non alzo mai la mano per rispondere. Ho talmente paura di sbagliare e di fare una figuraccia davanti agli altri che preferisco rimanere in silenzio”
Lo sguardo degli altri per definire se stessi: quale impatto sul cervello adolescente?
È un po’ come vivere con tanti occhi che guardano e scrutano ciò che viene fatto e detto che amplifica questa importanza del giudizio esterno e interno. Questa sensazione può indurli a sovrastimare l’impatto reale di questa valutazione.
“Un esempio potrebbe essere quello di una quattordicenne che non vuole giocare con i suoi genitori e fratelli a un gioco da tavolo perché sa che i suoi amici non lo troverebbero cool, anche se nessuno la sta guardando, ma lei è certa che in qualche modo gli altri potrebbero facilmente venire a scoprirlo” (Dal libro Inventare se stessi. Cosa succede nel cervello degli adolescenti di Sarah-Jayne Blakemore).
Il solo pensare di essere guardati è associato ad una maggiore attività della corteccia prefrontale mediale, una zona chiave di ciò che viene definito “cervello sociale”, coinvolta nella comprensione delle relazioni con gli altri.
Gli adolescenti, dunque, si sentono più in difficoltà e mostrano segni più marcati di imbarazzo o vergogna anche al solo pensiero di essere osservati dagli altri, anche se questo non accade realmente.
Puntare sulle loro risorse per aiutarli a mettersi in gioco
Una delle funzioni degli adulti è quella di aiutare i ragazzi a riconoscere e conoscere i filtri con i quali si osserva il mondo e le paure per esprimerle senza vergogna o timore con la finalità di comprendere i propri stati interni e imparare esperienza dopo esperienza a gestirli per affrontare in modo più efficace le sfide quotidiane.
Gli adolescenti sentono la pressione sociale, dei familiari, delle aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici e anche quella social in cui tutto appare perfetto. È importante trasmettere ai figli il messaggio che la perfezione è una convinzione che limita e che non esiste.
Le differenze individuali sono alla base di tutto e ci rendono tutti diversi. Il sostegno del genitore, inteso come ascolto, accettazione e rinforzo con le giuste parole è indispensabile per nutrire la loro autostima e aiutarli a credere in se stessi e nel loro valore.
Si può anche spiegare ai ragazzi che è fisiologico in questa fase dello sviluppo, non piacersi sempre, sentirsi “fuori posto”: hanno bisogno di conoscere se stessi, di sapere che si tratta di un periodo transitorio.
Spesso hanno la percezione di essere gli unici a sentirsi così, mentre si tratta in realtà di un vissuto comune perché devono ancora metabolizzare tutti i cambiamenti che stanno vivendo, così da imparare a muoversi con più consapevolezza e sicurezza.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
o sulla piattaforma camtv col nome del canale “adolescenti istruzioni per l’uso”
Solitamente quando ci riferiamo al termine dismorfofobia intendiamo quella specifica preoccupazionerispetto alla percezione di uno o più difetti in ambito fisico. Una eccessiva preoccupazione che determina una compromissione rispetto alle normali attività quotidiane.
La persona che ne soffre passa molte ore a preoccuparsi dei presunti difetti fisici che riscontra in merito al proprio aspetto fisico. Specificatamente in merito a;
naso
bocca
orecchie
i capelli
gambe
braccia
seno
organi genitali.
La cultura all’interno della quale viviamo, una cultura molto attenta all’estetica, non può che sollecitare un aumento dell’incidenza di tale disturbo.
Quali sono i sintomi che caratterizzano questo disturbo?
Tendenzialmente l’età di insorgenza di tale disturbo è compresa tra i 10 ed i 15 anni, durante il periodo dell’adolescenza. E non si riscontra una differenza di genere: maschi e femmine sembrano soffrirne in egual misura.
La preoccupazione in queste persone acquisisce una sintomatologia di tipo fobico-ossessivo, determinando un elevato disagio personale, e un profondo stato di vergogna che si ripercuote sia nell’ambito lavorativo che nelle relazioni personali. Le persone che soffrono di tale disturbo tendono ad isolarsi, e nella maggior parte dei casi tendono ad utilizzare dei comportamenti per mascherare il difetto. Mantenere delle posture fisse, o dedicare tanto tempo a truccarsi senza poi sentirsi sicuri.
Come capire se si soffre di dismorfofobia? Come avviene la diagnosi?
In base alla più recente revisione del Manuale Diagnostico Statistico delle Malattie psichiatriche, DSM-5, il disturbo di dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati.
Per emettere una diagnosi differenziale specifica è necessario riscontrare:
preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o trascurabili da parte di altre persone
adozione di comportamenti ripetitivi o rituali come guardarsi allo specchio, toccare la parte difettosa, ricercare rassicurazione, o di atteggiamenti mentali quali pensieri ossessivi, costante confronto con gli altri, convinzione di essere osservato e giudicato. Comportamenti in risposta alla preoccupazione per il proprio difetto fisico
forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione per il difetto fisico
difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo o dalla massa grassa. In questo caso, infatti, è probabile la presenza di un disturbo del comportamento alimentare
la consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere nulla, parziale o elevata, ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei pensieri o dei comportamenti ossessivi nella vita quotidiana.
Questi rappresentano i criteri diagnostici di tale disturbo ed ovviamente la valutazione spetta ad un clinico competente. Un altro aspetto fondamentale è la distinzione tra tale disturbo e l’anoressia nervosa.
Come nasce la dismorfofobia? Quali sono le sue cause?
Solitamente qualunque disturbo, compreso questo, ha cause che possono essere riscontrabili in fattori di natura genetica o biologica: infatti diverse prove suggeriscono che il dismorfismo sia più comune in persone che hanno genitori o parenti con lo stesso disturbo. Non è semplice però capire se i sintomi, il vedersi brutti o guardarsi spesso allo specchio ad esempio, derivino da aspetti genetici o dai loro comportamenti.
Altri studi hanno invece riportato che i pazienti che soffrono di questo disturbo hanno vissuto esperienze di bullismo, maltrattamenti psicologici e prese in giro da parte dei coetanei.
Questo non fa che peggiorare la loro sensazione di sentirsi brutti. Sperimentare queste esperienze può perciò portare allo sviluppo di un’immagine negativa di sé stessi e ad ossessionarsi sul proprio aspetto. Ciò è particolarmente vero in adolescenza, quando si è più sensibili all’apparenza fisica o al modo in cui il corpo sta cambiando.
Ovviamente un altro fattore importante è una scarsa autostima e la tendenza al perfezionismo che possono portare la persona a sviluppare una attenzione esagerata al corpo.
Come risolvere questo disturbo?
Per le persone che soffrono di questo disturbo, la chirurgia estetica sembra spesso una soluzione possibile. In realtà non fa che peggiorare i sintomi, intrappolando i pazienti in una cerchia infinita di richieste di interventi chirurgici che non sono quasi mai risolutivi.
In realtà, l’unico modo per poter usre da questo loop è parlare con un professionitsa che cerca di capire l’origine del vostro star male.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi tramite la sezioen contatti e consulenze del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di psicofarmaci e dell’abuso che un ragazzo può fare per cerare lo sballo.
Alcuni li definiscono “farmaci dello sballo”, si tratta di psicofarmaci senza prescrizione medica e utilizzati quindi non a scopo curativo ma “ricreativo”, un nuovo modo di superare i limiti ma che mette a rischio la propria salute e la propria vita.
A lanciare l’allarme è la Società italiana di neuro-psico-farmacologia. Il fenomeno è pericoloso e in crescita e a fotografarlo è lo studio ESPAD dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR): un aumento che si attesta tra il 15 e il 20 per cento negli ultimi 5 anni, grazie anche alla facilità di reperimento di questi medicinali. Si tratta infatti di farmaci troppo spesso disponibili in casa (42%), acquistati facilmente su Internet (28%), recuperati per strada (22%), sfuggendo così al controllo di adulti e medici. Nel 2021 inoltre, a causa della pandemia, si è registrato un aumento per tutte le tipologie di consumo di psicofarmaci. Consumi che avrebbero superato il 6%, alimentando la dipendenza associata anche agli effetti collaterali di altre sostanze psicoattive (tabacco, energy drink, benzodiazepine e sostanze stupefacenti), e lo sviluppo di comportamenti pericolosi.
Le cure farmacologiche nel campo della salute mentale, anche dei bambini e degli adolescenti, sono fondamentali. La ricerca ha compiuto passi straordinari in tutti i campi per questa fascia d’età ma è necessaria una grande attenzione.
Ma quali sono le motivazioni che spingono i ragazzi all’utilizzod egli psicofarmaci?
Questi psicofarmaci rappresentano per molti un’ancora di rassicurazione per aumentare le performance scolastiche e i livelli di attenzione, per migliorare l’aspetto fisico quando combinati a farmaci dietetici, per potenziare i livelli di autostima, per sentirsi in forma ma anche per migliorare sonno e umore. In molti casi questi farmaci vengono assunti con il solo scopo di “sballarsi”, sottolineano gli esperti, e spingono quindi i giovani ad assumerli sfuggendo al controllo della famiglia: “Per determinati tipi di farmaci come ansiolitici o barbiturici l’utilizzo è proprio finalizzato alla sregolatezza e a un momento di evasione, spesso consumati insieme ad alcolici o cannabis per aumentarne gli effetti”.
Le ragazze sono più a rischio– psicofarmaci
Le studentesse utilizzano in percentuale maggiore tutte le tipologie di psicofarmaci analizzate, con un rapporto di genere minimo pari a 1,8 in relazione ai farmaci per l’attenzione e un rapporto massimo più che triplo (3,4) quando si analizzano quelli per le diete.
I rischi maggiori
I rischi legati al consumo di psicofarmaci senza prescrizione sono diversi, soprattutto comportamentali e di dipendenza.
La sostanza illegale più diffusa è la cannabis, seguita dalle cosidette New Psychoactive Substances, sostanze sintetiche che mimano gli effetti di altre sostanze più note.
Il Rapporto della Sinpf riferisce inoltre che il 18% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso del 2021; il 2,8% ne ha fatto un uso frequente e che quasi il 10% degli studenti è un “poliutilizzatore”, almeno due sostanze negli ultimi 12 mesi.
I consigli per genitori
Assolutamente non sottovalutate nessu sintomo o cmabiamento comportamentale nei vostri ragazzi.
Non fate l’interrogatorio di terzo grado ma cercate di discuterne con i diretti interessati cercando di capirne le motivazioni
E, se avete bisogno del mio aiuto, che voi siate ragazzi genitori, contattatemi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Io spero che parlare dell’abuso che un ragazzo può fare di psicofarmaci vi sia stato utile per riflettere e prendere una decisione importante.
Buongiorno amici. Capiamo quando i figli non rispondono alle domande dei genitori.
Ascoltare significa creare quella condizione necessaria per riuscire ad offrire ai figli un solido appoggio emotivo e far sentire loro la presenza e la vicinanza del genitore.
Ascolto
L’ascolto è uno strumento potentissimo che permette di entrare in contatto con l’altro, ma richiede allenamento quotidiano, disponibilità e, talvolta, anche pazienza affinché si instauri un dialogo.
Esempi
“Mamma, devo proprio raccontarti una cosa molto importante.
Ci diciamo la nostra giornata adesso?” chiede Sara, 4 anni, non appena spenta la lucina sul comodino perché è giunta l’ora di andare a dormire.
Eppure, durante la cena, più volte le era stato chiesto se le facesse piacere raccontare qualcosa della sua giornata, senza ricevere risposta positiva.
“Certo, mi farebbe molto piacere e sono qui per ascoltare quello che ti va di dirmi!”, è stata la risposta mentre nella mente passavano commenti del tipo “proprio ora che deve dormire!”, “beh un’ora fa sarebbe stato perfetto!”, “ok prepariamoci ad andare a dormire più tardi stasera!”
I tempi
I tempi dell’adulto, molto spesso, non sono i tempi dei figli. Anche quando non raccontano subito qualcosa, a volte stanno solo dicendo che hanno bisogno di tempo per riflettere, capire meglio, scegliere ciò che è importante condividere.
Magari nel momento in cui il genitore rivolge loro delle domande hanno solo voglia di giocare, rilassarsi o fare altro.
Adolescenti
Vale per i bambini, ma vale anche per gli adolescenti.
La disponibilità all’ascolto attivo è molto apprezzata dai ragazzi, anche se non lo riconosceranno apertamente, o non lo faranno come spesso gli adulti si immaginano, e può aiutarli a sentirsi davvero presi in considerazione, riconosciuti e accettati.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite il form
Ai genitori spetta il compito di garantire ascolto e dialogo, anche quando ci si sente colti alla sprovvista o le confidenze arrivano in un momento che, secondo la mente dell’adulto, doveva essere destinato ad altro.
Ascoltare i figli è fondamentale, è il primo passo per instaurare e mantenere aperta una relazione improntata sul dialogo e sul confronto, sin da quando sono piccoli: sentirsi ascoltati significa potersi fidare e sentire di essere importanti per l’altro.
I figli hanno bisogno di fiducia, di sentire che mamma e papà sono lì per loro, per sostenerli e amarli sempre e che sono fiduciosi nelle loro capacità di far fronte alla vita.
Io spero che capire quando i figli non rispondono alle domande dei genitori vi sia stato d’aiuto.
Ma, se avete bisogno di me, potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito