Mantra e consigli per adulti e ragazzi per vivere serenamente
Buongiorno amici. Oggi parliamo di un mantra per ragazzi e adulti pe vivere serenamente: ma chissenefrega!
Magari non vogliamo ammetterlo con noi stessi ma l’opinione degli altri ci condiziona la vita. Facciamo gli indifferenti, ci proclamiamo liberi di pensare e decidere, ma, sotto sotto, l’idea che gli altri possano non approvare ciò che facciamo ci dà fastidio. Quindi? È tempo di fare un po’ di allenamento mentale per vivere meglio ed essere più felici. “E chisenefrega”, ecco un allenamento che ci consentirà di affinare la capacità di prepararsi all’avvenire in modo disincantato e sorridente.
Sei sicura di goderti il presente?
Certo, possiamo preoccuparci di tante cose: del giudizio altrui, della carriera, di fare brutte figure, di come siamo vestiti, di non avere i capelli in ordine, di come andrà l’esame, di non arrivare puntuali, di avere la casa pulita, di mantenersi in forma fisica, di evitare delusioni, ecc.
Ma sai che c’è? Ci sono tantissime cose di cui “non ha senso importarsi”! Mi riferisco a cose, pensieri, situazioni che se approcciati nel modo giusto, ci rendono in qualche modo “liberi” dai condizionamenti esterni. Magari potrà sembrare un approccio poco ortodosso ma davvero funzionale.
Per esempio? Amo stare in tuta, mi fa sentire più comoda e quando qualcuno mi chiede: “ma non ti piacerebbe indossare abiti più eleganti”, posso sentirmi libera di rispondere come i vecchietti del Muppet Show (ve li ricordate?): “Who Cares?” …a chi importa? chi se ne frega?
Ammettiamolo, una critica o delle opinioni negative sul proprio conto possono mandarci in tilt. Perchè non imparare a “impermeabilizzarsi” ai giudizi altrui e fregarsene? Se aspiri a una vita felice e serena devi diventare meno succube delle opinioni che provengono dall’esterno.
Ci sono tre aspetti fondamentali che ti spingono a giudicarti eccessivamente e che di conseguenza minano la tua capacità di fregartene del giudizio altrui e sono:
i sensi di colpa;
senso di inadeguatezza o inferiorità;
mancanza di abilità comunicative, relazionali e di autodifesa.
Allenati a fregartene del giudizio altrui, accetta il fatto che non si può non essere giudicati e di conseguenza può succedere di imbatterti in persone (e soprattutto i tuoi cari) che nella vita cercheranno fare leva sui tuoi sensi di colpa, sulla tua autostima. Qualcuno potrà accusarti di essere insensibile, di fare scelte affrettate, di comportarti da egoista, di frequentare persone sbagliate.
A meno che tu non abbia ucciso qualcuno, accetta pure le critiche ma fatti scivolare tutto subito. Accettare non si significa assecondare e nemmeno giustificare, ma essere consapevoli che qualcuno può essere in disaccordo con le tue scelte di vita……e quindi: ma chi se ne frega! Bada bene, nessuno ti sta chiedendo di essere superficiale nel fare le cose, l’importante è essere naturale e coerente con se stessi
Prendi la giusta distanza emotiva-ma chissenefrega
Ecco un allenamento mentale che ti chiedo di fare con costanza per spezzare le “catene” con tutti quegli atteggiamenti costruiti solo per accontentare gli altri. Questo allenamento consiste nel prendere le distanze emotive dai giudizi esterni. Immagina proprio di tranciare con una cesoia gigante l’eccessiva importanza che dai ai giudizi altrui.
Ogni volta che ne ricevi uno, chiediti se si tratta di un fatto o di una opinione. I fatti si possono sempre argomentare e dimostrare, le opinioni no. Un tuo amico, il tuo collega o magari tua madre o tuo padre può fare delle obiezioni sul tuo taglio di capelli, sul lavoro che svolgi….. e allora? Che te ne frega, l’unica persona a cui devi dar conto sei solo tu! A volte per invidia, per gelosia, per un senso di protezione…. la gente può dare consigli sbagliati, ricordalo sempre!
Impara a farti scivolare qualsiasi valutazione negativa, fatti scivolare tutto addosso…..e ti assicuro che ti sentirai più leggera. Non dimenticare mai che anche se certi giudizi arrivano dalle persone a te care, non è detto che siano giusti; loro non sono te.
Adesso prova a fregartene davvero- ma chissenefrega
Pensa al giudizio che ti ha fatto più soffrire. A distanza di tempo chiediti con obiettività: valeva la pena stare così male? Sono sicura che ti risponderai: no! E allora, ad alta voce ripeti “ma chi se ne frega, io ascolto me stessa”. Ora ti sembra difficile, ma fidati se ti alleni, vedrai la vita da un’altra prospettiva.
Per rendere meglio il concetto faccio un esempio. È un po’ come andare a correre: all’inizio, correre per 30 minuti ti sembra impossibile, ma dopo un pç di allenamento e costanza, ci riuscirai e solo perché ti sei allenata e sei stata costante. La stessa cosa succede con un sano “chissenefrega”: basta dirlo e poi ci si sentirà più libere.
Non devi scusarti con nessuno, non dimenticare mai che tu vali
Ti rimproveri e consideri gravi dei comportamenti che sono banali o delle particolarità che nessuno noterebbe? Così non fai altro che alimentare il tuo senso di colpa. Non devi chiedere l’autorizzazione per ciò che è nel tuo pieno diritto. Affermando ciò che sei e ciò che fai senza rimproverartelo, farai molto bene alla tua immagine.
In genere, chi è vittima delle critiche gratuite e cattive tende a essere molto dura con se stessa, intransigente e rigida. Allora ogni volta che sei tentata di autogiudicarti troppo severamente, fermati e ripetiti mentalmente “io valgo”. Questa breve frase servirà a convincerti che il tuo valore è sempre indipendente dai tuoi comportamenti. Quello che dovresti sempre tener presente è che non puoi piacere a tutti e non puoi soddisfare tutti. Premesso questo, dovresti già essere in pace con te stessa.
Allenarsi alla felicità
Nel nostro cranio custodiamo una formidabile macchina del buonumore. Il nostro cervello trabocca di energia, basta che impariamo a lavorare bene con lui e ad allenarlo per stare sempre meglio. Spesso pensiamo al nostro corpo come una “macchina” da allenare e tenere in esercizio. Ma non pensiamo nello stesso modo alla nostra mente e al nostro spirito. Invece possiamo agire anche là allo stesso modo, fare degli esercizi per… fortificarci. E’ l’unico modo per riuscire a superare le esperienze negative o per avere una piena consapevolezza di quello che sappiamo fare e quello che non sappiamo fare.
Le neuroscienze hanno dimostrato che, in qualche maniera, è il nostro cervello che si abitua a “difendersi” dalle delusioni e dalle disillusioni. È un’abitudine come un’altra e può essere cambiata. Così come le lamentele, l’ansia, i brutti pensieri e la tendenza alla depressione sono risposte “automatiche” che il nostro cervello dà alle situazioni quotidiane, la felicità dovrebbe diventare un’abitudine che può essere costruita.
Facile? Tutt’altro. Cambiare, reagire, provare a fare qualcosa è molto faticoso e richiede energie e costanza com’è per ogni esercizio fisico, ma in questo caso il premio è più grande di qualche muscolo in più: una vita più felice e serena.
Allenarsi alla flessibilità
Altra cosa importante è quella di non cadere nell’autosabotaggio e di non essere rigidi con se stessi: hai fatto una promessa che non hai potuto mantenere? Ti eri ripromessa di iniziare la dieta da oggi? Stai pensando che avresti potuto gestire meglio una conversazione? Tutto questo fa parte del passato, concentrati solo sul presente.
Qualunque cosa farai, sarai sempre criticata, perché ognuno ha diverse opinioni, regole, indicazioni su come affrontare la vita. E se vuoi migliorare la tua vita, non dovrai fare altro che fregartene del giudizio altrui, degli errori commessi, del passato….Solo così ti sentirai più sicura, vivrai in armonia con te stessa e raggiungerai dei risultati più gratificanti in qualsiasi settore….e allora non mancare agli allenamenti mentali: “E chissenefrega”
Vi saluto con una citazione di Bob Marley “Lo so, non sono perfetto. Ma chissenefrega! Nemmeno la luna è perfetta: è piena di crateri. E il mare? Nemmeno lui: è troppo salato. E il cielo? Sempre così infinito! Insomma, le cose più belle non sono perfette. Sono speciali“
Io spero che parlare del mio “ma chissenfrega” vi sia stato diispirazione.
Vi ricordo che se volete contattarmi potete farlo tramite la sezione “contatti” del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di autolesionismo negli adolescenti: perché lo fanno e come comportarsi.
Autolesionismo
L’AUTOLESIONISMO o il farsi del male intenzionalmente da soli, è estremamente diffuso già a partire dai 12-13 anni di età.
Ci sono delle forme di autolesionismo presenti anche nei bambini che però si manifestano in maniera differente rispetto all’adolescenza.
Generalmente i ragazzi usano lamette o oggetti appuntiti o taglienti per graffiarsi, tagliarsi (cutting) e ferirsi in qualche modo, oppure si bruciano con accendini o si colpiscono, sbattono i pugni o altre parti del corpo su pareti, muri, vetri.
La maggior parte delle volte tagli o ferite sono nascoste e non si vedono perché sono nelle parti più intime o sono coperte da accessori e abbigliamento.
Genitori
I genitori non si accorgono con facilità e immediatezza di ciò che fanno i figli e bisogna imparare a riconoscere i segnali per poter intervenire preventivamente.
Per questa ragione è importante leggere anche
Per il genitore molto spesso è uno shock accorgersi del comportamento autolesionista del figlio.
Arrivano increduli, portano le foto di ciò che trovano nella stanza o nel bagno e delle parti del corpo del figlio: “guardi cosa si è fatto?”, “è possibile che non me ne sia mai accorta?”, “perché si fa questo?” e soprattutto domandano “cosa posso fare?”.
A volte gli adulti arrivano a leggere anche ciò che scrivono e oltre lo sconvolgimento, si sentono profondamente in colpa di non essersi mai accorti di niente prima e di aver lasciato il figlio solo in quella sofferenza.
Non sanno come reagire perché non avrebbero mai pensato che potesse arrivare a farsi del male da solo.
Cosa fare
Istintivamente viene dai dirgli “ma che fai?”, “non lo fare!”, però bisogna stare molto attenti a come si interviene e si parla con loro perché si potrebbe aggravare la situazione.
Emotivamente sono fragili, anche loro si sentono profondamente in colpa nei confronti del genitore e si vergognano di ciò che fanno.
Altri nutrono una profonda rabbia perché il o i genitori non lo comprendono e quindi una frase sbagliata potrebbe creare più dolore e reazioni impulsive.
Bisogna innanzitutto capire perché lo fanno. È una modalità con cui gestiscono il dolore interno, non hanno altre strategie, emozioni forti, delusioni, rabbia sofferenza, attiva uno stato interno che fa troppo male, come se si scoppiasse in quel momento e da qualche parte tutto questo deve uscire.
Il farsi del male abbassa i livelli di compressione interna e si ha una sensazione transitoria e illusoria di benessere perché poi ci si ricarica di nuovo e si rischia di entrare in un circolo vizioso per cui tante volte diventa quasi un’esigenza e un bisogno.
Come comportarsi
Capito questo è chiaro che non si possa intervenire con aggressività o con troppa remissività. Hanno bisogno di essere contenuti, di un sostegno e di un supporto.
Cercate di far aprire il canale delle parole, di farli parlare e di farvi raccontare tutto, da quando hanno iniziato, perché e come si sentono.
Se capiscono che non siete delusi, che non siete arrabbiati, gli alleggerite e si sentiranno meno in colpa.
Non bisogna considerarli pazzi, stanno esprimendo un disagio interno attraverso il corpo, è una modalità patologica ma è una comunicazione importante.
Comprendete come potete intervenire, per esempio molti di loro hanno anche problemi di bullismo a scuola e di relazioni con i compagni, circa il 50% delle vittime di bullismo è anche autolesionista. In questo caso andate a parlare con la scuola per capire cosa succede e far intervenire i professori.
Non opprimete
Ricostruite con loro la storia di questi anni in cui loro sono stati male, non assillateli con il “perché lo fai?”, “perché lo hai fatto?”, “perché non me ne hai parlato prima?”, li portate ad una maggiore chiusura, hanno bisogno di sentirsi capiti, NON colpevolizzati.
È ovvio che si fanno del male hanno una profonda sofferenza, quindi non andate a rimarcare il problema.
Servirebbe anche un consulto con un professionista specializzato in queste problematiche, che aiuti a gestire la situazione nel modo più appropriato.
Non chiedete mille volte se lo hanno fatto di nuovo, non fate i segugi che controllate tutto quello che fanno perché si sentiranno oppressi, serve PRESENZA non OPPRESSIONE.
Se vedono il vostro dolore saranno ancora più appesantiti e compressi. Fate capire che ora siete attenti, che vi accorgete di cosa succede e dategli un rinforzo per affrontare i problemi in maniera più adattiva e funzionale al loro benessere.
E se avete bisogno di me contattatemi tramite la sezione “contatti e consulenze “del sito.
Cos’è, come capire se un ragazzo ne è affetto e come proteggerli
Buongiorno amici. Oggi parliamo di sadfishnig.
Con il termine sadfishing si definisce un comportamento complesso di cui, probabilmente, siamo stati testimoni in più di un’occasione. Ci sono persone che pubblicano nei loro social network frasi, testi o espressioni con contenuti emotivi angoscianti e persino preoccupanti.
È molto comune leggere frasi come “La vita non ha senso”, “ È chiaro che a nessuno importa di me”, “Sono sempre più solo” o “Se sparissi, sicuramente non importerebbe a nessuno”.
In certi casi, leggendo simili messaggi, si è portati a pensare che l’intento reale della persona sia attirare l’attenzione. E a volte può essere così. Tuttavia, negli ultimi anni, gli esperti prestano particolare attenzione a queste realtà che sono sempre più frequenti nel mondo on line.
Come facciamo a sapere se una persona sta realmente chiedendo aiuto? Come possiamo distinguere chi cerca attenzione da chi sta realmente soffrendo? Questo è un fenomeno a cui dovremmo prestare più attenzione. Per questo motivo, oggi lo analizzeremo.
Sadfishing, i post carichi di tristezza nel mondo on line
Siamo consapevoli che spesso la nostra realtà è piena di anglicismi ed etichette difficili da ricordare e da gestire. Questa espressione, tuttavia, è utile per descrivere comportamenti e situazioni nuove, soprattutto quando provengono dal mondo digitale e dalla rete.
Con il termine “sadfishing”, ci riferiamo ad una persona che rende pubbliche nella sua comunità virtuale le sue emozioni ed i suoi pensieri negativi.
Come abbiamo sottolineato all’inizio dell’articolo, a molti di noi sarà capitato di vedere post simili in più di un’occasione. Il nostro interesse per questo fenomeno è dovuto a due motivi ben precisi:
Il primo, sapere come i lettori giudicano ed elaborano questo tipo di messaggi.
Il secondo, verificare se la persona che ha scritto quel post sta chiedendo veramente aiuto.
Sono qui e voglio la tua attenzione
In alcuni casi, è proprio questo: un campanello di allarme. È come il bambino che rimprovera gli adulti per essere ascoltato.
Con questo atteggiamento ottiene la loro attenzione facendo leva sulle emozioni. In questo caso, non c’è manipolazione o inganno. È un esercizio di catarsi per far sì che qualcuno risponda all’appello.
Negli ultimi mesi, a seguito della pandemia, dei lockdown e delle zone rosse è aumentato il disagio sociale e il fenomeno del sadfishing. Una cosa che sappiamo tutti è che quando si tira in ballo la sfera emotiva, la nostra parte empatica risponde.
Pertanto, quando leggiamo dei post in cui c’è scritto “Sono al limite”, “Non so se riuscirò a superare questo momento” o “Ogni giorno mi sento sempre più triste”, li interpretiamo non solo come dei tentativi di attirare l’attenzione, ma anche come una richiesta di aiuto o di supporto.
In fondo, chi scrive vuole sapere se anche gli altri si sentono come lui e che non è il solo a provare certi sentimenti.
I giovani tra i 14 ed i 22 anni sono quelli che praticano di più il sadfishing (e bisogna tenerli in considerazione)
Se si hanno dei dubbi sul fatto che qualcuno stia cercando di attirare l’attenzione o stia davvero chiedendo aiuto, è sempre meglio optare per la seconda ipotesi e rispondere. Non costa niente chiedere a quella persona se ha bisogno di qualcosa.
Non è un comportamento scorretto contattare privatamente la persona che ha scritto quel post pieno di angoscia e chiederle se ha bisogno di qualcosa o se vuole parlare. Lo studio condotto dal Dipartimento di Pediatria del St. Joseph Health di Washington, ci mostrano dei dati importanti.
Gran parte dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 22 anni che soffrono di depressione o ansia vedono i social network come l’unico modo per entrare in contatto con gli altri. I messaggi che pubblicano, pertanto, sono delle vere e proprie richieste di aiuto.
Il miglior consiglio che possiamo darvi è di rispondere sempre a questo tipo di messaggi
Internet è la nostra finestra sul mondo. Siamo arrivati ad un punto in cui i social network sono diventati i mezzi più utilizzati per esprimere i nostri pensieri, i nostri bisogni e sfogare la nostre frustrazioni.
I giovani di oggi vedono i social network come l’unico mezzo per esprimersi e dove rifugiarsi. Questo è qualcosa che non possiamo ignorare.
Di fronte a pratiche come il sadfishing è molto difficile individuare ciò che è vero da ciò che non lo è. Pertanto, è importante riflettere su quando segue:
La migliore risposta a questa situazione è comunicare in privato con quella persona e darle supporto.
Quando rispondiamo a questi messaggi carichi di angoscia emotiva, bisogna evitare di ricorrere alla mera simpatia. Non dobbiamo semplicemente mettere un Mi piace o commentare con un semplice “A me succede la stessa cosa”.
È preferibile usare frasi come: “Mi dispiace per quello che stai passando, come posso aiutarti?”. Sono più utili in queste situazioni.
Il pericolo di pubblicare sui social network come ci sentiamo
Non va bene, non è consigliato ed è meglio non farlo. Quando stiamo attraversando un brutto periodo, non è conveniente rendere pubblici i nostri sentimenti sui social network. E non lo è per una serie di ragioni.
La prima è che quella testimonianza digitale non verrà cancellata e tutte le discussioni saranno pubbliche.
La seconda perché esistono i troll. C’è chi userà il nostro post contro di noi per ridicolizzarci e umiliarci. Ciò può aggravare ulteriormente la nostra sofferenza.
Il terzo motivo per cui non è bene scrivere questo tipo di post è che non tutti sono qualificati a dare dei consigli. Anche con tutte le buone intenzioni, qualcuno potrebbe dirci o proporci qualcosa che in pratica ci fa stare peggio.
In fin dei conti, in queste circostanze abbiamo bisogno di comprensione e sostegno. È meglio che il vero aiuto provenga da degli esperti.
Conclusioni
Non possiamo che ripetere quando detto in precedenza: non bisogna ignorare questo tipo di messaggi. A volte, chi ha più bisogno d’aiuto è chi grida di meno e scrive di più dove non dovrebbe (sulle bacheche di Facebook o su Twitter).
Non vogliono studiare, non aiutano, rispondono male. Che fare?
Buongiorno amici. Oggi poniamo l’attenzione sugli adolescenti non collaborativi.
Non è sempre facile fare il genitore, soprattutto quando i figli sono un po’ ribelli, non obbediscono facilmente, non ascoltano, rispondono, non collaborano in casa e fanno i compiti a fatica.
Capita spesso di trovarsi incastrati in un meccanismo snervante, un dinamica che si instaura tra genitore e figlio basata su un tira e molla continuo, su un braccio di ferro a volte faticoso.
Tante volte, però, i comportamenti oppositivi del figlio sono una ricerca di attenzioni e soprattutto una ricerca di accettazione.
Gli adolescenti, quando non corrispondono al figlio che i genitori avrebbero voluto, quando la madre o il padre sono appesantiti dai loro comportamenti, non studiare, non riordinare, apparente menefreghismo, o rispondere male, scatta un meccanismo per cui si sentono rifiutati e tirano ancora di più la corda.
Ricerca di attenzioni
Le loro diventano reazioni oppositive, “mi vedono solo se vado bene a scuola, quindi ho deciso di andare male” , “mi devono voler beve anche se non faccio quello che mi dicono”, “non hanno capito che così mi fanno solo soffrire e allora faccio soffrire anche io loro”, “mi faccio bocciare così si accorgono che sto male“.
Questo non significa che bisogna dargliele tutte vinte ma semplicemente che si deve comprendere per evitare di creare un circolo vizioso, come un cane che si morde la coda.
Sono adolescenti, sono ragazzi in pieno conflitto con se stessi e a volte con il mondo che li circonda, non tutti sono omologati alla massa, tanti non riescono ad integrarsi e sono ancora più complessi da gestire e sfogano tutto dentro le mura domestiche.
Tanti ragazzi sono in crisi con il proprio corpo, con la propria identità per questo è la fase in cui avrebbero più bisogno di stabilità intorno a loro e di accettazione, anche o soprattutto, quando non sono il figlio modello.
Diventa quasi una sfida con il genitore e sono pronti a tirare la corda e la prima cosa che intaccano in assoluto è la scuola perché il genitore in genere tiene particolarmente al rendimento scolastico.
PIÙ FATE VEDERE CHE TENETE AD UNA COSA, PIÙ LORO LA INTACCHERANNO E ANDRANNO CONTRO.
Non capiscono che il male lo fanno a se stessi stessi, vogliono solo essere accettati e riconosciuti, a prescindere dalla scuola o da altre cose simili dove ci si basa sul rendimento come per esempio le prestazioni sportive.
A volte si devono confrontare con fratelli pesanti, ingombranti, che sono bravi, che vengono osannati dai genitori e si sentono ancora meno accettati e fuori luogo, rischiando di diventare rabbiosi e nervosi con il fratello o sorella in questione.
I COMPORTAMENTI PROVOCATORI SONO COMUNQUE RICERCHE DI ATTENZIONE E UNA RICERCA DI AFFETTO.
Che fare e come comportarsi con loro?
1. LEGGERE OLTRE I COMPORTAMENTI APPARENTI DEL FIGLIO E CAPIRE IL MESSAGGIO CHE VUOLE VERAMENTE MANDARE.
Si sentirà riconosciuto. È importante ricordare che comprendere non significa dargliela vinta su tutto ma leggere tra le righe per essere più efficaci ed evitare inutili litigate e scontri.
2. FARE UNA SORTA DI AUTOANALISI E DI VALUTAZIONE DEI PROPRI ATTEGGIAMENTI e comportamenti ogni tanto non guasta.
Significa anche capire che l’adolescenza di oggi è molto diversa dalla nostra, che i tempi sono completamente cambiati e che ogni tanto dobbiamo anche guardare dal loro punto di vista, senza perdere mai il nostro di adulti.
3. NON FATE MAI PARAGONI CON I FRATELLI O SORELLE O AMICI PIÙ BRAVI,
facendo raffronti sui risultati, sui comportamenti. “se fossi come lui”, “perché lei ci riesce e tu no?”, “guarda tuo fratello o tua sorella come sono bravi?”, “e il tuo amico come è andato?”, “anche lui si è comportato come te?”.
Sono tutte frasi da evitare perché pesano come macigni sulla testa dei figli e li fanno sentire ancora più pressati e sbagliati rischiando solo di esasperare i suoi comportamenti.
4. NON ACCUSATELI DIRETTAMENTE
con frasi dei tipo “tu sei cattivo”, “cosi mi fai star male”, “così mi mandi ai pazzi”, si sentiranno solo più fuori luogo, meno amati e poi compresi e in più proveranno sensi di colpa per farvi star male
. Dovete attaccare i loro comportamenti, il dissenso è verso ciò che fanno, non verso la loro persona.
5. RIPRENDETE IL DIALOGO IL PIÙ POSSIBILE,
abbassate i toni e dategli qualche attenzione in più, anche se secondo voi non se la meritano per come si comportano.
Ovviamente non va bene neanche il contrario ossia il diventare servizievoli o far finta di niente e fargliele passare tutte. La sana via di mezzo è sempre la soluzione migliore.
Il ruolo autorevole di contenimento e di chi instrada e governa, è sempre del genitore, non del figlio.
Se invece fate sempre ciò che dice andate solo a rinforzare quella modalità di comportamento e gli fate capire che “più fa i capricci, più ottiene”.
6. APPROCCIATEVI A LORO IN MANIERA DIVERSA,
non partite dalla scuola, dall’attenzione per i voti o per i compiti, ma iniziate da domande che indagano sul loro stato emotivo, anche se vi rispondono a monosillabi o a mezza bocca.
E’ pur sempre una risposta o anche se non vi guardano e stanno attaccati al cellulare, vi stanno pur sempre ascoltando, non vi dimenticate che loro vivono in multitasking.
In questo modo si sentiranno riconosciuti come persone e non solo in funzione del rendimento scolastico.
Se si sentono pressati sulla scuola e capiscono che fate particolare ai voti intaccheranno per prima la scuola.
7. CERCATE DI CAPIRE GLI STATI EMOTIVI CHE SI NASCONDONO DIETRO QUESTI ATTEGGIAMENTI OPPOSITIVI,
il perché si comportano così, ripartendo dal dialogo evitando il più possibile urla e punizioni.
8. NON ESSERE SEMPRE PREVENUTI NEI LORO CONFRONTI.
Lo sanno di essere sbagliati e questo li fa star male, sanno che non siete contenti di loro, e in più se magari qualche volta fanno qualcosa bene o di giusto e voi sminuite o partite prevenuti che tanto è sempre colpa loro o sono sempre loro a creare i problemi staranno ancora più male e reagiranno peggio.
Contatti
Che voi siate genitori o figli, se vi trovate in uan situazione simile e avete bisogno di aiuto contattatemi cliccando qui
Io spero che parlare di adolescenti non collaborativi vi sia stat di aiuto per capire se chiedere aiuto .
Buongiorno amici. Oggi parliamo un po’ di genitori digitali. Ma sono davvero un esempio per i figli?
Famiglie
Le famiglie sono ormai sempre più digitali e, se pensiamo che bambini e adolescenti siano i più vulnerabili e attratti dalla vita online, gli adulti non sembrano da meno.
Gli stessi genitori, infatti, fanno fatica spesso a staccarsi dagli schermi e, impegnati tra social network e chat, sfociano in un uso improprio della tecnologia.
Quante volte capita di non resistere alla tentazione di guardare il telefono, di rispondere ad una chiamata, di scrivere un messaggio o una email mentre si parla, si mangia o si gioca con i figli?
Anche perché, per l’appunto, i dispositivi elettronici, per le loro caratteristiche, catturano facilmente la nostra attenzione ed è difficile in alcuni momenti non farsi distrarre da suoni, squilli e notifiche.
Il problema, però , è che spesso diventa un’abitudine consolidata e un comportamento sistematico, senza pensare che in questo modo si stia dando un esempio sbagliato ai più piccoli .
Come mantenere un equilibrio nell’uso della tecnologia ed essere un modello positivo per i figli?
1. RITAGLIARSI DEI MOMENTI LIBERI DALLE ATTIVITÀ DIGITALI.
Cercate di dedicarvi al gioco e alla condivisione con i figli, mettendo da parte lo smartphone, tenendolo lontano da voi, in modo da godervi un tempo di qualità con loro, senza distrazioni
. Quando si è a tavola, ad esempio, il telefono deve essere messo da parte e, per non farvi tentare dal prenderlo in mano e visionarlo, tenetelo fuori dallo spazio in cui mangiate.
Oggi si è sempre molto occupati, si corre da una parte all’altra e c’è sempre meno tempo per interagire: non perdete l’occasione dei pasti che sono dei momenti importanti da sfruttare al meglio per dialogare e interagire in famiglia.
2. DISINTOSSICARSI DA SQUILLI E NOTIFICHE.
Bisogna imparare a gestire il tempo del digitale e a non farsi prendere dalla curiosità o dall’ansia dell’attesa di ricevere messaggi, email e quant’altro.
Quando si è in famiglia e con i figli, per non farvi distrarre ogni volta dal suono del telefono, silenziate le notifiche così da posticipare il momento in cui visionerete lo smartphone: imparate a rimandare e a dilazionare i tempi di risposta.
Un’altra regola, per dare il buon esempio ai figli, è quella di mettere il telefono in modalità silenziosa quando si è impossibilitati a rispondere, ad esempio di notte oppure quando si è alla guida dove spesso ci si distrae, mettendo in pericolo anche la propria vita.
3. PREDILIGERE LA COMUNICAZIONE FACCIA A FACCIA.–Genitori digitali
Ogni comunicazione ormai è affidata allo smartphone e, spesso anche in famiglia, si finisce col parlarsi tramite chat, anche da una camera all’altra della casa, inviando file audio o messaggi, o col mandarsi faccine per comunicare i sentimenti, piuttosto che farlo dal vivo.
Se i figli più piccoli apprendono indirettamente questa modalità di comunicazione osservando il genitore, i figli più grandi la utilizzano in prima persona, tanto da farla diventare la normalità.
In un’epoca di famiglie digitali, è fondamentale recuperare il dialogo e l’interazione faccia a faccia e il guardarsi negli occhi: tutte abilità che rischiano altrimenti di perdersi.
La responsabilità non è della tecnologia in sé ma dell’uso che se ne fa e del ruolo degli adulti nell’educare i bambini e gli adolescenti ad un corretto utilizzo.
È necessario che gli adulti forniscano ai figli quegli strumenti che gli consentono di sfruttare le risorse della tecnologia, senza però esagerare, per evitare un uso totalitario, mantenendo un equilibrio tra le attività digitali e quelle di interazione sociale.
E voi, siete genitori digitali? Che rapporto avete coi vostri ragazzi? E voi, ragazzi, avete genitori più social che famiglia?
Vi ricordo che se avete bisogno di me potete contattarmi qui per cominciare un percorso insieme e prenotare una consulenza
Oltretutto sul mio canale , “adolescenti istruzioni per l’uso”, potete sottoscrivere la membership e ottenere, con soli 30 euro mensili, webinar gratuiti e tutte le consulenze al mese che volete.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di mancanze nell’infanzia e di come diventiamo da adulti.
La teoria dell’attaccamento spiega quanto sia importante per ognuno di noi, per una crescita psico-fisica sana, avere una base sicura a cui tornare. La base sicura è il genitore, il caregiver in generale, cioè qualcuno che, oltre che prendersi cura del bambino nutrendolo e garantendo il soddisfacimento dei bisogni primari per la sopravvivenza, soddisfa il bisogno di amore, anch’esso indispensabile non per la sopravvivenza, ma per la vita.
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Sai cos’è la deprivazione emotiva? Partiamo da un preconcetto: la maggior parte dei genitori non è consapevole di star trascurando emotivamente il proprio figlio. Spesso succede che questo bisogno di amore e conferme non sempre vengano soddisfatti, e non necessariamente per cattiva volontà, ma a volte per mancanza di tempo ed energie, o perchè anche i genitori stessi a loro volta sono stati bambini e probabilmente non hanno ricevuto abbastanza amore e non hanno quindi imparato ad amare.
A volte sono piccoli gesti di non curanza protratti nel tempo a creare il seme della deprivazione emotiva. Problemi che non sempre vengono colti con velocità e immediatezza data l’apparente normalità nella quale il bambino sembra vivere.
Possiamo considerare tre sottospecie di trappola da deprivazione emotiva
1) Deprivazione di accudimento amorevole: i tuoi genitori ti tenevano abbastanza in braccio? ti coccolavano abbastanza? Ti consolavano e calmavano? Giocavano con te?
2) Deprivazione di empatia e riconoscimento: i tuoi genitori erano interessati ad ascoltarti? Erano capaci di capire i tuoi bisogni ed i tuoi sentimenti? Comunicavano con te?
3) Deprivazione di protezione e guida: da piccolo/a potevi fare riferimento ai tuoi genitori per essere supportato/a e protetto/a in caso di bisogno? C’era qualcuno che badava a te e ti faceva sentire al sicuro?
La disregolazione emotiva- mancanze nell’infanzia
I bambini durante la loro crescita cambiano e modificano continuamente il loro modo di “sentirsi” nel mondo. Durante questo percorso è capitato a molti di loro di non riuscire a dare un nome ed un senso a quelle sensazioni che provano, che qualche volta possono arrivare ad ingombrare tutto il loro sentire, non lasciando spazio e tempo per altro. Quando ciò succede ha inizio un disregolazione delle emozioni che può stravolgere e dare sofferenza in ogni ambito della loro vita.
Immaginiamo delle situazioni comuni in cui al bambino viene chiesto di reprimere le proprie emozioni, di non fare richieste, di non piangere perchè “diventare grandi vuol dire risolversi i problemi da soli” senza chiedere l’aiuto degli altri. O ancora, quelle situazioni in cui al bambino non viene mai dato un rinforzo positivo ma gli si rimanda che avrebbe potuto sempre fare di più, che qualcun altro è stato piu bravo di lui ecc.. tutto questo può interferire significativamente con la costruzione della propria autostima e sul proprio benessere emotivo.
Quando c’è un bambino arrabbiato, preoccupato, emozionato, gioioso è necessario che ci sia un adulto capace di ascoltare e di non invalidare qualsiasi tipo di emozione si presenti. Chiedere a un bambino preoccupato cosa lo disturbi in quel momento è il primo passo per educare alle emozioni. Se, al contrario, dinanzi a uno stato di preoccupazione ovvero di agitazione c’è un adulto che fa sentire inadeguato un bambino, quest’ultimo imparerà a non dar voce alla sua emotività.
Non ascoltare l’emotività di un bambino e non educarlo alle emozioni lo faranno crescere con l’inconsapevolezza di ciò che sentirà poiché l’emotività del bambino di ieri non sarà connessa con quella dell’adulto di domani.
Mancanze nell’infanzia: come diventiamo da adulti?
Quando i bisogni emotivi di un bambino non vengono soddisfatti durante l’infanzia, lo sviluppo della personalità verrà modellato in modi specifici. In effetti, una forte carenza emotiva può invalidare la sfera emotiva del bambino e l’adulto di domani, ne risulterà completamente sconnesso.
Le conseguenze della mancanza di affetto sono innumerevoli e diverse da individuo a individuo anche per aspetti individuali che possono incrementarle o ridurle, tuttavia sicuramente l’assenza di amore nelle sue diverse forme, lascia un segno e compromette l’immagine di sé, l’autostima e le relazioni nel corso della vita. Ecco alcune conseguenze:
Dipendenza affettiva
Non ti senti amato/a dal tuo partner? Forse dovresti accettare che non hai avuto dei buoni genitori!
Di fatto la carenza affettiva induce alla dipendenza emotiva. Le persone alle quali è mancato l’amore andranno per il mondo con avidità alla continua ricerca di affetto. Di qualunque forma affettiva possa loro confermare anche in maniera anomala, disturbata e non veritiera che vi sia dell’amore e della considerazione. Ricercheranno conferme e riconoscimento attraverso rapporti di dipendenza, rapporti nocivi ed insoddisfacenti. Infatti sono facili prede di approfittatori che tendono ad usare tale fragilità per manipolarla per i loro fini.
La relazione di coppia diventa quindi un’opportunità mediante la quale guarire una volta per tutte le proprie ferite: il partner diventa, in un certo senso, un sostituto del proprio padre o della propria madre e si pretenderà di essere amati incondizionatamente come ci si sarebbe aspettati dai propri genitori.
Tali presupposti comportano nella coppia comportamenti disfunzionali: la relazione diventa tesa e conflittuale, la comunicazione diventa aggressiva e sfidante dato che si pretenderà con forza ciò che si pensa spetti di diritto. Non mancano atteggiamenti passivo aggressivi vittimistici che lentamente vanno a ledere l’affettività, la sessualità e in più in generale l’intera relazione.
Mancanze nell’infanzia: Emarginazione
Sei fermamente convinto che l’amore o la vera amicizia non esistano? Forse hai paura di amare o peggio pensi di non essere all’altezza di stringere legami!
Per chi soffre di un vuoto affettivo la chiusura di un legame vuol dire cadere in una profondissima solitudine, avvertire un “nulla” che diventa intollerabile, andare avanti con una profonda sofferenza. Le carenze affettive nell’infanzia portano l’adulto ad una rassegnazione, a un ritiro emotivo e a un substrato depressivo. Ci si abitua a non essere abbracciati, a non essere baciati, a non essere amati e ci si convince di stare bene, che non sono necessarie avere relazioni perchè non si ha bisogno di niente.
Frustrazione in ambito lavorativo
Odi tutti: i tuoi colleghi e il tuo datore di lavoro? Sappi che l’ostilità verso gli altri nasce sempre da una mancanza….magari sei tu che non sei mai stato valorizzato da chi avrebbe dovuto farlo!
L’ambito affettivo-sentimentale non è l’unico contesto in cui possono venire fuori le proprie carenze affettive. Può avvenire lo stesso anche in ambito lavorativo. Chi non si è sentito riconosciuto e valorizzato durante l’infanzia potrà provare, per esempio, una fortissima frustrazione se non si sentirà valorizzato dal suo capo o dai suoi colleghi. Queste figure diventeranno inconsciamente una proiezione dei genitori.
Sviluppo di comportamenti aggressivi
Ti arrabbi al minimo intoppo e pensi che tutto ti sia dovuto? Probabilmente hai sviluppato un meccanismo di difesa inconscio per riscattarti da quella ancestrale ingiustizia subita
Un bambino cresciuto nell’indifferenza può sviluppare un comportamento aggressivo da adulto, specialmente se è stato sottoposto a continua trascuratezza emotiva. L’abbandono, l’ignoranza, la disaffezione o l’abuso sui minori possono trasformarsi in rabbia, risentimento verso i genitori o addirittura verso la società. Di conseguenza, è molto probabile che un orfano d’amore assuma un comportamento aggressivo.
Bastano delle piccolezze come un ritardo di un quarto d’ora o la mancata risposta ad un sms per mandarlo in escandescenza. Per chi si trascina carenze emotive, ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa può innescare una sensazione di disperazione che si traduce con rabbia e accuse.
Per esempio, se il partner non risponde ad un sms, penserà cose altamente ansiogene del tipo: ” Fa cosi perchè non gliene importa nulla di me”, ” Non può rispondermi perchè è con un altro/a” oppure ” Lo sapevo: ha intenzione di lasciarmi”.
Totale mancanza di empatia
Il tuo migliore amico o peggio il tuo partner mostra indifferenza verso i tuoi bisogni? Se è cresciuto privato dell’amore dei suoi genitori non c’è da meravigliarsi!
Un bambino che riceve amore sa donare amore, mentre se un bambino manca di amore e di affetto, può riprodurre lo stesso modello di comportamento da adulto, divenendo apatico e sviluppando la sua indifferenza verso la sofferenza degli altri. Potrebbe entrare in uno stato di freezing, non sentire il dolore degli altri e comportarsi in un modo totalmente privo di empatia, anche influenzando le sue relazioni sociali.
E tu, che adulto sei diventato?
E’ davvero triste che la vita di un bambino possa essere influenzata per sempre. Molto di più se è dovuto alla mancanza di attenzione, amore e affetto dei loro genitori o tutori. Adesso sei adulta/o, hai il potere e il diritto di amarti e di stare bene con te stessa/o. Diventa il genitore di te stessa/o e che non hai mai avuto. Rimetti a posto quel tassello mancante nel tuo sistema di credenze.
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Io spero che parlare di mancanze nell’infanzia vi sia stato utile.
Quali sono le situazioni che creano ribellione e come risolverle.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di figli ribelli e cosa genera questa ribellione.
Talvolta i genitori mi chiedono come possono costruire o recuperare un buon rapporto con i loro figli, bambini e/o ragazzi definiti “ribelli”. Spesso nei loro occhi leggo rassegnazione, come se le avessero già provate tutte.
È possibile instaurare una relazione costruttiva con i figli? È possibile educarli senza fare ricorso a punizioni o minacce?
Sicuramente sì!
Di fatto la cosiddetta ribellionenon è una caratteristica innata dei bambini, è un qualcosa che arriva nel tempo ed è spesso la conseguenza di 3 cose, che vediamo in questo articolo:
una percepita mancanza d’amore nei loro confronti;
una totale mancanza di regole o una presenza di regole non seguite;
una mancanza di libertà di movimento: di possibilità di esplorare sè stessi, le proprie capacità, il proprio sentire, il proprio ambiente – alle varie età.
1. Percepita mancanza d’amore da parte dei “figli ribelli”
Spesso come genitori, senza rendercene conto, abbiamo un sacco di pretese nei confronti dei nostri figli.
Desideriamo che facciano subito ciò che chiediamo loro, vogliamo che accettino sempre e comunque per buono quello che diciamo, vogliamo che ubbidiscano senza se e senza ma…
Quando questo non accade, talvolta tendiamo a reagire in modi poco amorevoli: alziamo la voce, facciamo piovere minacce di punizioni, magari ci chiudiamo nella relazione con loro tenendo musi lunghi ed evitando di rispondere se ci parlano.
E tutto questo si amplifica se siamo stanchi, se abbiamo avuto una giornata faticosa, se c’è qualcosa che ci preoccupa, se i bimbi “fanno i capricci” in luoghi pubblici facendoci sentire in imbarazzo, se con il loro atteggiamento vanno a toccare nostre ferite ancora attive.
I nostri figli pagano quasi sempre le conseguenze dei nostri stati d’animo.
Più siamo stressati a livello fisico, mentale e/o emozionale e meno pazienza abbiamo, meno abbiamo voglia di mettere in atto gesti di gentilezza, di comprensione, di cura… ovvero di amore.
Quante volte per stanchezza o tensione emotiva non dipendente da loro abbiamo reagito con rabbia? Quante volte abbiamo detto o fatto cose per le quali poi ci siamo pentiti sentendoci in colpa?
Sono cose che accadono e credo siano successe ad ogni genitore.
Generalmente come adulti ci viene automatico pensare che le nostre responsabilità, quello che abbiamo da fare noi, i nostri tempi siano più urgenti, interessanti e importanti di tutto quello che riguarda i nostri figli.
Il punto è che come noi abbiamo le nostre priorità, dettatte e determinate dalle scelte di vita che abbiamo fatto, loro hanno le proprie e non credo che crescere fisicamente, mentalmente ed emotivamente sia meno importante e faticoso.
Teniamo presente che ogni volta che reagiamo in malo modo originiamo una crepa nella relazione con i nostri figli e più questo accade, più fragile diventa il rapporto con loro.
Per evitare che questo accada, come genitori possiamo scegliere di applicare quello che, a mio avviso, è il principio fondamentale della genitorialità: individuare, soprattutto con il cuore, quali sono gli obiettivi educativi che come madre e padre ci poniamo nel lungo periodo.
Cosa desideriamo per i nostri figli nel lungo termine?
Avere ben chiaro questo ci può aiutare a rivedere i nostri atteggiamenti e comportamenti quotidiani, portandoci a sceglierne di funzionali e costruttivi anziché di disfunzionali.
Decidere di rispondere a un momento di stress, di difficoltà – anche derivante dalla relazione con loro ma non solo – in un modo efficace anziché in modo reattivo, ci permetterà di far vedere concretamente.
Che ne siamo consapevoli o meno i bambini imparano ciò che vedono e vivono. Imparano per imitazione e noi genitori educhiamo con ciò che siamo.
Se urliamo, facciamo i musi lunghi, li giudichiamo e critichiamo, questo sarà quello che i bambini apprenderanno e che facilmente replicheranno, anche con noi genitori.
Si sentiranno autorizzati a farlo proprio perchè l’hanno appreso da noi che siamo le loro figure di riferimento.
Il punto è che quando sono i figli a mettere in atto questi atteggiamenti come genitori li vediamo inopportuni, sbagliati e ci fanno dire che sono capricciosi e/o ribelli.
Emozioni..
Ricordiamoci sempre che le emozioni che proviamo sono la conseguenza dei pensieri che facciamo, ciò significa che se i pensieri che abbiamo riguardo ai figli sono di un certo tipo, ad esempio:
“se fa così vuol dire che non sono stata una buona madre/un buon padre”,
“se tiene questo comportamento vuol dire che non mi rispetta/considera/ascolta”,
“hanno il dovere di ubbidire”,
“sono io che decido e lui/lei ha da fare ciò che dico”,
“quando parlo hanno da agire subito”
è ovvio che se questo non avviene nei tempi e nei modi da noi desiderati ci arrabbiamo e reagiamo in modo esplosivo.
L’ amore
Così facendo però come genitori ci perdiamo la grande opportunità di far vedere ai nostri figli quale potrebbe essere un buon modo di stare in relazione.
Tutte le relazioni richiedono la presenza di un ingrediente essenziale: l’amore .
Le relazioni sono un luogo di crescita per tutte le parti in gioco e posso assicurarvi che, dai nostri figli abbiamo un sacco di cose da imparare oltre che su di loro anche e sopratutto su noi stessi.
Che ci piaccia o no ci mettono davanti alle nostre paure, ai nostri limiti, ai nostri irrisolti e ci danno l’opportunità e l’occasione per andare oltre.
Alla luce di questo, con che atteggiamento scegliamo di approcciarci a loro?
Cosa desideriamo veramente raggiungere con la modalità educativa che scegliamo di adottare?
Come genitori abbiamo individuato e stabilito gli obiettivi che nel lungo termine desideriamo ottenere o ci lasciamo guidare da quelli a breve termine?
Siamo consapevoli di dove può portarci il focalizzarci sugli uni piuttosto che sugli altri?
Vediamolo insieme.
Se ad esempio desideriamo che nostro figlio sistemi i giochi dopo aver giocato e che si lavi le mani prima di mangiare questi sono i nostri obiettivi desiderati nel qui e ora, ovvero nel breve termine.
Se questo non avviene nei tempi e modi ritenuti da noi consoni, può succedere che nella nostra mente inizino ad affollarsi dei pensieri negativi tipo: “Lo sta facendo apposta”,“Non mi ascolta mai”, ecc.
E ovviamente questi pensieri non potranno che generarci emozioni “negative” quali rabbia o frustrazione, alle quali facilmente seguiranno comportamenti coerenti.
Magari alziamo la voce, usiamo parole giudicanti, minacciamo di lasciarlo senza cena o di togliergli il cartone preferito…
Tutto questo farà sì che il bambino – anche se mette un muro e non lo dà a vedere – si senta impaurito dalle nostre parole, dal nostro atteggiamento: temerà di perdere il nostro amore.
I giudizi e le critiche lo feriranno, lo umilieranno, lo mortificheranno. Le punizioni e i “musi lunghi” non lo faranno sentire benvoluto e desiderato.
Paure
E la paura, che è la madre di tutte le emozioni “negative”, li porterà a chiudersi e a rispondere alla situazione con pianti, urli, lancio di oggetti, sbattimenti di teste sul pavimento e chi più ne ha più ne metta
E più questo accade, più questa si rinforza.
Praticamente, anche se ci è impegnativo vederlo, nostro figlio si sente esattamente come noi. Arrabbiato, frustrato, non compreso, non ascoltato, non visto…
Ognuno, momento dopo momento, ha le proprie priorità.
Le nostre possono essere vedere la casa riodinata e sederci per cenare, le sue potrebbero essere quelle di avere il genitore a disposizione per giocarci assieme o semplicemente continuare a fare quello che stava facendo.
E in questi momenti, in cui tutte le parti in gioco stanno male ed è sicuramente difficile trovare una soluzione costruttiva, ne consegue che, se questi sentiti continuano a fare da padroni, sarà facile che al momento di accompagnarlo a letto lo facciamo in modo freddo, senza bacio della buona notte, senza una coccola che lo rassicuri.
E altrettanto facile sarà che quando lo guarderemo addormentato, inizieremo a sentirci in colpa per come abbiamo agito. Dal canto suo il bimbo potrà dormire male, svegliarsi arrabbiato e se va all’asilo o a scuola potrebbe mettere in atto gesti di dominanza sui compagni, ecc.
Obiettivo
Alla fine magari il nostro obiettivo a breve termine è stato raggiunto: i giocattoli sono stati ordinati e le mani lavate, ma è probabile che sia il rapporto con nostro figlio che la sua autostima e sicurezza ne escano minati.
E si sa, gli anni passano e i figli crescono e se queste modalità non vengono riviste cosa potrebbe succedere? A venti o trent’anni che adulto sarà nostro figlio?
Se nel qui e ora, come genitori, ci facessimo delle domande diverse, cosa cambierebbe?
Se come genitori ci chiedessimo:
A venti o trent’anni che adulto vorremmo fosse diventato nostro figlio?
Che caratteristiche vorremmo avesse sviluppato?
Ci piacerebbe fosse una persona sicura di sé o meno?
che avesse fiducia negli altri o no?
O fosse una persona empatica o meno?
Ci piacerebbe fosse una persona amorevole o reattiva?
Che rapporto desideriamo avere con lui/lei quando sarà adulto?
Stiamo seminando per essere visti come figure di riferimento su cui poter contare?
Ecco, quando pensiamo a questo, quando ci poniamo questi interrogativi, stiamo di fatto individuando i nostri obiettivi a lungo termine che nel presente possono fungere da faro per guidare i nostri atteggiamenti e comportamenti nella direzione più opportuna.
Il lungo termine
Se scegliamo di controllarci, se scegliamo di investire tempo ed energie per spiegare al bambino/ragazzo perché gli stiamo chiedendo quella determinata cosa e soprattutto perché sarebbe bene la facesse, è probabile che dopo qualche volta non avremmo più bisogno di ripeterlo: lo avrà compreso, vedrà un senso in quell’azione che gli viene richiesta e, soprattutto, nel compierla si sentirà utile.
Ricordiamoci sempre che i bambini (e per noi sarebbe la stessa cosa) imparano meglio quando si sentono rispettati, compresi, protetti, sostenuti e amati.
Se vivono questi sentiti, difficilmente andranno in difesa caratteriale, in opposizione, in sfida, in quanto si sentiranno parte attiva nella famiglia, oltre che sentirsi sostenuti e protetti nella crescita.
2. Mancanza di regole o regole stabilite ma non seguite
Oltre che quando si sentono rispettati e compresi, i bambini (e non solo loro) imparano meglio quando ricevono informazioni, quando capiscono perchè è importante che agiscano in un certo modo, quando sono aiutati e supportati a trovare dei metodi costruttivi per raggiungere i loro obiettivi, quando sentono che i loro genitori credono in loro e soprattutto quando comprendono i motivi che stanno alla base delle regole adottate in famiglia.
E proprio riguardo alle regole, talvolta, come genitori commettiamo due “errori”:
Tendiamo a stabilire e imporre regole da rispettare che poi per primi infrangiamo.
I figli ci osservano in ogni momento, imparano da noi ed è normale che se non ci vedono coerenti si ribelleranno a tutte quelle imposizioni che noi per primi non rispettiamo.
Quando diciamo loro “non si urla” ma appena “sbagliano” qualcosa alziamo la voce, che messaggio stiamo passando?
O ancora, “non si alzano le mani” ma quando fanno “i capricci” (veramente sono capricci?) o qualche marachella ci scappa una sculacciata, che messaggio stiamo passando?
Predichiamo loro che hanno da portare rispetto, ma per primi li giudichiamo, critichiamo (o critichiamo in loro presenza l’altro genitore o altre persone), che messaggio stiamo passando?
O ancora che hanno da ascoltarci ma per primi non ci fermiamo a capire le loro ragioni, che messaggio stiamo passando?
A volte reagiamo a determinate situazioni alzando la voce o le mani, a siamo i primi che critichiamo o giudichiamo, di fatto stiamo insegnando ai nostri figli l’esatto opposto di quello che vorremmo imparassero, in più ogni volta che reagiamo in questo modo perdiamo una grande opportunità educativa: quella di far vedere loro come si può rispondere ai momenti di avversità, di difficoltà dove le cose non sono come vorremmo noi.
Oltre all’effrazione in primis delle regole, può anche accadere che, nonostante queste ci siano, a volte permettiamo e accettiamo che vengano infrante da loro.
E se in determinati momenti chiudiamo un occhio o talvolta entrambi, come possiamo pensare di imporle in altri?
Se non insegniamo il valore di quella regola e il senso del suo rispetto giorno dopo giorno, non possiamo poi aspettarci e pretendere che venga fatto quando andrebbe bene a noi.
La cosa utile da fare per ovviare a tutto questo è quella di stabilire poche regole fondamentali. Hanno da essere chiare, precise e soprattutto condivise con loro.
Le imposizioni non servono a nulla e le punizioni nemmeno: rischiano soltanto di ottenere l’effetto opposto ovvero di mandare il bambino/ragazzo in sfida con noi adulti.
Ricordiamoci che, come genitori, siamo guide non giudici dei nostri figli perciò invece di punire, passiamo loro il senso di responsabilità che consiste nel fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni e non con le nostre minacce.
Regole e conseguenze
Se insieme a loro condividiamo regole e conseguenze credo che inevitabilmente passiamo un messaggio di libertà e correttezza che vive nel comprendere e nel riparare al “danno”.
Difficilmente ci sono atteggiamenti ribelli e di sfida dove vivono libertà e senso di giustizia.
Se ad esempio nostro figlio preferisce prepararsi la cartella al mattino anziché alla sera lasciamolo libero di scegliere.
Magari spieghiamogli che se lo fa alla sera il mattino successivo può dormire dieci minuti in più o fare colazione con più calma o può avere più tempo per verificare di aver fatto tutto al meglio per il giorno successivo, ma se lui sceglie di farlo al mattino lasciamolo libero.
Fissiamo insieme in modo chiaro l’ora di uscita e concordiamo come ci regoleremo qualora, all’ora stabilita, non fosse pronto. Facciamogli comprendere che una sua mancanza si ripercuoterebbe anche su di noi facendoci magari arrivare tardi al lavoro e spieghiamogli cosa questo comporterebbe.
Alla fine sperimentiamo, concordiamo un periodo di prova di una settimana per vedere come va. Se le cose funzionano ottimo, in caso contrario parliamone assieme per trovare un nuovo accordo condiviso.
Sicuramente è una via più impegnativa e faticosa ma nel lungo tempo lo renderà una persona responsabile, capace di trovare soluzioni e di mediare piuttosto che una persona colpevole e in sfida.
3. Mancanza di libertà
Se il bambino sente minacciata la sua libertà di esplorare, sperimentare, muoversi, agire, decidere, scegliere, facilmente diventerà ribelle.
La libertà, per quello che è possibile ad ogni età, è il bene più prezioso che abbiamo e i genitori avrebbero da essere proprio quelle persone che guidano i figli in questa strada nel modo più efficace possibile.
Ma se come genitori impediamo tutto questo e diventiamo coloro che tengono il bambino o ragazzo in trappola è ovvio che in lui nasceranno emozioni di rabbia, risentimento e rancore nei nostri confronti.
Ed è altrettanto ovvio che ne seguiranno dei comportamenti e atteggiamenti disfunzionali. Generalmente quando come genitori limitiamo la libertà dei figli lo facciamo a causa delle nostre paure.
Invece di perseverare in questo atteggiamento repressivo, sarebbe utile cogliere l’opportunità di osservare, attraversare e vincere ciò che per primi ci blocca e che più o meno consapevolmente tendiamo a riversare sui nostri figli.
La nostra libertà interiore diventerà inevitabilmente la loro, come le nostre prigioni interiori diventano inevitabilmente le loro… Prendiamoci cura di ciò che ci impatta perchè solo così istaureremo relazioni autentiche e funzionali con i nostri figli e non solo.
Consigli per risanare la relazione genitore-figlio
Alla luce di quanto visto per recuperare o risanare la relazione con i figli, è importante che teniamo presente che un bambino/ragazzo si ribella perchè, dal suo punto di vista, che è diverso dal nostro, ha un ottimo e valido motivo per farlo.
Se con pazienza, presenza e disponibilità cerchiamo di comprendere cosa pensano e cosa provano i nostri figli nelle diverse situazioni.
Se insieme ci impegniamo a rimuovere quei motivi, se ci teniamo sempre nella mente e nel cuore qual è il nostro obiettivo educativo a lungo termine, se li vediamo come persone diverse da noi con le loro propensioni, ecco che avremo imboccato la via giusta per creare una buona relazione.
Inoltre abbiamo da agire per essere veramente per loro dei punti di riferimento affidabili e coerenti, quindi per primi, e soprattutto nel rapporto con loro, abbiamo da essere delle persone che:
rispettano le regole;
li coinvolgono nella definizione delle regole, spiegandone loro il senso;
esprimono il proprio punto di vista e rimangono aperti ad ascoltare il loro;
non giudicano ma cercano di comprendere e li sostengono nel miglioramento;
li accompagnano ad apprendere dai loro “errori”;
aiutiamoli a comprendere che ogni azione, ogni decisione, ogni scelta implica delle conseguenze da affrontare;
a capire che ogni loro azione, decisione, scelta potrebbe implicare delle conseguenze anche nella vita degli altri;
sosteniamoli nella libertà di esplorare;
si impegnano a gestire lo stress, a lasciar andare le pretese, a incanalare la rabbia per trasformarla in azioni costruttive anziché distruttive;
non usano imposizioni, manipolazioni, minacce per ottenere ciò che vogliono nell’immediato.
Aspettative
E nel fare tutto questo sarebbe utile che non alimentassimo aspettative sul risultato.
Restiamo nel processo con fiducia e amore perchè come non sono divetati “capricciosi, ribelli, sfidanti” da un giorno all’altro, ci vorrà il giusto tempo affinchè si sentano sicuri e sereni di poter agire in modo nuovo e diverso.
E soprattutto non etichettiamoli come “capricciosi, ribelli, o altro” perchè di fatto nonsono “capricciosi, ribelli…” ma scelgono di adottare quel determinato comportamento perchè per loro è la cosa migliore in quel momento.
Se separiamo il fare dall’essere ovvero i comportamenti dalla persona, possiamo agire sui primi, continuando ad amare e guardare loro come alle creature meravigliose che sono.
Io spero che parlare di figli ribelli vi sia stato di aiuto.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di adolescenti, come educarli nel modo corretto.
“Aiuto, ho un adolescente in casa!” Eh sì, il più delle volte, quando si ha a che fare con un adolescente, il grido di un genitore (o altro familiare) è proprio così: quasi disperato.
Ammetto che, quando anni fa sentii dire una mia conoscente che all’epoca aveva una figlia adolescente “Datemi una botta per addormentarmi e svegliatemi quando tutto sarà finito!”, pensai che fosse un tantino esagerata. I miei figli erano ancora lontani da quell’età e, pur con tutte le fatiche oggettive della genitorialità, ritenevo tutto perfettamente gestibile e “sotto controllo”.
Ecco, quel “sotto controllo” nel gran parte dei casi con un adolescente va in frantumi.
Non è un male, intendiamoci: la cosa è perfettamente fisiologica. Ma non per questo meno spaventosa. Sì, siamo sinceri, per un genitore è spesso spaventosa la trasformazione repentina che subisce il proprio pargolo a livello comportamentale (a quello fisico siamo di solito pronti, e anzi ce lo aspettiamo con curiosità).
La notizia forse consolatoria è che tutto quanto sia altrettanto spaventoso per l’adolescente.
Adolescenza
La parola adolescenza deriva dal verbo latino “adolescĕre” = crescere, e sta a delimitare il tratto dell’età evolutiva di transizione dallo stato infantile a quello dell’individuo adulto, nell’arco di tempo che va generalmente dai 10 ai 17/18 anni (ma oggi si parla del limite spostato fino a 25 anni). È in atto una vera e propria rivoluzione, in quanto il cambiamento avviene rapidamente, coinvolgendo più aree: modifiche somatiche, modifiche psicologiche, sviluppo della sessualità, la maturazione del pensiero, mutamento fisiologico del cervello e la tempesta ormonale a intensità massima. Mettiamoci in concomitanza la crisi di mezza età dei genitori, e la situazione si complica ulteriormente.
Per quanto un genitore possa aspettarselo, non è mai abbastanza preparato per quando arriva il fatidico momento, semplicemente perché ogni caso è a sé. Ci sono quelle poche eccezioni in cui gli adolescenti sono tranquilli, quasi invisibili e non danno problemi – ma al di là della comodità, lì è il caso di farsi qualche domanda ulteriore sul vissuto emotivo dei ragazzi a cui manca l’atteggiamento ribelle, perché potrebbe covare una sofferenza interiore per l’incapacità di un’espressione autentica (le cause possono essere svariate).
Perché? Semplicemente perché è compito dell’adolescenza “rompere” la tipologia del legame stabilito fino a quel momento tra genitori e figli. Quanto è dolorosa la rottura, tanto lo è la sua mancanza.
Crescere
Per crescere bisogna rompere il bozzolo. Punto. Ricordandoci l’adolescenza, forse riusciamo a capire meglio perché anche in età adulta ci spaventa la crescita e il cambiamento: è la fine di un mondo, non ci sono sinonimi.
Ma contemporaneamente è anche l’inizio di un nuovo mondo, inteso nel senso esistenziale. Cresce l’adolescente, ma cresciamo anche noi, come genitori e come persone. È proprio affrontare queste problematiche che ci fa crescere.
In tutti gli inizi sono contenute due dinamiche opposte: la paura dell’ignoto e l’eccitazione del nuovo. Ecco, un adolescente oscilla vistosamente tra queste due emozioni (paura ed eccitazione), e ha bisogno di imparare a gestirle. Tornerà utile in tutte le successive fasi della vita.
Compito del periodo adolescenziale è distaccarsi dai genitori, allontanarsi, rendersi autonomi in tutti i sensi: fisicamente, emotivamente e mentalmente. E contemporaneamente gli adolescenti si distaccano anche da se stessi come erano fino a poco fa. Il corpo stesso in alcuni periodi cambia così velocemente, che ci si trova estranei nella propria pelle. Non è facile, ammettiamolo (anche se magari noi non ce lo ricordiamo più). Ma non è facile nemmeno per un genitore (o altro familiare) trovarsi di persona davanti al “Caso del Dr. Jekyll e Mr. Hide”, dove a volte il primo pensiero che viene è quello di chiamare un esorcista.
Ecco, i 10 Segreti per educare un adolescente:
1. Essere presenti
Sembra banale, ma non lo è: ragazzi, anche se non vi sopportano, hanno bisogno di sapere che ci siete;
2. Porre i limiti
Hanno bisogno di sentirli per poterli forzare e misurarsi, calibrare il proprio comportamento;
3. Esprimere l’amore, qualsiasi cosa succeda
Questo è un punto molto importante, che può essere difficile da gestire: per i genitori troppo “appiccicosi” si tratta di contenersi un po’ e rendere l’espressione dell’affetto più discreta (ma tuttavia presente), mentre per i genitori poco espansivi si tratta di imparare a palesare l’affetto (con parole, gesti o con azioni concrete) senza mai usare la negazione dell’amore come ricatto…dite al figlio adolescente “Ti voglio bene” in tutti i modi;
4. Accettare le proprie imperfezioni
Gli adolescenti hanno bisogno di “massacrare” l’immagine dei genitori (fino a quel momento ritenuti degli supereroi) per sentirsi liberi di costruire la propria autostima “scollegata” da essi…tranquilli, dopo qualche anno tornerete ad essere “niente male”;
5. Essere autorevoli, ma non autoritari
Ragionate con loro sul perché dei “no”, in questo modo li aiutate a costruire le sinapsi nel cervello per fronteggiare le frustrazioni, oltre che a sviluppare la capacità di discernimento;
6. Ammettere i propri errori e se è il caso chiedere scusa
Non è il segno di debolezza o mancanza di autorità, ma di forza di carattere e coerenza (che gli adolescenti apprezzano molto), nonché di accettazione di poter sbagliare (se non lo accettiamo noi, da chi possono prendere esempio?), rimanendo amati lo stesso;
7. Motivarli
Non dandogli subito tutto quello che vogliono, ma creare le sfide da superare, il modo di “guadagnarsi, sudarsi” qualcosa che desiderano…ricordiamoci che il desiderio va coltivato, e si spegne laddove si ottiene tutto e subito;
8. Essere positivi riguardo il futuro
La frase che troppo spesso sento pronunciare, quasi automaticamente, “le cose vanno sempre peggio” magari è detta in buona fede perché si ha a cuore il benessere dei figli, ma di certo sortiscono l’effetto di privarli del coraggio di affrontare il futuro…e ricordiamoci che non ci possiamo sostituire a loro né tantomeno “proteggerli” dalla vita. Abbiamo il dovere di essere incoraggianti, se niente altro per puro rispetto verso le loro sfide, visto che noi, bene o male, le nostre le abbiamo superate;
9. Ascoltarli
Anche se tutto quel che hanno da dire è un fiume di parole più o meno indistinto in cui la frase chiave è “nessuno mi capisce”…è un modo lento e un po’ rocambolesco di capire qualcosa su se stessi;
10. Accettare i loro amici
Anche quando non ci piacciono; anzi se possibile farseli amici e cercare di non criticarli (otterremo un probabile effetto di rinforzare il loro attaccamento), semmai parlare e ragionare insieme dei loro comportamenti o problematiche. Il gruppo dei pari per un adolescente è praticamente la famiglia.
Qualche condivisione sull’esperienza adolescenziale, sia nel ruolo del genitore che del figlio? Aspetto i commenti, dopo l’ascolto del brano “Nessuno ti capisce”.
Io spero che parlare di adolescenti e di come educarli nel modo corretto vi sia stato utile.
Vi ricordo che se avete bisogno di me potete contattarmi qui
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sull’ ammettere i propri errori e sul perché, per molti, è così difficile.
Se errare è umano, ammettere l’errore e chiedere scusa dovrebbe renderci divini (parafrasando le parole di Alexander Pope). Tuttavia, viviamo in un’epoca segnata dall’apparente infallibilità, in cui abbondano le persone che faticano ad ammetterei propri errori, i politici che non si assumono le proprie responsabilità e le istituzioni che non accettano il peso dei propri sbagli.
Perché è difficile ammettere i propri errori e le proprie bugie? È curioso notare che capita più spesso di ricevere delle scuse velate per uno specifico errore che trovare qualcuno che ammetta con coraggio e trasparenza di aver commesso un errore o un’ingiustizia.
è sempre più facile sentirsi dire: “va bene, mi dispiace se ti ha dato fastidio” piuttosto che “va bene, sono sicuro di aver sbagliato, ho commesso un errore”. Con il primo esempio si cerca di riparare leggermente il fattore emotivo, ma non si dimostra un autentico sentimento di responsabilità; non ci si assume pienamente le proprie responsabilità, manifestando le scuse in modo aperto, sincero e coraggioso.
Non è facile ammettere di poter fallire. Questo tentativo affannoso di dimostrare di essere intoccabili, di non essere vulnerabili all’errore, di essere altamente produttivi crea scenari molto rigidi, complessi e malsani. Magari dimentichiamo che la felicità non consiste nell’essere divini, ma nell’essere umani.
noi ci ostiniamo a voler dare agli altri l’immagine di persone decisamente efficienti.
Ammettere i propri errori, assumersi le proprie responsabilità riguardo a menzogne o a cattive decisioni che hanno portato a serie conseguenze significa avere “una lettera scarlatta” addosso che nessuno vuole indossare.
Ciò si deve innanzitutto all’idea di fondo secondo cui ammettere uno sbaglio equivale a mostrarsi deboli. Parliamo di quelle persone che non sanno ammettere i propri errori e che fanno parte del nostro ambiente. Cosa si nasconde dietro questi profili?
Narcisismo-ammettere i propri errori
Questo tipo di personalitàè caratterizzato da una smisurata autostima e non ammetterà mai un errore. Farlo significherebbe violare le proprie aspettative di competenza assoluta. L’individuo preferirà sottolineare gli errori altrui a dimostrazione della propria innocenza.
Irresponsabilità personale
L’irresponsabilità personale è relazionata all’immaturità emotiva e alla mancanza di abilità sociali. Le persone che non ammettono i propri errori sono le stesse che manifestano gravi carenze sociali; sono coloro che fanno fatica a vivere con gli altri, a rispettarli, a creare legami importanti, a fare gioco di squadra o a pianificare il futuro.
Insomma, se non mi prendo la responsabilità dei miei errori, assumo che non esistono, ammetto di essere infallibile e che le mie azioni non hanno conseguenze. In definitiva, sto affermando di essere capace di fare tutto. Questo atteggiamento ci conduce inevitabilmente al fallimento e all’infelicità.
Meccanismi di difesa
Commettiamo tutti degli errori e quando lo facciamo, abbiamo due opzioni. La prima è la più razionale, ed è ammettere l’errore, assumercene le responsabilità. La seconda è rigettarne ogni responsabilità, negarlo e alzare intorno a noi un sofisticato muro difensivo.
Pur essendo coscienti di aver sbagliato -e della presenza di una dissonanza cognitiva- scelgono di mettere a tacere questa parte di sé per proteggere il proprio ego.
Non è mai tardi per scendere dal nostro piedistallo ed essere umani; per ammettere i nostri sbagli e dare spazio a una meravigliosa occasione di crescita personale.
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Utili strategie per imparare questa importantissima arte di vivere.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo dell’importanza di saper ascoltare.
Saper ascoltare è fondamentale per una comunicazione efficace.
Tuttavia, sono poche le persone che sanno ascoltare davvero. Si tende a non prestare attenzione, pur dissimulandolo, e ciò provoca diversi conflitti che influenzano il rapporto con gli altri.
Non siamo consapevoli dell’importanza di saper ascoltare e di quanto sarebbe utile potenziare questa abilità. Tuttavia, il nostro bisogno di essere ascoltati prevale e diventiamo egoisti senza notarlo.
“Parlare è una necessità, ascoltare è un’arte.”
-Goethe-.
Ascoltare e sentire
Ascoltare e sentire sono due atteggiamenti diversi. Dopo un’intera giornata si sentono molte cose, ma si ascolta poco.
Quando sentiamo, non prestiamo molta attenzione, semplicemente captiamo la successione dei suoni prodotti intorno a noi.
Quando ascoltiamo, la nostra attenzione è diretta verso un suono o un messaggio specifico, ovvero vi è un’intenzione, motivo per cui attiviamo tutti i sensi. Così, le persone che sanno ascoltare gli altri li accompagnano nel loro viaggio attraverso la vita.
Ricordate quando in classe c’era un insegnante e non si era interessati a quello che diceva? Non vi si prestava ascolto, semplicemente si avvertiva la sua voce.
Il canale uditivo riceveva il suono che emetteva, ma non lo capiva. La mente era altrove, ignorando quanto percepito attraverso le orecchie.
“Ascoltare attentamente rende speciale, perché quasi nessuno lo fa.”
-Ernest Hemingway-
Ebbene, questo atteggiamento in una lezione noiosa può essere trasferito nel proprio quotidiano. A volte è molto più facile sentire piuttosto che ascoltare, poiché quest’ultimo richiede la volontà di prestare attenzionee di sforzarsi di capire. Si chiama ascolto attivo ed è necessario e importante.
Saper ascoltare
Un proverbio orientale dice: “Nessuno rende più evidenti la sua goffaggine e la sua cattiva educazione di chi comincia a parlare prima che il suo interlocutore abbia finito”.
A volte si mostra difficoltà di ascolto, poiché si elabora mentalmente quello che si dirà quando l’interlocutore avrà finito di parlare. Si fa ciò piuttosto che sforzarsi di prestare attenzione a quello che dice, il che provoca incontinenza verbale.
Ebbene, parlando allo stesso tempo e non ascoltando le ragioni altrui, non ci saranno dialoghi in quanto tali, ma monologhi giustapposti.
Saper ascoltare è difficile, poiché richiede padronanza di sé e implica attenzione, comprensione e sforzo per cogliere il messaggio. Significa rivolgere la nostra attenzione all’altro, entrare nella sua area di interesse e nel suo quadro di riferimento.
Il dialogo richiede un atteggiamento silenzioso di ascolto attivo. Lo scrittore e oratore J. Krishnamurti ha dichiarato: “Ascoltare è un atto di silenzio”.
Finché non zittiamo il nostro dialogo interiore e prestiamo attenzione al nostro interlocutore, non impareremo ad ascoltare. Solo un atteggiamento di ascolto attivo rende feconda la parola che possiamo dare al nostro interlocutore.
È difficile poter dire all’altro qualcosa di valido se non apriamo bene le orecchie per ascoltarlo. Ciò fa sentire l’altra persona grata e creare un clima di rispetto, stima e fiducia.
L’ascolto è un’abilità che richiede apertura, trasparenza e voglia di capire. Il giusto equilibrio tra saper ascoltare e saper parlare produce dialogo.
Suggerimenti per saper ascoltare
Se vogliamo potenziare la nostra capacità di ascolto, prima di tutto dobbiamo identificare gli aspetti dell’ascolto attivo in cui abbiamo dei deficit e poi lavorare su di essi.
Questi aspetti possono essere sintetizzati in: attenzione all’interlocutore, interesse trasmesso, aspettare prima di rispondere, la capacità di dare e ricevere feedback ed empatia. A seguire presentiamo alcune tecniche che aiutano a lavorare ciascuna dimensione.
Prestare attenzione
Se non ascoltiamo il messaggio dell’altro, ci sarà impossibile ascoltare. Proviamo a concentrarci su ciò che ci dicono e ignoriamo tutti gli elementi di distrazione (interni ed esterni).
Allo stesso modo, facciamo uno sforzo per capire la posizione del nostro interlocutore e prestiamo attenzione al suo linguaggio del corpo, così identificheremo il contesto più facilmente e potremo capire l’intero messaggio. Infine, è di vitale importanza non interrompere e coltivare la pazienza.
Mostrare interesse
Saper ascoltare implica mostrare che siamo interessati a ciò che ci dicono. In caso contrario, l’altro percepirà di non essere curato e noi provocheremo una sua risposta negativa. Per denotare interesse, l’ideale sarebbe:
Fare brevi commenti e gesti di assenso che dimostrino che stiamo ascoltando.
Adottare una posizione del corpo in ascolto, che implica mantenere il contatto visivo, ridurre la distanza, orientare la postura verso l’altro, evitare le braccia incrociate, ecc.
Rinviare il giudizio
Quando l’interlocutore ci esprime le sue idee, dobbiamo essere in grado di mettere a tacere il nostro dialogo interiore. A tale scopo, bisogna evitare di trarre conclusioni mentre l’altra persona sta parlando.
Piuttosto, cercare di cancellare i preconcetti sull’argomento, non interrompere e mettere da parte le emozioni. Per riuscirci, non c’è niente di meglio della pratica.
Dare e ricevere feedback
È un aspetto molto importante per una comunicazione efficace. Possiamo chiedere di chiarirci le idee a noi non chiare e riformulare, con parole nostre, il messaggio che abbiamo catturato. Così evitiamo di cadere in inutili malintesi.
Essere empatici
Senza empatia non c’è ascolto attivo. Pertanto, affinché avvenga una comunicazione efficace, dobbiamo essere in grado di metterci nei panni dell’altro e capirlo.
Oltre a ciò, dobbiamo prestare particolare attenzione a quei messaggi che vanno oltre le parole, come: i loro sentimenti ed emozioni trasmesse, così come il loro linguaggio del corpo.
Conclusioni
Esercitiamo la capacità di saper ascoltare! È un esercizio salutare, appagante e di supporto, soprattutto in una società in cui ci sono molte persone che hanno bisogno di essere ascoltate.
Solo quando siamo in grado di ascoltare l’altro, apriamo la porta per comunicare con noi. Pertanto, non sottovalutiamo la capacità di ascolto. Abbiamo davvero iniziato a farlo?
Io spero che aver parlato di come saper ascoltare vi sia stato utile.
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