Riflettiamo sul significato del voto e dell’autostima
Buongiorno amici.. Oggi riflettiamo sul fatto che il voto non è un’etichetta.
La notizia
Giusto un paio di giorni fa, il tg diede la bruttissima notizia di una ragazza di 19 anni suicidata all’interno dell’università Iulm di Milano.
Si è tolta la vita impiccandosi nel bagno dell’istituto lasciando un biglietto dove si scusava per essere una fallita non avendo superato un esame.
Sgomento, ovviamente, tra chi ha trovato il corpo, i docenti e tra chi come me, lavora con i ragazzi.
Il voto non è un’etichetta
Il irono dopo, appunto, ho volutor egistrare una diretta sul mio profilo instagram ( @dottoressanapolitano), per riflettere insime ai partecipanti e a ch ha seguito la registrazione qualche ora dopo, sull’importanza del voto per i ragazzi: su come viene sopravvalutato e mal interpretato e sul cocnetto di autostima.
Perché alla fine, ragazzi, dipende tutto da questa.
Autostima- il voto non è un’etichetta
Quell’autostima che può essere alimentata nel modo corretto o annientata dal proprio nucelo familiare e, successivamente in età più adulta, da amici, colleghi, compagni di classe .
Non voglio spoilerarvi molto sulla diretta perché merita di essere vista, che voi siate genitorio ragazzi.
Godetevi quindi la diretta su il voto non è un’etichetta.
Vi ricordo, inoltre, che se vaete bisogno del mio aiuo potete contattarmi tramte la sezione “contatti e consulenze” del sito
Buongiorno amici. Ogg parliamo di autolesionismo adolescenziale.
Non ne vorremmo parlare. Eppure tacere sull’autolesionismo è il primo errore. Sempre più ragazzine, ragazzi e giovani donne si tagliano braccia e gambe. O si provocano piccole ustioni o bruciature di nascosto. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa che da anni studia e affronta i disagi che portano all’autolesionismo
Non è un disturbo marginale. In Europa, pratica l’autolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti. Sono dati inquietanti, frutto di una meta analisi basata su molti studi sull’argomento che hanno coinvolto la popolazione in generale. In Italia, però, la situazione non è migliore, anzi. «Prima della pandemia da Covid-19 la fotografia italiana riguardo all’autolesionismo rispecchiava questi dati europei, in particolare per gli adolescenti i casi interessavano circa il 17% dei giovani».
«Dopo il lockdown e le varie restrizioni, però la situazione è fortemente peggiorata. Dal 2020 al 2021 si è assistito a una crescita del +10%, in particolare tra gli adolescenti. Adesso si stima che l’autolesionismo interessi circa il 27% dei ragazzini»
Perché sono così tanti quelli che si tagliano
Forse dovremo scrivere perché sono così tante quelle che praticano l’autolesionismo. Anche per questo problema, infatti, le donne hanno “vinto” il primo premio. «Sicuramente il sesso femminile è un fattore di rischio, ma anche tra i ragazzi l’autolesionismo non suicidario è molto diffuso. In parole più semplici, ci si fa male non con lo scopo o l’intento di arrivare a togliersi la vita (meno male! ndr).
Ma perché provocarsi del dolore aiuta a stare meglio» chiarisce la professoressa Borroni. L’autolesionismo, in pratica, aiuta a gestire un disagio. A tenerlo sotto controllo. «Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, l’autolesionismo non suicidario compare come disturbo mentale autonomo, che necessita di ulteriori studi» spiega la professoressa Serena Borroni. «È anche vero, però, che il provocarsi dolore o ferite è un sintomo trasversale, comune ad altri problemi psicologici».
L’autolesionismo come valvola di sfogo
Tagli, punture, bruciature di sigarette. Ma anche sbattere la testa contro il muro. O sfregarsi la pelle fino a farla sanguinare. Sono queste le strade più comuni percorse da chi sceglie di darsi dolore, fino ad arrivare al sanguinamento o a serie echimosi. «Provocarsi una lesione permette di provare una sensazione di sollievo. Soprattutto in chi vive un profondo disagio, come la rabbia, la tristezza, una forte ansia, una tensione interiore. O comunque un disagio cognitivo emotivo» chiarisce la psicologa clinica e psicoterapeuta. Si prova sollievo dalla sofferenza interiore, grazie al sanguinamento o al dolore che ci si è inflitti. Ma come è possibile? «Si sposta il disagio dal piano emotivo e psicologico a quello fisico e lo si fa in modo consapevole. Quindi è come se in qualche modo si riuscisse a gestire quel malessere, che porta a compiere azioni di autolesionismo» .
Può nascere una dipendenza
Il fatto che l’autolesionismo provochi sollievo è uno stimolo a ripetere l’azione, anche se poi le braccia si ripieno di taglie e ferite. Nel momento in cui si vive un forte disagio interiore, ciò che fa stare meglio viene subito praticato. Pure se “il meglio” è finire al Pronto Soccorso. «La tendenza a ripetere i gesti di autolesionismo, alla lunga, può provocare una vera e propria dipendenza, perché certi comportamenti diventano l’unico modo che la persona ha nell’alleviare la propria sofferenza psichica»
A volte si comincia per curiosità
A volte, si comincia a farsi del male per imitazione. Soprattutto tra i giovanissimi capita che un’amica lo faccia e, magari, ci si taglia solo per provare la stessa sensazione che prova lei. Oppure perché si è visto qualche video sul web. O ancora peggio perché si è deciso di partecipare a qualche “challenge” online. «Se l’episodio di autolesionismo è unico, e magari il ragazzo o la ragazzina lo raccontano spontaneamente ai genitori, si può considerare non patologico. Se, però, si ha la sensazione che non sia il primo o l’ultimo, allora è bene fare molta attenzione e rivolgersi a uno psicologo, in grado di affrontare questo problema» conclude la psicologa sociale.
Attenzione a questi campanelli d’allarme
Maglie e pantaloni lunghi, sempre. Anche in estate. Braccia e gambe costantemente coperte. Lividi che compaiono senza un motivo. Rifiuto di frequentare piscine, palestre o altre situazioni dove si deve esporre il proprio corpo. Possono essere questi i primi segnali da non trascurare se si teme che il proprio figlio o la propria figlia pratichi l’autolesionismo. «I ragazzi tendono a nascondere il problema, perché mettono in atto una strategia disfunzionale che però a loro risulta utile per sentirsi subito meglio» .
«Se oltre ai segnali precedenti, l’adolescente ha un cambiamento nello stile di vita, è molto più introverso sta, ancora più del solito, chiuso in bagno o in camera, allora è importante valutare la necessità di un intervento specialistico»
L’autolesionismo non passa da solo
Sicuramente l’adolescenza è uno dei periodi più critici nella vita di una persona. Ma non si può confinare l’autolesionismo a uno dei tanti cambiamenti che avvengono nel passaggio dall’età puberale a quella adulta.
L’approccio cambia in base a vari fattori, primo fra tutti la gravità delle lesioni che ci si provoca. Perché, se è vero che l’intento di chi pratica autolesionismo non è quello suicidario, è anche vero che, spesso, si arriva a farsi molto male.
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Buongiorno amici. Capiamo quando i figli non rispondono alle domande dei genitori.
Ascoltare significa creare quella condizione necessaria per riuscire ad offrire ai figli un solido appoggio emotivo e far sentire loro la presenza e la vicinanza del genitore.
Ascolto
L’ascolto è uno strumento potentissimo che permette di entrare in contatto con l’altro, ma richiede allenamento quotidiano, disponibilità e, talvolta, anche pazienza affinché si instauri un dialogo.
Esempi
“Mamma, devo proprio raccontarti una cosa molto importante.
Ci diciamo la nostra giornata adesso?” chiede Sara, 4 anni, non appena spenta la lucina sul comodino perché è giunta l’ora di andare a dormire.
Eppure, durante la cena, più volte le era stato chiesto se le facesse piacere raccontare qualcosa della sua giornata, senza ricevere risposta positiva.
“Certo, mi farebbe molto piacere e sono qui per ascoltare quello che ti va di dirmi!”, è stata la risposta mentre nella mente passavano commenti del tipo “proprio ora che deve dormire!”, “beh un’ora fa sarebbe stato perfetto!”, “ok prepariamoci ad andare a dormire più tardi stasera!”
I tempi
I tempi dell’adulto, molto spesso, non sono i tempi dei figli. Anche quando non raccontano subito qualcosa, a volte stanno solo dicendo che hanno bisogno di tempo per riflettere, capire meglio, scegliere ciò che è importante condividere.
Magari nel momento in cui il genitore rivolge loro delle domande hanno solo voglia di giocare, rilassarsi o fare altro.
Adolescenti
Vale per i bambini, ma vale anche per gli adolescenti.
La disponibilità all’ascolto attivo è molto apprezzata dai ragazzi, anche se non lo riconosceranno apertamente, o non lo faranno come spesso gli adulti si immaginano, e può aiutarli a sentirsi davvero presi in considerazione, riconosciuti e accettati.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite il form
Ai genitori spetta il compito di garantire ascolto e dialogo, anche quando ci si sente colti alla sprovvista o le confidenze arrivano in un momento che, secondo la mente dell’adulto, doveva essere destinato ad altro.
Ascoltare i figli è fondamentale, è il primo passo per instaurare e mantenere aperta una relazione improntata sul dialogo e sul confronto, sin da quando sono piccoli: sentirsi ascoltati significa potersi fidare e sentire di essere importanti per l’altro.
I figli hanno bisogno di fiducia, di sentire che mamma e papà sono lì per loro, per sostenerli e amarli sempre e che sono fiduciosi nelle loro capacità di far fronte alla vita.
Io spero che capire quando i figli non rispondono alle domande dei genitori vi sia stato d’aiuto.
Ma, se avete bisogno di me, potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
Buonigorno amici. L’ argomento di oggi è: il professore lo umilia …davanti alla classe e il ragazzo si suicida.
Si è tolto la vita uno studente dell‘Istituto Rousseau della Capitale, ha deciso di compiere il più estremo dei gesti, di farla finita. A riportare la notizia è Repubblica e stando alle indagini della Procura, le motivazioni alla base di un tale gesto sono da ricercarsi nel comportamento, oltremodo severo, di un professore che spesso lo prendeva in giro davanti alla classe. Il ragazzino, 17enne con problemi di apprendimento, non ha retto il peso della situazione ed è crollato. Si è stretto una corda attorno al collo ed ha deciso di farla finita.
Suicidio a Roma, 17enne muore impiccato
Sulla terribile vicenda le indagini sono andate avanti ed è emersa la peggiore delle ipotesi, ovvero quella per la quale l’insegnante di matematica avrebbe ecceduto nei metodi correttivi causando la morte dello studente. Questo è il reato, l’accusa con cui il Pubblico Ministero ha portato il professore a processo. Per gran parte dell’anno scolastico il professore aveva preso in giro l’alunno davanti a tutta la classe e il 17enne non avrebbe retto il peso psicologico della situazione. Alla luce di ciò, l’11 luglio del 2019 il ragazzino si è tolto la vita.
Il complicato rapporto con il professore e il gesto estremo
Il ragazzo non era riuscito a gestire il rapporto con il professore, sapeva di soffrire di alcuni specifici problemi legati all’apprendimento e questo lo faceva soffrire. Riteneva, inoltre, di essere bersaglio dell’insegnante e ad alcuni compagni aveva confidato le sue sensazioni annunciando anche che si sarebbe fatto del male. Così dall’appartamento in cui viveva assieme ai genitori ha preso una corda e si è impiccato.
Le testimonianza dei compagni e l’udienza in Corte d’Assise
I genitori avevano notato che nell’ultimo periodo il figlio si era chiuso in sé stesso ma non potevano prevedere un simile epilogo. Successivamente arrivano anche le testimonianze dei compagni che rappresentano un passo importante per le indagini, permettendo di escludere la pista del folle gesto. I compagni raccontano le umiliazioni subite dal 17enne da parte dell’insegnante e così l’inchiesta va avanti. Gli alunni vengono ascoltati e gli investigatori ritengono di avere tra le mani delle versioni convergenti tra loro. I compagni, adesso diplomati da più di 3 anni, dovranno ripetere davanti al giudice quello che hanno detto all’investigatore, l’udienza in Corte d’Assise è fissata per metà aprile.
Riflessioni
Di solito si sente parlare di bullismo tra coetanei compagni di classe e ci si aspetta che i professori, oltre ai genitori e ai ragazzi, denuncino il tutto.
Stavolta il carnefice è proprio un professore, una persona adulta che dovrebbe insegnare ai ragazzi non soltanto la sua materia. Ma come si sta al mondo.
E invece? Vessazioni. Insulti, umiliazioni continue giornaliere nei confronti di questo ragazzo che non andava benissimo nella sua materia.
Il risultato? Non ne poteva più e si è tolto la vita. A mio parere? Carcere senza obiezioni alcune. La scuola deve essere la seconda educatrice dopo la famiglia.
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Molte volte, purtroppo, ancora oggi vedo molti genitori insegnare ai loro ragazzi a non avere paura.
Quasi come fosse un difetto, un qualcosa da nascondere, di cui vergognarsi.
“Non piangere che sembri debole”
“la paura è cosa da femminucce. Tus ei un uomo devi essere coraggioso”
Vis emrbano frasi corrtte e sensate queste da inculcare a bamibini e ragazzi in via di sviluppo?
Emozioni
La paura, se non portata all’eccesso facendola diventare patologia ( ma qui parliamo di altro, di attacchi di panico di cui abbiamo già parlato tempo fa ma se volete riprenderò l’argomento), è uns entimento come tutti gli altri, un’emozione.
E, come tutte le emozioni, e dicod avvero tutte, va vissuta, affrontata, esternata.
Non possiamo solo condividere , esternare gioia. Siamof atti di emozinoi e reazioni emtive a parole sentite, situazioni…tutto provoca in noi emozioni.
Che sia rabbia, dolor,e gioia, disgusto tutto va vissuto, elaborato, esternato. Perché nessuna emozione è qualcosa di cui vergognarsi.
Perché se la vediamo in questo modo allora dovremmo vergognarci di noi stessi ogni singolo momento della nostra giornata.
Affrontare le paure
E’ difficle, per un ragazzo che vive in un ambiente in cui è abituato a nascondere le sue paure, imparare, da solo, ad affrontarle.Perché sis entirebbe quasi in colpa verso la famiglia, perché “no, non devo farle trapelare, non posso, perché mi hannod etto che sbagloato”.
E invece l’unica coa sbagloata è fare quello che ti hannod etto.
Sapete chi è davvero la perosna coraggiosa? E’ quella che non ha paura di avere paura.
E’ quella che esterna le sue emozioni, che le affronta, che le guarda in faccia.
E va benissimo se piangiamo, se ci arrabbiamo, se c’è qualcosa di cu abbiamo una fottutissima pura e chiediamo aiuto per affrontarle.
E sapete perché? Perché siamo umani, perché solo se affrontiamo e viviamo a pieno le nostre emozioni cis entiamo bene.
Sembra assurdo ma un lutto, nons empre ins ensos tretto, deve essere vissuto, affrontato se non vogliamo vivere nell’angoscia per tutta la nostra vita. Piangiamo, soffriamo, va benissimo così.
Ricrodate, carig enitori, che la paura non deve essere sconfitta, non deve essere nascosta, non è uan vergogna. Va semplicemente gestita.
E allora, prendete per mano i vostri ragazzi e cercate di trovare, insieme a loro, al soluzione più giusta perpoter gestire le loro paure.
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Solo insegnandolo ai ragazzi impareranno a crescere.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul commettere errori e su coe sia importante insegnarlo ai ragazzi per crescere.
Sbagliare
E’ una delle cose più importanti che ung enitore dovrebbe isnegnare a fare ad un ragazzo.
Assurdo direte voi…sicuramente. No, non lo è.
Perché dico questo? Perché è solod algi errori che si impara a crescere, a rialzarsi, a riflettere e impegnarsi su come possiamo migliorare noi stessi senza paragonarci a nessun altro.
Eppure, purtroppo, la maggior parte delle volte ig enitori insegnano ai figli a non sbagliare perché, se lof ai, sei un fallito.
Fallire
Che bruttissima parola Fallimnto. Nessuno fallisce mai nella vita.
Ma tutti facciamod elgi errori, che siano nelle piccole come nelle grandi cose.
E’ vero, molte volte gli errori sono davvero grandi e portano delle cosneguenze pesanti nella nostra vita come nelle eprsone che abbiamo accanto. Ma, anche in questo caso, servono a far riflettere su come non commetterli più.
In tutela minori ho avuto a che fare con molte reltà diffrenti, difficili da gestire. Storie di ragazzi separati dai genitori per motivi di violenze domestiche, alcol, separazioni.
Altre volte vttime di droghe, gioco, dipendenze anche affettive sfociate poi in violenza.
Tutte queste persone hanno sbagliato ma ad ognuna di loro è stata data un’opportunità: quella di recuperare agli errori commessi e ricominciare da capo, e ritrovare gli affetti. Rinascere.
Possibilità
E se la possibilità viene data in queste sotuazioni, perché un genitore dovrebbe dare del fallito ad un figlio per un piccolo errore commesso?
Perché invece di fare paragoni con fratelli, compagni e tutto il circondario non si prende per mano il ragazzo e si trova insieme una soluzione al problema?
Mi èc apitato di parlare con un papà, una volta, e dis entire dalla sua bocca queste parole: “mo figlio ha un atteggiamento brutto…gli pago anche le ripetizioni di matematica da uno bravo e prende comunque due nella verifica…è un fallito e lo sarà sempre nella vita”.
Ragazzi, mi sono davvero dovuta trattenere dal non rispondere per le righe a questa perosna ma è etica professionale. Ho fatto un respiro grande e ho ragionato.
Ragionare
Se paghi qualcuno e il risultato è questo, magari dovrest cambiare persona che lo aiuta. Magari il problema è a monte e bisogna indagare sul perché di tutto questo. Magari non riesce e, per non deludere papà, non dice nulla.
Riflettete…se un ragazzo nasce e cresce sotto una campana div etro senza commettere errori, mi dit voi come capirà cosa è giusto fare e cosa no?
Se, dopo aver commesso un errore, non ha un genitore, o entrambi, che fa da guida e ragiona con lui sul perché questo errore è stato commesso e sulle strategie per non commetterlo più, che lo appoggia, che è il suo salvagente, la sua spalla su cui piangere, il rifugio dove trovare conforto.
Come potrà mai questo ragazzo migliorare se stesso, lavorare su se stesso e la sua autostima impegnandosi con tutte le sue forze per raggiungere il suo obiettivo?
Genitori
Carig enitori, siate il buno esempio, date conforto ai vostri ragazzi. No giudicateli ma aiutateli a crescere e a sbagliare perché solo sbagliando si impara.
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Arrivare in alto superando se stessi, non gli altri.
Buonigorno amici. Oggi parliamo di superare se stessi
Non si arriva in alto superando gli altri, ma se stessi.
Insegnamento
Questo dovrebbe essere l’insegnamento che tutti i genitori dovrebbero dare ai propri ragazzi e prima ancora bambini. Invece?
Ince molto spesso,s empre più spesso si educano i figli alla competizione.
Competizione
Che se sana, fine allo sport, è anche giusta. Ma il probema è che questi ragazzi vengono educati ad essere miglori degli atri, a essere superiori algi altri.
A pensare che se non riescono a superari glia ltri, ad ogni costo e senza guardare in faccia a nessuno, non saranno nulla nella vita perdendo, ai loro occhi, lA STIMA DEIG ENITORI.
Ed ecco che compaiono i paragoni tra parenti,compagni, ragazzini della stessa età…in ogni luogo: in plestra, nello sport, a scuola.
“Guarda tuo fratello com’è bravo..dovresti essere come lui”
“guarda Paolo com’è forte”.
Vis embra giusto questo?
Empatia
Ma provate a mettervi solo per un attimo in un ragazzo che solo ora sta scoprendo se stesso e cosa vuole essere nella vita, e che, invece di essere supportato dai genitori ad impegnarsi per raggungere i suoi obiettivi, lo denigra.
Se stessi
I ragazzi devono dare sempre il massimo di se stessi per superare i propri limiti, le proprie insicurezze e paure. Perché tutti abbiamo dei talenti, che magari sono diversi da quelli della massa ma sono i nostri e, in quanto tali, vanno coltivati e alimentati e rispettati.
E allora isnegnamo ai ragazzi ad alzare sempre un pochino di più la nostra perosale asticella.
Acadere, sbalgiare, e rialzarsi sempre più fprti. Perché cadendo si impara, perché l’insegnamento viene soprattutto dagli errori.
Non dovete fare una gara col mondo a chi arriva più in alto perché nessuno arriva mai, tutti dobbiamo sempre imparare qualcosa da chiunque ne sa più di noi.
Piuttosto, superate voi stessi e datevi una pacca sulla spalla ogni volta che lo fate:)
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Buongiorno amici. Oggi parliamo de l’attesa e la forza dei desideri.
Il desiderio ci fa sentire una mancanza, ci fa sentire quello di cui abbiamo bisogno, quello che vogliamo, ci prepara all’attesa.
Troppo spesso, invece, gli adulti per primi perdono la bellezza del desiderare e si cerca di ottenere tutto e subito, non riuscendo a trasmettere questo valore anche ai più piccoli. Eppure sono proprio i desideri il motore che permette di trovare le energie e la forza per alimentare dei progetti e conquistare ciò che per noi conta davvero.
Bisogno o desiderio? Comprendiamo bene il loro significato!
Spesso le parole bisogno e desiderio vengono utilizzate come sinonimi, come se avessero lo stesso significato, ma non rappresentano la stessa cosa.
Il termine bisogno “con valore generico, indica mancanza di qualche cosa. Più comunemente, la necessità di procurarsi ciò che manca per raggiungere un fine determinato, oppure ciò che è ritenuto utile per il conseguimento di uno stato di benessere materiale o morale” (Dizionario Treccani). Il bisogno è qualcosa che parte dal corpo e nasce da una spinta interna, si attiva a partire da ciò che manca e spinge a metter in atto un’azione specifica per ottenerlo, generando piacere se si raggiunge il risultato oppure frustrazione se non si riesce.
Il termine desiderio, invece, “è un sentimento intenso che spinge a cercare di raggiungere, possedere o realizzare ciò che può soddisfare un bisogno. Può indicare un sentimento costante di mancanza di qualcosa che si ritiene necessario al nostro benessere” (Dizionario Treccani). Il desiderio indica, dunque, un vissuto, un processo che tende verso qualcosa: non si resta immobili, in attesa, ma si avverte una spinta che mette in cammino verso una certa direzione.
Se questa distinzione non è chiara per gli adulti, possiamo immaginare quanto sia ancor più faticoso comprenderla per i più piccoli.
Hanno bisogno di tempo per imparare a distinguere tra bisogni e desideri ed hanno bisogno, per riuscirci, della guida e dell’aiuto dei genitori, che possono abituarli, gradualmente, a comprendere e vivere il valore dell’attesa.
Pur essendo differenti, bisogni e desideri hanno un importante elemento in comune: la frustrazione che si sperimenta quando non è possibile
Aiutare i figli a tollerare la frustrazione
Si tratta di un vissuto che fisiologicamente ognuno di noi, anche i più piccoli, può sperimentare: viverla in modo adeguato permette, al bambino prima e poi gradualmente a ragazzi e adulti, di conoscerla ed elaborarla.
Frustrazioni
Spesso può essere faticoso per un adulto tollerare la frustrazione sperimentata dal figlio: entrano in gioco molte emozioni e sentimenti differenti tra cui dispiacere, senso di colpa o ad esempio imbarazzo quando ci si trova di fronte ad altre persone, e ciò porta a soddisfare il prima possibile il desiderio del momento per recuperare la tranquillità.
Soddisfare ogni desiderio, però, sebbene porti ad un risultato immediato, non è la strategia più efficace nel lungo periodo.
Da un lato i bambini apprendono che quella modalità funziona per ottenere ciò che vogliono, dall’altro si trasmette loro, in modo indiretto, il messaggio che non hanno competenze e capacità per conquistare qualcosa in autonomia.
Le attese
La capacità di attendere aiuta nel raggiungere un desiderio: sapere e accettare che non si può avere tutto e subito e che per ottenere degli obiettivi servono impegno, costanza e determinazione, permette ai bambini di mettersi in gioco, sviluppare la pazienza, rinforzare la fiducia in se stessi e incrementare l’autostima.
Imparare a tollerare la frustrazione, gradualmente e con modalità e tempi differenti in funzione dell’età dei bambini, permette dunque anche di iniziare a costruire le fondamenta della loro resilienza, rendendoli più efficaci nel superare anche le avversità, migliorando le proprie capacità di adattamento e sviluppando le proprie risorse.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di figli non amati e di cosa dovrebbero fare ogni giorno.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’abuso minorile come un costrutto molto ampio che comprende maltrattamenti e disattenzione. Include tutte le forme di violenza fisica ed emotiva, abuso sessuale, incuria, negligenza emotiva.. e qualsiasi comportamento che possa causare un danno reale o potenziale per la salute del bambino, la sua sopravvivenza, il suo sviluppo o la sua dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere (OMS, 2003).
Quando si parla di abuso non si può fare a meno di citare la negligenza infantile, ma che cos’è? La negligenza emotiva è una forma di maltrattamento quasi invisibile.
Alla base può esserci inadeguatezza genitoriale e/o mancanza di amore.
Con negligenza emotiva si fa riferimento all’assenza persistente di risposte adeguate ai bisogni emotivi del bambino.
Il bambino esprime i suoi bisogni affettivi e il genitore, sistematicamente, li ignora per inadeguatezza o perché distratto da altro.
Esempi
Esempi pratici? Un genitore che ignora in modo continuo e persistente, il piccolo che piange pensando che tanto, prima o poi si stancherà!
Oppure un genitore che invece di accogliere e accudire, pensa che il piccolo lo stia sfidando con i suoi naturali comportamenti.
Per non parlare della mancata interazione tra bambino e genitore (noncuranza del genitore, anaffettività, completo disimpegno).
Mancanza di una figura stabile (genitore depresso, affetto da malattie, genitore assente). Incoerenza, disparità di trattamento tra fratelli, umiliazioni, ricatti emotivi… Insomma, le forme di negligenza emotiva sono davvero numerose
Variabili- figli non amati
Ci sono poi alcune variabili che possono intervenire peggiorando qualcosa che è già di per sé un grosso problema… come dire: non c’è mai fine al peggio!
A gettare benzina sul fuoco, in un contesto di negligenza emotiva, possono intervenire alcune circostanze come:
Relazione di coppia instabile: i bambini sono costretti ad assistere a litigi tra i genitori. Nella famiglia nascono difficoltà nella comunicazione e si forma un serio squilibrio nella distribuzione del potere.
Relazioni conflittuali con la famiglia estesa: nonni, zii o altri parenti interferiscono negativamente con la vita famigliare.
Nessuno adulto si occupa delle faccende domestiche e nel genitore che considera il figlio subordinato, nasce la pretesa che sia il minore a realizzarle.
Una casa piccola e spazi ristretti possono azzerare il concetto di privacy, la sicurezza e i confini tra sé e l’altro diventano difficili da strutturare.
Basso livello educativo dei genitori. In pratica i genitori non sono solo inadeguati da un punto di vista affettivo ma lo sono anche da un punto di vista dell’istruzione, non mostrano interesse per i figli e non li incoraggiano alla conoscenza. Il basso livello di istruzione induce anche a un disinteresse medico. Bada bene, non significa che i genitori poco colti non possono essere buoni genitori. Significa che i genitori menefreghisti nei confronti della prole e (per di più) non istruiti, sono terribili genitori.
Modello educativo gerarchico. Qui l’abuso emotivo è inevitabile: i genitori reputano i figli una “proprietà” di cui avvalersi piuttosto che persone con un’identità propria con le quali condividere armoniosamente un pezzo di vita.
Negligenza emotiva-figli non amati
La negligenza emotiva è un problema molto complesso tanto che bisogna tenere conto di numerosi fattori.
Data la sua complessità, bisognerebbe agire con urgenza perché le conseguenze a lungo termine possono essere paragonabili e in taluni casi persino più gravi di quelle legate alla violenza fisica.
Niente paura. Per fortuna è possibile intervenire anche in età adulta: un percorso di auto-consapevolezza, auto-accettazione può essere il cammino ideale per chi è cresciuto in una famiglia tossica.
La psicoterapia è indubbiamente l’intervento più saggio per il recupero. In cosa consiste il recupero? Nel cambiare i comportamenti e i modelli che hai acquisito fin dall’infanzia. Tali modelli sono il frutto di un adattamento in un ambiente ostile.
Ed ecco la parte peggiore: ciò che apprendi inconsapevolmente durante l’infanzia è davvero difficile da lavare via, entra a far parte del tuo bagaglio inconscio che condiziona la tua vita da adulta. Lasciarsi alle spalle un abuso emotivo equivale a guarire.
La guarigione consiste neldisimparare schemi, modelli, credenze e comportamenti e sostituirli con nuovi apprendimenti in grado di supportare la tua felicità a lungo termine! Il primo regalo che puoi farti, dunque, è un percorso di introspezione.
5 doni che i figli non amati dovrebbe farsi ogni giorno
L’auto-consapevolezza è un dono che non hai bisogno di incartare eppure è uno dei regali più belli che puoi farti. Con l’auto-consapevolezza puoi imparare a vederti chiaramente per ciò che sei e non per quello che ti hanno indotto a credere gli altri.
1. Conoscenza. Impara a conoscerti
I figli non amati vedono se stessi attraverso una lente d’ingrandimento difettosa, ereditata dalle esperienze infantili. Questa lente riflette il modo in cui ti hanno fatto sentire da piccolo.
La tua visione distorta arriva dalla persistente abitudine all’autocritica. Sei così abituato a essere severo con te stesso che ormai per te questo è lo standard della normalità. In realtà, esiste un altro modo di esistere che ancora non conosci. La lente che oggi usi non è abituata a vedere le meraviglie che ti porti dentro, ciò che di enormemente buono c’è in te, quella lente ha imparato solo a mettere in evidenza i tuoi aspetti negativi e… ingigantirli!
Concediti il tempo e lo spazio per conoscerti bene. Cerca di essere razionale nei giudizi che ti dai continuamente. Anzi, sarebbe bene mettere da parte ogni giudizio. Cerca di conoscerti davvero: chi sei? L’immagine che vedi di te è autentica o ti è stata inculcata da qualcuno? Esplora i tuoi mondi interiori e fallo con amicalità. In fondo, tu, potresti essere il tuo migliore alleato, il più grande amico di sempre e non colui che ti rema contro!
Invece di concentrarti su ciò che non va, dai un’occhiata a quanto c’è di buono. Ecco un piccolo esercizio da fare ogni giorno. Impara a conoscerti: prova a scrivere 10 parole positive che ti descrivono. Se proprio non ci riesci, chiedi a chi ti stima di aiutarti.
2. Comunicazione e ascolto. Non trarre conclusioni affrettate
Il confronto è una cosa buona e giusta, lo è di meno, però, se parti prevenuto sulle intenzioni altrui. Non puoi pretendere che un’altra persona capisca al volo i tuoi bisogni e li soddisfi. Impara a comunicare con calma ciò che vuoi o ciò che ti aspetti dall’altro. Se hai bisogno di qualcosa, comunicala in modo garbato e assicurati che l’altro abbia compreso.
Per lo stesso principio, non dare per scontato la prospettiva dell’altro. Non giungere a conclusioni affrettate. Prima di sentirti offeso o ferito nel profondo, chiedi spiegazioni. Sei sicuro di aver letto correttamente la situazione? Quando interagisci con gli altri, prova a porti domande in modo “distaccato”. La tua sfera emotiva può “viziare” le tue valutazioni, proprio come quella lente difettosa fa con te stesso.
3. Comprensione. Impara a capirti
Se credi di aver commesso un errore, non condannarti. L’auto-compresione è l’antidoto che cerchi solo che probabilmente ancora non sei capace di somministrartela. Non riesce a essere comprensivo e compassionevole con te stesso semplicemente perché nessuno lo è mai stato con te! Se durante la tua infanzia non ti sei sentito compreso e pienamente accolto nelle tue fragilità, solo difficilmente riuscirai a farlo da solo in età adulta. I primi due doni sono strettamente correlati.
Impara a dare un nome alle tue emozioni, ogni giorno. I figli non amati non sempre riescono a regolare e gestire le loro emozioni così finiscono per esserne vittime. L’ansia, il panico, le incongruenze tra desideri e azioni, tutti quei «vorrei ma non posso…» sono in realtà un esempio tangibile di emozioni mal gestite. Anche il bisogno di controllo riflette solo emozioni soverchianti.
Fortunatamente l’intelligenza emotiva non è una dotazione di serie ma è un qualcosa che si acquisisce con la pratica. Sapere cosa provi e perché lo stai provando ti stenderà un tappeto rosso verso il cammino dell’auto-consapevolezza.
4. Pazienza. Non essere impaziente
Hai passato l’intera infanzia a subire l’influenza negativa di tua madre o di tuo padre e ora non vedi l’ora di riscattarti e migliorare ma finisci per inciampare sempre negli stessi errori. Posso capire perfettamente la tua impazienza ma nel giro di poco tempo non puoi riscrivere il tuo presente: hai bisogno di imparare le basi perché queste ti sono mancate, purtroppo. Non è qualcosa che è dipeso da te ma è capitato. È qualcosa con cui ancora oggi ci fai i conti ma da cui sicuramente riuscirai a uscirne. Non ti basta la forza di volontà, quella ne hai da vendere.
Se c’è una cosa che accomuna le persone con un’infanzia difficile è proprio questo: la volontà di riscattarsi! Quel riscatto arriverà, il tuo prossimo passo per ottenerlo è un semplice apprendimento: imparare a essere più gentile con te stesso e avere pazienza per raccogliere i frutti dei tuoi sforzi. Ci arriverai.
“Faccio sempre gli stessi errori” “Non imparo mai…” “Sono un fallito”.Sono frasi che non fanno bene. Rivolgiti a te stesso con compassione, gentilezza e pazienza: “oggi ho commesso questo errore ma probabilmente la prossima volta riuscirò a padroneggiare meglio la situazione, non è questo singolo episodio che può definire la mia intera persona”. Analizza bene il contesto. Ricorda che ogni giorno, fai sempre il meglio che puoi con ciò che sai. Molte cose non hai potuto ancora impararle.
5. Stimati e… Circondati di persone che ti stimano
Mentre impari ad accettarti e stimarti, ricordati di circondarti di persone positive, degne di stima e in grado di mostrarti autentica stima. Ogni rapporto deve basarsi sulla reciprocità. Se hai sempre avuto esperienze negative, se la tua fiducia è stata tradita sia in amicizia che in amore, sappi che potrebbe non essere un caso. Quando cresciamo con ferite interiori nascoste, mai elaborate o guarite, non siamo lucidi nei rapporti e finiamo per legarci a chi può, in qualche modo, approfittarsi di noi e della nostra bontà.
Quando guarirai te stesso dal tuo passato, ti verrà naturale selezionare solo le persone che possono davvero arricchirti e che sono capaci di autentica stima e rispetto. Chi non ti apprezza, finirà per allontanarsi in autonomia, così come giusto che sia: la guarigione di sé mette ognuno al suo posto.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite la sezioen “contatti e consulenze ” del sito
O su camtv come dottoressanapolitano o col nome del canale “adolescenti istruzioni per l’uso”
Buongiorno amici:) Oggi parliamo di doni materiali Vs tempo.
I regali. Belli, graditi sempre e certamente rendono felici, soprattutto se inaspettati e fatti da persone che ti amano davvero.
Ma siamo sicuri che sono i doni materiali che rendono davvero felici un ragazzo, un bambino, vostro figlio?
Doni
Mi è capitato molto molto spesso di lavorare in famiglie in cui genitore X, o entrambi a volte, per colmare le carenze d’affetto o il tempo non passato coi figli per motivi di lavoro, pensano di mettere un cerotto e compensare a tutto questo con regali.
Ogni volta regali su regali. Soldi spesi per far felice un figlio. Ma poi?
C’è chi davvero non vada a spese. “gli io comprato un tablet così quando torno a casa dal lavoro stanco e voglio riposare può guardare un film e stiamo tutti tranquilli”.
“continuava a fare i capricci e, per farla smettere le ho comprate quello che voleva”.
Beh, prendete quindi il regalo come un modo per scaricarvi la coscienza. O come baby sitter… O perché non sopportare i capricci quando dovreste essere voi a educare vostro figlio.
Conseguenze
E se vi dicessi che tutto questo è inutile?
Vi sono due conseguenze :p vostro figlio diventa molto furbo e trova un modo per avere da noi tutto quello che desidera; o odierà tutti i doni facendo pagare lo scotto ai figli futuri.
E quindi?
Il tempo
Quindi donate tempo. È la cosa più importante.
I ragazzi hanno bisogno di attenzioni, di tempo passato con voi.
Hanno bisogno di emozioni, di ricordi legati ad un momento che ricorderanno per sempre.
Se regalate un gioco e poi non giocate con loro il dono non avrà senso. Perché loro ricorderanno il momento in cui siete insieme a loro.
Ricorderanno le risate fatte insieme.
E quando tornate a casa dal lavoro, passate tutto il tempo che ho rimane con loro. È questo il dono più grande.
E se avete bisogno di me contattatemi tramite la sezione contatti e consulenze del sito