Buongiorno amici. Oggi parliamo di fomo estiva, ossia la paura dei ragazzi di essere tagliati fuori durante le vacanza.
Durante le vacanze, in cui si dovrebbe pensare a divertirsi e a trascorrere momenti di condivisione con la famiglia e con gli amici, gli effetti della FOMO potrebbero prendere il sopravvento.
Non a caso è proprio in questo periodo che molti adolescenti fanno più fatica a staccarsi dalla tecnologia.
Fomo
I ragazzi, sono in pausa dalla scuola, hanno più tempo libero a disposizione, per cui sono ancora più spinti a controllare cosa stanno facendo gli altri e venire a contatto.
Foto di persone felici che si riuniscono con parenti e amici, che trascorrono vacanze da sogno, che escono e fanno attività divertenti con i coetanei.
I sentimenti di ansia, isolamento e solitudine colpiscono in particolare i ragazzi con bassa autostima e maggiore insicurezza, i quali dimenticano spesso quanto sui social network le apparenze possano ingannare.
La F.O.M.O.
Fear of Missing Out, letteralmente la “paura di essere tagliati fuori”, è una condizione patologica che emerge nel momento in cui si è impossibilitati a controllare cosa stanno facendo i propri contatti online oppure quando non si visualizzano gli aggiornamenti di profilo o nuove condivisioni.
Si riferisce alla preoccupazione eccessiva e ossessiva di potersi perdere gli aggiornamenti, ma anche all’ansia e all’invidia che gli altri facciano esperienze gratificanti nelle quali non si è presenti o coinvolti direttamente.
La FOMO evidenzia uno stato di ansia sociale caratterizzato dal bisogno di controllare ripetutamente i profili social e le chat alla ricerca di aggiornamenti e notizie per essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo.
Rappresenta un comportamento automatico che, se non soddisfatto, può causare uno stato di sofferenza, una vera e propria “crisi di astinenza”.
Genitori
I genitori devono fare attenzione perché si tratta di una condizione presente soprattutto tra i giovani, dove il bisogno di appartenenza e la paura di essere esclusi dal gruppo sono amplificati dai social network .
Quali sono i segnali d’allarme della FOMO?
– Controllare e monitorare costantemente lo smartphone, in particolare l’attività degli amici e dei familiari sui vari social network;
– ritardare il momento in cui si va a dormire per visualizzare in tempo reale, anche durante la notte, i vari aggiornamenti;
– avere la sensazione che si sta perdendo qualcosa di quello che sta succedendo, l’angoscia di restare fuori dalla web-community;
– commentare sempre e condividere tutto nella rete;
– avere l’illusione, attraverso l’uso compulsivo dello smartphone, di essere sempre in contatto con qualcuno e di non essere mai soli;
– si tende a togliere del tempo ad altre attività, come lo studio, lo sport, le uscite, il lavoro;
– possedere la convinzione che quello che sta accadendo e accadrà online sarà migliore di ciò che si sta facendo nella vita reale;
– fare un confronto costante, tra sé e gli altri, in base agli aggiornamenti e alle notizie dei social e delle chat che spesso crea rabbia e invidia;
– avere la percezione che gli altri siano più felici e più fortunati.
Conseguenze
La FOMO può distogliere completamente i ragazzi dal momento presente, non permette di godersi il qui ed ora perché la mente è concentrata solo su quello che non si ha.
Sul fatto che ci si sta perdendo qualcosa di divertente, senza pensare che spesso ciò che viene condiviso sui social non è la realtà assoluta ma solo ciò che l’altro vuole mostrare.
Ecco 7 consigli per aiutare i figli a gestire la paura di essere tagliati fuori
1. Mettete dei paletti e aiutateli a staccarsi da ciò che avviene sul web.
Attraverso alcune regole di utilizzo dello smartphone, portateli a rimandare il controllo continuo e sistematico degli aggiornamenti, delle notifiche, dei social network e delle chat.
Devono mettersi gradualmente nella condizione di provare sulla propria pelle che, anche se non leggono immediatamente quello che ha postato l’amico, non crolla il mondo e che, farlo in un altro momento, non cambia assolutamente nulla.
2. Fategli capire che i social non sempre rispecchiano la realtà.
I ragazzi sembrano non tenere conto che in rete si mostra principalmente la parte migliore, filtrata di se stessi, e che si può anche mentire.
Infatti, molte volte si focalizzano eccessivamente su quello che gli altri pubblicano, scrivono o condividono sui social come se fosse sempre una comunicazione reale della loro vita.
Troppe volte tendono ad amplificare, pensando “a lui va sempre tutto bene”, “io non faccio mai qualcosa di bello”.
È fondamentale che gli venga trasmesso il messaggio che la realtà è quella che si vive nel quotidiano, non quella che si esibisce, per cui non bisogna farsi condizionare da ciò che si vede sul web.
3. Aiutateli a riflettere sulle emozioni che provano in quei momenti.
È importante che si chiedano: “Cos’è che mi provoca ansia, cosa mi infastidisce?”. Cercate di farli parlare e di farli sfogare, perchè spesso alla base dell’impulso a controllare internet,
C’è una sensazione di solitudine, di inutilità e di invidia per gli altri.
Il fatto che comprendano, dunque, quali sono i vissuti sottostanti è il primo passo per affrontare il proprio malessere e pensare a cosa si potrebbe fare per migliorare la propria situazione, avvertendo la vostra vicinanza e sentendosi sostenuti.
4. Devono concentrarsi di più sulla loro vita.
È importante che pensino meno agli altri e più a se stessi, ritagliandosi quanto più tempo possibile per stare con gli altri e dedicarsi ad attività piacevoli e divertenti, senza distrazioni tecnologiche.
Devono capire che quello che gli altri pubblicano non li riguarda direttamente e non li deve influenzare in alcun modo, perché gli altri hanno un potere su di loro nella misura in cui sono loro a concederglielo.
5. Prediligere gli amici reali.
Troppe volte, i ragazzi danno più importanza a quello che succede sul web rispetto alla loro realtà di tutti i giorni, ma è importante non permettere allo smartphone di allontanarli da chi hanno realmente vicino.
Fategli capire che essere sempre connessi anche quando si è in gruppo o in altre situazioni sociali, estraniarsi e disconnettersi dalla realtà, è dannoso per loro.
6. Rompere la routine.
È importante che, soprattutto in estate, si stacchino completamente dalla solita routine quotidiana a cui sono abituati.
Per non restare sempre appiccicati al cellulare e per spendere il loro tempo e le loro energie diversamente: metteteli, dunque, nelle condizioni di trascorrere più tempo all’aria aperta e spronateli a dedicarsi ad altre attività piacevoli e rilassanti.
Proprio per prendere una pausa dall’iperconnessione e ricaricarsi attraverso nuove esperienze stimolanti.
7. Chiedere aiuto.
Se non riuscite a gestire in alcun modo l’impulso irrefrenabile dei vostri figli a connettersi e a ridurre il loro malessere, è utile chiedere un aiuto professionale per cercare di focalizzare meglio il disagio e individuare strategie mirate per superarlo.
È fondamentale che i ragazzi imparino a gestirsi autonomamente e a non essere succubi della connessione. Sono loro che dettano le regole della loro vita, non il telefono!
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi nella sezione contatti e consulenze del sito
sulla piattaforma di cam.tv al canale adolescenti istruzioni per l’uso
Buongiorno amici. Oggi vi chiedo .. monitorare i figli? sì ma…vediamo un po’.
In adolescenza ragazzi e ragazze crescono rapidamente, i loro atteggiamenti si modificano, assumono dei rischi per mettersi alla prova, mettere alla prova le loro competenze e abilità, scoprire chi sono.
Spesso i genitori hanno la sensazione di trovarsi di fronte a degli sconosciuti, in cui non riconoscono più i loro bambini.
Hanno bisogno di conoscere i propri figli, le loro abitudini, le amicizie e le compagnie che frequentano.
Ed è ancora più importante accertarsi che non si trovino su una “cattiva strada” e non assumano comportamenti a rischio.
Sostenere o monitorare: due facce della stessa medaglia?
È difficile per i genitori monitorare i comportamenti degli adolescenti.
Concedere autonomia e libertà, far sentire sostegno e comprensione e, allo stesso tempo, controllare, dare regole e paletti, supervisionare ciò che fanno.
Il rischio, in alcuni momenti, può essere quello di trasformare il dialogo in una sorta di interrogatorio: “dove vai?”, “chi ci sarà?”, “cosa hai fatto a scuola?”, “cosa stai facendo col cellulare?”, “chi ti ha scritto?”, “hai fumato?”, “i tuoi amici fumano?”.
Di fronte a un atteggiamento che vivono come invadente o caratterizzato solo da regole e divieti, però, i ragazzi rischiano di chiudersi e non parlare con i genitori.
Tante sono le paure e le preoccupazioni dei genitori legate all’assunzione di comportamenti a rischio: fumo, alcol, guida in condizioni di pericolo, abuso della tecnologia.
E’ sicuramente fondamentale mantenere sempre un monitoraggio sui loro comportamenti per educarli e aiutarli a crescere in modo autonomo e responsabile.
In adolescenza, la criticità è propria quella di mantenere sempre aperta la comunicazione in modo che i ragazzi possano sentirsi compresi e continuino a parlare con i genitori.
hanno bisogno di esprimere anche dubbi o perplessità, rendendoli partecipi della loro vita e delle loro attività, nonostante il desiderio di indipendenza e autonomia.
Sostenere e monitorare i figli può fare la differenza?
Sicuramente si!
Gli adolescenti i cui genitori utilizzano un monitoraggio efficace.
Infatti, hanno minori probabilità di prendere decisioni e assumere comportamenti che li espongono a rischi eccessivi e che li potrebbero mettere in pericolo.
Il monitoraggio genitoriale funziona meglio quando i genitori hanno una relazione positiva, aperta e sincera con i ragazzi.
Gli adolescenti, sentendosi tranquilli e compresi, saranno più disposti a parlare con i genitori e fidarsi di loro.
Accetterano più facilmente i consigli che essi potranno offrire e si mostreranno anche più aperti e disponibili al dialogo e all’ascolto.
Cosa possono fare i genitori per monitorare efficacemente i loro ragazzi?
– CHIAREZZA. È fondamentale mantenere sempre aperto il dialogo e parlare con i ragazzi, dando sempre regole chiare e condivise, spiegando e riflettendo insieme sulle conseguenze delle proprie azioni e dell’eventuale violazione delle regole.
– COMUNICAZIONE. Chiedete sempre ai ragazzi, anche quando non condividete un loro comportamento, come si sentono e cosa pensano, interessatevi anche al loro modo di vedere le cose e potrete così aiutarli a riflettere su quanto succede nella loro vita.
– CONOSCENZA. Chiedete informazioni e interessatevi ai loro interessi, le loro amicizie e le loro passioni, non per fare degli interrogatori estenuanti su ciò che fanno, dove e con chi vanno.
Per comprendere davvero cosa piace loro e cosa li fa stare bene, e aiutarli a riflettere sui rischi di alcuni comportamenti inadeguati o sui pericoli che possono incontrare nella vita reale e online.
– OSSERVAZIONE. Fate attenzione ai loro stati d’animo e al loro umore.
Non fate solo e sempre domande sulla scuola e sui voti o su ciò che fanno, ma osservateli nei loro comportamenti anche a casa.
Monitorate come spendono i soldi e la loro paghetta.
Seguite in modo discreto ma costante come trascorrono il loro tempo online e parlate con loro dell’importanza di usare Internet e gli strumenti tecnologici in modo sicuro.
Monitorare
Monitorare un figlio non significa invadere i suoi spazi e impedirgli di esprimersi nella sua autonomia per contenere le proprie paure.
E’ normale che un genitore abbia ansie e preoccupazioni, che vorrebbe tenere il figlio lontano dai pericoli e da tutto ciò che potenzialmente può arrecargli un problema.
Ma così si rischia di non responsabilizzarli mai, di fargli sperimentare la loro auto efficacia e il loro crescere.
Hanno bisogno delle piccole e grandi prove della vita per confrontarsi con se stessi e con gli altri e per crescere diventando sempre più autonomi, giorno dopo giorno.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi qui nella sezione contatti e consulenze.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di violenza familiare.
La violenza in famiglia è una forma di aggressione. Si basa su continue critiche, umiliazioni, disprezzo e manipolazioni da parte di genitori, fratelli o altre figure nei confronti di un membro specifico.
Una simile dinamica condivisa quasi sempre dipende da un individuo alle cui azioni aderiscono alcuni membri della famiglia meno potenti.
Se è vero che quando parliamo di bullismo, visualizziamo quasi istantaneamente il cortile di una scuola o un ambiente di lavoro, c’è un altro scenario che spesso trascuriamo. Anche la famiglia molesta e umilia, e questo attacco psico-emotivo a volte può essere pari o più dannoso delle esperienze di bullismo scolastico.
Avere il nemico in casa significa non godere di riparo o sostegno. Crescere come la pecora nera o il brutto anatroccolo è traumatico e di rado il trauma viene correttamente affrontato in età adulta.
Avere uno o più intimidatori con lo stesso codice genetico significa dover affrontare situazioni di disagio anche se non si vive più nel nucleo familiare. Proviamo a descrivere più in dettaglio questa realtà.
In cosa consiste la violenza in famiglia
Spesso diciamo che il modo più comune per evitare uno stalker è allontanarsi da quella presenza. Tuttavia, come ben sappiamo, questo non è sempre possibile.
Il bambino vittima di bullismo deve tornare a scuola ogni giorno. Il lavoratore che subisce mobbing deve rispettare la sua giornata lavorativa. E la persona vittima di violenza in famiglia trascorre molti anni in un ambiente dal quale le è impossibile scappare.
Oltre a ciò, a volte queste dinamiche aggressive si perpetuano anche quando la vittima ha già raggiunto l’età adulta. Perché il familiare “bullo” prende una vittima e intensifica il comportamento offensivo e umiliante. L’aspetto più grave è che di solito c’è alleanza o silenzio da parte degli altri membri.
Questa forma di violenza domestica non è nuova. È una realtà con una lunga tradizione spesso messa a tacere nella nostra società.
Bulli in famiglia: chi e come sono
Possono essere i genitori e persino i fratelli. Allo stesso modo, quando si inizia una relazione, può capitare che suoceri e cognati rivolgano critiche e umiliazioni costanti. In generale, la persona che maltratta un familiare presenta uno o più tratti molto specifici:
La sua aggressività si basa sulla parola.
Mostra un comportamento immaturo.
Usa le bugie per convincere anche gli altri membri.
Controlla la persona.
È vendicativa.
L’aggressore in famiglia può anche essere manipolatore.
Potrebbe agire per gelosia e invidia.
Può mostrarsi arrogante e narcisista.
Potrebbero verificarsi notevoli sbalzi d’umore.
È abile nel fraintendere tutto, nel cambiare ciò che la vittima fa o dice e la umilia.
Come si manifesta la violenza in famiglia?
Essere vittima di violenza in famiglia può creare confusione da bambini, poiché si normalizzano determinate dinamiche. Tuttavia, crescendo ci si rende conto che certi comportamenti non solo leciti.
Questo perché feriscono, intimidiscono e privano di rispetto e benessere, dimensioni a cui tutti abbiamo diritto. I segnali di violenza sono molto vari, ma è necessario riconoscerli il prima possibile:
Si umilia la vittima per la sua persona, le azioni e le parole. Viene resa il brutto anatroccolo.
Si sminuisce.
La persona viene zittita e privata di importanza all’interno della famiglia.
Si adottano comportamenti di critica e di costante disprezzo rendendo la vittima nella pecora nera.
Si crea caos trasformando ogni conversazione in una discussione, assegnando colpe e pronunciando false affermazioni.
Ricatti e manipolazioni emotive.
Paragoni umilianti (tuo fratello è una persona migliore di te).
Superiorità, battute dannose e commenti umilianti.
È comune accusare la vittima di egoismo, di avere in mente solo i propri interessi.
Effetti psicologici
La famiglia prepotente si comporta come un animale territoriale. Molte volte il fratello, il cognato, la madre, il suocero o il padre molesti sono spinti dalla gelosia, da quell’invidia che cerca di espellere qualcuno dal nucleo familiare; indipendentemente dal legame. Come possiamo dedurre, l’impatto mentale e sociale è immenso.
Sono in aumento, di fatto, gli studi sugli effetti delle molestie domestiche. Per esempio, uno studio di ricerca condotto presso l’Universidad Central del Sur. La ricerca indica chiaramente che la violenza tra fratelli provoca profonda angoscia e disturbi dell’umore.
Sappiamo anche che più si protrae la situazione, maggiore è l’impatto sulla persona. Chi cresce in un ambiente disfunzionale tende ad adottare condotte autodistruttive.
Come rispondere alla violenza in famiglia
Nessuno ha il diritto di ferirci in alcun modo. È pienamente giustificato difendersi, rispondere il prima possibile e persino segnalare tali situazioni, indipendentemente dal fatto che il molestatore sia un familiare. Nessuno dovrebbe infondere paura e insicurezza, criticarci, ignorarci o annullarci come persone.
Stabilire limiti, salvaguardare le nostre emozioni, praticare la cura di sé, cercare figure di supporto valide e mantenere le distanze dai familiari aggressivi è la chiave del nostro benessere. La famiglia dovrebbe essere sempre un luogo di nutrimento, non un campo di battaglia.
Ragazzi io vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Sperando che parlare di violenza familiare vi sia stato d’aiuto vi abbraccio:)
I danni, nei ragazzi, della finta perfezione sbandierata sui social.
Buongiorno amici. Oggi parliamo de i social come specchio digitale e i danni che, visti in questo modo, provocano nei ragazzi.
Vetrina social
Le vetrine dei social network, il numero dei like ricevuti, l’approvazione social condizionano l’umore, l’autostima, la percezione del proprio corpo,
E influenzano l’insoddisfazione verso il proprio aspetto fisico, soprattutto nelle ragazze.
Tutto questo è vero non solo per pre-adolescenti e adolescenti.
Ma anche per donne giovani e adulte, che si confrontano costantemente con le immagini e i modelli diffusi dai social media.
L’aspetto estetico rappresenta un elemento fondamentale per una buona accettazione di sé e per sentirsi accettate dal mondo circostante.
La paura del giudizio diventa una base per la messa in atto di comportamenti rischiosi per la salute.
Citiamo restrizioni alimentari, diete ferree, sport eccessivo fino a veri e propri disturbi dell’alimentazione.
L’esposizione a foto, immagini e pubblicità di corpi perfetti e magri, influenza negativamente la soddisfazione verso il proprio aspetto estetico.
Ci si sente costantemente imperfette o meno attraenti, si sente di non poter mai riuscire a raggiungere quegli standard e quei modelli ideali (Frederick et al., 2017).
E’ anche significativo come, a tali percezioni, si associ il desiderio di mettersi a dieta o fare esercizio fisico per perdere peso e assomigliare di più ai modelli proposti.
Immagine corporea e adolescenza: un rapporto difficile
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 64% degli adolescenti dichiara di sentirsi più sicuro quando è più magro e quando riesce a raggiungere il peso ideale.
Un problema che riguarda maggiormente il genere femminile, in quanto il 76% sono ragazze.
Oltre 6 adolescenti su 10 sostengono anche che la donna più magra è più accettata e riconosciuta da un punto di vista sociale.
Ciò porta alla ricerca di corpi perfetti e magri, anche seguendo i modelli di riferimento social, per avere il maggior numero possibile di like e follower.
Il 55% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni, di cui il 70% sono femmine, si sente influenzato dai modelli lanciati da blogger e influencer, e sostiene che vedere corpi magri e perfetti in tv e su internet fa sperimentare il desiderio di essere come loro.
Si tratta di aspetti importanti, che non vanno assolutamente sottovalutati, in quanto “social network, fashion blogger e youtuber sono ormai la realtà di riferimento degli adolescenti che crescono fin dall’infanzia con la compagnia dei video dei loro idoli senza un minimo di filtro e di controllo genitoriale”.
Quali conseguenze sugli adolescenti?
Bisogna tener conto di come i ragazzi oggi siano sottoposti, fin da bambini, alla pressione di media e di quei modelli sociali che diffondono una precisa idea di bellezza, ispirata alla magrezza e al controllo dell’immagine corporea.
Il peso e l’immagine corporea condizionano l’autostima e l’umore dei ragazzi, che vivono in funzione dell’accettazione del gruppo.
Le difficoltà sono esasperate da una cultura incentrata sull’estetica, sull’apparenza, e in cui l’adolescente che non è alla moda è considerato uno sfigato, viene isolato dalla massa e, spesso, preso di mira su chat e social network.
Crescere con l’ossessione dell’apparenza, non sentendosi mai adeguati e soddisfatti di sé, è estremamente dannoso, e può determinare vissuti di insicurezza e scarsa autostima.
L’impulso a confrontare costantemente il proprio aspetto fisico con quello di coetanee o di personaggi famosi, può compromettere profondamente il giudizio su di sé.
Strumenti
Non sono gli strumenti in sé a determinare effetti negativi, molto dipende dalla modalità con cui i ragazzi li utilizzano e dai bisogni cui cercano di dare risposta attraverso le condivisioni online.
I social possono offrire un modo per connettersi con gli altri, ma possono anche aggravare ansie o fragilità già presenti offline.
È fondamentale, dunque, essere sempre attenti a cogliere ogni segnale e non sottovalutare le preoccupazioni e le ansie dei ragazzi.
Vi ricordo che se avete bisogno di un aiutocontattatemi nella sezione “contatti e consulenze ” qui
Mantra e consigli per adulti e ragazzi per vivere serenamente
Buongiorno amici. Oggi parliamo di un mantra per ragazzi e adulti pe vivere serenamente: ma chissenefrega!
Magari non vogliamo ammetterlo con noi stessi ma l’opinione degli altri ci condiziona la vita. Facciamo gli indifferenti, ci proclamiamo liberi di pensare e decidere, ma, sotto sotto, l’idea che gli altri possano non approvare ciò che facciamo ci dà fastidio. Quindi? È tempo di fare un po’ di allenamento mentale per vivere meglio ed essere più felici. “E chisenefrega”, ecco un allenamento che ci consentirà di affinare la capacità di prepararsi all’avvenire in modo disincantato e sorridente.
Sei sicura di goderti il presente?
Certo, possiamo preoccuparci di tante cose: del giudizio altrui, della carriera, di fare brutte figure, di come siamo vestiti, di non avere i capelli in ordine, di come andrà l’esame, di non arrivare puntuali, di avere la casa pulita, di mantenersi in forma fisica, di evitare delusioni, ecc.
Ma sai che c’è? Ci sono tantissime cose di cui “non ha senso importarsi”! Mi riferisco a cose, pensieri, situazioni che se approcciati nel modo giusto, ci rendono in qualche modo “liberi” dai condizionamenti esterni. Magari potrà sembrare un approccio poco ortodosso ma davvero funzionale.
Per esempio? Amo stare in tuta, mi fa sentire più comoda e quando qualcuno mi chiede: “ma non ti piacerebbe indossare abiti più eleganti”, posso sentirmi libera di rispondere come i vecchietti del Muppet Show (ve li ricordate?): “Who Cares?” …a chi importa? chi se ne frega?
Ammettiamolo, una critica o delle opinioni negative sul proprio conto possono mandarci in tilt. Perchè non imparare a “impermeabilizzarsi” ai giudizi altrui e fregarsene? Se aspiri a una vita felice e serena devi diventare meno succube delle opinioni che provengono dall’esterno.
Ci sono tre aspetti fondamentali che ti spingono a giudicarti eccessivamente e che di conseguenza minano la tua capacità di fregartene del giudizio altrui e sono:
i sensi di colpa;
senso di inadeguatezza o inferiorità;
mancanza di abilità comunicative, relazionali e di autodifesa.
Allenati a fregartene del giudizio altrui, accetta il fatto che non si può non essere giudicati e di conseguenza può succedere di imbatterti in persone (e soprattutto i tuoi cari) che nella vita cercheranno fare leva sui tuoi sensi di colpa, sulla tua autostima. Qualcuno potrà accusarti di essere insensibile, di fare scelte affrettate, di comportarti da egoista, di frequentare persone sbagliate.
A meno che tu non abbia ucciso qualcuno, accetta pure le critiche ma fatti scivolare tutto subito. Accettare non si significa assecondare e nemmeno giustificare, ma essere consapevoli che qualcuno può essere in disaccordo con le tue scelte di vita……e quindi: ma chi se ne frega! Bada bene, nessuno ti sta chiedendo di essere superficiale nel fare le cose, l’importante è essere naturale e coerente con se stessi
Prendi la giusta distanza emotiva-ma chissenefrega
Ecco un allenamento mentale che ti chiedo di fare con costanza per spezzare le “catene” con tutti quegli atteggiamenti costruiti solo per accontentare gli altri. Questo allenamento consiste nel prendere le distanze emotive dai giudizi esterni. Immagina proprio di tranciare con una cesoia gigante l’eccessiva importanza che dai ai giudizi altrui.
Ogni volta che ne ricevi uno, chiediti se si tratta di un fatto o di una opinione. I fatti si possono sempre argomentare e dimostrare, le opinioni no. Un tuo amico, il tuo collega o magari tua madre o tuo padre può fare delle obiezioni sul tuo taglio di capelli, sul lavoro che svolgi….. e allora? Che te ne frega, l’unica persona a cui devi dar conto sei solo tu! A volte per invidia, per gelosia, per un senso di protezione…. la gente può dare consigli sbagliati, ricordalo sempre!
Impara a farti scivolare qualsiasi valutazione negativa, fatti scivolare tutto addosso…..e ti assicuro che ti sentirai più leggera. Non dimenticare mai che anche se certi giudizi arrivano dalle persone a te care, non è detto che siano giusti; loro non sono te.
Adesso prova a fregartene davvero- ma chissenefrega
Pensa al giudizio che ti ha fatto più soffrire. A distanza di tempo chiediti con obiettività: valeva la pena stare così male? Sono sicura che ti risponderai: no! E allora, ad alta voce ripeti “ma chi se ne frega, io ascolto me stessa”. Ora ti sembra difficile, ma fidati se ti alleni, vedrai la vita da un’altra prospettiva.
Per rendere meglio il concetto faccio un esempio. È un po’ come andare a correre: all’inizio, correre per 30 minuti ti sembra impossibile, ma dopo un pç di allenamento e costanza, ci riuscirai e solo perché ti sei allenata e sei stata costante. La stessa cosa succede con un sano “chissenefrega”: basta dirlo e poi ci si sentirà più libere.
Non devi scusarti con nessuno, non dimenticare mai che tu vali
Ti rimproveri e consideri gravi dei comportamenti che sono banali o delle particolarità che nessuno noterebbe? Così non fai altro che alimentare il tuo senso di colpa. Non devi chiedere l’autorizzazione per ciò che è nel tuo pieno diritto. Affermando ciò che sei e ciò che fai senza rimproverartelo, farai molto bene alla tua immagine.
In genere, chi è vittima delle critiche gratuite e cattive tende a essere molto dura con se stessa, intransigente e rigida. Allora ogni volta che sei tentata di autogiudicarti troppo severamente, fermati e ripetiti mentalmente “io valgo”. Questa breve frase servirà a convincerti che il tuo valore è sempre indipendente dai tuoi comportamenti. Quello che dovresti sempre tener presente è che non puoi piacere a tutti e non puoi soddisfare tutti. Premesso questo, dovresti già essere in pace con te stessa.
Allenarsi alla felicità
Nel nostro cranio custodiamo una formidabile macchina del buonumore. Il nostro cervello trabocca di energia, basta che impariamo a lavorare bene con lui e ad allenarlo per stare sempre meglio. Spesso pensiamo al nostro corpo come una “macchina” da allenare e tenere in esercizio. Ma non pensiamo nello stesso modo alla nostra mente e al nostro spirito. Invece possiamo agire anche là allo stesso modo, fare degli esercizi per… fortificarci. E’ l’unico modo per riuscire a superare le esperienze negative o per avere una piena consapevolezza di quello che sappiamo fare e quello che non sappiamo fare.
Le neuroscienze hanno dimostrato che, in qualche maniera, è il nostro cervello che si abitua a “difendersi” dalle delusioni e dalle disillusioni. È un’abitudine come un’altra e può essere cambiata. Così come le lamentele, l’ansia, i brutti pensieri e la tendenza alla depressione sono risposte “automatiche” che il nostro cervello dà alle situazioni quotidiane, la felicità dovrebbe diventare un’abitudine che può essere costruita.
Facile? Tutt’altro. Cambiare, reagire, provare a fare qualcosa è molto faticoso e richiede energie e costanza com’è per ogni esercizio fisico, ma in questo caso il premio è più grande di qualche muscolo in più: una vita più felice e serena.
Allenarsi alla flessibilità
Altra cosa importante è quella di non cadere nell’autosabotaggio e di non essere rigidi con se stessi: hai fatto una promessa che non hai potuto mantenere? Ti eri ripromessa di iniziare la dieta da oggi? Stai pensando che avresti potuto gestire meglio una conversazione? Tutto questo fa parte del passato, concentrati solo sul presente.
Qualunque cosa farai, sarai sempre criticata, perché ognuno ha diverse opinioni, regole, indicazioni su come affrontare la vita. E se vuoi migliorare la tua vita, non dovrai fare altro che fregartene del giudizio altrui, degli errori commessi, del passato….Solo così ti sentirai più sicura, vivrai in armonia con te stessa e raggiungerai dei risultati più gratificanti in qualsiasi settore….e allora non mancare agli allenamenti mentali: “E chissenefrega”
Vi saluto con una citazione di Bob Marley “Lo so, non sono perfetto. Ma chissenefrega! Nemmeno la luna è perfetta: è piena di crateri. E il mare? Nemmeno lui: è troppo salato. E il cielo? Sempre così infinito! Insomma, le cose più belle non sono perfette. Sono speciali“
Io spero che parlare del mio “ma chissenfrega” vi sia stato diispirazione.
Vi ricordo che se volete contattarmi potete farlo tramite la sezione “contatti” del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di autolesionismo negli adolescenti: perché lo fanno e come comportarsi.
Autolesionismo
L’AUTOLESIONISMO o il farsi del male intenzionalmente da soli, è estremamente diffuso già a partire dai 12-13 anni di età.
Ci sono delle forme di autolesionismo presenti anche nei bambini che però si manifestano in maniera differente rispetto all’adolescenza.
Generalmente i ragazzi usano lamette o oggetti appuntiti o taglienti per graffiarsi, tagliarsi (cutting) e ferirsi in qualche modo, oppure si bruciano con accendini o si colpiscono, sbattono i pugni o altre parti del corpo su pareti, muri, vetri.
La maggior parte delle volte tagli o ferite sono nascoste e non si vedono perché sono nelle parti più intime o sono coperte da accessori e abbigliamento.
Genitori
I genitori non si accorgono con facilità e immediatezza di ciò che fanno i figli e bisogna imparare a riconoscere i segnali per poter intervenire preventivamente.
Per questa ragione è importante leggere anche
Per il genitore molto spesso è uno shock accorgersi del comportamento autolesionista del figlio.
Arrivano increduli, portano le foto di ciò che trovano nella stanza o nel bagno e delle parti del corpo del figlio: “guardi cosa si è fatto?”, “è possibile che non me ne sia mai accorta?”, “perché si fa questo?” e soprattutto domandano “cosa posso fare?”.
A volte gli adulti arrivano a leggere anche ciò che scrivono e oltre lo sconvolgimento, si sentono profondamente in colpa di non essersi mai accorti di niente prima e di aver lasciato il figlio solo in quella sofferenza.
Non sanno come reagire perché non avrebbero mai pensato che potesse arrivare a farsi del male da solo.
Cosa fare
Istintivamente viene dai dirgli “ma che fai?”, “non lo fare!”, però bisogna stare molto attenti a come si interviene e si parla con loro perché si potrebbe aggravare la situazione.
Emotivamente sono fragili, anche loro si sentono profondamente in colpa nei confronti del genitore e si vergognano di ciò che fanno.
Altri nutrono una profonda rabbia perché il o i genitori non lo comprendono e quindi una frase sbagliata potrebbe creare più dolore e reazioni impulsive.
Bisogna innanzitutto capire perché lo fanno. È una modalità con cui gestiscono il dolore interno, non hanno altre strategie, emozioni forti, delusioni, rabbia sofferenza, attiva uno stato interno che fa troppo male, come se si scoppiasse in quel momento e da qualche parte tutto questo deve uscire.
Il farsi del male abbassa i livelli di compressione interna e si ha una sensazione transitoria e illusoria di benessere perché poi ci si ricarica di nuovo e si rischia di entrare in un circolo vizioso per cui tante volte diventa quasi un’esigenza e un bisogno.
Come comportarsi
Capito questo è chiaro che non si possa intervenire con aggressività o con troppa remissività. Hanno bisogno di essere contenuti, di un sostegno e di un supporto.
Cercate di far aprire il canale delle parole, di farli parlare e di farvi raccontare tutto, da quando hanno iniziato, perché e come si sentono.
Se capiscono che non siete delusi, che non siete arrabbiati, gli alleggerite e si sentiranno meno in colpa.
Non bisogna considerarli pazzi, stanno esprimendo un disagio interno attraverso il corpo, è una modalità patologica ma è una comunicazione importante.
Comprendete come potete intervenire, per esempio molti di loro hanno anche problemi di bullismo a scuola e di relazioni con i compagni, circa il 50% delle vittime di bullismo è anche autolesionista. In questo caso andate a parlare con la scuola per capire cosa succede e far intervenire i professori.
Non opprimete
Ricostruite con loro la storia di questi anni in cui loro sono stati male, non assillateli con il “perché lo fai?”, “perché lo hai fatto?”, “perché non me ne hai parlato prima?”, li portate ad una maggiore chiusura, hanno bisogno di sentirsi capiti, NON colpevolizzati.
È ovvio che si fanno del male hanno una profonda sofferenza, quindi non andate a rimarcare il problema.
Servirebbe anche un consulto con un professionista specializzato in queste problematiche, che aiuti a gestire la situazione nel modo più appropriato.
Non chiedete mille volte se lo hanno fatto di nuovo, non fate i segugi che controllate tutto quello che fanno perché si sentiranno oppressi, serve PRESENZA non OPPRESSIONE.
Se vedono il vostro dolore saranno ancora più appesantiti e compressi. Fate capire che ora siete attenti, che vi accorgete di cosa succede e dategli un rinforzo per affrontare i problemi in maniera più adattiva e funzionale al loro benessere.
E se avete bisogno di me contattatemi tramite la sezione “contatti e consulenze “del sito.
Cos’è, come capire se un ragazzo ne è affetto e come proteggerli
Buongiorno amici. Oggi parliamo di sadfishnig.
Con il termine sadfishing si definisce un comportamento complesso di cui, probabilmente, siamo stati testimoni in più di un’occasione. Ci sono persone che pubblicano nei loro social network frasi, testi o espressioni con contenuti emotivi angoscianti e persino preoccupanti.
È molto comune leggere frasi come “La vita non ha senso”, “ È chiaro che a nessuno importa di me”, “Sono sempre più solo” o “Se sparissi, sicuramente non importerebbe a nessuno”.
In certi casi, leggendo simili messaggi, si è portati a pensare che l’intento reale della persona sia attirare l’attenzione. E a volte può essere così. Tuttavia, negli ultimi anni, gli esperti prestano particolare attenzione a queste realtà che sono sempre più frequenti nel mondo on line.
Come facciamo a sapere se una persona sta realmente chiedendo aiuto? Come possiamo distinguere chi cerca attenzione da chi sta realmente soffrendo? Questo è un fenomeno a cui dovremmo prestare più attenzione. Per questo motivo, oggi lo analizzeremo.
Sadfishing, i post carichi di tristezza nel mondo on line
Siamo consapevoli che spesso la nostra realtà è piena di anglicismi ed etichette difficili da ricordare e da gestire. Questa espressione, tuttavia, è utile per descrivere comportamenti e situazioni nuove, soprattutto quando provengono dal mondo digitale e dalla rete.
Con il termine “sadfishing”, ci riferiamo ad una persona che rende pubbliche nella sua comunità virtuale le sue emozioni ed i suoi pensieri negativi.
Come abbiamo sottolineato all’inizio dell’articolo, a molti di noi sarà capitato di vedere post simili in più di un’occasione. Il nostro interesse per questo fenomeno è dovuto a due motivi ben precisi:
Il primo, sapere come i lettori giudicano ed elaborano questo tipo di messaggi.
Il secondo, verificare se la persona che ha scritto quel post sta chiedendo veramente aiuto.
Sono qui e voglio la tua attenzione
In alcuni casi, è proprio questo: un campanello di allarme. È come il bambino che rimprovera gli adulti per essere ascoltato.
Con questo atteggiamento ottiene la loro attenzione facendo leva sulle emozioni. In questo caso, non c’è manipolazione o inganno. È un esercizio di catarsi per far sì che qualcuno risponda all’appello.
Negli ultimi mesi, a seguito della pandemia, dei lockdown e delle zone rosse è aumentato il disagio sociale e il fenomeno del sadfishing. Una cosa che sappiamo tutti è che quando si tira in ballo la sfera emotiva, la nostra parte empatica risponde.
Pertanto, quando leggiamo dei post in cui c’è scritto “Sono al limite”, “Non so se riuscirò a superare questo momento” o “Ogni giorno mi sento sempre più triste”, li interpretiamo non solo come dei tentativi di attirare l’attenzione, ma anche come una richiesta di aiuto o di supporto.
In fondo, chi scrive vuole sapere se anche gli altri si sentono come lui e che non è il solo a provare certi sentimenti.
I giovani tra i 14 ed i 22 anni sono quelli che praticano di più il sadfishing (e bisogna tenerli in considerazione)
Se si hanno dei dubbi sul fatto che qualcuno stia cercando di attirare l’attenzione o stia davvero chiedendo aiuto, è sempre meglio optare per la seconda ipotesi e rispondere. Non costa niente chiedere a quella persona se ha bisogno di qualcosa.
Non è un comportamento scorretto contattare privatamente la persona che ha scritto quel post pieno di angoscia e chiederle se ha bisogno di qualcosa o se vuole parlare. Lo studio condotto dal Dipartimento di Pediatria del St. Joseph Health di Washington, ci mostrano dei dati importanti.
Gran parte dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 22 anni che soffrono di depressione o ansia vedono i social network come l’unico modo per entrare in contatto con gli altri. I messaggi che pubblicano, pertanto, sono delle vere e proprie richieste di aiuto.
Il miglior consiglio che possiamo darvi è di rispondere sempre a questo tipo di messaggi
Internet è la nostra finestra sul mondo. Siamo arrivati ad un punto in cui i social network sono diventati i mezzi più utilizzati per esprimere i nostri pensieri, i nostri bisogni e sfogare la nostre frustrazioni.
I giovani di oggi vedono i social network come l’unico mezzo per esprimersi e dove rifugiarsi. Questo è qualcosa che non possiamo ignorare.
Di fronte a pratiche come il sadfishing è molto difficile individuare ciò che è vero da ciò che non lo è. Pertanto, è importante riflettere su quando segue:
La migliore risposta a questa situazione è comunicare in privato con quella persona e darle supporto.
Quando rispondiamo a questi messaggi carichi di angoscia emotiva, bisogna evitare di ricorrere alla mera simpatia. Non dobbiamo semplicemente mettere un Mi piace o commentare con un semplice “A me succede la stessa cosa”.
È preferibile usare frasi come: “Mi dispiace per quello che stai passando, come posso aiutarti?”. Sono più utili in queste situazioni.
Il pericolo di pubblicare sui social network come ci sentiamo
Non va bene, non è consigliato ed è meglio non farlo. Quando stiamo attraversando un brutto periodo, non è conveniente rendere pubblici i nostri sentimenti sui social network. E non lo è per una serie di ragioni.
La prima è che quella testimonianza digitale non verrà cancellata e tutte le discussioni saranno pubbliche.
La seconda perché esistono i troll. C’è chi userà il nostro post contro di noi per ridicolizzarci e umiliarci. Ciò può aggravare ulteriormente la nostra sofferenza.
Il terzo motivo per cui non è bene scrivere questo tipo di post è che non tutti sono qualificati a dare dei consigli. Anche con tutte le buone intenzioni, qualcuno potrebbe dirci o proporci qualcosa che in pratica ci fa stare peggio.
In fin dei conti, in queste circostanze abbiamo bisogno di comprensione e sostegno. È meglio che il vero aiuto provenga da degli esperti.
Conclusioni
Non possiamo che ripetere quando detto in precedenza: non bisogna ignorare questo tipo di messaggi. A volte, chi ha più bisogno d’aiuto è chi grida di meno e scrive di più dove non dovrebbe (sulle bacheche di Facebook o su Twitter).
Buongiorno amici. Oggi parliamo di competizione mamma figlia.
La madre ha un ruolo determinante e centrale nella vita della figlia: rappresentando per lei il primo e più importante modello femminile, influenza inevitabilmente il suo futuro come donna, compagna e poi, a sua volta, genitore. Dalla salute di questo rapporto dipende quindi in buona parte la crescita e il benessere della figlia.
Tuttavia, molti ostacoli possono frapporsi nell’instaurarsi di questa relazione, che già di per sé è complessa e difficile.
La madre
Quando dà alla luce una bambina, una donna può inconsciamente desiderare che la figlia sia uguale a lei, che le vorrà bene più che a nessun altro, che la prenda ad esempio e diventi una ragazza perfetta.
Dietro a queste aspettative, in realtà, si nasconde spesso il bisogno di sentirsi amate e di riparare a ferite subite nelle relazioni passate, spesso proprio nel rapporto stesso con la madre.
Un momento di svolta particolarmente importante per l’evoluzione del rapporto fra madre-figlia è però l’età della pubertà, in cui la ragazza inizia a svilupparsi e ad apparire più femminile.
Competizione
Se prima è normale che la bambina si riferisca alla madre come modello, la imiti e la consideri la più bella, è altrettanto sano e giusto che ora la giovane adolescente inizi a prenderne le distanze, cercando di scoprire i propri gusti e interessi, nonché un modo personale di esprimere sé stessa e la propria femminilità.
Per alcune mamme, questa fase può essere difficile da accettare,.
Non solo perché vedono la figlia allontanarsi, ma anche perchè la sua crescita può risvegliare in loro un desiderio di giovinezza, facendo nascere invidia per ciò che ormai non hanno più.
È comune che questi sentimenti si sviluppino in donne molto insicure e bisognose di conferme, che richiedono attenzioni su di sé e che presentano tratti narcisisti.
Strategie malsane
Per far fronte a questo senso di gelosia nei confronti delle figlie, le madri possono mettere in atto diverse strategie.
Fra le più frequenti, c’è la tendenza a comportarsi come amiche più che come genitori e il tentativo di imitare le ragazze, vestendosi e truccandosi come loro.
Un altro comportamento tipico è invece quello di essere fortemente critiche nei confronti delle giovani, rimproverandole continuamente e svalorizzando i risultati che raggiungono.
Spesso, inoltre, le mamme possono cercare di ribadire indirettamente la loro superiorità.
Ad esempio dicendo che quando avevano l’età della figlia erano più magre di lei e che l’uomo che hanno sposato è migliore dei ragazzi da lei frequentati.
Conseguenze
A prescindere da queste diverse modalità, tutti i casi descritti sottendono una forte competizione messa in atto dalle madri.
Queste, spaventate dalla crescita delle figlie, dal loro diventare donne, si comportano come delle rivali, desiderando inconsciamente la loro giovinezza e freschezza.
Purtroppo, è molto difficile che una madre riconosca di nutrire sentimenti negativi nei confronti della figlia e che chieda aiuto per questo.
Più frequentemente, è quest’ultima a rivolgersi ad uno psicologo a causa delle difficoltà provocate in lei dal comportamento genitoriale.
Simili condotte materne, infatti, impediscono alla ragazza di maturare e sviluppare la propria identità come dovrebbe avvenire in adolescenza.
Inoltre, la rivalità, anche se mascherata e resa poco evidente da gesti apparentemente amichevoli, fa sentire la figlia non amata per quello che è, ma criticata e giudicata.
Che fare
Un genitore dovrebbe aiutare la giovane donna a trovare la propria strada, valorizzare la sua femminilità e sostenerla nel processo di crescita.
Controllare continuamente il suo aspetto, i suoi voti, le sue scelte porta invece a farla sentire inadatta e imperfetta.
Se sei una donna e ti rendi conto di trovarti o di esseri trovata in una situazione di questo tipo, ti consiglio quindi un percorso con me.
Vi ricordo di contattarmi qui nella sezione contatti consulenze
O tramite il mio canale “adolescenti istruzioni per l’uso” qui
Buongiorno amici. Oggi parliamo di gelosia per il fratellino minore.
Gelosia
Molti bambini sono gelosi quando arriva un nuovo fratellino: ora dovranno condividere gli spazi e le attenzioni con un essere inizialmente estraneo, che fa davvero poco e che pretende gli si dedichi molto tempo. Un tempo che prima era tutto per loro.
Se non ben gestita, questa situazione può dare spazio a una notevole quantità di episodi di gelosia nei confronti del fratellino, motivo sufficiente a scatenare comportamenti non auspicabili o che pensavamo addirittura che il piccolo avesse già superato.
Uno dei fantasmi che si nasconde dietro la gelosia è la paura. Questo sentimento peggiora all’arrivo del nuovo fratellino in casa: avrà bisogno di attenzioni quasi 24 ore al giorno.
Il bambino sente di non essere emotivamente corrisposto (o, almeno, non come prima), si sente ignorato.
Per questo motivo, le gelosie insorgono e il neonato appena arrivato si trasforma in un rivale. Tuttavia, questa situazione può essere affrontata senza particolari conseguenze. Vediamo in che modo.
Come gestire la gelosia nei confronti del fratellino
Preparare l’incontro
Per prevenire la gelosia nei confronti del fratellino, il primogenito deve capire perché il nuovo membro della famiglia ha bisogno di tante attenzioni. Per questo motivo, è importante che i genitori gli mostrino foto di quando era neonato e gli parlino delle attenzioni di cui aveva bisogno. In tal modo, quando arriverà il fratellino, capirà meglio cosa sta succedendo.
Se un bambino non capisce in che modo ci si prende cura di un neonato, perché i genitori sono così tanto a sua disposizione e per quali motivi è costretto a condividere le attenzioni con suo fratello, potrebbe mostrare rifiuto.
Per prevenire tutto ciò, i genitori devono parlargli della situazione con parole che il bambino possa comprendere e organizzare una buona gestione del tempo, in modo che “il principe detronizzato” non perda tutti i suoi spazi.
Allo stesso tempo, i genitori possono regalare qualcosa al bambino da parte del bebè che sta per arrivare.
Può essere una bambola, un paio di babbucce o qualunque altro oggetto. E questo allo scopo di risvegliare la curiosità per il fratellino o la sorellina in arrivo e indurlo a ricambiare allo stesso modo, preparando qualcosa in dono per il loro incontro.
Quando provano gelosia, alcuni bambini si mostrano particolarmente irritabili; altri, invece, manifestano il disagio con segnali di tristezza.
Cosa succede all’arrivo del neonato?
Preparare l’incontro per prevenire la gelosia nei confronti del fratellino è molto importante.
Questo primo incontro sarà il punto di partenza, la prima impressione, il momento in cui il maggiore sceglierà quale atteggiamento adottare verso il fratello e che poi tenderà a mantenere. Una buona organizzazione ci consentirà di evitare molti problemi futuri.
Nonostante gli sforzi, potrebbe succedere che il bambino si dimostri comunque reticente nel voler conoscere il nuovo arrivato o riconoscerlo come membro della famiglia. Può essere un segnale di timidezza, ma anche di rifiuto.
Capire se si tratta dell’uno o dell’altro atteggiamento ci aiuterà a lavorare a partire da questo punto, dandogli uno spazio per poter esprimere le sue emozioni e offrendosi di aiutarlo ad affrontarle.
In molti casi, i genitori proibiscono ai loro figli di prendere in braccio il nuovo arrivato, anche se ne fanno richiesta.
Si tratta di un grave errore, perché una delle premesse affinché un bambino non provi gelosia è coinvolgerlo nelle attività che interessano il neonato.
Ovviamente, lasciare che un bambino tenga in braccio un neonato può essere pericoloso, ma possiamo permetterglielo se è seduto e se ci siamo noi al suo fianco a monitorare la situazione passo dopo passo.
Il contatto tra i due bambini è essenziale per evitare la gelosia nei confronti del fratellino
È un bene permettere al primogenito di partecipare alla cura del nuovo arrivato. Durante il bagnetto, può collaborare se lo desidera o se riusciamo a convincerlo (senza obbligarlo in alcun caso né facendo ricatti emotivi).
Ad esempio, chiedendogli di prendere un asciugamano, passandogli lo shampoo, permettendogli di strofinare dolcemente con esso la testa del fratellino… Il contatto è essenziale.
Più tempo condivideremo con entrambi, maggiore sarà l’integrazione e meno saremo costretti a dividerli.
A tal proposito, dobbiamo anche evitare di arrivare all’estremo opposto. In alcun caso deve ricadere sul fratello maggiore la responsabilità di prendersi cura del piccolo.
Se si impedisce a un bambino di avvicinarsi al fratello e di toccarlo, usando come scusa che le mani sono sporche o che potrebbe fargli male, è probabile che la gelosia nei confronti del fratellino affiori e così anche il rifiuto.
Arriva un nuovo fratello, ma le abitudini non devono cambiare
Tutte le azioni compiute e lo sforzo attuato per evitare la gelosia nei confronti del fratellino non devono sostituire il tempo di qualità di cui il bambino ha bisogno.
Per quanto grandi siano i bisogni del neonato, il più grande ha comunque i suoi e vi sarà grato per il tempo in esclusiva che gli dedicherete. Dobbiamo pensare che i legami non cessano di essere unici e non sono trasferibili.
In questo senso, i genitori dovranno fare uno sforzo per cercare di mantenere intatte le precedenti abitudini, soprattutto quelle che apportavano un forte benessere.
In questo modo, il bambino sentirà vicino a lui i propri genitori e di essere ancora importante per loro.
Io spero che parlare di gelosia per il fratellino minore vi sia stato utile.
Se avete bisogno di un aiuto concreto vi invito a contattarmi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Perché ci sentiamo così e come superare questa nostra condizione.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul sentirsi inadeguati.
Quante volte, durante gli incontri con i ragazzi (ma anche con gli adulti), sento frasi del tipo
“mi sento sempre fuori posto”
“non chiedo spiegazioni scuola perché ho paura di disturbare e di essere presa in giro dai compagni”
“mi sento insicuro…ogni cosa faccio”
Ma perché ci sentiamo così? Da cosa dipende questo nostro stato d’animo paralizzante e come fare pr uscirne?
Senso di inadeguatezza: com’è manifestato
Come accennato poco fa, spesso siamo vittime di una trappola mentale che ci fa sentire inadeguati.
Alcuni di voi si staranno sicuramente chiedendo “come non sentirsi inadeguati al giorno d’oggi?”
Nella società odierna sembra che tutti amino correre per inseguire e intraprendere la strada della perfezione.
Oggi più che mai, infatti, per non restare un passo indietro è quasi necessario abbracciare degli ideali.
Insomma, per sentirsi all’altezza occorre viaggiare, comprare una casa magari lussuosa, andare in palestra e costruire una bella famiglia.
Chi non rispetta tutto questo, rimane fuori.
Ecco che può prendere vita quel senso di inadeguatezza che sembra quasi tenerci in trappola e quando parliamo di “trappola” non esageriamo: pensate che diversi psicologi definiscono l’inadeguatezza proprio come una trappola, affermando come sia dunque un modo fisso di pensare e sentire che può manifestarsi in vari modi.
Chi viene infatti investito da un senso di inadeguatezza può poter avere timore di sbagliare, a casa, a lavoro, con gli altri.
Cerca di piacere a chiunque e prova costantemente sentimenti di vergogna per i propri difetti.
Non solo: si sente sempre frustrato, poiché insicuro e con una bassa autostima.
Insomma quando parliamo di persone che si sentono inadeguate, parliamo di chi non crede nel proprio valore: per questo si ha bisogno costantemente delle conferme altrui.
Spesso per mascherare la propria insicurezza, questi soggetti cercano di mostrarsi forti e sicuri, ma questa, appunto, è solo una maschera che si indossa all’occorrenza.
A questo punto vi starete chiedendo cosa nasconda questo senso di inadeguatezza: perché mai qualcuno arriva a considerarsi inadeguato, insicuro e frustrato?
Cerchiamo di rispondere qui di seguito a questa domanda.
Senso di inadeguatezza: cosa nasconde?
Poco fa abbiamo visto che chi si sente inadeguato può arrivare a provare paura: paura di sbagliare, paura di mettersi in un certo senso in gioco.
Paura dei propri stessi difetti.
Perché ci si può sentire così inadeguati?
Spesso dietro l’inadeguatezza c’è la paura del giudizio degli altri.
Quando si ha paura di quello che gli altri possano pensare, succede questo: la stima e il valore che attribuiamo a noi stessi vacilla, a seconda del pensiero altrui.
In un certo senso più siamo insicuri, più abbiamo paura degli altri e del loro giudizio e maggiore è la probabilità che il proprio valore, o meglio il valore che attribuiamo a noi stessi dipenda da questi ultimi.
A questo punto una domanda sorge spontanea: come si può non avere paura del giudizio altrui se da questo sembra dipendere il nostro successo o insuccesso?
La paura del giudizio altrui: cosa c’è dietro?
Soffermiamoci su questo aspetto, ovvero sulla paura del giudizio altrui, dal momento che abbiamo visto essere collegata all’inadeguatezza.
Pensate per un momento all’istante preciso in cui dovete mettere in atto un comportamento: spesso vi frenate? Qualcosa che vi blocca?
Sapete cos’è quel qualcosa?
La paura di essere giudicati e di conseguenza la paura di provare un senso di inadeguatezza.
Non è raro che ci facciamo domande del tipo “ ma se faccio questa cosa, cosa penseranno di me”?
Domande che nascondono in un certo senso delle aspettative su quello che gli altri potrebbero pensare o immaginare. Perché?
Perchè abbiamo così paura di essere giudicati?
Semplice.
Perché vogliamo essere accettati. Non è forse questo un bisogno essenziale?
Chi di noi non vuole essere accettato da chi lo circonda?
Magari per il lavoro che si svolge o per l’aspetto fisico che si ha.
Ed è proprio la paura di non esserlo che spesso ci porta ad aver timore del giudizio altrui.
Quando vogliamo fare o dire qualcosa o stiamo quasi per farlo a volte preferiamo frenarci per paura di quello che gli altri possano dire.
Per paura di essere giudicati. Iniziano così ad affiorare nella nostra mente, pensieri quali: “Come dovrei comportarmi in questo momento?” “Che cosa penseranno di me?”, ovvero domande che nascono dalle aspettative che immaginiamo gli altri abbiano su di noi.
Questo perché, come abbiamo visto, non vogliamo essere giudicati, ma al contrario desideriamo solo essere accettati e amati da chi ci circonda.
E’ proprio la paura di essere rifiutati che ci porta a sentirci prigionieri.
Una paura questa legata dunque al desiderio di essere apprezzati.
Una paura che spesso non ci consente di esporci.
Facciamo un esempio forse banale, ma pratico e di facile comprensione: se abbiamo paura del giudizio altrui e ci sentiamo dunque inadeguati, difficilmente riusciremo a prendere un’iniziativa o a proporre un posto dove andare il sabato sera.
Difficilmente saremo liberi di dire la nostra, insomma: ecco perché si parla di trappola!
Giudicare: cosa intendiamo?– sentirsi inadeguati
Ma soffermiamoci per un momento al termine giudicare: cosa nasconde questa parola? Ha un unico significato?
Sicuramente no.
Noi tutti infatti valutiamo gli altri e ciò che ci circonda, in base alla nostra personalissima visione delle cose e del mondo, spesso in maniera giudicante.
Basti pensare a quando, per esempio, osserviamo qualcuno per competizione o per fare confronti ed esprimiamo un parere.
In quel caso stiamo in un certo senso avanzando un giudizio che, se ci pensiamo bene, non fa altro che mettere in risalto non tanto l’altro, ma noi stessi e la nostra voglia di competere.
Dunque in un certo senso spesso giudichiamo perché tendiamo a fare confronti.
E perché tendiamo a fare confronti?
Spesso lo facciamo per insicurezza e perchè no, per migliorarci, ma spesso tutto questo ci porta solo ad auto-criticarci.
L’inadeguatezza, con questi presupposti, non può che essere dietro l’angolo.
Paura del giudizio altrui: ha a che fare con il nostro passato?
Riguardo alla paura del giudizio altrui, non possiamo non approfondire la questione, cercando di darne una lettura più approfondita.
Poco fa abbiamo detto che spesso cerchiamo conferme altrui per credere di valere qualcosa.
Ma perché diamo agli altri tutto questo potere?
Perché mai il parere degli altri dovrebbe avere più valore del nostro?
Per rispondere a questo interrogativo ci viene in aiuto Bowlby, uno psicologo e psicoanalista britannico, che ha elaborato la teoria dell’attaccamento, con la quale ha messo in rilievo quelli che sono gli aspetti caratterizzanti il legame madre-bambino.
Lo psicologo in questione sostiene e sottolinea fortemente l’importanza del rapporto che instauriamo con le nostre figure di attaccamento, sin dai nostri primi momenti di vita.
A tal proposito infatti afferma come sia proprio questo rapporto a far interiorizzare al bambino una figura di sé come degna di essere amata o al contrario come un soggetto non amabile.
In un certo senso è anche dal modo in cui i nostri genitori ci accudiscono che dipende la nostra successiva capacità di credere in noi stessi e di conseguenza la paura del giudizio altrui e la conseguente sensazione di inadeguatezza.
Quanto detto ci fa capire quanto sia fondamentale per un bambino essere accettato, amato e curato e quanto questo possa influire sulla sua crescita psicologica e quindi sui suoi rapporti interpersonali.
Un bambino che non si è sentito amato abbastanza, da grande molto probabilmente tenderà ad essere iper-critico verso se stesso e verso gli altri.
Avrà costantemente timore di essere rifiutato o criticato.
Ma riflettiamo un momento su quest’ultima frase: avere paura di essere rifiutati non è forse una forma di allontanamento da chi siamo realmente?
Non è forse un conflitto che agiamo solo contro noi stessi?
Lasciar andare la paura del giudizio: perché è importante?
Liberarsi dalla paura del giudizio non solo è giusto, ma è anche necessario e il perché non è cosi difficile da capire.
Non possiamo sentirci sempre sotto pressione e prigionieri di quello che gli altri pensano o possono pensare.
Basti pensar a quei momenti in cui, per un qualsiasi motivo x, ci sentiamo inadeguati e di conseguenza ci innervosiamo e ci agitiamo.
Siamo davvero disposti a rinunciare a qualcosa per la paura del giudizio altrui?
Vogliamo davvero rinunciare a quel colloquio di lavoro?
Possiamo non discutere la nostra tesi in pubblico, solo perché ci sentiamo inadeguati?
Forse tutti noi dovremmo imparare a dare il giusto peso alle cose, alle persone, ma soprattutto a noi stessi, cercando di dare maggior importanza a quello che noi stessi pensiamo.
Ma come si fa?
Come possiamo riuscire a superare quel senso di inadeguatezza che spesso ci blocca e non ci fa fare quello che davvero desideriamo?
La trappola dell’inadeguatezza: come superarla
Fin’ora abbiamo cercato di capire cosa si nasconde il nostro sentirci sempre inadeguati: abbiamo visto come spesso è il timore del giudizio altrui a bloccarci e l’importanza che diamo agli altri.
Inoltre è stato messo in risalto il rapporto che sin da piccoli instauriamo con i nostri genitori, per spiegare come questo possa avere delle ripercussioni sulla nostra autostima e quindi sul nostro senso di inadeguatezza.
A questo punto non possiamo non chiederci cosa occorre fare per superare tutto questo.
Per rispondere a questo interrogativo, è necessario cercare innanzitutto di capire cos’è che ci fa sentire così dannatamente inadeguati.
Insomma è importante che ci soffermiamo sulle nostre emozioni: non mettiamole in secondo piano.
Cerchiamo di capirci di più, ponendo a noi stessi delle piccole domande.
Cos’è che mi turba così tanto?
E’ la paura del giudizio altrui? Sono le mie insicurezze?
Non ho molta fiducia in me?
Cercare di rispondere a queste domande è già il primo passo, sapete? II primo passo per conoscervi meglio e per migliorare, ma soprattutto il primo passo per andare nella direzione giusta.
Per fare tutto questo non potete, però, non lavorare sulla vostra autostima.
Lavorare sulla propria autostima
Nel corso dell’articolo abbiamo incontrato molte volte questo termine e forse è arrivato il momento di darne una definizione.
Partendo dal presupposto che di definizioni ve ne son diverse , qui ne presenteremo una in grado di cogliere il vero significato di autostima.
Cos’è l’autostima?
L’autostima, altro non è che l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso .
Battistelli, 1994
Ora avete capito perché è così importante annaffiare questo fiore speciale?
Più lavoreremo sulla nostra autostima, più possibilità avremo di prendere consapevolezza del nostro valore.
Insomma, la morale della favola è che non dovete cercare di convincere gli altri, ma voi stessi.
Sugli altri noi non abbiamo nessun potere, su di noi, si.
Dunque quando e se vi sentirete giudicati, evitate di cercare di camuffare quello che siete, nel tentativo di cambiare il giudizio altrui.
Non serve e inoltre è solo una perdita di tempo: impiegatelo per migliorare voi stessi e l’idea che avete di voi stessi.
Questo significa sicuramente mettersi in discussione: quanti ne sono davvero in grado?
Seppur possa sembrare difficile, è necessario farlo: spesso è proprio l’opinione che abbiamo di noi a crearci problemi.
Cosa occorre fare per cambiarla?
Praticate la tolleranza, ma verso voi stessi, soprattutto.
Come riuscirci?– sentirsi inadeguati
Provate per esempio a pensare a quello che avete vissuto, alle esperienze che avete fatto.
Qualcosa vi ha reso così insicuri? C’è stato un momento in cui avete perso fiducia in voi stessi?
Questo viaggio nel passato può poter essere davvero terapeutico.
Inoltre è importante che sappiate accettare i vostri difetti o i vostri insuccessi.
Non saranno certamente questi a definire chi siete.
Ridimensionate l’importanza che date a tutto questo, ma soprattutto iniziate ad amarvi davvero: fate un lavoro che non vi soddisfa?
Bene, impegnatevi affinchè possiate arrivare a fare quello che più vi piace.
Magari ci vorrà tempo e tanta forza di volontà, ma se ci tenete davvero ad un sogno, il primo passo è crederci.
Tutto questo non farà che confermarvi che siete delle persone capaci di raggiungere i vostri scopi e finirete per avere più fiducia nelle vostre capacità.
Insomma, la parola d’ordine è questa: OSARE! Spesso il segreto è tutto lì.
Sapete quanti ce l’hanno fatta, sol perché hanno deciso di osare?
In questo modo avrete l’opportunità di far emergere ciò che chiede solo di essere ascoltato e portato in superficie.
Insomma, il primo vero passo è puntare sulla propria autostima: il primo passo che vi consentirà di liberarvi dalla paura del giudizio altrui e dal vostro sensi di inadeguatezza.
Cos’altro occorre fare per superare la trappola dell’inadeguatezza?
Vediamo alcuni consigli qui di seguito.
Ulteriori consigli – sentirsi inadeguati
Vi capita di sentirvi giudicati? Rilassatevi.
Non siamo il centro dell’Universo, quindi non è detto che siamo sempre nei pensieri altrui.
Provate a pensarla in un altro modo: “e se stessimo proiettando sugli altri ciò che accade solo nella nostra mente”?
Magari ci sentiamo vittime di un giudizio e in realtà siamo noi i primi a farlo. Rifletteteci su.
Un altro consiglio che non può proprio mancare? Ricordate che quando qualcuno ci critica, sta definendo se stesso e il suo modo di rapportarsi agli altri.
Il vostro partner vi ha trattato male, perché voleva che vi comportaste in un certo modo, durante una cena di famiglia?
Bene, questo non significa necessariamente che siete stati inadeguati.
Molto probabilmente era lui ad essere particolarmente suscettibile in quella circostanza.
Insomma imparate a pensarla in questo modo: non tutto quello che ci viene detto è verità .
Smettiamola, quindi, di dare agli altri lo scettro del potere su chi siamo.
Ricordate
A tal proposito è bene ricordare un’altra cosa importante: spesso gli altri ci criticano non per quello che siamo, ma per quello che credono che noi siamo e la cosa è ben diversa.
Se pensiamo poi che una critica spesso e volentieri è agita su un singolo comportamento, una domanda non può che sorgere in modo spontaneo: perché dobbiamo mettere in discussione ciò che siamo?
Non è giusto né utile: quindi cerchiamo di ridimensionare il tutto.
E’ importante cercare di capire quando una critica è davvero costruttiva e quando no: se una critica può esser utile a noi per migliorare qualcosa, perché non prenderla al volo?
Non siamo mica tutti perfetti: prima lo capiremo e prima riusciremo ad accettare che possiamo sbagliare, ma anche recuperare.
Quando qualcuno ci giudica, pensiamo primariamente a chi ha mosso il giudizio, vero?
E noi, in tutto questo, dove siamo?
Insomma, invece che pensare “lui/lei mi ha giudicata”, provate a dire “mi sento giudicata”.
Cambiando modalità di pensiero, recupererete il vostro potere di scelta e soprattutto rimetterete al centro voi e non è mica una cosa di poco conto !
Seguite il vostro essere, le vostre sensazioni, le vostre emozioni: amatevi, coccolatevi, smettete di giudicarvi e annaffiate la cosa più importante che abbiamo.
La nostra autostima: solo così riuscirete a stare bene con voi stessi, senza sentirvi costantemente inadeguati o sotto giudizio.
Io spero che parlare del perché sentirsi inadeguati vi sia stato d’aiuto.
O sul canale di camtv “adolescenti istruzioni per l’uso”. Qui, potete sottoscrivere la membership pr ricevere tutte le consulenze che volete al mese per soli 30 euro.