Buongiorno amici. Oggi parliamo un po’ di genitori digitali. Ma sono davvero un esempio per i figli?
Famiglie
Le famiglie sono ormai sempre più digitali e, se pensiamo che bambini e adolescenti siano i più vulnerabili e attratti dalla vita online, gli adulti non sembrano da meno.
Gli stessi genitori, infatti, fanno fatica spesso a staccarsi dagli schermi e, impegnati tra social network e chat, sfociano in un uso improprio della tecnologia.
Quante volte capita di non resistere alla tentazione di guardare il telefono, di rispondere ad una chiamata, di scrivere un messaggio o una email mentre si parla, si mangia o si gioca con i figli?
Anche perché, per l’appunto, i dispositivi elettronici, per le loro caratteristiche, catturano facilmente la nostra attenzione ed è difficile in alcuni momenti non farsi distrarre da suoni, squilli e notifiche.
Il problema, però , è che spesso diventa un’abitudine consolidata e un comportamento sistematico, senza pensare che in questo modo si stia dando un esempio sbagliato ai più piccoli .
Come mantenere un equilibrio nell’uso della tecnologia ed essere un modello positivo per i figli?
1. RITAGLIARSI DEI MOMENTI LIBERI DALLE ATTIVITÀ DIGITALI.
Cercate di dedicarvi al gioco e alla condivisione con i figli, mettendo da parte lo smartphone, tenendolo lontano da voi, in modo da godervi un tempo di qualità con loro, senza distrazioni
. Quando si è a tavola, ad esempio, il telefono deve essere messo da parte e, per non farvi tentare dal prenderlo in mano e visionarlo, tenetelo fuori dallo spazio in cui mangiate.
Oggi si è sempre molto occupati, si corre da una parte all’altra e c’è sempre meno tempo per interagire: non perdete l’occasione dei pasti che sono dei momenti importanti da sfruttare al meglio per dialogare e interagire in famiglia.
2. DISINTOSSICARSI DA SQUILLI E NOTIFICHE.
Bisogna imparare a gestire il tempo del digitale e a non farsi prendere dalla curiosità o dall’ansia dell’attesa di ricevere messaggi, email e quant’altro.
Quando si è in famiglia e con i figli, per non farvi distrarre ogni volta dal suono del telefono, silenziate le notifiche così da posticipare il momento in cui visionerete lo smartphone: imparate a rimandare e a dilazionare i tempi di risposta.
Un’altra regola, per dare il buon esempio ai figli, è quella di mettere il telefono in modalità silenziosa quando si è impossibilitati a rispondere, ad esempio di notte oppure quando si è alla guida dove spesso ci si distrae, mettendo in pericolo anche la propria vita.
3. PREDILIGERE LA COMUNICAZIONE FACCIA A FACCIA.–Genitori digitali
Ogni comunicazione ormai è affidata allo smartphone e, spesso anche in famiglia, si finisce col parlarsi tramite chat, anche da una camera all’altra della casa, inviando file audio o messaggi, o col mandarsi faccine per comunicare i sentimenti, piuttosto che farlo dal vivo.
Se i figli più piccoli apprendono indirettamente questa modalità di comunicazione osservando il genitore, i figli più grandi la utilizzano in prima persona, tanto da farla diventare la normalità.
In un’epoca di famiglie digitali, è fondamentale recuperare il dialogo e l’interazione faccia a faccia e il guardarsi negli occhi: tutte abilità che rischiano altrimenti di perdersi.
La responsabilità non è della tecnologia in sé ma dell’uso che se ne fa e del ruolo degli adulti nell’educare i bambini e gli adolescenti ad un corretto utilizzo.
È necessario che gli adulti forniscano ai figli quegli strumenti che gli consentono di sfruttare le risorse della tecnologia, senza però esagerare, per evitare un uso totalitario, mantenendo un equilibrio tra le attività digitali e quelle di interazione sociale.
E voi, siete genitori digitali? Che rapporto avete coi vostri ragazzi? E voi, ragazzi, avete genitori più social che famiglia?
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Quali sono le situazioni che creano ribellione e come risolverle.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di figli ribelli e cosa genera questa ribellione.
Talvolta i genitori mi chiedono come possono costruire o recuperare un buon rapporto con i loro figli, bambini e/o ragazzi definiti “ribelli”. Spesso nei loro occhi leggo rassegnazione, come se le avessero già provate tutte.
È possibile instaurare una relazione costruttiva con i figli? È possibile educarli senza fare ricorso a punizioni o minacce?
Sicuramente sì!
Di fatto la cosiddetta ribellionenon è una caratteristica innata dei bambini, è un qualcosa che arriva nel tempo ed è spesso la conseguenza di 3 cose, che vediamo in questo articolo:
una percepita mancanza d’amore nei loro confronti;
una totale mancanza di regole o una presenza di regole non seguite;
una mancanza di libertà di movimento: di possibilità di esplorare sè stessi, le proprie capacità, il proprio sentire, il proprio ambiente – alle varie età.
1. Percepita mancanza d’amore da parte dei “figli ribelli”
Spesso come genitori, senza rendercene conto, abbiamo un sacco di pretese nei confronti dei nostri figli.
Desideriamo che facciano subito ciò che chiediamo loro, vogliamo che accettino sempre e comunque per buono quello che diciamo, vogliamo che ubbidiscano senza se e senza ma…
Quando questo non accade, talvolta tendiamo a reagire in modi poco amorevoli: alziamo la voce, facciamo piovere minacce di punizioni, magari ci chiudiamo nella relazione con loro tenendo musi lunghi ed evitando di rispondere se ci parlano.
E tutto questo si amplifica se siamo stanchi, se abbiamo avuto una giornata faticosa, se c’è qualcosa che ci preoccupa, se i bimbi “fanno i capricci” in luoghi pubblici facendoci sentire in imbarazzo, se con il loro atteggiamento vanno a toccare nostre ferite ancora attive.
I nostri figli pagano quasi sempre le conseguenze dei nostri stati d’animo.
Più siamo stressati a livello fisico, mentale e/o emozionale e meno pazienza abbiamo, meno abbiamo voglia di mettere in atto gesti di gentilezza, di comprensione, di cura… ovvero di amore.
Quante volte per stanchezza o tensione emotiva non dipendente da loro abbiamo reagito con rabbia? Quante volte abbiamo detto o fatto cose per le quali poi ci siamo pentiti sentendoci in colpa?
Sono cose che accadono e credo siano successe ad ogni genitore.
Generalmente come adulti ci viene automatico pensare che le nostre responsabilità, quello che abbiamo da fare noi, i nostri tempi siano più urgenti, interessanti e importanti di tutto quello che riguarda i nostri figli.
Il punto è che come noi abbiamo le nostre priorità, dettatte e determinate dalle scelte di vita che abbiamo fatto, loro hanno le proprie e non credo che crescere fisicamente, mentalmente ed emotivamente sia meno importante e faticoso.
Teniamo presente che ogni volta che reagiamo in malo modo originiamo una crepa nella relazione con i nostri figli e più questo accade, più fragile diventa il rapporto con loro.
Per evitare che questo accada, come genitori possiamo scegliere di applicare quello che, a mio avviso, è il principio fondamentale della genitorialità: individuare, soprattutto con il cuore, quali sono gli obiettivi educativi che come madre e padre ci poniamo nel lungo periodo.
Cosa desideriamo per i nostri figli nel lungo termine?
Avere ben chiaro questo ci può aiutare a rivedere i nostri atteggiamenti e comportamenti quotidiani, portandoci a sceglierne di funzionali e costruttivi anziché di disfunzionali.
Decidere di rispondere a un momento di stress, di difficoltà – anche derivante dalla relazione con loro ma non solo – in un modo efficace anziché in modo reattivo, ci permetterà di far vedere concretamente.
Che ne siamo consapevoli o meno i bambini imparano ciò che vedono e vivono. Imparano per imitazione e noi genitori educhiamo con ciò che siamo.
Se urliamo, facciamo i musi lunghi, li giudichiamo e critichiamo, questo sarà quello che i bambini apprenderanno e che facilmente replicheranno, anche con noi genitori.
Si sentiranno autorizzati a farlo proprio perchè l’hanno appreso da noi che siamo le loro figure di riferimento.
Il punto è che quando sono i figli a mettere in atto questi atteggiamenti come genitori li vediamo inopportuni, sbagliati e ci fanno dire che sono capricciosi e/o ribelli.
Emozioni..
Ricordiamoci sempre che le emozioni che proviamo sono la conseguenza dei pensieri che facciamo, ciò significa che se i pensieri che abbiamo riguardo ai figli sono di un certo tipo, ad esempio:
“se fa così vuol dire che non sono stata una buona madre/un buon padre”,
“se tiene questo comportamento vuol dire che non mi rispetta/considera/ascolta”,
“hanno il dovere di ubbidire”,
“sono io che decido e lui/lei ha da fare ciò che dico”,
“quando parlo hanno da agire subito”
è ovvio che se questo non avviene nei tempi e nei modi da noi desiderati ci arrabbiamo e reagiamo in modo esplosivo.
L’ amore
Così facendo però come genitori ci perdiamo la grande opportunità di far vedere ai nostri figli quale potrebbe essere un buon modo di stare in relazione.
Tutte le relazioni richiedono la presenza di un ingrediente essenziale: l’amore .
Le relazioni sono un luogo di crescita per tutte le parti in gioco e posso assicurarvi che, dai nostri figli abbiamo un sacco di cose da imparare oltre che su di loro anche e sopratutto su noi stessi.
Che ci piaccia o no ci mettono davanti alle nostre paure, ai nostri limiti, ai nostri irrisolti e ci danno l’opportunità e l’occasione per andare oltre.
Alla luce di questo, con che atteggiamento scegliamo di approcciarci a loro?
Cosa desideriamo veramente raggiungere con la modalità educativa che scegliamo di adottare?
Come genitori abbiamo individuato e stabilito gli obiettivi che nel lungo termine desideriamo ottenere o ci lasciamo guidare da quelli a breve termine?
Siamo consapevoli di dove può portarci il focalizzarci sugli uni piuttosto che sugli altri?
Vediamolo insieme.
Se ad esempio desideriamo che nostro figlio sistemi i giochi dopo aver giocato e che si lavi le mani prima di mangiare questi sono i nostri obiettivi desiderati nel qui e ora, ovvero nel breve termine.
Se questo non avviene nei tempi e modi ritenuti da noi consoni, può succedere che nella nostra mente inizino ad affollarsi dei pensieri negativi tipo: “Lo sta facendo apposta”,“Non mi ascolta mai”, ecc.
E ovviamente questi pensieri non potranno che generarci emozioni “negative” quali rabbia o frustrazione, alle quali facilmente seguiranno comportamenti coerenti.
Magari alziamo la voce, usiamo parole giudicanti, minacciamo di lasciarlo senza cena o di togliergli il cartone preferito…
Tutto questo farà sì che il bambino – anche se mette un muro e non lo dà a vedere – si senta impaurito dalle nostre parole, dal nostro atteggiamento: temerà di perdere il nostro amore.
I giudizi e le critiche lo feriranno, lo umilieranno, lo mortificheranno. Le punizioni e i “musi lunghi” non lo faranno sentire benvoluto e desiderato.
Paure
E la paura, che è la madre di tutte le emozioni “negative”, li porterà a chiudersi e a rispondere alla situazione con pianti, urli, lancio di oggetti, sbattimenti di teste sul pavimento e chi più ne ha più ne metta
E più questo accade, più questa si rinforza.
Praticamente, anche se ci è impegnativo vederlo, nostro figlio si sente esattamente come noi. Arrabbiato, frustrato, non compreso, non ascoltato, non visto…
Ognuno, momento dopo momento, ha le proprie priorità.
Le nostre possono essere vedere la casa riodinata e sederci per cenare, le sue potrebbero essere quelle di avere il genitore a disposizione per giocarci assieme o semplicemente continuare a fare quello che stava facendo.
E in questi momenti, in cui tutte le parti in gioco stanno male ed è sicuramente difficile trovare una soluzione costruttiva, ne consegue che, se questi sentiti continuano a fare da padroni, sarà facile che al momento di accompagnarlo a letto lo facciamo in modo freddo, senza bacio della buona notte, senza una coccola che lo rassicuri.
E altrettanto facile sarà che quando lo guarderemo addormentato, inizieremo a sentirci in colpa per come abbiamo agito. Dal canto suo il bimbo potrà dormire male, svegliarsi arrabbiato e se va all’asilo o a scuola potrebbe mettere in atto gesti di dominanza sui compagni, ecc.
Obiettivo
Alla fine magari il nostro obiettivo a breve termine è stato raggiunto: i giocattoli sono stati ordinati e le mani lavate, ma è probabile che sia il rapporto con nostro figlio che la sua autostima e sicurezza ne escano minati.
E si sa, gli anni passano e i figli crescono e se queste modalità non vengono riviste cosa potrebbe succedere? A venti o trent’anni che adulto sarà nostro figlio?
Se nel qui e ora, come genitori, ci facessimo delle domande diverse, cosa cambierebbe?
Se come genitori ci chiedessimo:
A venti o trent’anni che adulto vorremmo fosse diventato nostro figlio?
Che caratteristiche vorremmo avesse sviluppato?
Ci piacerebbe fosse una persona sicura di sé o meno?
che avesse fiducia negli altri o no?
O fosse una persona empatica o meno?
Ci piacerebbe fosse una persona amorevole o reattiva?
Che rapporto desideriamo avere con lui/lei quando sarà adulto?
Stiamo seminando per essere visti come figure di riferimento su cui poter contare?
Ecco, quando pensiamo a questo, quando ci poniamo questi interrogativi, stiamo di fatto individuando i nostri obiettivi a lungo termine che nel presente possono fungere da faro per guidare i nostri atteggiamenti e comportamenti nella direzione più opportuna.
Il lungo termine
Se scegliamo di controllarci, se scegliamo di investire tempo ed energie per spiegare al bambino/ragazzo perché gli stiamo chiedendo quella determinata cosa e soprattutto perché sarebbe bene la facesse, è probabile che dopo qualche volta non avremmo più bisogno di ripeterlo: lo avrà compreso, vedrà un senso in quell’azione che gli viene richiesta e, soprattutto, nel compierla si sentirà utile.
Ricordiamoci sempre che i bambini (e per noi sarebbe la stessa cosa) imparano meglio quando si sentono rispettati, compresi, protetti, sostenuti e amati.
Se vivono questi sentiti, difficilmente andranno in difesa caratteriale, in opposizione, in sfida, in quanto si sentiranno parte attiva nella famiglia, oltre che sentirsi sostenuti e protetti nella crescita.
2. Mancanza di regole o regole stabilite ma non seguite
Oltre che quando si sentono rispettati e compresi, i bambini (e non solo loro) imparano meglio quando ricevono informazioni, quando capiscono perchè è importante che agiscano in un certo modo, quando sono aiutati e supportati a trovare dei metodi costruttivi per raggiungere i loro obiettivi, quando sentono che i loro genitori credono in loro e soprattutto quando comprendono i motivi che stanno alla base delle regole adottate in famiglia.
E proprio riguardo alle regole, talvolta, come genitori commettiamo due “errori”:
Tendiamo a stabilire e imporre regole da rispettare che poi per primi infrangiamo.
I figli ci osservano in ogni momento, imparano da noi ed è normale che se non ci vedono coerenti si ribelleranno a tutte quelle imposizioni che noi per primi non rispettiamo.
Quando diciamo loro “non si urla” ma appena “sbagliano” qualcosa alziamo la voce, che messaggio stiamo passando?
O ancora, “non si alzano le mani” ma quando fanno “i capricci” (veramente sono capricci?) o qualche marachella ci scappa una sculacciata, che messaggio stiamo passando?
Predichiamo loro che hanno da portare rispetto, ma per primi li giudichiamo, critichiamo (o critichiamo in loro presenza l’altro genitore o altre persone), che messaggio stiamo passando?
O ancora che hanno da ascoltarci ma per primi non ci fermiamo a capire le loro ragioni, che messaggio stiamo passando?
A volte reagiamo a determinate situazioni alzando la voce o le mani, a siamo i primi che critichiamo o giudichiamo, di fatto stiamo insegnando ai nostri figli l’esatto opposto di quello che vorremmo imparassero, in più ogni volta che reagiamo in questo modo perdiamo una grande opportunità educativa: quella di far vedere loro come si può rispondere ai momenti di avversità, di difficoltà dove le cose non sono come vorremmo noi.
Oltre all’effrazione in primis delle regole, può anche accadere che, nonostante queste ci siano, a volte permettiamo e accettiamo che vengano infrante da loro.
E se in determinati momenti chiudiamo un occhio o talvolta entrambi, come possiamo pensare di imporle in altri?
Se non insegniamo il valore di quella regola e il senso del suo rispetto giorno dopo giorno, non possiamo poi aspettarci e pretendere che venga fatto quando andrebbe bene a noi.
La cosa utile da fare per ovviare a tutto questo è quella di stabilire poche regole fondamentali. Hanno da essere chiare, precise e soprattutto condivise con loro.
Le imposizioni non servono a nulla e le punizioni nemmeno: rischiano soltanto di ottenere l’effetto opposto ovvero di mandare il bambino/ragazzo in sfida con noi adulti.
Ricordiamoci che, come genitori, siamo guide non giudici dei nostri figli perciò invece di punire, passiamo loro il senso di responsabilità che consiste nel fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni e non con le nostre minacce.
Regole e conseguenze
Se insieme a loro condividiamo regole e conseguenze credo che inevitabilmente passiamo un messaggio di libertà e correttezza che vive nel comprendere e nel riparare al “danno”.
Difficilmente ci sono atteggiamenti ribelli e di sfida dove vivono libertà e senso di giustizia.
Se ad esempio nostro figlio preferisce prepararsi la cartella al mattino anziché alla sera lasciamolo libero di scegliere.
Magari spieghiamogli che se lo fa alla sera il mattino successivo può dormire dieci minuti in più o fare colazione con più calma o può avere più tempo per verificare di aver fatto tutto al meglio per il giorno successivo, ma se lui sceglie di farlo al mattino lasciamolo libero.
Fissiamo insieme in modo chiaro l’ora di uscita e concordiamo come ci regoleremo qualora, all’ora stabilita, non fosse pronto. Facciamogli comprendere che una sua mancanza si ripercuoterebbe anche su di noi facendoci magari arrivare tardi al lavoro e spieghiamogli cosa questo comporterebbe.
Alla fine sperimentiamo, concordiamo un periodo di prova di una settimana per vedere come va. Se le cose funzionano ottimo, in caso contrario parliamone assieme per trovare un nuovo accordo condiviso.
Sicuramente è una via più impegnativa e faticosa ma nel lungo tempo lo renderà una persona responsabile, capace di trovare soluzioni e di mediare piuttosto che una persona colpevole e in sfida.
3. Mancanza di libertà
Se il bambino sente minacciata la sua libertà di esplorare, sperimentare, muoversi, agire, decidere, scegliere, facilmente diventerà ribelle.
La libertà, per quello che è possibile ad ogni età, è il bene più prezioso che abbiamo e i genitori avrebbero da essere proprio quelle persone che guidano i figli in questa strada nel modo più efficace possibile.
Ma se come genitori impediamo tutto questo e diventiamo coloro che tengono il bambino o ragazzo in trappola è ovvio che in lui nasceranno emozioni di rabbia, risentimento e rancore nei nostri confronti.
Ed è altrettanto ovvio che ne seguiranno dei comportamenti e atteggiamenti disfunzionali. Generalmente quando come genitori limitiamo la libertà dei figli lo facciamo a causa delle nostre paure.
Invece di perseverare in questo atteggiamento repressivo, sarebbe utile cogliere l’opportunità di osservare, attraversare e vincere ciò che per primi ci blocca e che più o meno consapevolmente tendiamo a riversare sui nostri figli.
La nostra libertà interiore diventerà inevitabilmente la loro, come le nostre prigioni interiori diventano inevitabilmente le loro… Prendiamoci cura di ciò che ci impatta perchè solo così istaureremo relazioni autentiche e funzionali con i nostri figli e non solo.
Consigli per risanare la relazione genitore-figlio
Alla luce di quanto visto per recuperare o risanare la relazione con i figli, è importante che teniamo presente che un bambino/ragazzo si ribella perchè, dal suo punto di vista, che è diverso dal nostro, ha un ottimo e valido motivo per farlo.
Se con pazienza, presenza e disponibilità cerchiamo di comprendere cosa pensano e cosa provano i nostri figli nelle diverse situazioni.
Se insieme ci impegniamo a rimuovere quei motivi, se ci teniamo sempre nella mente e nel cuore qual è il nostro obiettivo educativo a lungo termine, se li vediamo come persone diverse da noi con le loro propensioni, ecco che avremo imboccato la via giusta per creare una buona relazione.
Inoltre abbiamo da agire per essere veramente per loro dei punti di riferimento affidabili e coerenti, quindi per primi, e soprattutto nel rapporto con loro, abbiamo da essere delle persone che:
rispettano le regole;
li coinvolgono nella definizione delle regole, spiegandone loro il senso;
esprimono il proprio punto di vista e rimangono aperti ad ascoltare il loro;
non giudicano ma cercano di comprendere e li sostengono nel miglioramento;
li accompagnano ad apprendere dai loro “errori”;
aiutiamoli a comprendere che ogni azione, ogni decisione, ogni scelta implica delle conseguenze da affrontare;
a capire che ogni loro azione, decisione, scelta potrebbe implicare delle conseguenze anche nella vita degli altri;
sosteniamoli nella libertà di esplorare;
si impegnano a gestire lo stress, a lasciar andare le pretese, a incanalare la rabbia per trasformarla in azioni costruttive anziché distruttive;
non usano imposizioni, manipolazioni, minacce per ottenere ciò che vogliono nell’immediato.
Aspettative
E nel fare tutto questo sarebbe utile che non alimentassimo aspettative sul risultato.
Restiamo nel processo con fiducia e amore perchè come non sono divetati “capricciosi, ribelli, sfidanti” da un giorno all’altro, ci vorrà il giusto tempo affinchè si sentano sicuri e sereni di poter agire in modo nuovo e diverso.
E soprattutto non etichettiamoli come “capricciosi, ribelli, o altro” perchè di fatto nonsono “capricciosi, ribelli…” ma scelgono di adottare quel determinato comportamento perchè per loro è la cosa migliore in quel momento.
Se separiamo il fare dall’essere ovvero i comportamenti dalla persona, possiamo agire sui primi, continuando ad amare e guardare loro come alle creature meravigliose che sono.
Io spero che parlare di figli ribelli vi sia stato di aiuto.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo della paura di deludere gli altri.
Pensiamo per un momento alle decisioni per la nostra vita: dove abitare, quale lavoro svolgere e la propria situazione sentimentale. Come siamo arrivati dove ci troviamo oggi? Nella migliore delle ipotesi abbiamo ascoltato le nostre esigenze, i nostri desideri e le nostre preferenze. Eppure, molte persone finiscono per costruire la propria realtà in base a ciò che gli altri si aspettano da loro. La paura di deludere è più forte di quanto pensiamo.
Sicuramente conosciamo qualcuno che voleva fare l’artista e ha finito per studiare economia o una persona che rimane in una relazione solo per paura del cambiamento.
Noi stessi probabilmente dedichiamo tempo ad attività e persone che non ci nutrono o non ci attraggono. Perché andiamo contro la nostra stessa essenza?
Cosa c’è dietro la paura di deludere gli altri?
Se vi sentite identificati con una delle situazioni esposte sopra, dovreste sapere che sono comuni. In realtà non siamo né pazzi né masochisti, ci sono valide ragioni che ci portano a voler piacere agli altri. Identificarle può aiutarci a raggiungere quella libertà che ci siamo negati per anni.
Colpevolezza
Il senso di colpa è un’emozione molto potente che può finire per dirigere le nostre vite se non impariamo a gestirla. Si manifesta nei rapporti familiari, per cui possiamo sentire di essere in debito con la famiglia.
I nostri genitori ci hanno dato la vita, ci hanno nutrito, accudito e accompagnato; possiamo dunque sentire che hanno un potere infinito su di noi.
Andare contro la propria volontà scegliendo una determinata carriera, un partner in particolare o semplicemente scegliere di non abitare vicino a loro possono essere intesi come dimostrazioni di slealtà.
Nessuno vuole sentirsi una persona ingrata o egoista, e nel nostro desiderio di ripagare il debito finiamo per ipotecare la nostra esistenza.
Vergogna
Insieme al senso di colpa, la vergogna è una delle emozioni autocoscienti, così chiamate perché il loro scopo è permetterci di sviluppare il senso di sé e vivere nella società tenendo presente le reazioni altrui nei nostri confronti.
Il problema si presenta quando, lungi dal raggiungere questo obiettivo sotto il nostro controllo, finiscono per essere i direttori delle nostre vite.
In questo caso, la vergogna può manifestarsi quando sentiamo di non rispondere alle aspettative altrui. Se sono considerato intelligente, avrò il terrore di fallire. Se si aspettano che io abbia una vita stabile, sarà difficile per me provare a cambiare lavoro.
E se il mio ambiente impone che mettere su famiglia sia l’unica strada valida, mi vergognerò finché non riuscirò ad adempiere a quel mandato.
Paura dell’abbandono
La paura di deludere gli altri nasconde spesso il timore di essere abbandonati. Esso si instaura durante l’infanzia, quando dipendiamo totalmente dagli adulti e pensiamo di doverli accontentare in modo che non ci privino del loro affetto e ci lascino, perché letteralmente la nostra sopravvivenza dipende da questo.
Molti adulti continuano ad alimentare questa convinzione irrazionale; provano una paura molto intensa di non raggiungere le mete che altri hanno stabilito per loro; siano essi familiari, amici, partner o colleghi di lavoro.
Dire “no” comporta il rischio di turbare l’altroe ciò è intollerabile. Non esitano, dunque, ad abbandonarsi per ridurre al minimo il rischio che altri li abbandonino.
Come superare la paura di deludere gli altri?
La paura di deludere non scaturisce dal nulla, ma viene forgiata nel corso della storia come elemento evolutivo. Vivere in società e gestire le relazioni è essenziale per mantenere la nostra cerchia di supporto. Tuttavia, possiamo rieducarci al riguardo per superare la paura di deludere gli altri.
Prima di tutto, riflettiamo sui nostri veri obblighi. Le relazioni ci fanno crescere solo quando ci sentiamo liberi. Liberi di cambiare, di restare, di parlare, condividere e anche porre limiti.
Sebbene le relazioni siano necessarie e benefiche, paradossalmente diventano più sane e costruttive quando impariamo a stabilire dei limiti. Teniamo dunque presente che rispettare, amare e onorare gli altri non accadrà mai abbandonando o ignorando noi stessi.
In secondo luogo, è importante chiederci cosa desideriamo per noi. Altri possono indirizzarci sulle nostre qualità o sui nostri punti più deboli, ma l’ultima parola sulle nostre decisioni spetta a noi. Alla lunga, la dissonanza con le aspettative degli altri è molto meno dannosa della dissonanza con i propri desideri.
Se state affrontando un periodo difficile, che voi siate genitori o ragazzi, e avete bisogno di un aiuto concreto contattatemi pure.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo de l’introversione.
Spesso mi capita di parlare con genitori spaventati per i carattere introverso del figlio confuso, erroneamente, con la timidezza.
L’introversione si traduce in maggiore comfort in situazioni o contesti tranquilli, con pochi stimoli esterni.
Gli estroversi, d’altra parte, hanno bisogno di più stimoli per sentirsi al meglio. Lo stimolo può essere interpretato in vari modi; stimolazione sociale, ma anche rumore, luci, movimento, ecc.
Chi è introverso si divertirà più bevendo in tranquillità un drink con un caro amico piuttosto che a una festa rumorosa piena di estranei.
L’introversione e la timidezza
L’introversione non va confusa con la timidezza che implica la paura del giudizio esterno negativo, mentre l’introversione è semplicemente una preferenza per un ambiente con meno stimoli. La timidezza sarà sempre controproducente, essere introversi no.
Se essere introverso non è fonte di imbarazzo, perché così tante persone lo vedono come una cosa negativa? Perché la preferenza per stimoli tranquilli o scarsi viene giudicata negativamente?
Se ci fermiamo a pensare, detto pseudo-assolutismo affonda le radici nell’infanzia. Sin da bambini, chi preferisce la tranquillità o la solitudine al frastuono o alla folla viene visto come “strano”.
Essere estroversi o preferire l’azione di gruppo all’azione individuale non è male, ma non lo è nemmeno essere introversi. Tuttavia, la nostra società premia l’essere estremamente socievoli o estroversi sopra ogni cosa, anche sulle buone idee.
L’estroversione secondo Susan Cain
Susan Cain, autrice che ha approfondito l’argomento dell’introversione, afferma che “non c’è correlazione tra chi parla meglio o di più e chi ha le idee migliori”. Secondo Cain, più di un terzo della popolazione è introverso, ma molte di queste persone cercano di passare per estroversi, perché la società lo richiede.
Il problema per Cain è che chiunque tenti di sembrare diverso perde una parte di sé. E in questo caso quello che manca è il vero senso di come si desidera trascorrere il tempo. Gran parte delle persone introverse finisce per svolgere costantemente attività in cui non si sente a proprio agio o durante le quali preferirebbe fare altro. Per esempio, vanno a una festa ma vorrebbero rimanere a casa a leggere un libro.
Conclusioni
Essere introversi non significa essere antisociali, una persona introversa può essere altrettanto o più amichevole di un’altra a cui piacciono tutti gli stimoli di cui sopra.
È tempo quindi di smettere di pretendere determinati atteggiamenti da chi non li apprezza e accettarlo. L’estroversione è uno dei tanti tratti della personalità e come tale deve essere accettata. L’introversione non è una malattia.
Quindi , cari genitori, non forzate vostro figlio ad essere quello che non è. Rispettate il suo modo di essere e, se avete bisogno di un aiuto, contattatemi pure alla sezione “contatti e consulenze” del sito.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di adolescenti, come educarli nel modo corretto.
“Aiuto, ho un adolescente in casa!” Eh sì, il più delle volte, quando si ha a che fare con un adolescente, il grido di un genitore (o altro familiare) è proprio così: quasi disperato.
Ammetto che, quando anni fa sentii dire una mia conoscente che all’epoca aveva una figlia adolescente “Datemi una botta per addormentarmi e svegliatemi quando tutto sarà finito!”, pensai che fosse un tantino esagerata. I miei figli erano ancora lontani da quell’età e, pur con tutte le fatiche oggettive della genitorialità, ritenevo tutto perfettamente gestibile e “sotto controllo”.
Ecco, quel “sotto controllo” nel gran parte dei casi con un adolescente va in frantumi.
Non è un male, intendiamoci: la cosa è perfettamente fisiologica. Ma non per questo meno spaventosa. Sì, siamo sinceri, per un genitore è spesso spaventosa la trasformazione repentina che subisce il proprio pargolo a livello comportamentale (a quello fisico siamo di solito pronti, e anzi ce lo aspettiamo con curiosità).
La notizia forse consolatoria è che tutto quanto sia altrettanto spaventoso per l’adolescente.
Adolescenza
La parola adolescenza deriva dal verbo latino “adolescĕre” = crescere, e sta a delimitare il tratto dell’età evolutiva di transizione dallo stato infantile a quello dell’individuo adulto, nell’arco di tempo che va generalmente dai 10 ai 17/18 anni (ma oggi si parla del limite spostato fino a 25 anni). È in atto una vera e propria rivoluzione, in quanto il cambiamento avviene rapidamente, coinvolgendo più aree: modifiche somatiche, modifiche psicologiche, sviluppo della sessualità, la maturazione del pensiero, mutamento fisiologico del cervello e la tempesta ormonale a intensità massima. Mettiamoci in concomitanza la crisi di mezza età dei genitori, e la situazione si complica ulteriormente.
Per quanto un genitore possa aspettarselo, non è mai abbastanza preparato per quando arriva il fatidico momento, semplicemente perché ogni caso è a sé. Ci sono quelle poche eccezioni in cui gli adolescenti sono tranquilli, quasi invisibili e non danno problemi – ma al di là della comodità, lì è il caso di farsi qualche domanda ulteriore sul vissuto emotivo dei ragazzi a cui manca l’atteggiamento ribelle, perché potrebbe covare una sofferenza interiore per l’incapacità di un’espressione autentica (le cause possono essere svariate).
Perché? Semplicemente perché è compito dell’adolescenza “rompere” la tipologia del legame stabilito fino a quel momento tra genitori e figli. Quanto è dolorosa la rottura, tanto lo è la sua mancanza.
Crescere
Per crescere bisogna rompere il bozzolo. Punto. Ricordandoci l’adolescenza, forse riusciamo a capire meglio perché anche in età adulta ci spaventa la crescita e il cambiamento: è la fine di un mondo, non ci sono sinonimi.
Ma contemporaneamente è anche l’inizio di un nuovo mondo, inteso nel senso esistenziale. Cresce l’adolescente, ma cresciamo anche noi, come genitori e come persone. È proprio affrontare queste problematiche che ci fa crescere.
In tutti gli inizi sono contenute due dinamiche opposte: la paura dell’ignoto e l’eccitazione del nuovo. Ecco, un adolescente oscilla vistosamente tra queste due emozioni (paura ed eccitazione), e ha bisogno di imparare a gestirle. Tornerà utile in tutte le successive fasi della vita.
Compito del periodo adolescenziale è distaccarsi dai genitori, allontanarsi, rendersi autonomi in tutti i sensi: fisicamente, emotivamente e mentalmente. E contemporaneamente gli adolescenti si distaccano anche da se stessi come erano fino a poco fa. Il corpo stesso in alcuni periodi cambia così velocemente, che ci si trova estranei nella propria pelle. Non è facile, ammettiamolo (anche se magari noi non ce lo ricordiamo più). Ma non è facile nemmeno per un genitore (o altro familiare) trovarsi di persona davanti al “Caso del Dr. Jekyll e Mr. Hide”, dove a volte il primo pensiero che viene è quello di chiamare un esorcista.
Ecco, i 10 Segreti per educare un adolescente:
1. Essere presenti
Sembra banale, ma non lo è: ragazzi, anche se non vi sopportano, hanno bisogno di sapere che ci siete;
2. Porre i limiti
Hanno bisogno di sentirli per poterli forzare e misurarsi, calibrare il proprio comportamento;
3. Esprimere l’amore, qualsiasi cosa succeda
Questo è un punto molto importante, che può essere difficile da gestire: per i genitori troppo “appiccicosi” si tratta di contenersi un po’ e rendere l’espressione dell’affetto più discreta (ma tuttavia presente), mentre per i genitori poco espansivi si tratta di imparare a palesare l’affetto (con parole, gesti o con azioni concrete) senza mai usare la negazione dell’amore come ricatto…dite al figlio adolescente “Ti voglio bene” in tutti i modi;
4. Accettare le proprie imperfezioni
Gli adolescenti hanno bisogno di “massacrare” l’immagine dei genitori (fino a quel momento ritenuti degli supereroi) per sentirsi liberi di costruire la propria autostima “scollegata” da essi…tranquilli, dopo qualche anno tornerete ad essere “niente male”;
5. Essere autorevoli, ma non autoritari
Ragionate con loro sul perché dei “no”, in questo modo li aiutate a costruire le sinapsi nel cervello per fronteggiare le frustrazioni, oltre che a sviluppare la capacità di discernimento;
6. Ammettere i propri errori e se è il caso chiedere scusa
Non è il segno di debolezza o mancanza di autorità, ma di forza di carattere e coerenza (che gli adolescenti apprezzano molto), nonché di accettazione di poter sbagliare (se non lo accettiamo noi, da chi possono prendere esempio?), rimanendo amati lo stesso;
7. Motivarli
Non dandogli subito tutto quello che vogliono, ma creare le sfide da superare, il modo di “guadagnarsi, sudarsi” qualcosa che desiderano…ricordiamoci che il desiderio va coltivato, e si spegne laddove si ottiene tutto e subito;
8. Essere positivi riguardo il futuro
La frase che troppo spesso sento pronunciare, quasi automaticamente, “le cose vanno sempre peggio” magari è detta in buona fede perché si ha a cuore il benessere dei figli, ma di certo sortiscono l’effetto di privarli del coraggio di affrontare il futuro…e ricordiamoci che non ci possiamo sostituire a loro né tantomeno “proteggerli” dalla vita. Abbiamo il dovere di essere incoraggianti, se niente altro per puro rispetto verso le loro sfide, visto che noi, bene o male, le nostre le abbiamo superate;
9. Ascoltarli
Anche se tutto quel che hanno da dire è un fiume di parole più o meno indistinto in cui la frase chiave è “nessuno mi capisce”…è un modo lento e un po’ rocambolesco di capire qualcosa su se stessi;
10. Accettare i loro amici
Anche quando non ci piacciono; anzi se possibile farseli amici e cercare di non criticarli (otterremo un probabile effetto di rinforzare il loro attaccamento), semmai parlare e ragionare insieme dei loro comportamenti o problematiche. Il gruppo dei pari per un adolescente è praticamente la famiglia.
Qualche condivisione sull’esperienza adolescenziale, sia nel ruolo del genitore che del figlio? Aspetto i commenti, dopo l’ascolto del brano “Nessuno ti capisce”.
Io spero che parlare di adolescenti e di come educarli nel modo corretto vi sia stato utile.
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Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sull’ ammettere i propri errori e sul perché, per molti, è così difficile.
Se errare è umano, ammettere l’errore e chiedere scusa dovrebbe renderci divini (parafrasando le parole di Alexander Pope). Tuttavia, viviamo in un’epoca segnata dall’apparente infallibilità, in cui abbondano le persone che faticano ad ammetterei propri errori, i politici che non si assumono le proprie responsabilità e le istituzioni che non accettano il peso dei propri sbagli.
Perché è difficile ammettere i propri errori e le proprie bugie? È curioso notare che capita più spesso di ricevere delle scuse velate per uno specifico errore che trovare qualcuno che ammetta con coraggio e trasparenza di aver commesso un errore o un’ingiustizia.
è sempre più facile sentirsi dire: “va bene, mi dispiace se ti ha dato fastidio” piuttosto che “va bene, sono sicuro di aver sbagliato, ho commesso un errore”. Con il primo esempio si cerca di riparare leggermente il fattore emotivo, ma non si dimostra un autentico sentimento di responsabilità; non ci si assume pienamente le proprie responsabilità, manifestando le scuse in modo aperto, sincero e coraggioso.
Non è facile ammettere di poter fallire. Questo tentativo affannoso di dimostrare di essere intoccabili, di non essere vulnerabili all’errore, di essere altamente produttivi crea scenari molto rigidi, complessi e malsani. Magari dimentichiamo che la felicità non consiste nell’essere divini, ma nell’essere umani.
noi ci ostiniamo a voler dare agli altri l’immagine di persone decisamente efficienti.
Ammettere i propri errori, assumersi le proprie responsabilità riguardo a menzogne o a cattive decisioni che hanno portato a serie conseguenze significa avere “una lettera scarlatta” addosso che nessuno vuole indossare.
Ciò si deve innanzitutto all’idea di fondo secondo cui ammettere uno sbaglio equivale a mostrarsi deboli. Parliamo di quelle persone che non sanno ammettere i propri errori e che fanno parte del nostro ambiente. Cosa si nasconde dietro questi profili?
Narcisismo-ammettere i propri errori
Questo tipo di personalitàè caratterizzato da una smisurata autostima e non ammetterà mai un errore. Farlo significherebbe violare le proprie aspettative di competenza assoluta. L’individuo preferirà sottolineare gli errori altrui a dimostrazione della propria innocenza.
Irresponsabilità personale
L’irresponsabilità personale è relazionata all’immaturità emotiva e alla mancanza di abilità sociali. Le persone che non ammettono i propri errori sono le stesse che manifestano gravi carenze sociali; sono coloro che fanno fatica a vivere con gli altri, a rispettarli, a creare legami importanti, a fare gioco di squadra o a pianificare il futuro.
Insomma, se non mi prendo la responsabilità dei miei errori, assumo che non esistono, ammetto di essere infallibile e che le mie azioni non hanno conseguenze. In definitiva, sto affermando di essere capace di fare tutto. Questo atteggiamento ci conduce inevitabilmente al fallimento e all’infelicità.
Meccanismi di difesa
Commettiamo tutti degli errori e quando lo facciamo, abbiamo due opzioni. La prima è la più razionale, ed è ammettere l’errore, assumercene le responsabilità. La seconda è rigettarne ogni responsabilità, negarlo e alzare intorno a noi un sofisticato muro difensivo.
Pur essendo coscienti di aver sbagliato -e della presenza di una dissonanza cognitiva- scelgono di mettere a tacere questa parte di sé per proteggere il proprio ego.
Non è mai tardi per scendere dal nostro piedistallo ed essere umani; per ammettere i nostri sbagli e dare spazio a una meravigliosa occasione di crescita personale.
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Utili strategie per imparare questa importantissima arte di vivere.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo dell’importanza di saper ascoltare.
Saper ascoltare è fondamentale per una comunicazione efficace.
Tuttavia, sono poche le persone che sanno ascoltare davvero. Si tende a non prestare attenzione, pur dissimulandolo, e ciò provoca diversi conflitti che influenzano il rapporto con gli altri.
Non siamo consapevoli dell’importanza di saper ascoltare e di quanto sarebbe utile potenziare questa abilità. Tuttavia, il nostro bisogno di essere ascoltati prevale e diventiamo egoisti senza notarlo.
“Parlare è una necessità, ascoltare è un’arte.”
-Goethe-.
Ascoltare e sentire
Ascoltare e sentire sono due atteggiamenti diversi. Dopo un’intera giornata si sentono molte cose, ma si ascolta poco.
Quando sentiamo, non prestiamo molta attenzione, semplicemente captiamo la successione dei suoni prodotti intorno a noi.
Quando ascoltiamo, la nostra attenzione è diretta verso un suono o un messaggio specifico, ovvero vi è un’intenzione, motivo per cui attiviamo tutti i sensi. Così, le persone che sanno ascoltare gli altri li accompagnano nel loro viaggio attraverso la vita.
Ricordate quando in classe c’era un insegnante e non si era interessati a quello che diceva? Non vi si prestava ascolto, semplicemente si avvertiva la sua voce.
Il canale uditivo riceveva il suono che emetteva, ma non lo capiva. La mente era altrove, ignorando quanto percepito attraverso le orecchie.
“Ascoltare attentamente rende speciale, perché quasi nessuno lo fa.”
-Ernest Hemingway-
Ebbene, questo atteggiamento in una lezione noiosa può essere trasferito nel proprio quotidiano. A volte è molto più facile sentire piuttosto che ascoltare, poiché quest’ultimo richiede la volontà di prestare attenzionee di sforzarsi di capire. Si chiama ascolto attivo ed è necessario e importante.
Saper ascoltare
Un proverbio orientale dice: “Nessuno rende più evidenti la sua goffaggine e la sua cattiva educazione di chi comincia a parlare prima che il suo interlocutore abbia finito”.
A volte si mostra difficoltà di ascolto, poiché si elabora mentalmente quello che si dirà quando l’interlocutore avrà finito di parlare. Si fa ciò piuttosto che sforzarsi di prestare attenzione a quello che dice, il che provoca incontinenza verbale.
Ebbene, parlando allo stesso tempo e non ascoltando le ragioni altrui, non ci saranno dialoghi in quanto tali, ma monologhi giustapposti.
Saper ascoltare è difficile, poiché richiede padronanza di sé e implica attenzione, comprensione e sforzo per cogliere il messaggio. Significa rivolgere la nostra attenzione all’altro, entrare nella sua area di interesse e nel suo quadro di riferimento.
Il dialogo richiede un atteggiamento silenzioso di ascolto attivo. Lo scrittore e oratore J. Krishnamurti ha dichiarato: “Ascoltare è un atto di silenzio”.
Finché non zittiamo il nostro dialogo interiore e prestiamo attenzione al nostro interlocutore, non impareremo ad ascoltare. Solo un atteggiamento di ascolto attivo rende feconda la parola che possiamo dare al nostro interlocutore.
È difficile poter dire all’altro qualcosa di valido se non apriamo bene le orecchie per ascoltarlo. Ciò fa sentire l’altra persona grata e creare un clima di rispetto, stima e fiducia.
L’ascolto è un’abilità che richiede apertura, trasparenza e voglia di capire. Il giusto equilibrio tra saper ascoltare e saper parlare produce dialogo.
Suggerimenti per saper ascoltare
Se vogliamo potenziare la nostra capacità di ascolto, prima di tutto dobbiamo identificare gli aspetti dell’ascolto attivo in cui abbiamo dei deficit e poi lavorare su di essi.
Questi aspetti possono essere sintetizzati in: attenzione all’interlocutore, interesse trasmesso, aspettare prima di rispondere, la capacità di dare e ricevere feedback ed empatia. A seguire presentiamo alcune tecniche che aiutano a lavorare ciascuna dimensione.
Prestare attenzione
Se non ascoltiamo il messaggio dell’altro, ci sarà impossibile ascoltare. Proviamo a concentrarci su ciò che ci dicono e ignoriamo tutti gli elementi di distrazione (interni ed esterni).
Allo stesso modo, facciamo uno sforzo per capire la posizione del nostro interlocutore e prestiamo attenzione al suo linguaggio del corpo, così identificheremo il contesto più facilmente e potremo capire l’intero messaggio. Infine, è di vitale importanza non interrompere e coltivare la pazienza.
Mostrare interesse
Saper ascoltare implica mostrare che siamo interessati a ciò che ci dicono. In caso contrario, l’altro percepirà di non essere curato e noi provocheremo una sua risposta negativa. Per denotare interesse, l’ideale sarebbe:
Fare brevi commenti e gesti di assenso che dimostrino che stiamo ascoltando.
Adottare una posizione del corpo in ascolto, che implica mantenere il contatto visivo, ridurre la distanza, orientare la postura verso l’altro, evitare le braccia incrociate, ecc.
Rinviare il giudizio
Quando l’interlocutore ci esprime le sue idee, dobbiamo essere in grado di mettere a tacere il nostro dialogo interiore. A tale scopo, bisogna evitare di trarre conclusioni mentre l’altra persona sta parlando.
Piuttosto, cercare di cancellare i preconcetti sull’argomento, non interrompere e mettere da parte le emozioni. Per riuscirci, non c’è niente di meglio della pratica.
Dare e ricevere feedback
È un aspetto molto importante per una comunicazione efficace. Possiamo chiedere di chiarirci le idee a noi non chiare e riformulare, con parole nostre, il messaggio che abbiamo catturato. Così evitiamo di cadere in inutili malintesi.
Essere empatici
Senza empatia non c’è ascolto attivo. Pertanto, affinché avvenga una comunicazione efficace, dobbiamo essere in grado di metterci nei panni dell’altro e capirlo.
Oltre a ciò, dobbiamo prestare particolare attenzione a quei messaggi che vanno oltre le parole, come: i loro sentimenti ed emozioni trasmesse, così come il loro linguaggio del corpo.
Conclusioni
Esercitiamo la capacità di saper ascoltare! È un esercizio salutare, appagante e di supporto, soprattutto in una società in cui ci sono molte persone che hanno bisogno di essere ascoltate.
Solo quando siamo in grado di ascoltare l’altro, apriamo la porta per comunicare con noi. Pertanto, non sottovalutiamo la capacità di ascolto. Abbiamo davvero iniziato a farlo?
Io spero che aver parlato di come saper ascoltare vi sia stato utile.
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Perchè molti genitori criticano costantemente i figli
Buongiorno amici:) oggi parliamo di criticismo genitoriale.
Il criticismo genitoriale è caratterizzato da un ricorso ripetitivo e pervasivo al rimprovero.
Si manifesta con frequenti commenti critici sostenuti anche da tono severo o perentorio; si esprime per mezzo di espressioni di disapprovazione, di sentimento, rifiuto e svalutazione del rimproverato (ad esempio, “Possibile che sbagli sempre?”, “Vergognati per quel che hai fatto!”).
L’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del ragazzo e le approvazioni sono inconsistenti; così succede che questo non si senta mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla.
La conseguenza? L’autostima viene letteralmente uccisa dando origine a sensi di colpa per cose mai realmente commesse e una ricerca costante dell’approvazione degli altri per sentirsi davvero “qualcuno”; davvero apprezzato.
Ricerca che va aldilà dell’ambito genitoriale visto che, qui, ogni tentativo è vano.
Gli effetti che produce il criticismo genitoriale
Questo tipo di comunicazione “inferiorizzante” è un potente strumento di controllo del comportamento dell’altro che lo fa sentire dipendente e quindi bisognoso di approvazione.
Questo atteggiamento aumenta dunque l’autostima del rimproveratore che recupera potere nella relazione.
Un livello elevato di criticismo genitoriale porta, l’adolescente, a un continuo bisogno di perfezionismo che genera, ovviamente, ansia e depressione visto che, come dico sempre, la perfezione no esiste su nessun fronte.
Una critica pervasiva dei genitori può portare a una vulnerabilità cognitiva per critiche fatte da altri. Inoltre i ragazzi possono imparare direttamente a relazionarsi con se stessi nello stesso modo critico che i genitori hanno utilizzato per riferirsi a loro
Molte sono le ripercussioni sui ragazzi: c’è chi sviluppa degli atteggiamenti ossessivo compulsivi: chi sviluppa una fortissima autocriticità; chi invece dipendenze da cibo.
Perfezionismo e bassa autostima sono considerate fra le maggiori credenze cognitive disfunzionali dei disturbi alimentari.
I soggetti rimuginano sul non essere abbastanza competenti e adatti alle richieste della vita. La valutazione del sé tende ad essere basata sulla forma corporea e sul peso, temendo conseguenze negative nei rapporti interpersonali, come il biasimo o il disprezzo di genitori e coetanei
Le critiche continue non consentono di sperimentare, mettersi in gioco, esplorare il mondo alla ricerca di soluzioni personali che incrementino l’autostima e il senso di autoefficacia.
Criticismo genitoriale e perfezionismo
Avere avuto genitori criticisti determina una maggiore intolleranza all’errore che porta ad essere perfezionisti; criticismogenitoriale e perfezionismo sono due concetti fortemente collegati.
Che fare allora?
Il compito primo dei genitori è dare il buon esempio e cercare di stimolare giorno dopo giorno l’autostima dei ragazzi.
I genitori, quindi, devono imparare davvero a dialogare con i ragazzi, ad ascoltarli, a comprendere il loro linguaggio interiore.
E, in primis, non devono cercare di far sì che riescano a raggiungere gli obiettivi che voi adulti non siete riusciti a raggiungere in gioventù.
Il vostro compito è assecondare i loro sogni, i loro obiettivi, apprezzare e valorizzare i loro personali talenti e insegnar loro a dare tutto il loro meglio per realizzare tutto ciò che vogliono.
Io spero che parlare di criticismo genitoriale vi sia stato utile
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Piccola riflessione per genitori ma anche per voi ragazzi:)
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come prevenire i problemi dei ragazzi.
Tecnologia
Ma allo stesso momento, quando c’è bisogno, quando c’è una necessità, quando servono, sono lì, pronti ad intervenire.
Genitori
Non precederli in tutto, non spianargli la strada sempre, non essere iperprotettivi, permette ai ragazzi di crescere con quella porzione di autonomia psichica sufficiente per ragionare e riflettere sull’esito delle proprie azioni, per avere una sorta di consapevolezza di ciò che si sta facendo e acquisire la responsabilità che serve per non farsi del male, per non farlo agli altri e per capire quando si sta passando un limite e quando hanno bisogno dell’aiuto di un adulto.
Per fare questo si deve creare un clima giusto, un ambiente familiare non oppressivo e non troppo permissivo, si dovrebbero evitare frasi del tipo
“Mi cerchi solo quando hai un problema o quando ti serve qualcosa”
perché, per il loro orgoglio adolescenziale, si rischia solo di indurli a non chiedere più niente per non sentirsi rinfacciare le cose.
È vero che un genitore dice queste frasi perché si aspetta che un figlio riconosca anche altri lati della loro persona e del loro essere madre o padre, al di fuori dei beni materiali e di ciò che gli serve.
Ma un adolescente, non la vede così, la vive sul personale, la filtra male e reagisce di conseguenza. Non significa ovviamente, fargli passare tutto, anche questo atteggiamento sarebbe sbagliato, significa, essendo più maturi, capire anche il loro punto di vista.
Dialogo
Non si può pretendere che un adolescente si metta da solo nei panni di un genitore e capisca il suo punto di vista.
Si devono quindi stimolare al dialogo e al confronto, per cui non si deve sminuire ciò che dicono, si deve fare attenzione ai loro racconti, sia quelli più superficiali e banali, che quelli più ricchi di problemi e profondi.
Invece, capita che, quando raccontano quelle che, per un genitore sono fesserie, non si ascoltino e si drizzino le antenne solo quando si sente la parola “problema”.
Per loro significa non essere compresi, non essere compresi significa non essere riconosciuti nei propri problemi.
Di conseguenza, si chiude la porta ai genitori, anche quando non si dovrebbe.
Il digitale ha unito da tanti punti di vista le famiglie.
Siamo in un periodo storico in cui non credo che genitori e figli siano mai stati così vicini e che padri e madri, soprattutto padri, siano mai stati così presenti nella vita dei figli (questo non significa che tutti i padri siano così).
Attraverso la tecnologia ci si scrive messaggi, si sa sempre dove ci si trova e cosa si sta facendo e le comunicazioni arrivano in tempo reale e in simultanea a tutti i membri della famiglia.
Abituarsi a parlare
Nello stesso momento questa modalità deve agevolare da alcuni punti di vista, ma non si può assolutamente sostituire al dialogo e al contatto diretto tra i vari membri della famiglia.
Non ci si deve abituare a non parlare, un messaggio vocale non deve sostituire la conversazione.
Il fatto di sapere dove ci si trova o quello che si fa o cosa accade a scuola attraverso i registri elettronici, ha annullato anche il confronto sul rendimento scolastico e l’affrontare direttamente un genitore.
Il fatto che non si affronti più il genitore, e che si comunichino anche le cose che non vanno o i problemi attraverso le chat, porta a non assumersi le proprie responsabilità.
Porta a non trovare strategie per risolvere i problemi, alla assenza del confronto con un adulto, al guardalo in faccia per vedere il suo dissenso che serve per acquisire le competenze per capire di aver commesso degli errori.
Genitori amici?
Per esperienza diretta con i ragazzi, oggi nelle famiglie digitali si tende a discutere tanto, soprattutto in merito gli aspetti legati alle prestazioni.
In particolar modo quelle scolastiche, e molto meno a quelli emotivi, dimenticandosi che il dialogo tra i genitori e figli, e tra genitori e genitori, è uno strumento di prevenzione e di educazione potentissimo.
Dialogare insieme, non significa diventare i loro amici o i loro confidenti, come troppi adulti erroneamente fanno, ma la loro carta assorbente, un confronto maturo ed esperto in grado di comprenderli.
In troppe situazioni, purtroppo, è praticamente impossibile, a causa della immaturità dei genitori, dei loro problemi o disturbi e della incapacità di essere un riferimento autorevole.
Questo purtroppo, li porterà a non avere punti di riferimento stabili e li renderà vulnerabili, potenzialmente alla deriva.
Dialogare non è rendicontare, soprattutto per soddisfare la curiosità del genitore o placare le sue ansie.
Conoscere davvero un figlio
Solo attraverso il dialogo si riesce a conoscere veramente un figlio, si guarda nei suoi occhi, si apprende come si esprime, nel bene e nel male e si riesce quindi a capire quando c’è qualcosa che non va.
Perché un figlio si apra con il genitore ci deve essere innanzitutto l’ascolto empatico, ossia ascoltare ciò che un ragazzo racconta mettendosi nei suoi panni e guardando anche attraverso il suo filtro.
Il messaggio che deve arrivare ad un ragazzo è che, nel bene e nel male, il genitore è pronto ad ascoltarlo, anche quando gli racconta ciò che non vorrebbe mai sentire con le sue orecchie.
Per questo è importante che in famiglia ci sia un clima di apertura e si parli di tutte le problematiche che caratterizzano la vita, non solo di compiti.
E voi, vi ritrovate in queste situazioni?
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Ma come fare per aiutare i ragazzi a non dipendere da questi?
Buongiorno amici:) Oggi parliamo della paura di non piacere sui social che colpisce soprattutto gli adolescenti.
Milioni di volte, nel corso degli anni, mi è capitato di parlare con ragazzini, anche molto giovani (dagli 11 anni ni su), rammaricati perché i genitori non volevano aprissero un profilo su fb.
ESPERIENZA
Mi ricordo di una ragazzina, quasi isolata da tutte le compagne di classe perché non aveva fb.
ma perché mamma e papà non vogliono che lo faccia? non c’è nulla di male. Ce l’hanno tutti e io sono l’unica sfigata a non averlo
A questa ragazzina ho fatto capire che i suoi erano genitori che la amavano profondamente e che ce n’era tempo per poter aprire un profilo sui social. Le spiegavo che, in quel momento della sua vita, la cosa più importante era vivere la vita fuori da un pc, relazionare fisicamente con gli altri ragazzi della sua et e cercare di non cadere in trappole online più grandi di lei.
Bambini e ragazzi sono sempre più sottoposti alla pressione di modelli incentrati sull’ossessione dell’apparire, sulla ricerca della perfezione e sul controllo dell’immagine, ricevendo messaggi distorti che non sempre sono in grado di filtrare.
Si confrontano ogni giorno con un’idea di bellezza che deve seguire canoni ben precisi, dove l’apparenza, i like e le approvazioni social devono essere raggiunti a qualunque costo.
BISOGNO DI FAR GRUPPO
Il bisogno di identificarsi con dei modelli è normale in adolescenza, ma c’è da dire che rispetto al passato si sono modificati i punti di riferimento: ormai non si segue soltanto il gruppo dei coetanei, ma anche fashion blogger, modelle e youtuber.
Inoltre, oggi si vive in una società in cui l’adolescente che non è alla moda è considerato uno “sfigato”, isolato dalla massa e spesso e volentieri preso di mira su chat e social network.
“Evito di pubblicare immagini in cui si vede bene il mio corpo, perché ho paura di non piacere”, “Ho cancellato tutte le mie foto da Instagram dopo che ho ricevuto dei commenti negativi”, “Cerco di ritoccare al meglio i miei selfie così ricevo tanti like”, “Ogni volta che posto una mia foto, temo di ricevere commenti negativi”.
La paura che pervade gli adolescenti è oggi , infatti, quella di non essere apprezzati sui social network: un mondo in cui si è esposti completamente al giudizio degli altri.
L’impulso a confrontare costantemente il proprio aspetto fisico con quello di coetanee o di personaggi famosi, purtroppo, può compromettere profondamente il giudizio su di sé e l’umore.
Per gli adolescenti più vulnerabili e fragili, infatti, crescere con l’ossessione dell’apparenza, non sentendosi mai adeguati e soddisfatti di sé, è estremamente dannoso, e può determinare vissuti di insicurezza e scarsa autostima.
Infatti, per oltre 3 adolescenti su 10è importante il numero dei like ricevuti: tanti like e tante approvazioni accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale.
Ovviamente, vale anche il contrario, ovvero commenti dispregiativi e pochi like condizionano l’umore e l’autostima in negativo, tanto che il 34% ci rimane molto male e si arrabbia quando non si sente apprezzato (dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus).
Ma come aiutarli?
È importante, quindi, e aiutare i ragazzi a non farsi totalmente condizionare da ciò che vedono e sentono e accompagnarli verso un’autonomia di pensiero, che li porti anche a sviluppare una buona autostima.
I genitori devono fare attenzione, monitorare le attività online dei figli e OSSERVARE EVENTUALI SEGNALI DI DISAGIO nei ragazzi.
E’ importante, per l’appunto, conoscere ciò che avviene sui social network e aiutarli a sviluppare man mano quella capacità critica che consente di non prendere tutto ciò che viene trasmesso dai media per buono e imparare ad andare oltre le apparenze.
Il riconoscimento di sé altrimenti rischia di passare esclusivamente attraverso il corpo e l’estetica.
Hanno bisogno, quindi, di SOSTEGNO e di riconoscere quelli che sono i loro punti di forza, per riuscire a non focalizzarsi solo su ciò che non gli piace di se stessi.
Senza esagerare, VALORIZZATE I LORO ASPETTI POSITIVI di modo che nella crescita riescano ad accettare anche i loro difetti.
Parlate con loro dei loro interessi, passioni e rinforzateli su questi campi: hanno bisogno di essere valorizzati nella loro unicità.
Ricordatevi inoltre che il vostro ruolo è fondamentale e dovete FUNGERE DA FILTRO soprattutto in questo mondo virtuale; in cui l’apparenza e l’estetica sembrano essere tutto; in cui l’aspetto fisico assume sempre più rilevanza e in cui ci si trova costantemente sotto i riflettori tra social network, selfie e mode assurde che impazzano nel Web.
CONTATTAMI
Non abbiate paura, dunque, di affrontare questo argomento con i vostri figli. Certo, dovete, come dico sempre, essere aperti sempre al dialogo aperto e all’ascolto attivo.
E, soprattutto, non ponetevi in modo sbagliato. Non fate nemmeno passare il messaggio che fuori dalle mura di casa è tutto un pericolo. Il giusto mezzo, in tutte le cose.
E se avete bisogno di un aiuto concreto contattatemi e prenotate una consulenza con me.