Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul pensiero “ma la felicità è un obbligo?“.
Il Mito dell’Obbligo di Essere Sempre Felici: Accettare Tutte le Emozioni Come Parte della Vita Reale
Viviamo in un’epoca in cui l’idealizzazione della felicità è diventata una sorta di imperativo sociale.
I social media sono pieni di immagini di vite perfette e sorrisi smaglianti, ma dietro questa facciata di allegria si nascondono spesso storie più complesse e sfide personali.
Ci sentiamo così obbligati a mostrare solo il lato positivo delle nostre vite, temendo il giudizio degli altri se dovessimo ammettere di non essere sempre felici.
Questo costante tentativo di conformarsi a un’idea distorta di felicità può trasformarsi in una prigione emotiva, imprigionandoci in una ricerca perenne di un’irraggiungibile perfezione emotiva.
La Trivialità della Felicità Perenne
C’è una differenza sostanziale tra cercare di essere felici e sentirsi obbligati a essere sempre felici.
La vera felicità non è qualcosa che possiamo forzare o costringere; è un’esperienza autentica che nasce dalla nostra connessione con noi stessi e con il mondo che ci circonda.
Pretendere di essere sempre felici trascura il fatto che le emozioni sono un linguaggio universale attraverso il quale esprimiamo le nostre esperienze.
La tristezza, ad esempio, può essere un’opportunità per la riflessione e la crescita personale, mentre la rabbia può indicare la necessità di porre dei limiti o difendere i nostri valori. Accettare la complessità delle nostre emozioni ci permette di abbracciare la totalità della nostra esperienza umana.
La Variegata Gamma delle Emozioni Umane
Immagina di essere su un’isola deserta e di vedere un arcobaleno dopo una tempesta: senza la tristezza e la rabbia, non apprezzeremmo pienamente la bellezza e la magia di quel momento.
Allo stesso modo, senza sperimentare la gamma completa delle nostre emozioni umane, non potremmo veramente gustare le gioie della vita.
Le emozioni negative non sono da evitare, ma da abbracciare come parte integrante della nostra esperienza.
Rifiutare le emozioni meno piacevoli significa negare la nostra umanità e limitare il nostro potenziale di crescita e comprensione di noi stessi e degli altri.
Embracing Real Life
La vera felicità non è una destinazione finale da raggiungere, ma un percorso da percorrere con tutte le sue curve e deviazioni.
Dobbiamo imparare a coltivare la compassione per noi stessi e gli altri nelle nostre esperienze emotive.
Essere gentili con noi stessi significa permetterci di essere umani, con tutte le nostre imperfezioni e contraddizioni.
Accettare la nostra intera gamma di emozioni ci consente di vivere in modo più autentico e connesso con il mondo che ci circonda.
Liberarsi dalla Prigione dell’Obligo di Felicità
In conclusione, la ricerca ossessiva della felicità continua può diventare una sorta di prigione emotiva.
Dobbiamo liberarci da questa aspettativa irrealistica e abbracciare la totalità delle nostre esperienze emotive.
Accettare le emozioni negative non significa essere pessimisti, ma piuttosto essere realisti riguardo alla complessità della vita.
Solo abbracciando la nostra umanità nella sua interezza possiamo sperare di vivere una vita autentica e appagante.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sull’educate con l’esempio più che con le parole.
La teoria è conosciuta da tutti noi: sappiamo che i figli si educano con l’esempio.
Ma la teoria, come ben sai, non basta e non serve e dare il massimo per i tuoi figli.
Perché la maggior parte dei genitori riescono ad applicare la teoria quando le cose vanno bene ma poi appena si è davanti ad un problema o una difficoltà, saltano gli schemi e le cose cominciano ad andare male.
Succede anche a te? Educate con l’esempio
Sin dalle prime ore di vita dei nostri bambini, noi genitori siamo chiamati a una sfida unica e difficile: l’educazione dei nostri figli.
Sono le nostre scelte che determinano giorno dopo giorno l’insieme di regole che trasmettiamo ai nostri figli. E per scelte mi riferisco a tutto ciò che ci appartiene: quello che pensiamo, quello che viviamo con i nostri sentimenti, quello che diciamo, quello che facciamo.
Come educare efficacemente i figli? Educate con l’esempio
Capiterà anche a te di non riuscire a comunicare con tuo figlio, eppure tu hai così ben chiaro quali regole trasmettere e come fare, ma il comportamento di tuo figlio ti manda un chiaro messaggio: hai fallito.
A volte tuo figlio si ribella, non ti ascolta, fa i capricci, si rifiuta di fare ciò che gli hai chiesto e tu provi un enorme senso di inadeguatezza, ti senti sconfitto e fallito. Ti capisco, capita anche a me.
Esiste però una possibilità per vivere la relazione più bella della vita, quella fra genitore e figlio in modo nuovo.
In questo articolo ti fornirò delle indicazioni concrete per riuscire a comunicare con tuo figlio in maniera efficace, qualsiasi età egli abbia.
Intendo darti delle linee guida, che approfondirò nel mio prossimo incontro del 6 marzo, attraverso le quali, pian piano imparerai a rapportarti con tuo figlio in modo più efficace, anche quando sei stanco, stressato e hai poca pazienza.
È possibile educare un figlio senza conflitti e capricci? Come? educate con l’esempio
Sì, è assolutamente possibile. Occorre allenare alcune abilità. Forse sono già fra le tue abitudini oppure dovrai impegnarti nel portare nella tua vita 10 cose fondamentali + 1.
È impensabile continuare a fare quello che hai sempre fatto e aspettarti risultati diversi. Non funziona, d’altronde se funzionasse probabilmente non staresti leggendo questo articolo alla ricerca del consiglio giusto.
Non esiste una ricetta preconfezionata, valida ed efficace per tutti. Con i bimbi, in quanto persone, è tutto da contestualizzare e da valutare nell’unicità di ogni persona, ogni famiglia… Esistono solo delle linee guida universalmente valide, sperimentate da migliaia di genitori in tutto il mondo ed esaminate nei più grandi istituti di ricerca psicologia.
Vuoi un consiglio su come educare i tuoi figli?
Sono 10 strumenti fondamentali + 1 che ti aiuteranno in tutte quelle occasioni in cui hai bisogno di un piano B per salvare la situazione. Sono anche strumenti che utilizzati quotidianamente, ti aiutano ad avere un rapporto più sereno, fluido e bello, con i tuoi figli.
Sei pronto?
Cominciamo.
1. Sii paziente e ascoltalo con disponibilità: la fretta è nemica della gioia e per i bambini è una della maggiori fonti di stress. I bambini hanno i loro tempi, certamente diversi da quelli di noi adulti, e in questa diversità bisogna trovare un compromesso. Come? Te ne parlerò durante l’incontro del 6 marzo.
2. Evita di arrabbiarti e sorridi di più: l’essere severo non ti aiuta ad essere più efficace, tanto comunque dovrai risolvere e cercare la soluzione, tanto vale farlo nella calma. Il cervello più è calmo e più è intelligente, quindi più sei sereno e più riuscirai a prendere la decisione giusta.
3. Non trattarlo come un burattino: evita di dargli troppi comandi o cose da fare, l’eccesso di regole non fa bene. I bambini non si sentono liberi e sviluppano un profondo senso di incapacità che diventa insicurezza e poca fiducia in se stessi.
4. Ritagliati del tempo esclusivo per lui: gioca con lui e fatti guidare da lui nei giochi. Fai scegliere a lui i giochi da fare, non serve che tu gli dica sempre cosa va fatto. Nella sua natura lui sa di cosa ha bisogno e te lo chiede…ascoltalo e assecondalo.
5. Usa l’ empatia: Quando lo ascolti guardalo negli occhi e cerca di comprendere profondamente le emozioni che sta provando, se è terrorizzato accoglilo e consolalo, se è triste, fai qualcosa per fargli passare la tristezza. Se sta provando emozioni molto forti quello è il momento peggiore per insegnargli qualcosa. Non ti ascolta!
6. Sii fermo nelle decisioni: quando scegli di dire no è no, tuo figlio ha bisogno di vederti sicuro in ciò che bisogna fare. Se ti vede insicuro o indeciso, perderai leadership con lui e lui ne approfitterà. Ci sono no necessari che aiutano a crescere. Comunicali con dolcezza, non hai bisogno di essere duro, ma con fermezza. Così facendo aiuterai tuo figlio a crescere più sicuro di se con ottimi punti di riferimento.
7. Sdrammatizza: non attaccarti con rabbia e rancore ai conflitti, usa l’ironia per uscire da alcune situazioni. Il metodo danese prevede l’uso della risata, del gioco, dell’ironia per risolvere conflitti anche piuttosto importanti.
8. No alla rigidità: le punizioni, le urla, i rimproveri continui, la sculacciata, funzionano a breve termine ma a lungo termine ti allontanano da tuo figlio. Fanno covare in lui rancore, rabbia, che prima o poi viene fuori più violente e irruenta. I bambini sono persone e vanno trattati con rispetto. Non sono animali da ammaestrare (con tutti il rispetto per gli animali!).
9. Anticipa i suoi bisogni: se c’è qualcosa che puoi fare per lui e sai che a lui fa bene, fallo prima che te lo chieda, non è viziarlo ma farlo sentire compreso e accolto. Significa comunicargli che hai ascoltato, compreso e capito per bene le sue esigenze e che sei lì per aiutarlo.
10. Parlagli in modo costruttivo e non distruttivo: la comunicazione è un elemento molto importante, parla di soluzioni e non di problemi in una modalità di aiuto, lui sta imparando, non è perfetto, è normale che faccia degli errori, come non lo sei tu, ma ha bisogno di te, per crescere dal tuo esempio.
Approfondiamo il punto 10. Tieni ben presente che alcune parole sono più efficaci di altre e formulare una frase in modo o in un altro può avere effetti piuttosto differenti. Ci sono frasi che distruggono e frasi che incoraggiano anche se per entrambe ci può essere una intenzione positiva.
Pensa a: “Non fare, non pensare, non dire…”
Quante volte usiamo la negazione come strumento di comunicazione?
Eppure questa abitudine linguistica nasconde una pericolosa insidia perchè ci fa pensare proprio alla realizzazione della situazione. Il cervello funziona per immagini e le immagini sono più potenti delle parole. Quando parli chiediti: che tipo di immagine sto evocando in mio figlio con questa comunicazione?
Ecco un esempio per essere più chiari: famiglia riunita sul divano per guardare un cartone animato.
Giulia e Matteo sono sul divano e giocano. Giulia ha in mano un bicchiere di succo di frutta. La mamma riprende la bambina: “Giulia stai attenta, non rovesciare il succo sul divano!” Cosa farà Giulia? Giulia penserà (inconsciamente) al concretizzarsi di quella situazione, per poi cercare di eliminarlo e di non farlo verificare.
Meglio formulare le frasi in positivo, invitando i bambini a fare qualcosa.
Da tempo ho eliminato la parola “stai attenta” con mia figlia. Quando ho bisogno di chiederle attenzione la invito con un “concentrati”. Mi sembra più positivo e meno allarmante, e ha degli effetti meravigliosi perché la bambina sta sviluppando la capacità di concentrazione, una cosa che serve tantissimo ai nostri figli per la loro vita personale e scolastica.
Inoltre, è consigliato rinforzare i comportamenti positivi, riconoscendo i successi di tuo figlio per il suo impegno, indipendentemente dai risultati raggiunti. I risultati a volte non arrivano subito, ma l’impegno quello sì, lo vedi subito, e se lo sottolinei diventa per tuo figlio più facile.
Per di più, di fronte a un comportamento inappropriato dei bambini, è importante suggerire delle alternative, non ordinando un divieto categorico, ma con due ingredienti indispensabili: la fermezza e la comprensione.
Spesso è utile utilizzare “preferisci A o B?” e far scegliere il bambino piuttosto che dirgli con rigidità: “fai così e basta”.
In questo modo non ti comporti in modo ‘autoritario’ ma ‘autorevole’, tuo figlio percepisce la tua leadership che è per lui fonte di sicurezza, apprendimento e modellamento.
Una comunicazione più efficace significa seguire delle strategie linguistiche nuove che ti aiutano ad ottenere nuovi risultati per educare tuo figlio.
E l’ultimo ingrediente? Quello più importante, tanto da essere il 10 +1?
Ti svelo il segreto dei segreti:
Sii felice e sereno e lo sarà anche lui.
I nostri figli hanno bisogno di vederci pronti ad affrontare la vita, con tutte le sue sfide e difficoltà. Hanno bisogno di vedere che manteniamo la calma anche davanti ad un problema, che ci riempiamo dell’atteggiamento positivo giusto per risolverlo, che affrontiamo la vita – nei suoi dolori e le sue gioie – con la massima efficacia che possiamo, dimostrando che c’è sempre la speranza di qualcosa di migliore.
Oggi i nostri figli hanno il diritto alla speranza.
È una esigenza sociale fortissima. Molti bambini sono demotivati, scarichi, stufi, annoiati, tristi –soprattutto a scuola e nell’affrontare i compiti – perché noi adulti – genitori ed educatori – trasmettiamo loro la fatica di questa vita.
Se è tutto un problema, se è tutto difficile, se non c’è mai tempo, se siamo tutti sotto stress, perché mai un bambino dovrebbe mantenere nel suo cuore quella gioia di vivere con la quale nasce?
Impegniamoci a vivere una vita più leggera e più gioiosa, impegniamoci ad apprezzare le cose belle di cui tutti siamo pieni, offriamo ai nostri figli una visione positiva degli altri e della vita perché loro coltivino la speranza che il mondo è un posto bello in cui vivere e che la vita è ogni giorno scoperta, crescita, possibilità.
Educhiamo i nostri figli alla possibilità.– Educate con l’esempio
Perché il mondo ne è pieno e noi con le nostre scelte scegliamo ogni istante quali possibilità vivere.
Quando un genitore conquista una maggiore efficacia ottiene come risultato che la maggior parte dei figli ascolta quello che diciamo, alcuni fanno persino quello che diciamo, ma tutti i figli fanno quello che facciamo noi.
I nostri figli sono influenzati in ogni istante da ciò che noi siamo. Educate con l’esempio
Se noi per primi saremo più felici, più calmi e più sereni, lo saranno anche loro.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di educare all’empatia.
bambini e i ragazzi crescono in una società che tende un pò troppo all’individualismo.
Si dà poco valore all’altro e alle sue emozioni e si attribuisce un peso eccessivo ai confronti, intesi come necessità di dimostrare la propria supremazia sull’altro.
valore alle emozioni
Basti vedere come anche sui social network non ci sia un confronto, anzi, tendenzialmente c’è scontro, sopraffazione e aggressività, dove pur di aver ragione si prevale sull’altro, senza rispetto, né empatia.
L’empatia, dal greco en-pathos, ossia “sentire dentro”, non è altro che la capacità di mettersi nei panni dell’altro, comprendere le sue emozioni e sensazioni e sentirle come se fossero le proprie.
Si tratta di una competenza che va assolutamente nutrita, soprattutto oggi che si interagisce sempre di più da dietro uno schermo di uno smartphone, tablet o pc, con una comunicazione prettamente sintetica ed instant.
Molti giovani, infatti, hanno molta difficoltà a gestire, da un punto di vista emotivo, le relazioni, a riconoscere le emozioni e a risolvere le incomprensioni e i conflitti.
Questo poi va ad influire anche sul loro benessere e stato d’animo.
L’empatia è una competenza importante, alla base dello star bene insieme, di una comunicazione efficace e di relazioni più sincere, soddisfacenti e rispettose.
Come aiutare i figli a svilupparla?
1. METTETE DA PARTE LA TECNOLOGIA.
Per comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, è necessario abituare i figli sin da piccoli alla condivisione, per cui ritagliatevi dei momenti senza tecnologia, in cui ci si guarda negli occhi e si raccontano le proprie esperienze.
Un momento potrebbe essere quello dei pasti in cui si è tutti insieme.
Non basta però semplicemente parlare, è importante focalizzarsi su come ci si sente, sulle emozioni, per allenare i figli a comprendere i propri sentimenti e quelli altrui.
2. DATE IL BUON ESEMPIO.
La gentilezza e il rispetto sono concetti che i bambini e i ragazzi apprendono all’interno della famiglia attraverso l’esempio, osservando come si comportano gli adulti che sono per loro un riferimento.
È inutile che diciamo ai figli di rispettare il prossimo, se poi ci sentono fare battutine o commenti di disprezzo verso le altre persone.
È fondamentale che gli adulti mettano in pratica ciò che vogliono insegnare ai figli.
3. ALLENATELI A METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI.
Facendo riferimento a degli eventi specifici accaduti a persone vicine ai figli, degli esempi presi dalla quotidianità oppure a partire da una favola, un cartone, un film, abituateli a riflettere e a chiedersi come si sentirebbero al posto di quella persona.
Mettetevi voi in gioco per primi e confrontatevi su questo per aumentare la sensibilità e la capacità di immedesimarsi nell’altro e provare le sue stesse emozioni.
4. AIUTATELI A RICONOSCERE LE EMOZIONI-educare all’empatia
Soprattutto quando il bambino è piccolo, è normale che esprima le sue emozioni attraverso il pianto, il corpo e il comportamento.
Un compito importante dell’adulto è quello di iniziare a decodificare il vissuto e verbalizzarglielo, con frasi del tipo “Capisco, sei proprio arrabbiato”.
In questo modo, quando cresceranno, impareranno a riconoscere le emozioni e a gestirle, altrimenti tenderanno o a reprimerle o ad agirle con comportamenti disfunzionali.
5. COMPRENDETE IL LORO PUNTO DI VISTA-educare all’empatia
È importante, soprattutto quando ci sono discussioni o si è arrabbiati, non restare fermi soltanto sul proprio punto di vista ma ascoltare i figli e mettersi nei loro panni per capire i loro sentimenti, bisogni e la loro prospettiva.
I figli imparano molto di più dall’esperienza relazionale concreta: se basate le interazioni con loro sullo scontro, piuttosto che sul rispetto e l’ascolto reciproco.
Impareranno quella modalità di relazionarsi, considerandola come la modalità corretta con cui interagire con gli altri.
6. INSEGNATEGLI A GESTIRE I CONFLITTI.
I litigi non vanno negati o eliminati, si deve dare la possibilità ai figli di esprimere anche le emozioni negative, accompagnandoli nella gestione dei conflitti.
È importante che i genitori non impongano una soluzione esterna, ad esempio obbligandoli a fare la pace, a chiedere scusa o cercando a tutti i costi un colpevole.
Devono imparare ad ascoltare, a raccontare a turno il proprio punto di vista e a trovare insieme una soluzione, senza imporsi e prevalere sull’altro.
E se avete bisogno di un aiuto concreto, contattatemi
Buongiorno amici. Oggi parliamo di problemi adolescenziali.
L’adolescenza è un periodo della vita di forti e rapidissimi cambiamenti non solo a livello fisico, ormonale e anatomico, ma anche a livello psicologico.
Il ragazzo adolescente vive una vera e propria crisi di identità poiché in questo momento della sua esistenza si avvia all’abbandono di modelli di tipo infantile per strutturare la propria personalità adulta.
Adolescenza
Egli mette in discussione la propria identità proprio per poterla definire e maturare l’idea che ha di sé stesso.
Si tratta di un processo non lineare, con un andamento che può prevedere dei balzi in avanti e dei passi indietro e anche delle fasi regressive in cui si ripropongono modalità e schemi di comportamento infantili.
Quello che deve ricordare ogni genitore è che in tutto questo non c’è nulla di patologico o preoccupante.
Si tratta di un processo naturale e necessario di crescita che passa anche attraverso la ribellione adolescenziale, la sfida all’autorità e l’allontanamento dai genitori.
In questa fase, importantissima per lo sviluppo del singolo individuo, il ragazzo si avvia a diventare un adulto autonomo e indipendete, con un suo proprio percorso personale.
Le derive dell’adolescenza: quando diventare grandi diventa un problema
I problemi adolescenziali veri e propri sono altri, che possono discendere da una difficoltà nell’affrontare il cambiamento in atto. Alcune delle problematiche più diffuse tra i ragazzi durante questa “età difficile” sono:
Autolesionismo
Fase depressiva vera e propria
Chiusura e isolamento sociale
Disturbi alimentari come anoressia e bulimia, che in una fase di cambiamento fisico possono acutizzarsi
Abuso di droghe o alcool
Disturbi d’ansia e dell’umore
In questo articolo, in particolare approfondiremo i fenomeni dell’autolesionismo e della depressione in età adolescenziale.
Spiegando anche quali sono i segnali che un genitore può cogliere per intervenire e aiutare il proprio figlio a uscire da una situazione di disagio e sofferenza.
Autolesionismo negli adolescenti
L’autolesionismo si esprime solitamente nella forma dei tagli eseguiti sul corpo con oggetti affilati come lamette, forbici, pezzi di vetro in punti che possono essere nascosti.
In questo primo caso di parla di “cutting”, parola inglese che serve a definire l’atto di tagliarsi ripetutamente la pelle.
Ma l’autolesionismo negli adolescenti può anche prendere la forma delle bruciature di sigaretta, inflitte su parti del corpo non visibili. In termini tecnici lo si definisce “burning”.
Esiste anche una forma nota come “branding”, che indica il marchiarsi a fuoco con un ferro rovente o con un altro strumento adatto.
È un fenomeno che esprime un forte disagio psicologico, una sofferenza che l’adolescente non riesce a comunicare.
Suicidio
Si tratta di una pratica che potrebbe far pensare al suicidio ma in realtà è connessa alla volontà di provare dolore fisico che serve nella maggior parte dei casi a spostare l’attenzione dal dolore e dal vuoto.
Si infliggono ferite al proprio corpo per cercare di non sentire un dolore che è tutto emotivo.
Le condotte autolesive possono verificarsi in relazione a un profondo vuoto interiore, legato a un trauma o a un abuso.
In quel caso, la pratica di tagliarsi o ferirsi in qualche altro modo serve a mettersi in contatto con con la vita.
Il sangue che scorre, il taglio, la sensazione di sofferenza fisica consentono di riconnettersi con la realtà, quando la mente se ne distacca per difendersi da un’esperienza traumatizzata.
Ma questo comportamento può derivare anche dal sentirsi soli in momenti difficili, quando emozioni negative come tristezza e rabbia prevalgono e non si ha un luogo sicuro in cui rifugiarsi, il supporto di qualcuno che possa confortare.
Autolesionismo
L’autolesionismo negli adolescenti è in crescita, ed è anche favorito da una sorta di moda e dalla presenza su internet di siti web in cui i ragazzi condividono questo tipo di esperienza e arrivano anche a incitare gli altri all’autolesionismo.
Depressione negli adolescenti
Gli adolescenti devono vivere il lutto della perdita della propria infanzia, affrontare un cambiamento naturale ma imprevisto poiché non possono scegliere in che direzione andrà il loro corpo ed è possibile che questa situazione inneschi un problema a livello di umore.
I sintomi della depressione in adolescenza sono l’apatia, la perdita di interesse verso ogni cosa, l’isolamento e il distacco da amici e parenti, la perdita del sonno, la mancanza di motivazione o entusiasmo per le attività, gli hobby, gli interessi.
Problemi adolescenziali, i segnali di allarme per i genitori
Considerando, dunque, tutti i problemi nei quali può cadere un figlio adolescente, maschio o femmina che sia, quali sono i segnali, i campanelli d’allarme ai quali un genitore dovrebbe prestare attenzione per poter intervenire il più presto possibile?
Innanzitutto un forte segnale può provenire dal luogo in cui il ragazzo passa la maggior parte del suo tempo cioè la scuola.
Il rendimento scolastico è un indicatore da tenere sempre in grande considerazione.
Un calo repentino dei voti di un ragazzo adolescente può essere sintomo di un disagio che si ripercuote sull’attenzione, sulla capacità di studiare e sulla motivazione e che porta, quindi, a un abbassamento della media scolastica.
Un altro campanello di allarme di allarme dovrebbe scattare quando un figlio adolescente manifesta apatia e sembra non riuscire a trovare alcuno stimolo.
Il disinteresse nei giovani talvolta è normale e fisiologico, ma c’è il rischio che l’indolenza si trasformi in apatia giovanile, causata da un contesto poco stimolante, dalla bassa autostima e dall’assenza di gratificazione.
Ci si può trovare di fronte a un ragazzo che fatica a trovare un senso o uno scopo, che passa le giornate tra letto e divano, senza concludere nulla.
Emancipazione
A differenza di quello che si crede comunemente, inoltre, la preoccupazione dovrebbe scattare quando l’adolescente dimostra difficoltà a emanciparsi dai genitori e ad assumersi le proprie responsabilità.
Non bisogna preoccuparsi troppo di fronte ai conflitti con i genitori e alla ribellione adolescenziale, sana e necessaria per un processo di autoaffermazione.
Piuttosto è l’incapacità di prendere decisioni, continuando a proporre modelli infantili, che dovrebbe instillare nel genitore il dubbio che il proprio figlio abbia un problema, si trovi in una situazione di crisi.
Altro importantissimo segnale da considerare sono le relazioni sociali del ragazzo in età adolescenziale: se il ragazzo si isola, tende a chiudersi in casa o si allontana e non sembra avere rapporti con i propri coetanei, è possibile che stia vivendo un forte disagio.
Infine anche l’aspetto fisico del figlio può dare motivo di riflessione: la trascuratezza può essere un segnale forte di scarsa autostima e mancata accettazione oltre che di assenza di stimoli.
Come comportarsi con un figlio adolescente? L’errore più comune tra i genitori
Quando un figlio entra nella fase dell’adolescenza un genitore può essere spaventato, pensare di non riconoscere in quell’individuo ribelle o silenzioso il bambino che ha cresciuto con amore e fatica.
Ribadiamo che la sfida contro l’autorità è un comportamento normale e sanissimo poiché è intesa come possibilità di mettersi alla stessa altezza del genitore e di cominciare a vederlo come un normalissimo essere umano, al di là della mitizzazione dell’infanzia, con i suoi pregi e difetti.
Quello che un genitore, però, non dovrebbe fare è assumere un atteggiamento amicale nei confronti del figlio, trasformarsi in compagno, quasi in complice.
Questo perché un simile comportamento crea confusione tra i due ruoli, genitore e amico, e mette spesso il genitore nella condizione di non saper dire di no.
Occorre trovare un equilibrio tra la vecchia figura del genitore normativo e punitivo e questa nuova modalità di entrare in relazione con i figli che risulta altrettanto deleteria.
Il genitore di un ragazzo adolescente deve essere disponibile a capire l’impatto emotivo dei cambiamenti che il figlio subisce, disponibile all’ascolto, né troppo tollerante né troppo repressivo.
Prevenzione dei problemi in adolescenza
Naturalmente esiste anche una fase di prevenzione dei problemi e disturbi adolescenziali.
A parer nostro il luogo primo in cui effettuare degli interventi volti a prevenire il disagio negli adolescenti è proprio la scuola.
È necessario che vi siano degli incontri preparatori nei quali esperti psicologi e terapeuti possano entrare in relazione con i ragazzi per poter parlare di queste situazioni e per poter dar modo ai giovani stessi di esprimere emotivamente quello che sentono.
Questo perché spesso i ragazzi vivono nell’illusione che quello che stanno provando loro sia unico, che nessun altro sia nella stessa situazione.
Parlare
Poterne parlare annulla quest’illusione e li aiuta a ritrovare l’equilibrio.
Per quel che riguarda, invece, l’ambito strettamente familiare è possibile per i genitori aderire a un programma di parent training e sostegno alla genitorialità durante il quale vengono espressi dubbi e perplessità riguardo questa fase di passaggio e si imparano le tecniche e le strategie più adeguate per sostenere il proprio figlio, comprenderlo e aiutarlo lungo il suo percorso di crescita.
In tal modo possono essere attivate delle nuove modalità di dialogo e capire come ascoltare i cambiamenti anziché sanzionarli.
Perché essere gentili fa bene agli altri e a voi stessi.
Buongiorno amici. Educate alla gentilezza. Ecco perché dobbiamo farlo tutti.
La gentilezza fa bene a tutti ed è contagiosa
Pensa alla gentilezza, quali immagini ti vengono in mente?
Io vedo il barista, che al mattino, quando ancora non sono cosciente di essere uscita dal letto, mi accoglie con un sorriso e mi offre un buongiorno che mi dà la spinta per affrontare la giornata; oppure penso all’informatico di un’azienda cliente, che quando lo contatti ti accoglie sempre con cortesia e disponibilità infinita.
L’empatia, infatti è un elemento chiave della gentilezza; può essere definita come quella capacità che ci permette di entrare in sintonia con le emozioni e i sentimenti dell’altro e, insieme all’assertività – che ci aiuta a essere in grado di esprimere le nostre idee e opinioni, senza aggressività – rappresenta una delle capacità fondamentali per creare relazioni positive.
Gesti di gentilezza
I gesti di gentilezza citati sopra, sono in apparenza piccole cose, delle quali gustiamo il valore, solo se ci prendiamo il tempo di “fermarci” a percepire
il piacere che la connessione con l’altro ci regala. Può capitare allora che quando arriviamo in una città per lavoro, scegliamo, ristoranti, bar, hotel proprio in virtù della gentilezza che le persone ci hanno dispensato.
Non sono solo piacevoli per chi li riceve facendoci sentire in qualche modo “speciali“, ma sono in grado di ispirarci ad altri gesti di gentilezza nei confronti degli altri. Dai colleghi di lavoro ai familiari, dagli amici agli sconosciuti che incrociamo ogni giorno sul nostro cammino. Questo ci fa stare bene ed è più semplice di quanto si possa pensare.
Praticare gesti di gentilezza rende felici, rilascia nel nostro corpo ormoni come la serotonina
Essere gentile fa bene a te e agli altri, lo dice la Scienza
Delle persone gentili sentiamo le vibrazioni: ce le trasmettono, la voce, la postura, lo sguardo accogliente, l’apertura verso di noi.
A dar conto di quanto la gentilezza impatti positivamente sul nostro benessere ci sono anche molte ricerche scientifiche e la cosa interessante, è che in primis, la gentilezza fa bene praticarla, oltre che riceverla.
I ricercatori dell’Università di Oxford hanno recentemente scoperto che possiamo aumentare i nostri livelli di felicità quando siamo gentili sia verso le persone con cui abbiamo legami stretti, sia verso gli estranei.
Tutto ciò si verifica grazie al rilascio di ormoni come serotonina, dopamina e ossitocina e alla riduzione dell’ormone che induce lo stress, il cortisolo.
Essere gentili quindi, migliora il nostro benessere, favorendo la salute fisica e mentale.
Benefici per la salute
Riduce lo stress
Offre una visione più positiva della vita
Abbassa la pressione sanguigna
Migliora la salute del cuore
Aumenta la fiducia in sé (e negli altri)
Come si pratica la gentilezza?
“Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”: questa la frase ormai diventata cult che la giornalista americana Anne Herbert ha scritto su una tovaglietta di carta in una tavola calda di Sausalito, in California e apparsa nel 1982 su uno spazio pubblicitario a Oneglia (IM).
Una frase pacifista che da anni si sta diffondendo in tutto il mondo anche grazie all’uso dei social network. Una sorta di catena che punta a promuovere semplici atti di gentilezza e bellezza verso il prossimo, anche sconosciuto.
Possiamo praticare la gentilezza facendo passare avanti qualcuno in una fila al supermercato, prendendoci il lusso di non avere fretta e di aiutare chi invece ce l’ha.
Regalando qualcosa a uno sconosciuto, ci sono mille modi per farlo: a Napoli la pratica del caffè sospeso da omaggiare a un avventore sconosciuto del bar è un mirabile esempio del regalo a chi non conosciamo; possiamo donare il sangue, o semplicemente un sorriso alle persone che incrociamo per strada.
I complimenti
Regalare a chi non conosciamo rende più felici noi, oltre che gli altri. Anche fare complimenti è un atto di gentilezza efficace nel far stare bene noi e gli altri.
Quando notiamo delle cose che ci piacciono, diciamolo: i complimenti (autentici) non sono mai troppi. «Come hai gestito bene quel cliente», «Che bella giacca», oppure ringraziamo lo staff del ristorante per il servizio ricevuto. Nulla è scontato.
Aiutare gli altri, anche nelle piccole cose: tenere aperta una porta a chi deve entrare dopo di noi, aiutare una madre a spingere il passeggino in un momento di difficoltà. Dare una mano in queste occasioni ci fa sentire persone migliori. Aiutare, in effetti, ci fa essere persone migliori.
Ringraziare. Sempre a proposito di “cose che diamo per scontate”, spesso non ringraziamo adeguatamente le persone che apportano valore nella nostra vita.
Quindi, se siete genitori , non abbiate né la sufficienza, la finta superiorità di dire “io sono il genitore, è lui che deve ringraziarmi”.
Non siate nemmeno timorosi e timidi nell’essere gentili, voi ragazzi, solo perché vi hanno convinto che è roba da persone deboli perché, al contrario, sarà la vostra vera forza.
Come aiutare i figli a superarla e non farsi sopraffare.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di paura di sbagliare nei ragazzi e di come aiutarli a superarla.
Paura
Sono sempre di più i bambini e i ragazzi che hanno paura di sbagliare, che non accettano gli errori e li vivono come un fallimento.
Purtroppo viviamo in una società che pone troppo spesso l’accento sul risultato.
Ci si preoccupa di ottenere sempre buone prestazioni e ci si dimentica di quanto, invece, anche imparare a sbagliare sia importante per crescere e sviluppare una buona autostima.
Non voler andare avanti
Sono tanti i bambini e i ragazzi che, per paura di sbagliare, vanno incontro a un rifiuto, a un non voler andare avanti.
A volte, infatti, preferiscono abbandonare ciò che stanno facendo perché non riescono a gestire le emozioni che vivono.
Ogni bambino e adolescente ha il diritto di sperimentare, sbagliare, provare tristezza.
Un figlio che non ha la possibilità di sbagliare, con maggiore probabilità svilupperà in adolescenza e poi in età adulta una serie di paure o insicurezze, poiché non ha imparato a conoscere e utilizzare le proprie risorse.
Sbagliare è importante
E’ soprattutto a scuola che i più piccoli temono di sbagliare: livelli eccessivi di ansia, che spesso riguardano la paura di prendere un brutto voto o del giudizio degli altri, possono attivare un blocco e la percezione di non essere all’altezza.
Si dice “chi non sbaglia, non impara!”
In effetti molte volte si impara di più dagli errori che dal seguire quei consigli che evitano di farti sbagliare.
Il messaggio che bisogna trasmettere ai più piccoli è che gli errori non sono necessariamente negativi, anzi servono per imparare e per crescere.
Che si tratti di un brutto voto, di compiti a casa, di un rimprovero ricevuto, i genitori non devono sostituirsi ai figli, ma fornire gli strumenti per comprendere quanto accaduto e affrontare la situazione.
Come aiutare i figli che hanno paura di sbagliare?
ESSERE UN BUON ESEMPIO.
L’approccio del genitore, il modo in cui affronta i propri errori e definisce quelli degli altri, gioca sicuramente un ruolo importante.
Bisogna fare attenzione ai messaggi che si trasmettono indirettamente ai figli: non è sempre necessario esprimere in modo evidente le proprie aspettative, basta anche l’adozione di un atteggiamento perfezionista verso se stessi o una scarsa tolleranza dei propri errori.
DARE SPAZIO ALLE LORO EMOZIONI.
E’ bene non sminuire ciò che provano, facendoli sentire incompresi: mostrare accoglienza per le loro emozioni e offrire sempre ascolto è importante.
Si può chiedere loro di cosa hanno paura e quali sono i loro pensieri negativi, per conoscere il loro punto di vista e trovare insieme dei modi diversi di affrontare le situazioni che reputano difficili.
AIUTARLI A METTERSI IN GIOCO.
Se i figli temono sempre di incontrare un ostacolo, non bisogna iper proteggerli ma motivarli sempre di più, facendogli sperimentare a poco a poco le attività a loro più congeniali.
E’ bene trovare delle occasioni in cui fare da soli qualcosa di nuovo: più avranno occasioni di sperimentare e imparare anche a sbagliare, più potranno sviluppare autostima e sicurezza in se stessi.
MOSTRARE IL LATO POSITIVO.
Aiutateli a non concentrarsi solo sul risultato raggiunto, ma valorizzate l’impegno, il fatto che si siano divertiti, che abbiano rispettato le regole.
Il genitore, infatti, deve aiutare il figlio a capire che gli errori e le perdite fanno parte dell’esperienza e che il successo sta nell’accettare anche la sconfitta e capire cosa è andato storto per migliorarsi, crescere e imparare.
La cosa giusta
E’ importante imparare a fare la cosa giusta così com’è importante imparare a sbagliare.
Per vivere serenamente bisogna pensare agli errori che si commettono nella vita quotidiana come del tutto normali e anzi importanti per crescere.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di famiglie digitali.
Oggi le famiglie si trovano ad affrontare sfide sempre nuove e a gestire ritmi di vita più frenetici.
Tecnologia
Vivere in un contesto di crescita sempre più tecnologico richiede una conoscenza e uno sviluppo di nuove abilità e competenze da parte di tutti i membri della famiglia.
L’impatto della tecnologia sulle relazioni umane, quanto e come usarla in funzione dell’età e come riconoscere i potenziali rischi che si possono incontrare.
Bambini e ragazzi smart
Tutto questo si traduce nella gestione di molteplici situazioni, che vanno dalla acquisizione di nuove competenze al fronteggiare, da parte delle nuove generazioni, nuove richieste differenziate in base all’età.
Bambini e ragazzi, infatti, sono costantemente immersi nella tecnologia smart: tutto è iperconnesso e interconnesso, infatti ormai con estrema facilità possono interagire con il mondo con qualsiasi strumento connesso alla rete.
Per i genitori risulta fondamentale, dunque, lavorare insieme ai figli su un utilizzo equilibrato e bilanciato della tecnologia.
Ricerca americana
Nel 2023 l’American Psychological Association ha pubblicato la sua prima guida sull’utilizzo della tecnologia in adolescenza: 10 punti rivolti agli adulti di riferimento come genitori, insegnanti ed educatori, ma anche ad aziende tecnologiche, con il fine di tutelare e sostenere i ragazzi verso un uso sicuro dei vari dispositivi tecnologici. Tra i suggerimenti, questi i principali:
I giovani devono essere incoraggiati a utilizzare la rete sfruttando funzioni e potenzialità che promuovono le relazioni e la socializzazione.
L’uso, le funzionalità e le autorizzazioni/consensi dei social media dovrebbero essere adattati al livello di sviluppo cognitivo ed emotivo dei ragazzi.
Durante la preadolescenza è consigliato un monitoraggio costante da parte degli adulti sui vari contenuti che i figli incontrano nel web. L’autonomia può aumentare gradualmente man mano che vengono acquisite competenze di alfabetizzazione digitale.
Ridurre l’esposizione a contenuti che incoraggiano comportamenti pericolosi, a rischio per la salute o comportamenti aggressivi. Inoltre, è fondamentale far capire ai ragazzi l’importanza di segnalare tali contenuti quando vengono visualizzati.
L’uso dei social media da parte degli adolescenti dovrebbe essere preceduto da una adeguata educazione digitale in grado di sviluppare competenze e abilità specifiche, per navigare online in sicurezza.
Io consiglio sempre a voi genitori di essere i primi ad essere informati sul corretto utilizzo della rete, dei social, della tecnologia in generale per poi educare i figli al corretto utilizzo.
Siate un esempio anche voi in modo da non far sì che, i vostri ragazzi, non incorrano in pericoli.
Il perché alcune persone, non solo ragazzi, non riescono a rispettare le regole.
Buongiorno amici:) Oggi diretta: perché non rispetto le regole?
Problemi con il rispetto delle regole: perché?
Avete difficoltà ad adattarvi agli ambienti di lavoro? Eravate tra quelli che creavano sempre scompigli ai propri genitori per non aver obbedito? Vi sentite a disagio in contesti in cui gli altri si aspettano che soddisfiate determinati standard? I problemi nel seguire le regole sono innescati dalla necessità quasi persistente di sfidare l’autorità.
Quando questa persona viene sollecitata a rispettare regole o convenzioni, ciò che viene percepito è disagio, disagio e talvolta rabbia.
Tuttavia, la differenza tra chi fa fatica ad accettare le regole e chi le rispetta è il principio di civiltà. Sappiamo tutti che per vivere in società è necessario obbedire a linee guida e regolamenti, ma c’è chi li salta, li trasgredisce o alza la voce per protestare contro quegli invisibili recinti di filo spinato.
Cosa c’è dietro queste personalità?
Nella diretta analizzeremo tutte le tipologie di personalità e capiremo il perché non riescono a rispettare e regole, o linee guida, necessarie per stare in società e che esistono n tutti gli ambiti, dalla scuola, al lavoro alla famiglia, alle relazioni sociali.
Diremo, inoltre, cosa è importante fare in questi casi e ,s e siamo genitori, come comportarsi con i nostri ragazzi.
La compagna non passa i compiti .L e altre la picchiano in strada.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di bullismo tra compagne.
Non fa copiare i compiti in classe e per questo, appena fuori da scuola, subisce l’aggressione delle coetanee, con una che per giunta riprende tutto col telefonino. L’episodio di pesante bullismo è accaduto nei giorni scorsi in centro a Cesena.
Violenza
Dopo l’episodio di ieri mattina a Bari, dove un diciassettenne in classe ha sparato al professore con una pistola giocattolo a pallini provocandogli un malore, da Cesena oggi arriva notizia di alcune adolescenti che si sono rese protagoniste di un’aggressione particolarmente violenta.
Nel filmato – riporta il Corriere di Romagna – si vedono le ragazzine, giovanissime, circondarne una, buttarle a terra il cellulare e cominciare a strattonarla e colpirla con calci e pugni.
Il filmato
Tre contro una.
Una quarta ha filmato la scena col telefonino.
Sarebbero compagne di classe di un istituto professionale della città, mentre la «colpa» della vittima sarebbe quella di non aver fatto copiare i compiti.
«Un episodio che colpisce per la sua violenza, un fatto grave che non va banalizzato», ha detto al quotidiano romagnolo il sindaco Enzo Lattuca.
L’intervento della preside
Il dirigente dell’istituto – cui si sono rivolti diversi genitori una volta appreso l’accaduto – aveva inizialmente sottolineato che «l’episodio è avvenuto in contesto extra scolastico», dunque fuori dalla scuola e non in orario delle lezioni.
Una presa di distanza costatagli diverse critiche dai genitori stessi degli alunni che frequentano la scuola.
Poi, come sottolineato anche dal sindaco, il preside ha cambiato atteggiamento.
Il sindaco
«Ho contattato il dirigente e mi ha riferito che si sono attivati con gli insegnanti, parlando con i diretti interessati e coinvolgendo anche i genitori», spiega il primo cittadino.
«Che possano esserci conflitti in una classe che si va formando, è comprensibile, forse anche normale – dice Lattuca – ma quel video ci trasferisce una violenza che colpisce e non può essere minimizzata.
La scuola ha attivato i suoi percorsi anche per cercare di riportare serenità nella classe.
Come Comune ci siamo messi a disposizione, sia per pensare ad eventuali iniziative, sia come competenze, ma anche se servisse il supporto di servizi e operatori sociali, noi siamo disponibili a collaborare».
A Bari, invece, ha parlato Pasquale Pellicani, il docente di diritto ed economia all’istituto tecnico Romanazzi, che ieri, appena seduto in cattedra, si è visto sparare da un allievo alcuni pallini di plastica.
«Pensavo si trattasse di una pistola vera – rivela – e sono rimasto scioccato. Questo, secondo me, è un gesto di bullismo: ‘ti faccio vedere che sono più forte di te, ti posso mettere i piedi in testa e faccio ridere la classe, questo è il significato».
Il docente non denuncerà gli studenti «per non rovinarli» – uno aveva portato la pistola a scuola, l’altro l’ha utilizzata – ma vuole adottare una pena severa dal punto di vista scolastico, «sono a favore dell’espulsione e servono provvedimenti serissimi o le scuole le possiamo chiudere».
Bullismo
E’ terribile come, a 14 anni, tu possa anche solo pensare di fare atti di violenza su una tua coetanea . La motivazione’ Non mi ha passato i compiti.
Ogni volta che sento e vedo e assisto ad azioni di bullismo così atroci, penso al background di questi ragazzi.
Background
Dico sempre che i genitori sono i loro influencer, il loro esempio ma dovrebbero esser un buon esempio. Se un ragazzo, fin da bimbo, abituato a vedere e giustificare atti di questo tipo in famiglia è ovvio che li farà propri.
Ma come intervenire, arrivati ad un punto del genere?
Prendendo dei provvedimenti. Ingiustificata la reazione del preside di Cesena.
Non sei il buttafuori di un pub che puoi lavartene le mani se un atto violento avviene fuori dal locale e, oltretutto, tra persone adulte.
Se queste azioni vanno sempre fatte passar anche, purtroppo a volte, giustificandole, mi dite che esempio date ai ragazzi?
Si Sentiranno liberi di continuare a comportarsi in questo modo. La scuola deve formare e deve anche punire in questi casi.
Cosa ne pensate? Ditemi la vostra e se avete bisogno di me contattatemi
Buongiorno amici:) Oggi un’importante diretta: perché è difficile essere genitori di un adolescente.
La fine dell’idealizzazione
L’adolescenza è un processo attraverso il quale il ragazzo e la ragazza vanno maturando la propria identità di giovani adulti, sessuati ed emancipati. Per l’adolescente è necessario uscir fuori dal mondo infantile, nel quale i genitori erano il principale, se non l’unico, modello cui riferirsi. Per arrivare a questo è necessario togliere i genitori dall’idealizzazione in cui erano stati messi. Devono, in questo processo ruvido e discontinuo, cogliere e sottolineare ogni mancanza dei genitori, ogni loro contraddizione, ogni loro difetto, ogni errore.
E quanto più i genitori erano stati precedentemente idealizzati, tanto più grande sarà per gli adolescenti il dolore e lo scandalo di accorgersi che essi non sono affatto ideali.
Non rinunciare a essere genitori
Allora, se è vero che un adolescente normale che sta vivendo il proprio normale processo di crescita è una persona in crisi, è ugualmente vero che è normale che anche i suoi genitori siano in crisi.
Se i genitori sono preparati a queste evenienze, è più probabile che reggano le onde d’urto interne ed esterne, e che non vengano meno ai loro compiti di genitori, assolutamente indispensabili in questo periodo.
È necessario, infatti, che essi continuino a esserci, senza fuggire, senza annullare il loro ruolocon atteggiamenti seduttivi o di sottomissione acritica, senza mettersi a giocare coi propri figli a chi fa più l’adolescente, senza soccombere all’invidia.