Ciao amici. Oggi parliamo di fratelli narcisisti:quali tratti presentano e cosa fare.
Errori
Spesso arriva un momento nella vita in cui diventiamo consapevoli di essere stati vittime di una famiglia disfunzionale in cui i genitori davano la priorità a un figlio rispetto agli altri. Le preferenze espresse dai genitori plasmano nel tempo la figura di quei fratelli narcisisti con cui si è quasi sempre in guerra.
Liti, condotte egoiste e abusive, pretese eccessive, rimproveri… Se avere un fratello è, in media, un dono della vita e un alleato costante anche a distanza, ci sono situazioni in cui questa formula viene meno. A volte cresciamo con una presenza chiaramente dannosa, plasmata deliberatamente da genitori con tratti altrettanto narcisisti.
Quasi senza sapere come, ci troviamo coinvolti in estenuanti dinamiche che segnano la nostra infanzia e persino la nostra vita adulta. Da un lato, vi è un padre o una madre che ripone tutte le attenzioni, le speranze e gli affetti solo su un figlio.
D’altra, bisogna fare i conti con un fratello tirannico, viziato, competitivo e talvolta anche aggressivo verbalmente o fisicamente. Sono realtà silenziose e molto complesse di cui vale la pena parlare.
Fratelli narcisisti, frutto di un’educazione selettiva
“Plasmare” un narcisista è più facile di quanto pensiamo. È sufficiente rafforzare l’egocentrismo del bambino e disattivarne l’empatia.
È sufficiente educare sulla base di una visione gonfiata e sproporzionata di sé, con messaggi quali: “sei il più bello, il più intelligente, la mamma ti ama più di ogni altra cosa al mondo, etc”.
I fratelli narcisisti sono il risultato di un’educazione ineguale e discriminatoria che li ha portati a costruire un’identità distorta. Questa identità è stata alimentata dall’interiorizzazione delle narrazioni dei genitori che ha permesso loro di presumere, sin dalla più tenera età, che loro e solo loro erano degni di ogni forma di amore e di attenzione.
A poco a poco si è eretta una personalità dannosa che negli anni si fa più pronunciata e dannosa.
Quali tratti e comportamenti mostrano?
Chi cresce con un fratello o una sorella narcisista conserva nella memoria molti ricordi d’infanzia non sempre piacevoli. Nel corso degli anni, il rapporto diventa più teso, dannoso e complesso.
Al punto che in età adulta è comune mantenere le distanze o acconsentire a incontri occasionali per mero impegno familiare. Vediamo ora alcuni tratti che definiscono i fratelli narcisisti:
Fin da piccoli avevano bisogno di attenzioni e riconoscimenti eccessivi.
Tengono conto solo delle proprie esigenze.
Già da bambini ricorrevano spesso a bugie e ricatti.
Hanno sempre mostrato un bisogno ossessivo di competere per quasi tutto.
Ci incolpano per qualsiasi disaccordo o problema familiare.
Amano mostrare i loro successi alla famiglia.
Proiettano sempre un chiaro antagonismo nei confronti dei fratelli.
Sono reattivi, polemici, non empatici e ascoltano a malapena.
Raramente mostrano interesse per la vita dei loro fratelli.
Quando ci difendiamo o li rimproveriamo per il suo atteggiamento, ci dicono di essere troppo sensibili.
Convincono i genitori a schierarsi sempre a loro favore.
I fratelli narcisisti a volte ci allontanano dalla famiglia
I fratelli narcisisti sono un pomo della discordia, l’elemento dirompente, l’innesco di qualsiasi discussione e quella figura che porta sempre con sé una battaglia che non vogliamo avviare.
Una situazione simile, come possiamo ben supporre, ha un costo. È comune allontanarsi dalla famiglia disfunzionale.
Se l’origine di tutto è l’atteggiamento dei genitori che hanno deliberatamente creato divisione e preferenze, è comune scegliere di evitare, per quanto possibile, il contatto. Quando l’amore della famiglia non è incondizionato, ogni interazione inasprisce la sofferenza.
Come trattare un fratello o una sorella con tratti narcisisti?
Avere uno o più fratelli narcisisti significa dover fare i conti con una gerarchia familiare nella quale ci troviamo alla base, mentre il figlio prediletto è al vertice.
Tuttavia, a volte, ci è impossibile prendere le distanze. In questi casi, è opportuno tenere conto di quanto segue:
Non aspettarsi niente da loro. Bisogna accettare la realtà, ovvero che i fratelli e i genitori non ci apprezzano e non tengono conto dei nostri bisogni. Evitiamo quindi di dipendere da loro in qualsiasi aspetto, e smettiamo di sperare in un cambiamento miracoloso.
Stabilire precisi limiti. Se siamo costretti a mantenere i contatti con i fratelli narcisisti, chiariamo cosa possono aspettarsi da noi o meno. Non tutto è lecito ed è necessario chiarirlo il prima possibile.
Sanare le ferite passate. Siamo cresciuti in una famiglia disfunzionale che ha concentrato l’affetto solo su un figlio. Probabilmente abbiamo molti ricordi ed esperienze da affrontare. Non esitiamo, dunque, a chiedere l’aiuto di un esperto.
Ultimo, ma non meno importante, concentriamo sulle figure che ci offrono davvero affetto, approvazione e comprensione nella vita quotidiana. Quella e nessun’altra è la nostra vera famiglia; quella che abbiamo scelto e formato.
Vi ricordo che se avete bisogno di aiuto potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
Chi sono? come comportarsi? Cerchiamo di comprenderli
Buongiorno amici. Oggi occupiamoci di quelli che vengono definiti adolescenti difficili.
Chi sono
L’ottimista vede la rosa e non le spine;
il pessimista si fissa sulle spine, dimenticandosi della rosa.
Khalil Gibran
“Una spina è una rigida protuberanza, appuntita e spesso lacerante, che fuoriesce dalla superficie di numerose piante.
È bene ricordare che sia le sottili e rigide punte aghiformi dei cactus che le sporgenze più o meno grosse, carnose e acuminate di alcuni arbusti, come le rose sono tutte spine.
La presenza di spine assume valore difensivo verso gli attacchi dei predatori, ma benché, in generale, queste siano solo un meccanismo di difesa passiva, in alcune specie possono essere vuote e contenere al loro interno sostanze tossiche, urticanti o nocive che possono causare all’aggressore una sofferenza più o meno durevole se non anche una paralisi.”
Le spine
Al di là della metafora, gli adolescenti e i giovani, definiti difficili, si presentano come tante spine pronte a pungere o per una costante difesa o per una voluta offesa verso gli altri.
Di fronte a tutto ciò che ci punge, ci fa del male, ci offende, ci disturba, mettiamo in atto delle strategie immediate di ripulsa, di difesa, di esclusione.
Ma così facendo rischiamo di perdere delle opportunità di relazione emancipante, di crescita reciproca, di gestione della conflittualità, di prospettive educative e innovative.
Per interagire con gli adolescenti “difficili” bisogna superare la barriera del dolore soggettivo e vedere al di là delle spine la rosa, il fusto pieno d’acqua, le funzionalità e i loro bisogni.
Se li ignori, continueranno a lasciarsi travolgere dai loro impulsi di distruggere/distruggersi; se li combatti scendi sul piano della guerra senza quartiere con il risultato di sfiancarti e di essere perdente.
In qualsiasi modo perderai, o perché sarai sconfitto dallo loro “sfacciataggine” o perché non ti curerai del loro malessere.
Abbracciare ciascun giovane che si presenta con le spine, significa non farsi irretire o bloccare nei tentativi di relazioni significative.
Spesso questi adolescenti difficili si presentano con le spine per metterci alla prova, per saggiare la capacità di resistenza e di fiducia d’accordare, per difendersi da un dolore vissuto, per esprimere la rabbia di torti subiti, di frustrazioni o di illusioni svanite nel nulla.
Ogni educatore, come ogni genitore, deve saper superare il dolore ineluttabile della puntura della spina e lo può fare non con la freddezza di un guanto antidolore, ma con un abbraccio caldo e metaforico che annulli le asperità e le apparenti ruvidezze.
ADOLESCENTI DIFFICILI: I COMPORTAMENTI
I cactus li incontriamo nei ragazzi che mentono.
Lo fanno spudoratamente e assiduamente per salvaguardare la propria immagine, la propria autostima. Se fossero sicuri dell’accoglienza non valutativa, seppur correttiva, non avrebbero alcun motivo di mentire.
Ma essi si ritrovano e si ritagliano soltanto angoli e margini della famiglia, della scuola, del gruppo classe e si difendono con il nascondersi, il negarsi come persone, il barare.
Tra di essi ci sono quelli che mentono esibendo un sé grandioso; tentano di colpire la percezione altrui con aneddoti, storie, comportamenti da gradasso.
Lo possono fare maldestramente e vistosamente, a tal punto da essere compatiti, derisi e sopportati, oppure in maniera spaccona, bullesca, fino al punto da essere perseguitati, castigati, esclusi dalle relazioni.
Dietro il sé grandioso si annida la paura di non poter essere stimato così come ci si percepisce;
rimane un tentativo di apparire, di sbalordire, come fa il bambino povero quando accentua il tintinnio dei pochi soldi in tasca.
Se tu ti scagli contro questi comportamenti da mentitore senza coglierne il significato recondito, rimani incastrato da queste spine e non cogli l’acqua del cactus.
Altri ragazzi mentono per nascondere parti del loro sé,.
Come uno spazio privato che non lo si vuole dischiudere a un altro, a un estraneo, a un giudicante.
Nessuno ha loro insegnato che le parti del sé, apparentemente più fragili, contribuiscono a costruire la simpatia che emaniamo dalla nostra persona.
Guai se fossimo perfetti! Saremmo antipatici e odiosi ai più.
Altri, ancora, mentono per abitudine, per stile acquisito; hanno strutturato un falso sé che li induce alla bugia in maniera automatica e impulsiva.
In questo modo, essi si preservano dall’imbarazzo dell’ammissione e dalla vergogna dei loro comportamenti; non provano senso di colpa per la bugia, ma la utilizzano come difesa, come scudo protettivo da eventuali e fantasiose reprimenda.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che rubano.
I bambini piccoli quando si appropriano di oggetti, giochi, cose che non gli appartengono lo fanno proprio per soddisfare il desiderio di possesso, per esprimere senso di invidia e gelosia nei riguardi di qualche compagno che possiede tutto ciò che loro bramano e non hanno.
È una fase evolutiva della crescita dove gradualmente s’impara a saper rinunciare, a non essere più onnipotente, a non ricevere gratificazioni immediate.
A saper posticipare il piacere, la soddisfazione, a saper condividere con gli altri i propri oggetti, a saper accettare di accontentarsi di quello che si ha senza volere a tutti costi possedere la qualsiasi.
È il passaggio dalla fase egocentrica a quella allocentrica, relazionale; è la fase dell’accettazione della realtà che mi circonda, rispetto al senso di onnipotenza con la quale avevo convissuto fino adesso.
Per cui il rubare del bambino non ha lo stesso significato di quello di un adulto; è come se il piccolo si attardasse in questo meraviglioso mondo in cui aveva vissuto ed ora è costretto, suo malgrado, ad abbandonare per un altro dove ci sono dei limiti, delle condivisioni, delle rinunce.
Il rubare degli adolescenti difficili ha un altro significato, più variegato e complesso.
In alcuni può significare la difficoltà che si sperimenta a crescere e doversi basare esclusivamente sulle proprie forze, capacità ; l’appropriazione indebita di oggetti non propri li fa sentire ancora onnipotenti, rispetto a tutto ciò che non riescono a conquistarsi con il proprio sforzo, le proprie attitudini, la propria intelligenza.
Così rubano motorini che non possono comprare, copiano il compito che non riescono a svolgere, si appropriano della bici più in voga che non si possono permettere.
L’oggetto riempie un’assenza di capacità e rimanda indietro la fatica del “doverseli conquistare” con i propri sforzi.
Perché rubano?
Per altri assume un significato simbolico di potenza, destrezza, forza, capacità.
Ci si reputa “bravi e furbi” perché ce se n’è appropriato. L’oggetto rubato diventa, quindi, un trofeo di guerra da esibire e mostrare con orgoglio al gruppo dei pari o alla banda d’appartenenza.
In questo modo si manifesta, anche, un’identità di genere: per i maschi la forza, la nascente virilità e la destrezza del rubare;
per le ragazze il mostrare la propria femminilità con i vestiti, collane e vari oggetti alla moda, anch’essi sottratti agli altri.
Le vittime predilette dell’atto del rubare sono i figli di papà, gli “sfigati”, i ricchi, i secchioni. Sono quei compagni distanti da loro anni luce per impegno, rispetto delle regole, buona educazione.
È come se si volessero vendicare di non poter o voler essere come loro, che sono apprezzati e stimati nel contesto scolastico o sociale dove vivono.
Altri rubano per “partito preso” per “andare contro” qualcuno, contro chi comanda, contro l’adulto che vuole dominare.
L’importante è che, rubando, si cerca la sfida con la legge, con i rappresentanti di essa. In questa sfida c’è la gioia sadica di “farla franca”, di vedere sconfitti tutti quelli che loro non apprezzano e combattono, perché esigenti e diversi.
Questi adolescenti difficili sono figli e schiavi di questa madre società del benessere che se da una parte abbaglia con i sogni del piacere e delle soddisfazioni, dall’altra non ti permette di avere gli strumenti per acquistarli o per prenderne le distanze in maniera matura.
Capire le dinamiche psicologiche che spingono gli adolescenti a rubare, permette all’adulto di intervenire per placare il senso di disfatta che riempie la loro esistenza e per addolcire le loro relazioni interpersonali.
I cactus li incontriamo negli adolescenti difficili che aggrediscono sistematicamente gli altri.
Sono come dei cerberi, protesi ad abbaiare e dilaniare tutto ciò che incontrano e toccano. Il bullo, l’aggressore sistematico tenta di presentarsi da “spaventoso” per non far emergere lo “spaventato” che è.
È una maniera di affermare, con la forza fisica, la propria personalità.
Solamente che questa forza fisica la utilizza contro i più deboli, gli inermi, i pavidi e non con altri di pari età, forza, aggressività.
L’educatore che riesce a far emergere tale senso di inadeguatezza e fragilità psichica, ha la possibilità di recuperare il bullo di turno e porre fine alle varie aggressioni.
I ragazzi bulli sono dei frustrati
sul piano scolastico e tentano di conquistare l’ammirazione con la forza fisica o con i continui pestaggi verso i più deboli.
Le bravate di questi adolescenti difficili servono per scacciare il senso di inadeguatezza in ambito scolastico e recuperare l’immagine di loro stessi.
Ricevendo applausi, sorrisi, connivenze tacite dal pubblico degli astanti, si fregia di una considerazione che riesce a riempire quella poco positiva di studente.
Ogni aggressione realizzata in contesti diversi, fa emergere dei significati che altrimenti verrebbero considerati solamente come comportamenti disturbanti o disturbo da condotta.
Bullismo
Ma il bullismo o le varie aggressioni nel contesto scolastico, denotano che c’è un mancato riconoscimento come ragazzo-studente da parte degli insegnanti, dei compagni e non ultimo da se stesso.
Egli si sente un “pesce fuor d’acqua” e fa di tutto per farsi notare e per debellare il senso di noia e inutilità della sua presenza.
A casa potrebbe attuare le sue forme di aggressioni come per non subire i contraccolpi di disarmonie e separazioni dei propri genitori e lenire il suo dolore.
Attira l’attenzione su di sé, pur di non subire la pesantezza della solitudine del disastro affettivo dei propri genitori.
Con i pari età potrebbe essere sollecitato e sfidato a far emergere ampollosamente la propria identità virile, pena la disistima e l’incapacità a farsi valere in altre modalità e capacità al di fuori della mera brutale forza fisica.
Forza apparente
Quando un ragazzo crede di avere un solo modo per essere stimato all’interno del gruppo dei pari, degli amici, del contesto abitativo, quello di far valere la propria aggressività e forza fisica come virilità, rischia di costruire un fantoccio di uomo inconsapevole dell’emotività, della propria dolcezza e sensibilità.
Quando le aggressioni e i pestaggi avvengono contro i barboni, le persone diversamente abili, gli stranieri, allora emerge il meccanismo psicologico della proiezione.
Si scaricano su queste persone deboli, periferiche, portatrici di qualche difficoltà, le proprie paure, i propri fallimenti, i propri fantasmi.
Le tematiche persecutorie interne alla propria vita si proiettano fuori;
gli aspetti di sé temuti o disprezzati si scaricano nelle figure dei più deboli, nelle minoranze come forma di non appropriazione di queste parti che ineluttabilmente farebbero soffrire.
Gli adolescenti difficili che si divertono a far del male a tali persone, che deridono quelli in difficoltà, che bruciano il clochard di turno che dorme in una panchina del giardino cittadino, fanno emergere il senso di desolazione e di vuoto che li accompagna nella vita.
Sono ragazzi che hanno di bisogno di fermarsi per riflettere e prendere in mano la loro esistenza, per dare un senso ai loro giorni sempre uguali, risanando ferite e riscoprendo il caldo abbraccio di persone che li vogliono bene.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che distruggono tutto ciò che appartiene al pubblico, agli altri e non a loro.
Sono gli adolescenti difficili che camminano e rompono i vetri dei negozi, strisciano le macchine posteggiate, tirano pietre ai lampioni della città, calpestano i fiori delle aiole che adornano le strade.
Lo fanno per noia, per il gusto sadico del distruggere senza alcun motivo o causa scatenante. Essi desiderano lasciare una traccia, un segno del loro passaggio, del loro esserci.
Vogliono lanciare il messaggio che la loro presenza non è evanescente, ma concreta, precisa e vistosa.
Nell’attuare tali comportamenti devianti, essi non hanno la consapevolezza del danno arrecato, delle conseguenze legali a cui vanno incontro; lo fanno per trascuratezza, per esprimere il non senso della loro vita.
Se sporcano i sedili del treno lo fanno con disinvoltura; se danneggiano un edificio lo fanno perché non appartengono a nessuno, come loro non appartengono a questa società.
Se sono ripresi perché urinano per strada davanti alla gente, si arrabbiano maldestramente mandando a quel paese l’incauto passante che si era permesso di far loro notare il comportamento ineducato.
In questo modo gli adolescenti difficili salgono agli onori della cronaca e ottengono quella visibilità che altrimenti non avrebbero per comportamenti consoni alla norma.
Mentre da una parte c’è una vena esibizionistica o aggressiva contro le “cose degli altri”, dall’altra fanno emergere delle motivazioni psicodinamiche che ci permettono di intravedere vuoti e bisogni affettivi non soddisfatti.
Motivazioni
Essi si sentono periferici, di non appartenere al nucleo dove vivono e trascorrono le giornate, di non avere la consapevolezza del loro valore perché trascurati o abbandonati al loro destino.
In queste condizioni di deprivazione affettiva e senso di appartenenza, l’adolescente grida la sua esclusione con la distruzione di tutto ciò che incontra e che maneggia.
E quei pochi momenti di affettività li immortala sui muri scrivendo il proprio amore o che si è innamorati.
Che bisogno ha di farlo sapere a tutti, quando gli altri pari età lo nascondono per paura o per timidezza?
È un’uscita impulsiva e diversa dagli usuali comportamenti distruttivi e induce alla tenerezza per questo ulteriore grido di bisogno di normalità e affettività.
Dietro ogni comportamento disturbante degli adolescenti difficili si trova sempre un vuoto e un bisogno affettivo. Se tali ineludibili esigenze venissero riconosciute e soddisfatte non ci sarebbero ragazzi dediti alla devianza o alla delinquenza.
vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto , potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di fomo estiva, ossia la paura dei ragazzi di essere tagliati fuori durante le vacanza.
Durante le vacanze, in cui si dovrebbe pensare a divertirsi e a trascorrere momenti di condivisione con la famiglia e con gli amici, gli effetti della FOMO potrebbero prendere il sopravvento.
Non a caso è proprio in questo periodo che molti adolescenti fanno più fatica a staccarsi dalla tecnologia.
Fomo
I ragazzi, sono in pausa dalla scuola, hanno più tempo libero a disposizione, per cui sono ancora più spinti a controllare cosa stanno facendo gli altri e venire a contatto.
Foto di persone felici che si riuniscono con parenti e amici, che trascorrono vacanze da sogno, che escono e fanno attività divertenti con i coetanei.
I sentimenti di ansia, isolamento e solitudine colpiscono in particolare i ragazzi con bassa autostima e maggiore insicurezza, i quali dimenticano spesso quanto sui social network le apparenze possano ingannare.
La F.O.M.O.
Fear of Missing Out, letteralmente la “paura di essere tagliati fuori”, è una condizione patologica che emerge nel momento in cui si è impossibilitati a controllare cosa stanno facendo i propri contatti online oppure quando non si visualizzano gli aggiornamenti di profilo o nuove condivisioni.
Si riferisce alla preoccupazione eccessiva e ossessiva di potersi perdere gli aggiornamenti, ma anche all’ansia e all’invidia che gli altri facciano esperienze gratificanti nelle quali non si è presenti o coinvolti direttamente.
La FOMO evidenzia uno stato di ansia sociale caratterizzato dal bisogno di controllare ripetutamente i profili social e le chat alla ricerca di aggiornamenti e notizie per essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo.
Rappresenta un comportamento automatico che, se non soddisfatto, può causare uno stato di sofferenza, una vera e propria “crisi di astinenza”.
Genitori
I genitori devono fare attenzione perché si tratta di una condizione presente soprattutto tra i giovani, dove il bisogno di appartenenza e la paura di essere esclusi dal gruppo sono amplificati dai social network .
Quali sono i segnali d’allarme della FOMO?
– Controllare e monitorare costantemente lo smartphone, in particolare l’attività degli amici e dei familiari sui vari social network;
– ritardare il momento in cui si va a dormire per visualizzare in tempo reale, anche durante la notte, i vari aggiornamenti;
– avere la sensazione che si sta perdendo qualcosa di quello che sta succedendo, l’angoscia di restare fuori dalla web-community;
– commentare sempre e condividere tutto nella rete;
– avere l’illusione, attraverso l’uso compulsivo dello smartphone, di essere sempre in contatto con qualcuno e di non essere mai soli;
– si tende a togliere del tempo ad altre attività, come lo studio, lo sport, le uscite, il lavoro;
– possedere la convinzione che quello che sta accadendo e accadrà online sarà migliore di ciò che si sta facendo nella vita reale;
– fare un confronto costante, tra sé e gli altri, in base agli aggiornamenti e alle notizie dei social e delle chat che spesso crea rabbia e invidia;
– avere la percezione che gli altri siano più felici e più fortunati.
Conseguenze
La FOMO può distogliere completamente i ragazzi dal momento presente, non permette di godersi il qui ed ora perché la mente è concentrata solo su quello che non si ha.
Sul fatto che ci si sta perdendo qualcosa di divertente, senza pensare che spesso ciò che viene condiviso sui social non è la realtà assoluta ma solo ciò che l’altro vuole mostrare.
Ecco 7 consigli per aiutare i figli a gestire la paura di essere tagliati fuori
1. Mettete dei paletti e aiutateli a staccarsi da ciò che avviene sul web.
Attraverso alcune regole di utilizzo dello smartphone, portateli a rimandare il controllo continuo e sistematico degli aggiornamenti, delle notifiche, dei social network e delle chat.
Devono mettersi gradualmente nella condizione di provare sulla propria pelle che, anche se non leggono immediatamente quello che ha postato l’amico, non crolla il mondo e che, farlo in un altro momento, non cambia assolutamente nulla.
2. Fategli capire che i social non sempre rispecchiano la realtà.
I ragazzi sembrano non tenere conto che in rete si mostra principalmente la parte migliore, filtrata di se stessi, e che si può anche mentire.
Infatti, molte volte si focalizzano eccessivamente su quello che gli altri pubblicano, scrivono o condividono sui social come se fosse sempre una comunicazione reale della loro vita.
Troppe volte tendono ad amplificare, pensando “a lui va sempre tutto bene”, “io non faccio mai qualcosa di bello”.
È fondamentale che gli venga trasmesso il messaggio che la realtà è quella che si vive nel quotidiano, non quella che si esibisce, per cui non bisogna farsi condizionare da ciò che si vede sul web.
3. Aiutateli a riflettere sulle emozioni che provano in quei momenti.
È importante che si chiedano: “Cos’è che mi provoca ansia, cosa mi infastidisce?”. Cercate di farli parlare e di farli sfogare, perchè spesso alla base dell’impulso a controllare internet,
C’è una sensazione di solitudine, di inutilità e di invidia per gli altri.
Il fatto che comprendano, dunque, quali sono i vissuti sottostanti è il primo passo per affrontare il proprio malessere e pensare a cosa si potrebbe fare per migliorare la propria situazione, avvertendo la vostra vicinanza e sentendosi sostenuti.
4. Devono concentrarsi di più sulla loro vita.
È importante che pensino meno agli altri e più a se stessi, ritagliandosi quanto più tempo possibile per stare con gli altri e dedicarsi ad attività piacevoli e divertenti, senza distrazioni tecnologiche.
Devono capire che quello che gli altri pubblicano non li riguarda direttamente e non li deve influenzare in alcun modo, perché gli altri hanno un potere su di loro nella misura in cui sono loro a concederglielo.
5. Prediligere gli amici reali.
Troppe volte, i ragazzi danno più importanza a quello che succede sul web rispetto alla loro realtà di tutti i giorni, ma è importante non permettere allo smartphone di allontanarli da chi hanno realmente vicino.
Fategli capire che essere sempre connessi anche quando si è in gruppo o in altre situazioni sociali, estraniarsi e disconnettersi dalla realtà, è dannoso per loro.
6. Rompere la routine.
È importante che, soprattutto in estate, si stacchino completamente dalla solita routine quotidiana a cui sono abituati.
Per non restare sempre appiccicati al cellulare e per spendere il loro tempo e le loro energie diversamente: metteteli, dunque, nelle condizioni di trascorrere più tempo all’aria aperta e spronateli a dedicarsi ad altre attività piacevoli e rilassanti.
Proprio per prendere una pausa dall’iperconnessione e ricaricarsi attraverso nuove esperienze stimolanti.
7. Chiedere aiuto.
Se non riuscite a gestire in alcun modo l’impulso irrefrenabile dei vostri figli a connettersi e a ridurre il loro malessere, è utile chiedere un aiuto professionale per cercare di focalizzare meglio il disagio e individuare strategie mirate per superarlo.
È fondamentale che i ragazzi imparino a gestirsi autonomamente e a non essere succubi della connessione. Sono loro che dettano le regole della loro vita, non il telefono!
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi nella sezione contatti e consulenze del sito
sulla piattaforma di cam.tv al canale adolescenti istruzioni per l’uso
Buongiorno amici. Oggi vi chiedo .. monitorare i figli? sì ma…vediamo un po’.
In adolescenza ragazzi e ragazze crescono rapidamente, i loro atteggiamenti si modificano, assumono dei rischi per mettersi alla prova, mettere alla prova le loro competenze e abilità, scoprire chi sono.
Spesso i genitori hanno la sensazione di trovarsi di fronte a degli sconosciuti, in cui non riconoscono più i loro bambini.
Hanno bisogno di conoscere i propri figli, le loro abitudini, le amicizie e le compagnie che frequentano.
Ed è ancora più importante accertarsi che non si trovino su una “cattiva strada” e non assumano comportamenti a rischio.
Sostenere o monitorare: due facce della stessa medaglia?
È difficile per i genitori monitorare i comportamenti degli adolescenti.
Concedere autonomia e libertà, far sentire sostegno e comprensione e, allo stesso tempo, controllare, dare regole e paletti, supervisionare ciò che fanno.
Il rischio, in alcuni momenti, può essere quello di trasformare il dialogo in una sorta di interrogatorio: “dove vai?”, “chi ci sarà?”, “cosa hai fatto a scuola?”, “cosa stai facendo col cellulare?”, “chi ti ha scritto?”, “hai fumato?”, “i tuoi amici fumano?”.
Di fronte a un atteggiamento che vivono come invadente o caratterizzato solo da regole e divieti, però, i ragazzi rischiano di chiudersi e non parlare con i genitori.
Tante sono le paure e le preoccupazioni dei genitori legate all’assunzione di comportamenti a rischio: fumo, alcol, guida in condizioni di pericolo, abuso della tecnologia.
E’ sicuramente fondamentale mantenere sempre un monitoraggio sui loro comportamenti per educarli e aiutarli a crescere in modo autonomo e responsabile.
In adolescenza, la criticità è propria quella di mantenere sempre aperta la comunicazione in modo che i ragazzi possano sentirsi compresi e continuino a parlare con i genitori.
hanno bisogno di esprimere anche dubbi o perplessità, rendendoli partecipi della loro vita e delle loro attività, nonostante il desiderio di indipendenza e autonomia.
Sostenere e monitorare i figli può fare la differenza?
Sicuramente si!
Gli adolescenti i cui genitori utilizzano un monitoraggio efficace.
Infatti, hanno minori probabilità di prendere decisioni e assumere comportamenti che li espongono a rischi eccessivi e che li potrebbero mettere in pericolo.
Il monitoraggio genitoriale funziona meglio quando i genitori hanno una relazione positiva, aperta e sincera con i ragazzi.
Gli adolescenti, sentendosi tranquilli e compresi, saranno più disposti a parlare con i genitori e fidarsi di loro.
Accetterano più facilmente i consigli che essi potranno offrire e si mostreranno anche più aperti e disponibili al dialogo e all’ascolto.
Cosa possono fare i genitori per monitorare efficacemente i loro ragazzi?
– CHIAREZZA. È fondamentale mantenere sempre aperto il dialogo e parlare con i ragazzi, dando sempre regole chiare e condivise, spiegando e riflettendo insieme sulle conseguenze delle proprie azioni e dell’eventuale violazione delle regole.
– COMUNICAZIONE. Chiedete sempre ai ragazzi, anche quando non condividete un loro comportamento, come si sentono e cosa pensano, interessatevi anche al loro modo di vedere le cose e potrete così aiutarli a riflettere su quanto succede nella loro vita.
– CONOSCENZA. Chiedete informazioni e interessatevi ai loro interessi, le loro amicizie e le loro passioni, non per fare degli interrogatori estenuanti su ciò che fanno, dove e con chi vanno.
Per comprendere davvero cosa piace loro e cosa li fa stare bene, e aiutarli a riflettere sui rischi di alcuni comportamenti inadeguati o sui pericoli che possono incontrare nella vita reale e online.
– OSSERVAZIONE. Fate attenzione ai loro stati d’animo e al loro umore.
Non fate solo e sempre domande sulla scuola e sui voti o su ciò che fanno, ma osservateli nei loro comportamenti anche a casa.
Monitorate come spendono i soldi e la loro paghetta.
Seguite in modo discreto ma costante come trascorrono il loro tempo online e parlate con loro dell’importanza di usare Internet e gli strumenti tecnologici in modo sicuro.
Monitorare
Monitorare un figlio non significa invadere i suoi spazi e impedirgli di esprimersi nella sua autonomia per contenere le proprie paure.
E’ normale che un genitore abbia ansie e preoccupazioni, che vorrebbe tenere il figlio lontano dai pericoli e da tutto ciò che potenzialmente può arrecargli un problema.
Ma così si rischia di non responsabilizzarli mai, di fargli sperimentare la loro auto efficacia e il loro crescere.
Hanno bisogno delle piccole e grandi prove della vita per confrontarsi con se stessi e con gli altri e per crescere diventando sempre più autonomi, giorno dopo giorno.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi qui nella sezione contatti e consulenze.
cos’è e come metterla in pratica all’interno della famiglia.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di comunicazione non violenta.
I conflitti sono comuni nelle famiglie e di per sé non sono negativi. Tuttavia, possono diventarlo quando non sono gestiti in modo appropriato e causano ferite che non si rimarginano. Che ruolo gioca la comunicazione nonviolenta in questo contesto?
La comunicazione non violenta è un modello sviluppato da Marshall Rosenberg che rende più facile per le persone comunicare con empatia e assertività. Nel contesto familiare, questo concetto si applica alla comunicazione tra i diversi membri.
Gli strumenti offerti dalla comunicazione non violenta permettono di trasformare una situazione conflittuale che può sorgere nella convivenza quotidiana e relazionarsi con gentilezza, rispetto e armonia.
Questo modello di comunicazione, chiamato anche comunicazione empatica, ha lo scopo di sostituire i modelli di risposta difensivi o evitanti ai giudizi e alle critiche di altri membri della famiglia con altri basati sull’empatia.
Le reazioni di resistenza, difesa e violenza sono ridotte al minimo, poiché quando ci concentriamo sul chiarire ciò che osserviamo, sentiamo e desideriamo, invece di dedicarci alla diagnosi e al giudizio, la compassione tende a emergere naturalmente.
La comunicazione empatica rimuove le barriere tra le persone per favorire la comprensione.
Linee guida per una comunicazione non violenta in famiglia
In caso di conflitto tra due familiari, la comunicazione non violenta propone di seguire le seguenti fasi:
Osservazione dei fatti: come li vedo io e come li vede l’altro.
Come ci sentiamo (io e l’altro)?: con empatia, senza giudicare, rifiutare, ecc.
Quali sono i bisogni autentici alla base dei sentimenti scoperti?
Avanzare una richiesta diretta a raggiungere l’obiettivo o il desiderio genuino (necessità). Cosa possiamo e dobbiamo chiedere a noi stessi o all’altro per risolvere il problema e arricchire la nostra vita.
Dopo aver fatto la richiesta, è necessario assicurarsi che il messaggio sia stato compreso in modo soddisfacente con domande dirette.
L’idea è capire come l’interlocutore ha inteso le nostre parole e poter correggere qualsiasi interpretazione errata (Rosenberg, 2013). In sintesi, la struttura suggerita da Rosenberg (2013) è la seguente:
“Quando fai o dici…”
“Sento che…”
“Perché ho bisogno di…”
Se sei d’accordo, vorrei che tu…”.
Un’ulteriore fase consiste nel rispettare i passaggi descritti con i diversi membri della famiglia. In primo luogo, percependo ciò che pensano, provano e di cui hanno bisogno per poi scoprire ciò che desiderano per arricchire la loro vita ascoltando la richiesta che ci fanno. Allo stesso modo, invitiamoli a fare lo stesso e stabiliamo un flusso di comunicazione assertiva.
La comunicazione non violenta: lessico dei sentimenti e dei bisogni in famiglia
L’espressione degli stati emotivi deve essere chiara e precisa in modo da aiutarci a connetterci con gli altri. Rosenberg distingue tra sentimenti piacevoli, quando i bisogni sono soddisfatti, e sentimenti spiacevoli, quando i bisogni non sono soddisfatti.
Da un lato, menziona sentimenti piacevoli come affetto, fiducia, entusiasmo, speranza, pace, felicità, gratitudine, interesse, ispirazione e apertura. D’altra parte, elenca sentimenti spiacevoli come desiderio, avversione, confusione, rabbia, irrequietezza, paura, tristezza, rabbia, dolore e vergogna.
Tuttavia, vi sono due elementi che ostacolano con frequenza l’espressione dei sentimenti. Uno è la mancanza di alfabetizzazione emotiva in famiglia, che complica la capacità dei membri di esprimersi apertamente e con chiarezza.
Un altro ostacolo è la paura comune di mostrarsi vulnerabili agli altri, quando proprio la vulnerabilità facilita la risoluzione dei conflitti (Vivas, Gallego e González, 2007).
Quanto all’espressione dei bisogni, significa collegare il sentimento con tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere fisico, emotivo e spirituale.
Ancora una volta, Rosenberg fornisce un elenco di bisogni umani, tra cui connessione, vicinanza, autonomia, integrità, partecipazione, libertà e interdipendenza, che possono guidarci nel capire quale bisogno non abbiamo soddisfatto.
La comunicazione non violenta permette la comprensione sulla base dell’empatia e del rispetto.
Uno strumento utile in casa: la scatola dei sentimenti
La scatola dei sentimenti è uno strumento utile da usare a casa per favorire la comunicazione non violenta. Consiste nel lasciare su un tavolo, accessibile a tutti, una scatola con all’interno dei pezzetti di carta.
Attraverso questa risorsa, tutti i membri della famiglia possono condividere i diversi eventi che hanno causato loro disagio durante la giornata.
A fine giornata, ogni membro leggerà un pezzo di carta a caso e proporrà una soluzione o un bel commento per trovare una soluzione al problema. Questa dinamica aiuta a essere consapevoli e responsabili in quanto a pensieri, sentimenti e azioni; di conseguenza, ha prendere decisioni migliori.
Conclusioni
La comunicazione non violenta ci aiuta a connetterci con noi stessi e con gli altri. Grazie a essa, possiamo aumentare la comprensione e l’empatia, basando la convivenza sull’onestà e l’impegno.
E se anche voi avete bisogno di ritrovare una serenità familiare contattatemi tramite form per cominciare un percorso di…rinascita.
Spero che aver parlato di comunicazione non violentavi sia stato utile.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di violenza familiare.
La violenza in famiglia è una forma di aggressione. Si basa su continue critiche, umiliazioni, disprezzo e manipolazioni da parte di genitori, fratelli o altre figure nei confronti di un membro specifico.
Una simile dinamica condivisa quasi sempre dipende da un individuo alle cui azioni aderiscono alcuni membri della famiglia meno potenti.
Se è vero che quando parliamo di bullismo, visualizziamo quasi istantaneamente il cortile di una scuola o un ambiente di lavoro, c’è un altro scenario che spesso trascuriamo. Anche la famiglia molesta e umilia, e questo attacco psico-emotivo a volte può essere pari o più dannoso delle esperienze di bullismo scolastico.
Avere il nemico in casa significa non godere di riparo o sostegno. Crescere come la pecora nera o il brutto anatroccolo è traumatico e di rado il trauma viene correttamente affrontato in età adulta.
Avere uno o più intimidatori con lo stesso codice genetico significa dover affrontare situazioni di disagio anche se non si vive più nel nucleo familiare. Proviamo a descrivere più in dettaglio questa realtà.
In cosa consiste la violenza in famiglia
Spesso diciamo che il modo più comune per evitare uno stalker è allontanarsi da quella presenza. Tuttavia, come ben sappiamo, questo non è sempre possibile.
Il bambino vittima di bullismo deve tornare a scuola ogni giorno. Il lavoratore che subisce mobbing deve rispettare la sua giornata lavorativa. E la persona vittima di violenza in famiglia trascorre molti anni in un ambiente dal quale le è impossibile scappare.
Oltre a ciò, a volte queste dinamiche aggressive si perpetuano anche quando la vittima ha già raggiunto l’età adulta. Perché il familiare “bullo” prende una vittima e intensifica il comportamento offensivo e umiliante. L’aspetto più grave è che di solito c’è alleanza o silenzio da parte degli altri membri.
Questa forma di violenza domestica non è nuova. È una realtà con una lunga tradizione spesso messa a tacere nella nostra società.
Bulli in famiglia: chi e come sono
Possono essere i genitori e persino i fratelli. Allo stesso modo, quando si inizia una relazione, può capitare che suoceri e cognati rivolgano critiche e umiliazioni costanti. In generale, la persona che maltratta un familiare presenta uno o più tratti molto specifici:
La sua aggressività si basa sulla parola.
Mostra un comportamento immaturo.
Usa le bugie per convincere anche gli altri membri.
Controlla la persona.
È vendicativa.
L’aggressore in famiglia può anche essere manipolatore.
Potrebbe agire per gelosia e invidia.
Può mostrarsi arrogante e narcisista.
Potrebbero verificarsi notevoli sbalzi d’umore.
È abile nel fraintendere tutto, nel cambiare ciò che la vittima fa o dice e la umilia.
Come si manifesta la violenza in famiglia?
Essere vittima di violenza in famiglia può creare confusione da bambini, poiché si normalizzano determinate dinamiche. Tuttavia, crescendo ci si rende conto che certi comportamenti non solo leciti.
Questo perché feriscono, intimidiscono e privano di rispetto e benessere, dimensioni a cui tutti abbiamo diritto. I segnali di violenza sono molto vari, ma è necessario riconoscerli il prima possibile:
Si umilia la vittima per la sua persona, le azioni e le parole. Viene resa il brutto anatroccolo.
Si sminuisce.
La persona viene zittita e privata di importanza all’interno della famiglia.
Si adottano comportamenti di critica e di costante disprezzo rendendo la vittima nella pecora nera.
Si crea caos trasformando ogni conversazione in una discussione, assegnando colpe e pronunciando false affermazioni.
Ricatti e manipolazioni emotive.
Paragoni umilianti (tuo fratello è una persona migliore di te).
Superiorità, battute dannose e commenti umilianti.
È comune accusare la vittima di egoismo, di avere in mente solo i propri interessi.
Effetti psicologici
La famiglia prepotente si comporta come un animale territoriale. Molte volte il fratello, il cognato, la madre, il suocero o il padre molesti sono spinti dalla gelosia, da quell’invidia che cerca di espellere qualcuno dal nucleo familiare; indipendentemente dal legame. Come possiamo dedurre, l’impatto mentale e sociale è immenso.
Sono in aumento, di fatto, gli studi sugli effetti delle molestie domestiche. Per esempio, uno studio di ricerca condotto presso l’Universidad Central del Sur. La ricerca indica chiaramente che la violenza tra fratelli provoca profonda angoscia e disturbi dell’umore.
Sappiamo anche che più si protrae la situazione, maggiore è l’impatto sulla persona. Chi cresce in un ambiente disfunzionale tende ad adottare condotte autodistruttive.
Come rispondere alla violenza in famiglia
Nessuno ha il diritto di ferirci in alcun modo. È pienamente giustificato difendersi, rispondere il prima possibile e persino segnalare tali situazioni, indipendentemente dal fatto che il molestatore sia un familiare. Nessuno dovrebbe infondere paura e insicurezza, criticarci, ignorarci o annullarci come persone.
Stabilire limiti, salvaguardare le nostre emozioni, praticare la cura di sé, cercare figure di supporto valide e mantenere le distanze dai familiari aggressivi è la chiave del nostro benessere. La famiglia dovrebbe essere sempre un luogo di nutrimento, non un campo di battaglia.
Ragazzi io vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Sperando che parlare di violenza familiare vi sia stato d’aiuto vi abbraccio:)
Ciao amici. Oggi riflettiamo sull’importanza dell’ascoltare, dell’ascolto attivo per i ragazzi.
Voglio giusto lasciarvi questo pensiero come riflessione.
E quanta veritàc’è in queste parole amici.
Ascoltare
Molto spesso parlo di ascolto attivo. E, altrettante volte, mi viene detto “ma io ascolto mio figlio”. Forse, ma non attivamente. Che cosa vuol dire?
Si ascolta attivamente una persona che ci sta parlando quando prestiamo attenzione alle sue parole, quando comunichiamo con lei pur non dicendo nulla ma parla il nostro sguardo. Quando ci accorgiamo del suo stat d’animo mentre parliamo.
Errori
“ma certo che ascolto”…mmm…ragioniamo al contrario. Vi è mai capitato, parlando, confidandovi con qualcuno, un amico, un parente, marito, fidanzato, genitore, di parlare e, ad un certo punto, di accorgervi che l’altra persona è distratta?
E come vi siete sentiti? Malissimo.
Vi sentiti non considerati, sentite l’indifferenza della persona che dovrebbe dialogare con noi e cosa fate? Ovviamente, smettete di parlare e , dentro la vostra mente, balza l’idea di non confidare mai più nulla a quella persona perchè tanto non mi ascolta.
Ora, pensiamo in questa situazione un adolescente. E già dovreste essere felici che un ragazzo a quall’età viene da voi pe confidarsi.
Adolescenti
Che cosà farà secondo voi?
Cercherà ascolto in altre persone, in altri luoghi e, spesse volte, è proprio da lì che cominciano i problemi.
E allora non fate che ciò accada.
Se vostro figlio vien da voi per parlarvi di qualsiasi cosa sia importante er lui, non sminuitela.
Lasciate quello che state facendo e mostratevi realmente attenti, interessati.
Perché per loro, in particolar modo, ma per tutti, ascoltare significa esserci, essere visti, considerati e riconosciuti. Semplicemente importanti e amati.
Io vi ricordo che se avete bisogno di me potete contattarmi alla sezione “contatti e consulenze” del sito
I danni, nei ragazzi, della finta perfezione sbandierata sui social.
Buongiorno amici. Oggi parliamo de i social come specchio digitale e i danni che, visti in questo modo, provocano nei ragazzi.
Vetrina social
Le vetrine dei social network, il numero dei like ricevuti, l’approvazione social condizionano l’umore, l’autostima, la percezione del proprio corpo,
E influenzano l’insoddisfazione verso il proprio aspetto fisico, soprattutto nelle ragazze.
Tutto questo è vero non solo per pre-adolescenti e adolescenti.
Ma anche per donne giovani e adulte, che si confrontano costantemente con le immagini e i modelli diffusi dai social media.
L’aspetto estetico rappresenta un elemento fondamentale per una buona accettazione di sé e per sentirsi accettate dal mondo circostante.
La paura del giudizio diventa una base per la messa in atto di comportamenti rischiosi per la salute.
Citiamo restrizioni alimentari, diete ferree, sport eccessivo fino a veri e propri disturbi dell’alimentazione.
L’esposizione a foto, immagini e pubblicità di corpi perfetti e magri, influenza negativamente la soddisfazione verso il proprio aspetto estetico.
Ci si sente costantemente imperfette o meno attraenti, si sente di non poter mai riuscire a raggiungere quegli standard e quei modelli ideali (Frederick et al., 2017).
E’ anche significativo come, a tali percezioni, si associ il desiderio di mettersi a dieta o fare esercizio fisico per perdere peso e assomigliare di più ai modelli proposti.
Immagine corporea e adolescenza: un rapporto difficile
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 64% degli adolescenti dichiara di sentirsi più sicuro quando è più magro e quando riesce a raggiungere il peso ideale.
Un problema che riguarda maggiormente il genere femminile, in quanto il 76% sono ragazze.
Oltre 6 adolescenti su 10 sostengono anche che la donna più magra è più accettata e riconosciuta da un punto di vista sociale.
Ciò porta alla ricerca di corpi perfetti e magri, anche seguendo i modelli di riferimento social, per avere il maggior numero possibile di like e follower.
Il 55% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni, di cui il 70% sono femmine, si sente influenzato dai modelli lanciati da blogger e influencer, e sostiene che vedere corpi magri e perfetti in tv e su internet fa sperimentare il desiderio di essere come loro.
Si tratta di aspetti importanti, che non vanno assolutamente sottovalutati, in quanto “social network, fashion blogger e youtuber sono ormai la realtà di riferimento degli adolescenti che crescono fin dall’infanzia con la compagnia dei video dei loro idoli senza un minimo di filtro e di controllo genitoriale”.
Quali conseguenze sugli adolescenti?
Bisogna tener conto di come i ragazzi oggi siano sottoposti, fin da bambini, alla pressione di media e di quei modelli sociali che diffondono una precisa idea di bellezza, ispirata alla magrezza e al controllo dell’immagine corporea.
Il peso e l’immagine corporea condizionano l’autostima e l’umore dei ragazzi, che vivono in funzione dell’accettazione del gruppo.
Le difficoltà sono esasperate da una cultura incentrata sull’estetica, sull’apparenza, e in cui l’adolescente che non è alla moda è considerato uno sfigato, viene isolato dalla massa e, spesso, preso di mira su chat e social network.
Crescere con l’ossessione dell’apparenza, non sentendosi mai adeguati e soddisfatti di sé, è estremamente dannoso, e può determinare vissuti di insicurezza e scarsa autostima.
L’impulso a confrontare costantemente il proprio aspetto fisico con quello di coetanee o di personaggi famosi, può compromettere profondamente il giudizio su di sé.
Strumenti
Non sono gli strumenti in sé a determinare effetti negativi, molto dipende dalla modalità con cui i ragazzi li utilizzano e dai bisogni cui cercano di dare risposta attraverso le condivisioni online.
I social possono offrire un modo per connettersi con gli altri, ma possono anche aggravare ansie o fragilità già presenti offline.
È fondamentale, dunque, essere sempre attenti a cogliere ogni segnale e non sottovalutare le preoccupazioni e le ansie dei ragazzi.
Vi ricordo che se avete bisogno di un aiutocontattatemi nella sezione “contatti e consulenze ” qui
Mantra e consigli per adulti e ragazzi per vivere serenamente
Buongiorno amici. Oggi parliamo di un mantra per ragazzi e adulti pe vivere serenamente: ma chissenefrega!
Magari non vogliamo ammetterlo con noi stessi ma l’opinione degli altri ci condiziona la vita. Facciamo gli indifferenti, ci proclamiamo liberi di pensare e decidere, ma, sotto sotto, l’idea che gli altri possano non approvare ciò che facciamo ci dà fastidio. Quindi? È tempo di fare un po’ di allenamento mentale per vivere meglio ed essere più felici. “E chisenefrega”, ecco un allenamento che ci consentirà di affinare la capacità di prepararsi all’avvenire in modo disincantato e sorridente.
Sei sicura di goderti il presente?
Certo, possiamo preoccuparci di tante cose: del giudizio altrui, della carriera, di fare brutte figure, di come siamo vestiti, di non avere i capelli in ordine, di come andrà l’esame, di non arrivare puntuali, di avere la casa pulita, di mantenersi in forma fisica, di evitare delusioni, ecc.
Ma sai che c’è? Ci sono tantissime cose di cui “non ha senso importarsi”! Mi riferisco a cose, pensieri, situazioni che se approcciati nel modo giusto, ci rendono in qualche modo “liberi” dai condizionamenti esterni. Magari potrà sembrare un approccio poco ortodosso ma davvero funzionale.
Per esempio? Amo stare in tuta, mi fa sentire più comoda e quando qualcuno mi chiede: “ma non ti piacerebbe indossare abiti più eleganti”, posso sentirmi libera di rispondere come i vecchietti del Muppet Show (ve li ricordate?): “Who Cares?” …a chi importa? chi se ne frega?
Ammettiamolo, una critica o delle opinioni negative sul proprio conto possono mandarci in tilt. Perchè non imparare a “impermeabilizzarsi” ai giudizi altrui e fregarsene? Se aspiri a una vita felice e serena devi diventare meno succube delle opinioni che provengono dall’esterno.
Ci sono tre aspetti fondamentali che ti spingono a giudicarti eccessivamente e che di conseguenza minano la tua capacità di fregartene del giudizio altrui e sono:
i sensi di colpa;
senso di inadeguatezza o inferiorità;
mancanza di abilità comunicative, relazionali e di autodifesa.
Allenati a fregartene del giudizio altrui, accetta il fatto che non si può non essere giudicati e di conseguenza può succedere di imbatterti in persone (e soprattutto i tuoi cari) che nella vita cercheranno fare leva sui tuoi sensi di colpa, sulla tua autostima. Qualcuno potrà accusarti di essere insensibile, di fare scelte affrettate, di comportarti da egoista, di frequentare persone sbagliate.
A meno che tu non abbia ucciso qualcuno, accetta pure le critiche ma fatti scivolare tutto subito. Accettare non si significa assecondare e nemmeno giustificare, ma essere consapevoli che qualcuno può essere in disaccordo con le tue scelte di vita……e quindi: ma chi se ne frega! Bada bene, nessuno ti sta chiedendo di essere superficiale nel fare le cose, l’importante è essere naturale e coerente con se stessi
Prendi la giusta distanza emotiva-ma chissenefrega
Ecco un allenamento mentale che ti chiedo di fare con costanza per spezzare le “catene” con tutti quegli atteggiamenti costruiti solo per accontentare gli altri. Questo allenamento consiste nel prendere le distanze emotive dai giudizi esterni. Immagina proprio di tranciare con una cesoia gigante l’eccessiva importanza che dai ai giudizi altrui.
Ogni volta che ne ricevi uno, chiediti se si tratta di un fatto o di una opinione. I fatti si possono sempre argomentare e dimostrare, le opinioni no. Un tuo amico, il tuo collega o magari tua madre o tuo padre può fare delle obiezioni sul tuo taglio di capelli, sul lavoro che svolgi….. e allora? Che te ne frega, l’unica persona a cui devi dar conto sei solo tu! A volte per invidia, per gelosia, per un senso di protezione…. la gente può dare consigli sbagliati, ricordalo sempre!
Impara a farti scivolare qualsiasi valutazione negativa, fatti scivolare tutto addosso…..e ti assicuro che ti sentirai più leggera. Non dimenticare mai che anche se certi giudizi arrivano dalle persone a te care, non è detto che siano giusti; loro non sono te.
Adesso prova a fregartene davvero- ma chissenefrega
Pensa al giudizio che ti ha fatto più soffrire. A distanza di tempo chiediti con obiettività: valeva la pena stare così male? Sono sicura che ti risponderai: no! E allora, ad alta voce ripeti “ma chi se ne frega, io ascolto me stessa”. Ora ti sembra difficile, ma fidati se ti alleni, vedrai la vita da un’altra prospettiva.
Per rendere meglio il concetto faccio un esempio. È un po’ come andare a correre: all’inizio, correre per 30 minuti ti sembra impossibile, ma dopo un pç di allenamento e costanza, ci riuscirai e solo perché ti sei allenata e sei stata costante. La stessa cosa succede con un sano “chissenefrega”: basta dirlo e poi ci si sentirà più libere.
Non devi scusarti con nessuno, non dimenticare mai che tu vali
Ti rimproveri e consideri gravi dei comportamenti che sono banali o delle particolarità che nessuno noterebbe? Così non fai altro che alimentare il tuo senso di colpa. Non devi chiedere l’autorizzazione per ciò che è nel tuo pieno diritto. Affermando ciò che sei e ciò che fai senza rimproverartelo, farai molto bene alla tua immagine.
In genere, chi è vittima delle critiche gratuite e cattive tende a essere molto dura con se stessa, intransigente e rigida. Allora ogni volta che sei tentata di autogiudicarti troppo severamente, fermati e ripetiti mentalmente “io valgo”. Questa breve frase servirà a convincerti che il tuo valore è sempre indipendente dai tuoi comportamenti. Quello che dovresti sempre tener presente è che non puoi piacere a tutti e non puoi soddisfare tutti. Premesso questo, dovresti già essere in pace con te stessa.
Allenarsi alla felicità
Nel nostro cranio custodiamo una formidabile macchina del buonumore. Il nostro cervello trabocca di energia, basta che impariamo a lavorare bene con lui e ad allenarlo per stare sempre meglio. Spesso pensiamo al nostro corpo come una “macchina” da allenare e tenere in esercizio. Ma non pensiamo nello stesso modo alla nostra mente e al nostro spirito. Invece possiamo agire anche là allo stesso modo, fare degli esercizi per… fortificarci. E’ l’unico modo per riuscire a superare le esperienze negative o per avere una piena consapevolezza di quello che sappiamo fare e quello che non sappiamo fare.
Le neuroscienze hanno dimostrato che, in qualche maniera, è il nostro cervello che si abitua a “difendersi” dalle delusioni e dalle disillusioni. È un’abitudine come un’altra e può essere cambiata. Così come le lamentele, l’ansia, i brutti pensieri e la tendenza alla depressione sono risposte “automatiche” che il nostro cervello dà alle situazioni quotidiane, la felicità dovrebbe diventare un’abitudine che può essere costruita.
Facile? Tutt’altro. Cambiare, reagire, provare a fare qualcosa è molto faticoso e richiede energie e costanza com’è per ogni esercizio fisico, ma in questo caso il premio è più grande di qualche muscolo in più: una vita più felice e serena.
Allenarsi alla flessibilità
Altra cosa importante è quella di non cadere nell’autosabotaggio e di non essere rigidi con se stessi: hai fatto una promessa che non hai potuto mantenere? Ti eri ripromessa di iniziare la dieta da oggi? Stai pensando che avresti potuto gestire meglio una conversazione? Tutto questo fa parte del passato, concentrati solo sul presente.
Qualunque cosa farai, sarai sempre criticata, perché ognuno ha diverse opinioni, regole, indicazioni su come affrontare la vita. E se vuoi migliorare la tua vita, non dovrai fare altro che fregartene del giudizio altrui, degli errori commessi, del passato….Solo così ti sentirai più sicura, vivrai in armonia con te stessa e raggiungerai dei risultati più gratificanti in qualsiasi settore….e allora non mancare agli allenamenti mentali: “E chissenefrega”
Vi saluto con una citazione di Bob Marley “Lo so, non sono perfetto. Ma chissenefrega! Nemmeno la luna è perfetta: è piena di crateri. E il mare? Nemmeno lui: è troppo salato. E il cielo? Sempre così infinito! Insomma, le cose più belle non sono perfette. Sono speciali“
Io spero che parlare del mio “ma chissenfrega” vi sia stato diispirazione.
Vi ricordo che se volete contattarmi potete farlo tramite la sezione “contatti” del sito
Perché ci sentiamo così e come superare questa nostra condizione.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul sentirsi inadeguati.
Quante volte, durante gli incontri con i ragazzi (ma anche con gli adulti), sento frasi del tipo
“mi sento sempre fuori posto”
“non chiedo spiegazioni scuola perché ho paura di disturbare e di essere presa in giro dai compagni”
“mi sento insicuro…ogni cosa faccio”
Ma perché ci sentiamo così? Da cosa dipende questo nostro stato d’animo paralizzante e come fare pr uscirne?
Senso di inadeguatezza: com’è manifestato
Come accennato poco fa, spesso siamo vittime di una trappola mentale che ci fa sentire inadeguati.
Alcuni di voi si staranno sicuramente chiedendo “come non sentirsi inadeguati al giorno d’oggi?”
Nella società odierna sembra che tutti amino correre per inseguire e intraprendere la strada della perfezione.
Oggi più che mai, infatti, per non restare un passo indietro è quasi necessario abbracciare degli ideali.
Insomma, per sentirsi all’altezza occorre viaggiare, comprare una casa magari lussuosa, andare in palestra e costruire una bella famiglia.
Chi non rispetta tutto questo, rimane fuori.
Ecco che può prendere vita quel senso di inadeguatezza che sembra quasi tenerci in trappola e quando parliamo di “trappola” non esageriamo: pensate che diversi psicologi definiscono l’inadeguatezza proprio come una trappola, affermando come sia dunque un modo fisso di pensare e sentire che può manifestarsi in vari modi.
Chi viene infatti investito da un senso di inadeguatezza può poter avere timore di sbagliare, a casa, a lavoro, con gli altri.
Cerca di piacere a chiunque e prova costantemente sentimenti di vergogna per i propri difetti.
Non solo: si sente sempre frustrato, poiché insicuro e con una bassa autostima.
Insomma quando parliamo di persone che si sentono inadeguate, parliamo di chi non crede nel proprio valore: per questo si ha bisogno costantemente delle conferme altrui.
Spesso per mascherare la propria insicurezza, questi soggetti cercano di mostrarsi forti e sicuri, ma questa, appunto, è solo una maschera che si indossa all’occorrenza.
A questo punto vi starete chiedendo cosa nasconda questo senso di inadeguatezza: perché mai qualcuno arriva a considerarsi inadeguato, insicuro e frustrato?
Cerchiamo di rispondere qui di seguito a questa domanda.
Senso di inadeguatezza: cosa nasconde?
Poco fa abbiamo visto che chi si sente inadeguato può arrivare a provare paura: paura di sbagliare, paura di mettersi in un certo senso in gioco.
Paura dei propri stessi difetti.
Perché ci si può sentire così inadeguati?
Spesso dietro l’inadeguatezza c’è la paura del giudizio degli altri.
Quando si ha paura di quello che gli altri possano pensare, succede questo: la stima e il valore che attribuiamo a noi stessi vacilla, a seconda del pensiero altrui.
In un certo senso più siamo insicuri, più abbiamo paura degli altri e del loro giudizio e maggiore è la probabilità che il proprio valore, o meglio il valore che attribuiamo a noi stessi dipenda da questi ultimi.
A questo punto una domanda sorge spontanea: come si può non avere paura del giudizio altrui se da questo sembra dipendere il nostro successo o insuccesso?
La paura del giudizio altrui: cosa c’è dietro?
Soffermiamoci su questo aspetto, ovvero sulla paura del giudizio altrui, dal momento che abbiamo visto essere collegata all’inadeguatezza.
Pensate per un momento all’istante preciso in cui dovete mettere in atto un comportamento: spesso vi frenate? Qualcosa che vi blocca?
Sapete cos’è quel qualcosa?
La paura di essere giudicati e di conseguenza la paura di provare un senso di inadeguatezza.
Non è raro che ci facciamo domande del tipo “ ma se faccio questa cosa, cosa penseranno di me”?
Domande che nascondono in un certo senso delle aspettative su quello che gli altri potrebbero pensare o immaginare. Perché?
Perchè abbiamo così paura di essere giudicati?
Semplice.
Perché vogliamo essere accettati. Non è forse questo un bisogno essenziale?
Chi di noi non vuole essere accettato da chi lo circonda?
Magari per il lavoro che si svolge o per l’aspetto fisico che si ha.
Ed è proprio la paura di non esserlo che spesso ci porta ad aver timore del giudizio altrui.
Quando vogliamo fare o dire qualcosa o stiamo quasi per farlo a volte preferiamo frenarci per paura di quello che gli altri possano dire.
Per paura di essere giudicati. Iniziano così ad affiorare nella nostra mente, pensieri quali: “Come dovrei comportarmi in questo momento?” “Che cosa penseranno di me?”, ovvero domande che nascono dalle aspettative che immaginiamo gli altri abbiano su di noi.
Questo perché, come abbiamo visto, non vogliamo essere giudicati, ma al contrario desideriamo solo essere accettati e amati da chi ci circonda.
E’ proprio la paura di essere rifiutati che ci porta a sentirci prigionieri.
Una paura questa legata dunque al desiderio di essere apprezzati.
Una paura che spesso non ci consente di esporci.
Facciamo un esempio forse banale, ma pratico e di facile comprensione: se abbiamo paura del giudizio altrui e ci sentiamo dunque inadeguati, difficilmente riusciremo a prendere un’iniziativa o a proporre un posto dove andare il sabato sera.
Difficilmente saremo liberi di dire la nostra, insomma: ecco perché si parla di trappola!
Giudicare: cosa intendiamo?– sentirsi inadeguati
Ma soffermiamoci per un momento al termine giudicare: cosa nasconde questa parola? Ha un unico significato?
Sicuramente no.
Noi tutti infatti valutiamo gli altri e ciò che ci circonda, in base alla nostra personalissima visione delle cose e del mondo, spesso in maniera giudicante.
Basti pensare a quando, per esempio, osserviamo qualcuno per competizione o per fare confronti ed esprimiamo un parere.
In quel caso stiamo in un certo senso avanzando un giudizio che, se ci pensiamo bene, non fa altro che mettere in risalto non tanto l’altro, ma noi stessi e la nostra voglia di competere.
Dunque in un certo senso spesso giudichiamo perché tendiamo a fare confronti.
E perché tendiamo a fare confronti?
Spesso lo facciamo per insicurezza e perchè no, per migliorarci, ma spesso tutto questo ci porta solo ad auto-criticarci.
L’inadeguatezza, con questi presupposti, non può che essere dietro l’angolo.
Paura del giudizio altrui: ha a che fare con il nostro passato?
Riguardo alla paura del giudizio altrui, non possiamo non approfondire la questione, cercando di darne una lettura più approfondita.
Poco fa abbiamo detto che spesso cerchiamo conferme altrui per credere di valere qualcosa.
Ma perché diamo agli altri tutto questo potere?
Perché mai il parere degli altri dovrebbe avere più valore del nostro?
Per rispondere a questo interrogativo ci viene in aiuto Bowlby, uno psicologo e psicoanalista britannico, che ha elaborato la teoria dell’attaccamento, con la quale ha messo in rilievo quelli che sono gli aspetti caratterizzanti il legame madre-bambino.
Lo psicologo in questione sostiene e sottolinea fortemente l’importanza del rapporto che instauriamo con le nostre figure di attaccamento, sin dai nostri primi momenti di vita.
A tal proposito infatti afferma come sia proprio questo rapporto a far interiorizzare al bambino una figura di sé come degna di essere amata o al contrario come un soggetto non amabile.
In un certo senso è anche dal modo in cui i nostri genitori ci accudiscono che dipende la nostra successiva capacità di credere in noi stessi e di conseguenza la paura del giudizio altrui e la conseguente sensazione di inadeguatezza.
Quanto detto ci fa capire quanto sia fondamentale per un bambino essere accettato, amato e curato e quanto questo possa influire sulla sua crescita psicologica e quindi sui suoi rapporti interpersonali.
Un bambino che non si è sentito amato abbastanza, da grande molto probabilmente tenderà ad essere iper-critico verso se stesso e verso gli altri.
Avrà costantemente timore di essere rifiutato o criticato.
Ma riflettiamo un momento su quest’ultima frase: avere paura di essere rifiutati non è forse una forma di allontanamento da chi siamo realmente?
Non è forse un conflitto che agiamo solo contro noi stessi?
Lasciar andare la paura del giudizio: perché è importante?
Liberarsi dalla paura del giudizio non solo è giusto, ma è anche necessario e il perché non è cosi difficile da capire.
Non possiamo sentirci sempre sotto pressione e prigionieri di quello che gli altri pensano o possono pensare.
Basti pensar a quei momenti in cui, per un qualsiasi motivo x, ci sentiamo inadeguati e di conseguenza ci innervosiamo e ci agitiamo.
Siamo davvero disposti a rinunciare a qualcosa per la paura del giudizio altrui?
Vogliamo davvero rinunciare a quel colloquio di lavoro?
Possiamo non discutere la nostra tesi in pubblico, solo perché ci sentiamo inadeguati?
Forse tutti noi dovremmo imparare a dare il giusto peso alle cose, alle persone, ma soprattutto a noi stessi, cercando di dare maggior importanza a quello che noi stessi pensiamo.
Ma come si fa?
Come possiamo riuscire a superare quel senso di inadeguatezza che spesso ci blocca e non ci fa fare quello che davvero desideriamo?
La trappola dell’inadeguatezza: come superarla
Fin’ora abbiamo cercato di capire cosa si nasconde il nostro sentirci sempre inadeguati: abbiamo visto come spesso è il timore del giudizio altrui a bloccarci e l’importanza che diamo agli altri.
Inoltre è stato messo in risalto il rapporto che sin da piccoli instauriamo con i nostri genitori, per spiegare come questo possa avere delle ripercussioni sulla nostra autostima e quindi sul nostro senso di inadeguatezza.
A questo punto non possiamo non chiederci cosa occorre fare per superare tutto questo.
Per rispondere a questo interrogativo, è necessario cercare innanzitutto di capire cos’è che ci fa sentire così dannatamente inadeguati.
Insomma è importante che ci soffermiamo sulle nostre emozioni: non mettiamole in secondo piano.
Cerchiamo di capirci di più, ponendo a noi stessi delle piccole domande.
Cos’è che mi turba così tanto?
E’ la paura del giudizio altrui? Sono le mie insicurezze?
Non ho molta fiducia in me?
Cercare di rispondere a queste domande è già il primo passo, sapete? II primo passo per conoscervi meglio e per migliorare, ma soprattutto il primo passo per andare nella direzione giusta.
Per fare tutto questo non potete, però, non lavorare sulla vostra autostima.
Lavorare sulla propria autostima
Nel corso dell’articolo abbiamo incontrato molte volte questo termine e forse è arrivato il momento di darne una definizione.
Partendo dal presupposto che di definizioni ve ne son diverse , qui ne presenteremo una in grado di cogliere il vero significato di autostima.
Cos’è l’autostima?
L’autostima, altro non è che l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso .
Battistelli, 1994
Ora avete capito perché è così importante annaffiare questo fiore speciale?
Più lavoreremo sulla nostra autostima, più possibilità avremo di prendere consapevolezza del nostro valore.
Insomma, la morale della favola è che non dovete cercare di convincere gli altri, ma voi stessi.
Sugli altri noi non abbiamo nessun potere, su di noi, si.
Dunque quando e se vi sentirete giudicati, evitate di cercare di camuffare quello che siete, nel tentativo di cambiare il giudizio altrui.
Non serve e inoltre è solo una perdita di tempo: impiegatelo per migliorare voi stessi e l’idea che avete di voi stessi.
Questo significa sicuramente mettersi in discussione: quanti ne sono davvero in grado?
Seppur possa sembrare difficile, è necessario farlo: spesso è proprio l’opinione che abbiamo di noi a crearci problemi.
Cosa occorre fare per cambiarla?
Praticate la tolleranza, ma verso voi stessi, soprattutto.
Come riuscirci?– sentirsi inadeguati
Provate per esempio a pensare a quello che avete vissuto, alle esperienze che avete fatto.
Qualcosa vi ha reso così insicuri? C’è stato un momento in cui avete perso fiducia in voi stessi?
Questo viaggio nel passato può poter essere davvero terapeutico.
Inoltre è importante che sappiate accettare i vostri difetti o i vostri insuccessi.
Non saranno certamente questi a definire chi siete.
Ridimensionate l’importanza che date a tutto questo, ma soprattutto iniziate ad amarvi davvero: fate un lavoro che non vi soddisfa?
Bene, impegnatevi affinchè possiate arrivare a fare quello che più vi piace.
Magari ci vorrà tempo e tanta forza di volontà, ma se ci tenete davvero ad un sogno, il primo passo è crederci.
Tutto questo non farà che confermarvi che siete delle persone capaci di raggiungere i vostri scopi e finirete per avere più fiducia nelle vostre capacità.
Insomma, la parola d’ordine è questa: OSARE! Spesso il segreto è tutto lì.
Sapete quanti ce l’hanno fatta, sol perché hanno deciso di osare?
In questo modo avrete l’opportunità di far emergere ciò che chiede solo di essere ascoltato e portato in superficie.
Insomma, il primo vero passo è puntare sulla propria autostima: il primo passo che vi consentirà di liberarvi dalla paura del giudizio altrui e dal vostro sensi di inadeguatezza.
Cos’altro occorre fare per superare la trappola dell’inadeguatezza?
Vediamo alcuni consigli qui di seguito.
Ulteriori consigli – sentirsi inadeguati
Vi capita di sentirvi giudicati? Rilassatevi.
Non siamo il centro dell’Universo, quindi non è detto che siamo sempre nei pensieri altrui.
Provate a pensarla in un altro modo: “e se stessimo proiettando sugli altri ciò che accade solo nella nostra mente”?
Magari ci sentiamo vittime di un giudizio e in realtà siamo noi i primi a farlo. Rifletteteci su.
Un altro consiglio che non può proprio mancare? Ricordate che quando qualcuno ci critica, sta definendo se stesso e il suo modo di rapportarsi agli altri.
Il vostro partner vi ha trattato male, perché voleva che vi comportaste in un certo modo, durante una cena di famiglia?
Bene, questo non significa necessariamente che siete stati inadeguati.
Molto probabilmente era lui ad essere particolarmente suscettibile in quella circostanza.
Insomma imparate a pensarla in questo modo: non tutto quello che ci viene detto è verità .
Smettiamola, quindi, di dare agli altri lo scettro del potere su chi siamo.
Ricordate
A tal proposito è bene ricordare un’altra cosa importante: spesso gli altri ci criticano non per quello che siamo, ma per quello che credono che noi siamo e la cosa è ben diversa.
Se pensiamo poi che una critica spesso e volentieri è agita su un singolo comportamento, una domanda non può che sorgere in modo spontaneo: perché dobbiamo mettere in discussione ciò che siamo?
Non è giusto né utile: quindi cerchiamo di ridimensionare il tutto.
E’ importante cercare di capire quando una critica è davvero costruttiva e quando no: se una critica può esser utile a noi per migliorare qualcosa, perché non prenderla al volo?
Non siamo mica tutti perfetti: prima lo capiremo e prima riusciremo ad accettare che possiamo sbagliare, ma anche recuperare.
Quando qualcuno ci giudica, pensiamo primariamente a chi ha mosso il giudizio, vero?
E noi, in tutto questo, dove siamo?
Insomma, invece che pensare “lui/lei mi ha giudicata”, provate a dire “mi sento giudicata”.
Cambiando modalità di pensiero, recupererete il vostro potere di scelta e soprattutto rimetterete al centro voi e non è mica una cosa di poco conto !
Seguite il vostro essere, le vostre sensazioni, le vostre emozioni: amatevi, coccolatevi, smettete di giudicarvi e annaffiate la cosa più importante che abbiamo.
La nostra autostima: solo così riuscirete a stare bene con voi stessi, senza sentirvi costantemente inadeguati o sotto giudizio.
Io spero che parlare del perché sentirsi inadeguati vi sia stato d’aiuto.
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