Fratelli narcisisti

Quali tratti presentano?

Ciao amici. Oggi parliamo di fratelli narcisisti:quali tratti presentano e cosa fare.

Errori

Spesso arriva un momento nella vita in cui diventiamo consapevoli di essere stati vittime di una famiglia disfunzionale in cui i genitori davano la priorità a un figlio rispetto agli altri. Le preferenze espresse dai genitori plasmano nel tempo la figura di quei fratelli narcisisti con cui si è quasi sempre in guerra.

Liti, condotte egoiste e abusive, pretese eccessive, rimproveri… Se avere un fratello è, in media, un dono della vita e un alleato costante anche a distanza, ci sono situazioni in cui questa formula viene meno. A volte cresciamo con una presenza chiaramente dannosa, plasmata deliberatamente da genitori con tratti altrettanto narcisisti.

Quasi senza sapere come, ci troviamo coinvolti in estenuanti dinamiche che segnano la nostra infanzia e persino la nostra vita adulta. Da un lato, vi è un padre o una madre che ripone tutte le attenzioni, le speranze e gli affetti solo su un figlio.

D’altra, bisogna fare i conti con un fratello tirannico, viziato, competitivo e talvolta anche aggressivo verbalmente o fisicamente. Sono realtà silenziose e molto complesse di cui vale la pena parlare.

Fratelli narcisisti, frutto di un’educazione selettiva

“Plasmare” un narcisista è più facile di quanto pensiamo. È sufficiente rafforzare l’egocentrismo del bambino e disattivarne l’empatia.

È sufficiente educare sulla base di una visione gonfiata e sproporzionata di sé, con messaggi quali: “sei il più bello, il più intelligente, la mamma ti ama più di ogni altra cosa al mondo, etc”.

I fratelli narcisisti sono il risultato di un’educazione ineguale e discriminatoria che li ha portati a costruire un’identità distorta. Questa identità è stata alimentata dall’interiorizzazione delle narrazioni dei genitori che ha permesso loro di presumere, sin dalla più tenera età, che loro e solo loro erano degni di ogni forma di amore e di attenzione.

A poco a poco si è eretta una personalità dannosa che negli anni si fa più pronunciata e dannosa.

Quali tratti e comportamenti mostrano?

Chi cresce con un fratello o una sorella narcisista conserva nella memoria molti ricordi d’infanzia non sempre piacevoli. Nel corso degli anni, il rapporto diventa più teso, dannoso e complesso.

Al punto che in età adulta è comune mantenere le distanze o acconsentire a incontri occasionali per mero impegno familiare. Vediamo ora alcuni tratti che definiscono i fratelli narcisisti:

  • Fin da piccoli avevano bisogno di attenzioni e riconoscimenti eccessivi.
  • Tengono conto solo delle proprie esigenze.
  • Già da bambini ricorrevano spesso a bugie e ricatti.
  • Hanno sempre mostrato un bisogno ossessivo di competere per quasi tutto.
  • Ci incolpano per qualsiasi disaccordo o problema familiare.
  • Amano mostrare i loro successi alla famiglia.
  • Proiettano sempre un chiaro antagonismo nei confronti dei fratelli.
  • Sono reattivi, polemici, non empatici e ascoltano a malapena.
  • Raramente mostrano interesse per la vita dei loro fratelli.
  • Quando ci difendiamo o li rimproveriamo per il suo atteggiamento, ci dicono di essere troppo sensibili.
  • Convincono i genitori a schierarsi sempre a loro favore.

I fratelli narcisisti a volte ci allontanano dalla famiglia

I fratelli narcisisti sono un pomo della discordia, l’elemento dirompente, l’innesco di qualsiasi discussione e quella figura che porta sempre con sé una battaglia che non vogliamo avviare.

Una situazione simile, come possiamo ben supporre, ha un costo. È comune allontanarsi dalla famiglia disfunzionale.

Se l’origine di tutto è l’atteggiamento dei genitori che hanno deliberatamente creato divisione e preferenze, è comune scegliere di evitare, per quanto possibile, il contatto. Quando l’amore della famiglia non è incondizionato, ogni interazione inasprisce la sofferenza.

Come trattare un fratello o una sorella con tratti narcisisti?

Avere uno o più fratelli narcisisti significa dover fare i conti con una gerarchia familiare nella quale ci troviamo alla base, mentre il figlio prediletto è al vertice.

Tuttavia, a volte, ci è impossibile prendere le distanze. In questi casi, è opportuno tenere conto di quanto segue:

  • Non aspettarsi niente da loro. Bisogna accettare la realtà, ovvero che i fratelli e i genitori  non ci apprezzano e non tengono conto dei nostri bisogni. Evitiamo quindi di dipendere da loro in qualsiasi aspetto, e smettiamo di sperare in un cambiamento miracoloso.
  • Stabilire precisi limiti. Se siamo costretti a mantenere i contatti con i fratelli narcisisti, chiariamo cosa possono aspettarsi da noi o meno. Non tutto è lecito ed è necessario chiarirlo il prima possibile.
  • Sanare le ferite passate. Siamo cresciuti in una famiglia disfunzionale che ha concentrato l’affetto solo su un figlio. Probabilmente abbiamo molti ricordi ed esperienze da affrontare. Non esitiamo, dunque, a chiedere l’aiuto di un esperto.

Ultimo, ma non meno importante, concentriamo sulle figure che ci offrono davvero affetto, approvazione e comprensione nella vita quotidiana. Quella e nessun’altra è la nostra vera famiglia; quella che abbiamo scelto e formato.

Vi ricordo che se avete bisogno di aiuto potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito

tramite la piattaforma huknow

o camtv col nome del canale “adolescenti istruzioni per l’uso”.

Alla prossima amici:)

Adolescenti difficili

Chi sono? come comportarsi? Cerchiamo di comprenderli

Buongiorno amici. Oggi occupiamoci di quelli che vengono definiti adolescenti difficili.

Chi sono

L’ottimista vede la rosa e non le spine;

il pessimista si fissa sulle spine, dimenticandosi della rosa. 

Khalil Gibran

“Una spina è una rigida protuberanza, appuntita e spesso lacerante, che fuoriesce dalla superficie di numerose piante.

È bene ricordare che sia le sottili e rigide punte aghiformi dei cactus che le sporgenze più o meno grosse, carnose e acuminate di alcuni arbusti, come le rose sono tutte spine.

La presenza di spine assume valore difensivo verso gli attacchi dei predatori, ma benché, in generale, queste siano solo un meccanismo di difesa passiva, in alcune specie possono essere vuote e contenere al loro interno sostanze tossiche, urticanti o nocive che possono causare all’aggressore una sofferenza più o meno durevole se non anche una paralisi.”

Le spine

Al di là della metafora, gli adolescenti e i giovani, definiti difficili, si presentano come tante spine pronte a pungere o per una costante difesa o per una voluta offesa verso gli altri.

Di fronte a tutto ciò che ci punge, ci fa del male, ci offende, ci disturba, mettiamo in atto delle strategie immediate di ripulsa, di difesa, di esclusione.

Ma così facendo rischiamo di perdere delle opportunità di relazione emancipante, di crescita reciproca, di gestione della conflittualità, di prospettive educative e innovative.

Per interagire con gli adolescenti “difficili” bisogna superare la barriera del dolore soggettivo e vedere al di là delle spine la rosa, il fusto pieno d’acqua, le funzionalità e i loro bisogni.

Se li ignori, continueranno a lasciarsi travolgere dai loro impulsi di distruggere/distruggersi; se li combatti scendi sul piano della guerra senza quartiere con il risultato di sfiancarti e di essere perdente. 

In qualsiasi modo perderai, o perché sarai sconfitto dallo loro “sfacciataggine” o perché non ti curerai del loro malessere.

Abbracciare ciascun giovane che si presenta con le spine, significa non farsi irretire o bloccare nei tentativi di relazioni significative.

Spesso questi adolescenti difficili si presentano con le spine per metterci alla prova, per saggiare la capacità di resistenza e di fiducia d’accordare, per difendersi da un dolore vissuto, per esprimere la rabbia di torti subiti, di frustrazioni o di illusioni svanite nel nulla.

Ogni educatore, come ogni genitore, deve saper superare il dolore ineluttabile della puntura della spina e lo può fare non con la freddezza di un guanto antidolore, ma con un abbraccio caldo e metaforico che annulli le asperità e le apparenti ruvidezze.

ADOLESCENTI DIFFICILI: I COMPORTAMENTI

I cactus li incontriamo nei ragazzi che mentono.

Lo fanno spudoratamente e assiduamente per salvaguardare la propria immagine, la propria autostima. Se fossero sicuri dell’accoglienza non valutativa, seppur correttiva, non avrebbero alcun motivo di mentire.

Ma essi si ritrovano e si ritagliano soltanto angoli e margini della famiglia, della scuola, del gruppo classe e si difendono con il nascondersi, il negarsi come persone, il barare.

Tra di essi ci sono quelli che mentono esibendo un sé grandioso; tentano di colpire la percezione altrui con aneddoti, storie, comportamenti da gradasso.

Lo possono fare maldestramente e vistosamente, a tal punto da essere compatiti, derisi e sopportati, oppure in maniera spaccona, bullesca, fino al punto da essere perseguitati, castigati, esclusi dalle relazioni.

 Dietro il sé grandioso si annida la paura di non poter essere stimato così come ci si percepisce;

rimane un tentativo di apparire, di sbalordire, come fa il bambino povero quando accentua il tintinnio dei pochi soldi in tasca.

Se tu ti scagli contro questi comportamenti da mentitore senza coglierne il significato recondito, rimani incastrato da queste spine e non cogli l’acqua del cactus.

Altri ragazzi mentono per nascondere parti del loro sé,.

Come uno spazio privato che non lo si vuole dischiudere a un altro, a un estraneo, a un giudicante.

Nessuno ha loro insegnato che le parti del sé, apparentemente più fragili, contribuiscono a costruire la simpatia che emaniamo dalla nostra persona.

Guai se fossimo perfetti! Saremmo antipatici e odiosi ai più.

Altri, ancora, mentono per abitudine, per stile acquisito; hanno strutturato un falso sé che li induce alla bugia in maniera automatica e impulsiva.

In questo modo, essi si preservano dall’imbarazzo dell’ammissione e dalla vergogna dei loro comportamenti; non provano senso di colpa per la bugia, ma la utilizzano come difesa, come scudo protettivo da eventuali e fantasiose reprimenda.

I cactus li incontriamo nei ragazzi che rubano.

 I bambini piccoli quando si appropriano di oggetti, giochi, cose che non gli appartengono lo fanno proprio per soddisfare il desiderio di possesso, per esprimere senso di invidia e gelosia nei riguardi di qualche compagno che possiede tutto ciò che loro bramano e non hanno.

È una fase evolutiva della crescita dove gradualmente s’impara a saper rinunciare, a non essere più onnipotente, a non ricevere gratificazioni immediate.

A saper posticipare il piacere, la soddisfazione, a saper condividere con gli altri i propri oggetti, a saper accettare di accontentarsi di quello che si ha senza volere a tutti costi possedere la qualsiasi.

È il passaggio dalla fase egocentrica a quella allocentrica, relazionale; è la fase dell’accettazione della realtà che mi circonda, rispetto al senso di onnipotenza con la quale avevo convissuto fino adesso.

Per cui il rubare del bambino non ha lo stesso significato di quello di un adulto; è come se il piccolo si attardasse in questo meraviglioso mondo in cui aveva vissuto ed ora è costretto, suo malgrado, ad abbandonare per un altro dove ci sono dei limiti, delle condivisioni, delle rinunce.

Il rubare degli adolescenti difficili ha un altro significato, più variegato e complesso.

In alcuni può significare la difficoltà che si sperimenta a crescere e doversi basare esclusivamente sulle proprie forze, capacità ; l’appropriazione indebita di oggetti non propri li fa sentire ancora onnipotenti, rispetto a tutto ciò che non riescono a conquistarsi con il proprio sforzo, le proprie attitudini, la propria intelligenza.

Così rubano motorini che non possono comprare, copiano il compito che non riescono a svolgere, si appropriano della bici più in voga che non si possono permettere.

L’oggetto riempie un’assenza di capacità e rimanda indietro la fatica del “doverseli conquistare” con i propri sforzi.

Perché rubano?

Per altri assume un significato simbolico di potenza, destrezza, forza, capacità.

Ci si reputa “bravi e furbi” perché ce se n’è appropriato. L’oggetto rubato diventa, quindi, un trofeo di guerra da esibire e mostrare con orgoglio al gruppo dei pari o alla banda d’appartenenza.

In questo modo si manifesta, anche, un’identità di genere: per i maschi la forza, la nascente virilità e la destrezza del rubare;

per le ragazze il mostrare la propria femminilità con i vestiti, collane e vari oggetti alla moda, anch’essi sottratti agli altri.

Le vittime predilette dell’atto del rubare sono i figli di papà, gli “sfigati”, i ricchi, i secchioni. Sono quei compagni distanti da loro anni luce per impegno, rispetto delle regole, buona educazione.

È come se si volessero vendicare di non poter o voler essere come loro, che sono apprezzati e stimati nel contesto scolastico o sociale dove vivono.

Altri rubano per “partito preso” per “andare contro” qualcuno, contro chi comanda, contro l’adulto che vuole dominare.

L’importante è che, rubando, si cerca la sfida con la legge, con i rappresentanti di essa. In questa sfida c’è la gioia sadica di “farla franca”, di vedere sconfitti tutti quelli che loro non apprezzano e combattono, perché esigenti e diversi.

Questi adolescenti difficili sono figli e schiavi di questa madre società del benessere che se da una parte abbaglia con i sogni del piacere e delle soddisfazioni, dall’altra non ti permette di avere gli strumenti per acquistarli o per prenderne le distanze in maniera matura.

Capire le dinamiche psicologiche che spingono gli adolescenti a rubare, permette all’adulto di intervenire per placare il senso di disfatta che riempie la loro esistenza e per addolcire le loro relazioni interpersonali. 

I cactus li incontriamo negli adolescenti difficili che aggrediscono sistematicamente gli altri.

Sono come dei cerberi, protesi ad abbaiare e dilaniare tutto ciò che incontrano e toccano. Il bullo, l’aggressore sistematico tenta di presentarsi da “spaventoso” per non far emergere lo “spaventato” che è.

È una maniera di affermare, con la forza fisica, la propria personalità.

Solamente che questa forza fisica la utilizza contro i più deboli, gli inermi, i pavidi e non con altri di pari età, forza, aggressività.

L’educatore che riesce a far emergere tale senso di inadeguatezza e fragilità psichica, ha la possibilità di recuperare il bullo di turno e porre fine alle varie aggressioni.

I ragazzi bulli sono dei frustrati

 sul piano scolastico e tentano di conquistare l’ammirazione con la forza fisica o con i continui pestaggi verso i più deboli.

Le bravate di questi adolescenti difficili servono per scacciare il senso di inadeguatezza in ambito scolastico e recuperare l’immagine di loro stessi.

Ricevendo applausi, sorrisi, connivenze tacite dal pubblico degli astanti, si fregia di una considerazione che riesce a riempire quella poco positiva di studente.

Ogni aggressione realizzata in contesti diversi, fa emergere dei significati che altrimenti verrebbero considerati solamente come comportamenti disturbanti o disturbo da condotta.

Bullismo

Ma il bullismo o le varie aggressioni nel contesto scolastico, denotano che c’è un mancato riconoscimento come ragazzo-studente da parte degli insegnanti, dei compagni e non ultimo da se stesso.

Egli si sente un “pesce fuor d’acqua” e fa di tutto per farsi notare e per debellare il senso di noia e inutilità della sua presenza.

A casa potrebbe attuare le sue forme di aggressioni come per non subire i contraccolpi di disarmonie e separazioni dei propri genitori e lenire il suo dolore.

Attira l’attenzione su di sé, pur di non subire la pesantezza della solitudine del disastro affettivo dei propri genitori.

Con i pari età potrebbe essere sollecitato e sfidato a far emergere ampollosamente la propria identità virile, pena la disistima e l’incapacità a farsi valere in altre modalità e capacità al di fuori della mera brutale forza fisica.

Forza apparente

Quando un ragazzo crede di avere un solo modo per essere stimato all’interno del gruppo dei pari, degli amici, del contesto abitativo, quello di far valere la propria aggressività e forza fisica come virilità, rischia di costruire un fantoccio di uomo inconsapevole dell’emotività, della propria dolcezza e sensibilità.

Quando le aggressioni e i pestaggi avvengono contro i barboni, le persone diversamente abili, gli stranieri, allora emerge il meccanismo psicologico della proiezione.

Si scaricano su queste persone deboli, periferiche, portatrici di qualche difficoltà, le proprie paure, i propri fallimenti, i propri fantasmi.

Le tematiche persecutorie interne alla propria vita si proiettano fuori;

gli aspetti di sé temuti o disprezzati si scaricano nelle figure dei più deboli, nelle minoranze come forma di non appropriazione di queste parti che ineluttabilmente farebbero soffrire.

Gli adolescenti difficili che si divertono a far del male a tali persone, che deridono quelli in difficoltà, che bruciano il clochard di turno che dorme in una panchina del giardino cittadino, fanno emergere il senso di desolazione e di vuoto che li accompagna nella vita.

Sono ragazzi che hanno di bisogno di fermarsi per riflettere e prendere in mano la loro esistenza, per dare un senso ai loro giorni sempre uguali, risanando ferite e riscoprendo il caldo abbraccio di persone che li vogliono bene.

I cactus li incontriamo nei ragazzi che distruggono tutto ciò che appartiene al pubblico, agli altri e non a loro.

Sono gli adolescenti difficili che camminano e rompono i vetri dei negozi, strisciano le macchine posteggiate, tirano pietre ai lampioni della città, calpestano i fiori delle aiole che adornano le strade.

Lo fanno per noia, per il gusto sadico del distruggere senza alcun motivo o causa scatenante. Essi desiderano lasciare una traccia, un segno del loro passaggio, del loro esserci.

Vogliono lanciare il messaggio che la loro presenza non è evanescente, ma concreta, precisa e vistosa.

Nell’attuare tali comportamenti devianti, essi non hanno la consapevolezza del danno arrecato, delle conseguenze legali a cui vanno incontro; lo fanno per trascuratezza, per esprimere il non senso della loro vita.

Se sporcano i sedili del treno lo fanno con disinvoltura; se danneggiano un edificio lo fanno perché non appartengono a nessuno, come loro non appartengono a questa società.

Se sono ripresi perché urinano per strada davanti alla gente, si arrabbiano maldestramente mandando a quel paese l’incauto passante che si era permesso di far loro notare il comportamento ineducato.

In questo modo gli adolescenti difficili salgono agli onori della cronaca e ottengono quella visibilità che altrimenti non avrebbero per comportamenti consoni alla norma.

Mentre da una parte c’è una vena esibizionistica o aggressiva contro le “cose degli altri”, dall’altra fanno emergere delle motivazioni psicodinamiche che ci permettono di intravedere vuoti e bisogni affettivi non soddisfatti.

Motivazioni

Essi si sentono periferici, di non appartenere al nucleo dove vivono e trascorrono le giornate, di non avere la consapevolezza del loro valore perché trascurati o abbandonati al loro destino.

In queste condizioni di deprivazione affettiva e senso di appartenenza, l’adolescente grida la sua esclusione con la distruzione di tutto ciò che incontra e che maneggia.

E quei pochi momenti di affettività li immortala sui muri scrivendo il proprio amore o che si è innamorati.

Che bisogno ha di farlo sapere a tutti, quando gli altri pari età lo nascondono per paura o per timidezza?

È un’uscita impulsiva e diversa dagli usuali comportamenti distruttivi e induce alla tenerezza per questo ulteriore grido di bisogno di normalità e affettività.

Dietro ogni comportamento disturbante degli adolescenti difficili si trova sempre un vuoto e un bisogno affettivo. Se tali ineludibili esigenze venissero riconosciute e soddisfatte non ci sarebbero ragazzi dediti alla devianza o alla delinquenza.

vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto , potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito

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Alla prossima amici:)

Ascoltare..

vuol dir esserci

Ciao amici. Oggi riflettiamo sull’importanza dell’ascoltare, dell’ascolto attivo per i ragazzi.

Voglio giusto lasciarvi questo pensiero come riflessione.

E quanta veritàc’è in queste parole amici.

Ascoltare

Molto spesso parlo di ascolto attivo. E, altrettante volte, mi viene detto “ma io ascolto mio figlio”. Forse, ma non attivamente. Che cosa vuol dire?

Si ascolta attivamente una persona che ci sta parlando quando prestiamo attenzione alle sue parole, quando comunichiamo con lei pur non dicendo nulla ma parla il nostro sguardo. Quando ci accorgiamo del suo stat d’animo mentre parliamo.

Errori

“ma certo che ascolto”…mmm…ragioniamo al contrario. Vi è mai capitato, parlando, confidandovi con qualcuno, un amico, un parente, marito, fidanzato, genitore, di parlare e, ad un certo punto, di accorgervi che l’altra persona è distratta?

E come vi siete sentiti? Malissimo.

Vi sentiti non considerati, sentite l’indifferenza della persona che dovrebbe dialogare con noi e cosa fate? Ovviamente, smettete di parlare e , dentro la vostra mente, balza l’idea di non confidare mai più nulla a quella persona perchè tanto non mi ascolta.

Ora, pensiamo in questa situazione un adolescente. E già dovreste essere felici che un ragazzo a quall’età viene da voi pe confidarsi.

Adolescenti

Che cosà farà secondo voi?

Cercherà ascolto in altre persone, in altri luoghi e, spesse volte, è proprio da lì che cominciano i problemi.

E allora non fate che ciò accada.

Se vostro figlio vien da voi per parlarvi di qualsiasi cosa sia importante er lui, non sminuitela.

Lasciate quello che state facendo e mostratevi realmente attenti, interessati.

Perché per loro, in particolar modo, ma per tutti, ascoltare significa esserci, essere visti, considerati e riconosciuti. Semplicemente importanti e amati.

Io vi ricordo che se avete bisogno di me potete contattarmi alla sezione “contatti e consulenze” del sito

Ascoltare è la prima forma di comunicazione.

Alla prossima amici.

Sentirsi inadeguati

5 consigli utli per non sentirsi inadeguati da seguire

Perché ci sentiamo così e come superare questa nostra condizione.

Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul sentirsi inadeguati.

Quante volte, durante gli incontri con i ragazzi (ma anche con gli adulti), sento frasi del tipo

“mi sento sempre fuori posto”

“non chiedo spiegazioni scuola perché ho paura di disturbare e di essere presa in giro dai compagni”

“mi sento insicuro…ogni cosa faccio”

Ma perché ci sentiamo così? Da cosa dipende questo nostro stato d’animo paralizzante e come fare pr uscirne?

Senso di inadeguatezza: com’è manifestato

Come accennato poco fa, spesso siamo vittime di una trappola mentale che ci fa sentire inadeguati.

Alcuni di voi si staranno sicuramente chiedendo “come non sentirsi inadeguati al giorno d’oggi?”

Nella società odierna sembra che tutti amino correre per inseguire e intraprendere la strada della perfezione.

Oggi più che mai, infatti,  per non restare un passo indietro è quasi necessario abbracciare degli ideali.

Insomma, per sentirsi all’altezza occorre viaggiare, comprare una casa magari lussuosa, andare in palestra e costruire una bella famiglia.

Chi non rispetta tutto questo, rimane fuori.

Ecco che può prendere vita quel senso di inadeguatezza che sembra quasi tenerci in trappola e quando parliamo di “trappola” non esageriamo: pensate che diversi psicologi definiscono l’inadeguatezza proprio come una trappola, affermando come sia dunque un modo fisso di pensare e sentire che può manifestarsi in vari modi.

Chi viene infatti investito da un senso di inadeguatezza può poter avere timore di sbagliare, a casa, a lavoro, con gli altri.

Cerca di piacere a chiunque e prova costantemente sentimenti di vergogna per i propri difetti.

Non solo: si sente sempre frustrato, poiché insicuro e con una bassa autostima. 

Insomma quando parliamo di persone che si sentono inadeguate, parliamo di chi non crede nel proprio valore: per questo si ha bisogno costantemente delle conferme altrui.

Spesso per mascherare la propria insicurezza, questi soggetti cercano di mostrarsi forti e sicuri, ma questa, appunto, è solo una maschera che si indossa all’occorrenza.

A questo punto vi starete chiedendo cosa nasconda questo senso di inadeguatezza: perché mai qualcuno arriva a considerarsi inadeguato, insicuro e frustrato?

Cerchiamo di rispondere qui di seguito a questa domanda.

Senso di inadeguatezza: cosa nasconde?

Poco fa abbiamo visto che chi si sente inadeguato può arrivare a provare paura: paura di sbagliare, paura di mettersi in un certo senso in gioco.

Paura dei propri stessi difetti.

Perché ci si può sentire così inadeguati?

Spesso dietro l’inadeguatezza c’è la paura del giudizio degli altri.

Quando  si  ha paura  di quello che  gli altri possano pensare, succede questo: la stima e il valore che attribuiamo a noi stessi vacilla, a seconda del pensiero altrui.

In un certo senso più siamo insicuri, più abbiamo paura degli altri  e del loro giudizio e maggiore è la probabilità che il proprio valore, o meglio il valore che attribuiamo a noi stessi dipenda da questi ultimi.

A questo punto una domanda sorge spontanea: come si può non avere paura del giudizio altrui se da questo sembra dipendere il nostro successo o insuccesso?

La paura del giudizio altrui: cosa c’è dietro?

Soffermiamoci su questo aspetto, ovvero sulla paura del giudizio altrui, dal momento che abbiamo visto essere collegata all’inadeguatezza. 

Pensate per un momento all’istante preciso in cui dovete mettere in atto un comportamento:  spesso vi frenate? Qualcosa che vi blocca? 

Sapete cos’è quel qualcosa? 

La paura di essere giudicati e di conseguenza la paura di provare un senso di inadeguatezza.

Non è raro che ci facciamo domande del tipo “ ma se faccio questa cosa, cosa penseranno di me”?

Domande che nascondono in un certo senso delle aspettative su quello che gli altri potrebbero pensare o immaginare. Perché? 

Perchè abbiamo così paura di essere giudicati? 

Semplice.

Perché vogliamo essere accettati. Non è forse questo un bisogno essenziale?

Chi di noi non vuole essere accettato da chi lo circonda?

Magari per il lavoro che si svolge o per l’aspetto fisico che si ha.

Ed è proprio la paura di non esserlo che spesso ci porta ad aver timore del giudizio altrui.

Quando vogliamo fare o dire qualcosa o stiamo quasi per farlo a volte preferiamo frenarci per paura di quello che gli altri possano dire.

Per paura di essere giudicati. Iniziano così ad affiorare nella nostra mente, pensieri quali: “Come dovrei comportarmi in questo momento?” “Che cosa penseranno di me?”, ovvero domande che nascono dalle aspettative che immaginiamo gli altri abbiano su di noi.

Questo perché, come abbiamo visto, non vogliamo essere giudicati, ma al contrario desideriamo solo essere accettati e amati da chi ci circonda.

E’ proprio la paura di essere rifiutati che ci porta a sentirci prigionieri.

Una paura questa legata dunque al desiderio di essere apprezzati.

Una paura che spesso non ci consente di esporci.

Facciamo un esempio forse banale, ma pratico e di facile comprensione: se abbiamo paura del giudizio altrui e ci sentiamo dunque inadeguati, difficilmente riusciremo a prendere un’iniziativa o a proporre un posto dove andare il sabato sera.

Difficilmente saremo liberi di dire la nostra, insomma: ecco perché si parla di trappola!

Giudicare: cosa intendiamo?– sentirsi inadeguati

Ma soffermiamoci per un momento al termine giudicare: cosa nasconde questa parola? Ha un unico significato?

Sicuramente no. 

Noi tutti infatti valutiamo gli altri e ciò che ci circonda, in base alla nostra personalissima visione delle cose e del mondo, spesso in maniera giudicante.

Basti pensare a quando, per esempio, osserviamo qualcuno per competizione o per fare confronti ed esprimiamo un parere.

In quel caso stiamo in un certo senso avanzando un giudizio che, se ci pensiamo bene,  non fa altro che mettere in risalto non tanto l’altro, ma noi stessi e la nostra voglia di competere.

Dunque in un certo senso spesso  giudichiamo perché tendiamo a fare confronti.

E perché tendiamo a fare confronti? 

Spesso lo facciamo per insicurezza e perchè no, per migliorarci, ma spesso tutto questo ci porta solo ad auto-criticarci.

L’inadeguatezza, con questi presupposti, non può che essere dietro l’angolo.

Paura del giudizio altrui: ha a che fare con il nostro passato?

Riguardo alla paura del giudizio altrui, non possiamo non approfondire la questione, cercando di darne una lettura più approfondita.

Poco fa abbiamo detto che spesso cerchiamo conferme altrui per credere di valere qualcosa.

Ma perché diamo agli altri tutto questo potere?

Perché mai il parere degli altri dovrebbe avere più valore del nostro?

Per rispondere a questo interrogativo ci viene in aiuto Bowlby, uno psicologo e  psicoanalista britannico, che ha elaborato la teoria dell’attaccamento, con la quale ha messo in rilievo quelli che sono gli aspetti caratterizzanti il legame madre-bambino.

Lo psicologo in questione sostiene e sottolinea fortemente l’importanza del rapporto che instauriamo con le nostre figure di attaccamento, sin dai nostri primi momenti di vita.

A tal proposito infatti afferma come sia proprio questo rapporto a far interiorizzare al bambino una figura di sé come degna di essere amata o al contrario come un soggetto non amabile.

In un certo senso  è anche dal modo in cui i nostri genitori ci accudiscono che dipende la nostra successiva capacità di credere in noi stessi e  di conseguenza  la paura del giudizio altrui e la conseguente sensazione di inadeguatezza.

Quanto detto ci fa capire quanto sia fondamentale per un bambino essere accettato, amato e curato e quanto questo possa influire sulla sua crescita psicologica e quindi sui suoi rapporti interpersonali.

Un bambino che non si è sentito amato abbastanza, da grande molto probabilmente tenderà ad essere iper-critico verso se stesso e verso gli altri.

Avrà costantemente timore di essere rifiutato o criticato.

Ma riflettiamo un momento su quest’ultima frase: avere paura di essere rifiutati non è forse una forma di allontanamento da chi siamo realmente?

Non è forse un conflitto che agiamo solo contro noi stessi?

Lasciar andare la paura del giudizio: perché è importante?

Liberarsi dalla paura del giudizio non solo è giusto, ma è anche necessario e il perché non è cosi difficile da capire.

Non possiamo sentirci sempre sotto pressione e prigionieri di quello che gli altri pensano o possono pensare.

Basti pensar a quei momenti in cui, per un qualsiasi motivo x, ci sentiamo inadeguati e di conseguenza ci innervosiamo e ci agitiamo.

Siamo davvero disposti a rinunciare a qualcosa per la paura del giudizio altrui? 

Vogliamo davvero rinunciare a quel colloquio di lavoro? 

Possiamo non discutere la nostra tesi in pubblico, solo perché ci sentiamo inadeguati?

Forse tutti noi dovremmo imparare a dare il giusto peso alle cose, alle persone, ma soprattutto a noi stessi, cercando di dare maggior importanza a quello che noi stessi pensiamo.

Ma come si fa?

Come possiamo riuscire a superare quel senso di inadeguatezza che spesso ci blocca e non ci fa fare quello che davvero desideriamo?

La trappola dell’inadeguatezza: come superarla

Fin’ora abbiamo cercato di capire cosa si nasconde il nostro sentirci sempre inadeguati: abbiamo visto come spesso è il timore del giudizio altrui a bloccarci e l’importanza che diamo agli altri.

Inoltre è stato messo in risalto il rapporto che sin da piccoli instauriamo con i nostri genitori,  per spiegare come questo possa avere delle ripercussioni sulla nostra autostima e quindi sul nostro senso di inadeguatezza.

A questo punto non possiamo non chiederci cosa occorre fare per superare tutto questo.

Per rispondere a questo interrogativo, è necessario cercare innanzitutto di capire cos’è che ci fa sentire così dannatamente inadeguati.

Insomma è importante che ci soffermiamo sulle nostre emozioni: non mettiamole in secondo piano.

Cerchiamo di capirci di più, ponendo a noi stessi delle piccole domande.

Cos’è che mi turba così tanto?

E’ la paura del giudizio altrui? Sono le mie insicurezze?

Non ho molta fiducia in me?  

Cercare di rispondere a queste domande è già il primo passo, sapete? II primo passo per conoscervi meglio e per migliorare, ma soprattutto il primo passo per andare nella direzione giusta.

Per fare tutto questo non potete, però,  non lavorare sulla vostra autostima.

Lavorare sulla propria autostima

Nel corso dell’articolo abbiamo incontrato molte volte questo termine e forse è arrivato il momento di darne una definizione.

Partendo dal presupposto che di definizioni ve ne son diverse , qui ne presenteremo una in grado di cogliere il vero significato di autostima.

Cos’è l’autostima?

L’autostima, altro non è che l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso .

Battistelli, 1994

Ora avete capito perché è così importante annaffiare questo fiore speciale? 

Più lavoreremo sulla nostra autostima, più possibilità avremo di prendere consapevolezza del nostro valore. 

Insomma, la morale della favola è che non dovete cercare di convincere gli altri, ma voi stessi.

Sugli altri noi non abbiamo nessun potere, su di noi, si.

Dunque quando e se vi sentirete giudicati, evitate di cercare di camuffare quello che siete,  nel tentativo di cambiare il giudizio altrui.

Non serve e inoltre è solo una perdita di tempo: impiegatelo per migliorare voi stessi e l’idea che avete di voi stessi.

Questo significa sicuramente mettersi in discussione: quanti ne sono davvero in grado?

Seppur possa sembrare difficile, è necessario farlo: spesso è proprio l’opinione che abbiamo di noi a crearci problemi.

Cosa occorre fare per cambiarla?

Praticate la tolleranza, ma verso voi stessi, soprattutto.

Come riuscirci?– sentirsi inadeguati

Provate per esempio a pensare a quello che avete vissuto, alle esperienze che avete fatto.

Qualcosa vi ha reso così insicuri? C’è stato un momento in cui avete perso fiducia in voi stessi?

Questo viaggio nel passato può poter essere davvero terapeutico.

Inoltre è importante che sappiate accettare i vostri difetti o i vostri insuccessi.

Non saranno certamente questi a definire chi siete.

Ridimensionate l’importanza che date a tutto questo, ma soprattutto iniziate ad amarvi davvero: fate un lavoro che non vi soddisfa?

Bene, impegnatevi affinchè possiate arrivare a fare quello che più vi piace.

Magari ci vorrà tempo e tanta forza di volontà, ma se ci tenete davvero ad un sogno, il primo passo è crederci. 

Tutto questo non farà che confermarvi che siete delle persone capaci di raggiungere i vostri scopi e finirete per avere più fiducia nelle vostre capacità.

Insomma, la parola d’ordine è questa: OSARE! Spesso il segreto è tutto lì.

Sapete quanti ce l’hanno fatta, sol perché hanno deciso di osare?

In questo modo avrete l’opportunità di far emergere ciò che chiede solo di essere ascoltato e portato in superficie.

Insomma, il primo vero passo è puntare sulla propria autostima: il primo passo che vi consentirà di liberarvi dalla paura del giudizio altrui e  dal vostro sensi di inadeguatezza.

Cos’altro occorre fare per superare la trappola dell’inadeguatezza

Vediamo alcuni consigli qui di seguito.

Ulteriori consigli – sentirsi inadeguati

Vi capita di sentirvi giudicati? Rilassatevi. 

Non siamo il centro dell’Universo, quindi non è detto che siamo sempre nei pensieri altrui.

Provate a pensarla in un altro modo: “e se stessimo proiettando  sugli altri ciò    che accade solo nella nostra mente”?

Magari ci sentiamo vittime di un giudizio e in realtà siamo noi i primi a farlo. Rifletteteci su.

Un altro consiglio che non può proprio mancare? Ricordate che quando qualcuno ci critica, sta definendo se stesso e il suo modo di rapportarsi agli altri.

Il vostro partner vi ha trattato male, perché voleva che vi comportaste in un certo modo, durante una cena di famiglia?

Bene, questo non significa necessariamente che siete stati inadeguati.

Molto probabilmente era lui ad essere particolarmente suscettibile in quella circostanza.

Insomma imparate a pensarla in questo modo: non tutto quello che ci viene detto è verità .

Smettiamola, quindi, di dare agli altri lo scettro del potere su chi siamo.

Ricordate

A tal proposito è bene ricordare un’altra cosa importante: spesso gli altri ci criticano non per quello che siamo, ma per quello che credono che noi siamo e la cosa è ben diversa. 

Se pensiamo poi che una critica spesso e volentieri è agita su un singolo   comportamento, una domanda non può che sorgere in modo spontaneo: perché dobbiamo mettere in discussione ciò che siamo?

Non è giusto né utile: quindi cerchiamo di ridimensionare il tutto.

E’ importante cercare di capire quando una critica è davvero costruttiva e quando no: se una critica può esser utile a noi per migliorare qualcosa, perché non prenderla al volo?

Non siamo mica tutti perfetti: prima lo capiremo e prima riusciremo ad accettare che possiamo sbagliare, ma anche recuperare.

Quando qualcuno ci giudica, pensiamo primariamente a chi ha mosso il giudizio, vero? 

E noi, in tutto questo, dove siamo? 

Insomma, invece che pensare “lui/lei mi ha giudicata”, provate a dire “mi sento giudicata”. 

Cambiando modalità di pensiero, recupererete il vostro potere di scelta e soprattutto rimetterete al centro voi e non è mica una cosa di poco conto !

Seguite il vostro essere, le vostre sensazioni, le vostre emozioni: amatevi, coccolatevi, smettete di giudicarvi e annaffiate la cosa più importante che abbiamo.

La nostra autostima: solo così riuscirete a stare bene con voi stessi, senza sentirvi costantemente inadeguati o sotto giudizio.

Io spero che parlare del perché sentirsi inadeguati vi sia stato d’aiuto.

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