Buongiorno amici. Oggi voglio fare una riflessione su l’esempio che danno i bambini.
Esempio
Oggi voglio fare una piccola riflessione con voi. Sull’esempio che seguiamo da che siamo bambini fino all’età adulta.
Nasciamo e veniamo a contatto solo col nostro nucleo famigliare: mamma e papà e, a volte, fratelli. Ma l’esempio che ci dicono di seguire è quello dei genitori.
Ed è qui che questi devono cominciare a dare esempio del ruolo importantissimo che hanno. Il buon esempio, sì.
Perché , come dico sempre io, a quell’età i bimbi sono come delle spugne.
Non hanno ancora una facoltà cognitiva molto sviluppata, sono nati da poco tempo. E, più che le parole, seguono ciò che i genitori dicono e fanno. Sono il loro esempio, i loro eroi.
Se i genitori parlano urlando a casa questo modo di comunicare verrà trasportato, una volta più grandicelli, al di fuori delle mura domestiche. Se, da adolescenti, mamma vi dice di non fumare perché fa male alla salute ma lei stessa lo fa, nel cervello del ragazzo c’è una domanda:” ma allora è lecito. Lo faccio anch’io”.
Nonni
Un altra bellissima figura della famiglia sono i nonni. Ci dicono sempre che i nonni sono l’emblema della saggezza.
E quanto ci piaceva sentir raccontare di quando nonna era giovane o degli episodi della sua epoca, di come viveva. A volte quei racconti erano quasi meglio delle favole.
La mia canticchiava spesso e le insegnava a me. E id etti popolari? Quanta saggezza davvero in quelle frasi che non capivamo ma che, nel profondo, nascondevano dei veri insegnamenti che, poi, ci portiamo avanti per tutta la vita.
E i bambini?
Ma quindi i bimbi, devono solo imparare e tacere?
E no. Ci dicono , e diamo per scontato che sia l’unico modo per crescere bene, che solo gli adulti possono insegnarci qualcosa. Ma chi l’ha detto?
Sono sempre stata, e sempre lo sarò, convinta che chiunque può insegnarci qualcosa, anche un bambino.
Nella sua gentilezza, ingenuità. nei suoi occhi pieni di meraviglia nello scoprire il mondo.
Nella non malizia nel rapportarsi con gli altri e nell’assenza di giudizio e pregiudizio, a meno che non abbia seguito un esempio sbagliato in casa.
No presunzione
Troppe volte vedo, nelle famiglie con ragazzi adolescenti, i genitori, o almeno uno di oro, che si sentono i detentori della verità assoluta. Io sono il migliore nel dire , fare, in tutto e, per questo, devi prendere e esempio da me.
A volte pressano i ragazzi di troppe aspettative facendo crescere, così, delle persone frustrate che hanno paura di deludere gli adulti.
Quegli adulti che dovrebbero supportarli e aiutarli ad avere fiducia in se stessi e a valorizzarli.
Ebbene sì, anche voi non siete mai arrivati.
Ricordatevi che nella vita c’è sempre da imparare, da tutto e tutti, indipendentemente da sesso ed età.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sulla frase “non è l’amore di un alto che ti guarisce ma è l’amore che tu dai a te stesso”.
“Non produce alcun frutto, a lungo andare, nei rapporti personali, comportarsi come se si fosse diversi da come si è.”
Lo affermava il caro Carl Rogers! Eppure, tanta gente non riesce ad essere serena e ad accettarsi per quel che è: perché accade questo? Questa mancata accettazione pone le sue radici nell’inconscio che farebbe costruire dentro di se una sorta di “elaborazione distorta intrusiva” del tipo: “se io sono perfetto/a, nessuno avrà alcunché da criticare di me: così non sarò rifiutato/a ne criticato/a, e quindi sarò accettato/a”.
Criticare
Ogni volta che qualcuno ci critica o ci fa sentire inadeguati, perdiamo una piccola dose di quell’amore che avevamo per noi stessi.
Impariamo che, se vogliamo essere accettati dagli altri, dobbiamo corrispondere a determinati standard e se non lo facciamo, gli altri ci faranno notare che siamo fuori dalla loro cerchia.
A questo punto smettiamo di amarci incondizionatamente e iniziamo a condizionare la relazione con il nostro “io” ai nostri successi e fallimenti.
Le persone combattono se stesse in diversi modi
Criticando il proprio fisico, trovandosi mille difetti e aspirando ad un ideale irraggiungibile, trovandosi sempre e per sempre insoddisfatte. Oppure si combatte una lotta con il proprio modo di essere, con il proprio carattere, dimenticando che ogni caratteristica ha il suo positivo ed il suo negativo.
Quella che chiamiamo testardaggine potrebbe essere in alcune situazioni la stessa caratteristica che ci porta ad essere determinati. Altre persone si combattono mescolandosi ed invischiandosi in comportamenti non sani che le porteranno ad essere infelici come fumare, bere, mangiare in modo del tutto disordinato, ma anche immergendosi in relazioni tossiche e nocive che non rispondono ad un appagamento e ad un accrescimento di noi come persone attraverso l’altro.
Spesso il nostro dialogo interno è il termometro della nostra autostima, la misura della lotta che combattiamo contro di noi.
Quante volte sbagliando vi siete trovati a rivolgervi parole come “stupida/o” oppure “che cretino” “che maldestro” “sono proprio imbranato”…
Sebbene sembrino piccoli segnali, queste parole scortesi nei nostri confronti sono come delle piccole goccioline che giorno dopo giorno alimentano la giara della disistima e, di conseguenza, dell’insoddisfazione che proviamo verso noi stessi e, di riflesso, verso la nostra vita.
I segnali che indicano che non ci accettiamo incondizionatamente
Ci sentiamo spesso inadeguati in situazioni e contesti diversi
Pensiamo di non meritare l’amore degli altri
Ci paragoniamo costantemente agli altri e finiamo sempre per sentirci inferiori
Pensiamo di non essere abbastanza intelligenti/belli/interessanti/socievoli
Non intraprendiamo nuovi progetti per paura di fallire
Ci reprimiamo costantemente, non ci permetti di essere noi stessi
Ci sentiamo a disagio con noi stessi e non ci piace stare da soli con i nostri pensieri
Per evitare che l’insicurezza ci invalidi l’esistenza è bene elaborare le cause che ci hanno portato ad essere insicuri. E’ pertanto fondamentale accettare e comprendere che i difetti non esistono in se; sono le nostre distorsioni cognitive che ci fanno credere di essere inadeguati.
E’ fondamentale inoltre non guardare a chi dovrebbe giudicarci come quando eravamo bambini: in questo modo eviteremo di mantenere inconsciamente la odiata, ma anche cercata dipendenza dallo sguardo censore degli altri (ma che ormai abbiamo interiorizzato).
Suggerimenti pratici per accettarsi con serenità
Accettarsi incondizionatamente è il primo passo per amarsi incondizionatamente. Non possiamo stare bene con noi stessi se ci critichiamo costantemente, se pensiamo di essere dei falliti o non abbastanza intelligenti e attraenti. È interessante il fatto che accettare i nostri difetti o imperfezioni non significa non impegnarsi a migliorare.
L’accettazione implica, prima di tutto, la piena consapevolezza. Questo vuol dire che siamo consapevoli degli errori che abbiamo fatto ma non continuiamo a punirci per questi, piuttosto cerchiamo di correggerli. Significa che siamo consapevoli dei nostri limiti e cerchiamo di fare un ulteriore passo avanti.
L’accettazione incondizionata implica sperimentare la realtà così com’è, senza alcuna negazione o rifiuto. Con il passare del tempo, se questo atteggiamento è davvero sincero cancellerà le sensazioni negative e spiacevoli che provavamo verso noi stessi e lascerà il posto all’amore.
Il processo di accettazione incondizionata è lungo e doloroso. Ma alla fine del percorso scoprirete che è anche liberatorio. Infatti, troviamo difficile praticare l’accettazione incondizionata perché ci è stato insegnato a criticarci e diventare il nostro giudice più severo. Ci è stato insegnato ad adattarci alla società, ma non a convivere con noi stessi.
Riscopriamo chi siamo
Per accettarci dobbiamo conoscerci. Dedichiamo tutti i giorni qualche minuto a guardare dentro di noi. Chiediamoci cosa ci piace e cosa detestiamo, cosa ci rende felice, cosa non ci piace di noi, chi siamo veramente…
Possono sembrare domande banali, ma forse ci sorprenderemo nel sorprendere che non abbiamo risposte per molte di queste domande perchè da molto tempo abbiamo perso la connessione con il nostro “io interiore”.
Accettiamoci senza criticarci
Ogni volta che commettiamo un errore o scopriamo una parte di noi che non ci piace, invece di giudicarci e criticarci accettiamolo semplicemente. Prendiamo atto della realtà come fossimo un osservatore imparziale.
Chiediamoci cosa possiamo imparare e in che modo questo errore o “difetto” può trasformarci in una persona migliore. Accettiamo di non essere perfetti e che non abbiamo bisogno di esserlo per amarci ed essere una persona di valore.
buongiorno amici. Oggi riflettiamo sui conflitti genitoriali e di come i fratelli maggiori ne soffrano di più.
Siete il maggiore tra i vostri fratelli? Se è così, è molto probabile che un ruolo del genere sia stato per voi scomodo, a un certo punto. Perché a volte nascere prima ed essere i fratelli maggiori costringe a crescere più velocemente e persino ad assumersi responsabilità prima del tempo.
Può anche darsi che abbiate sviluppato una personalità più esigente e che siate tra quelli che cercano di essere d’aiuto a tutti coloro che ne hanno bisogno.
È vero che ci sono sempre delle eccezioni. Tuttavia, in quelle dinamiche familiari in cui c’è un fratello maggiore e altri più piccoli, ciascuno finisce per assumere un posto in questo quadro relazionale. E questo ci segna, ci condiziona in infiniti modi. Perché quello che accade nell’infanzia e nell’adolescenza finisce per scolpire la nostra personalità.
Allo stesso modo, c’è un fatto che di solito si verifica in determinate circostanze e che vale la pena sottolineare. Quando i genitori non sono disponibili, è il fratello maggiore che assume il ruolo protettivo con i suoi fratelli. In questi contesti, dominati da maltrattamenti o dissapori tra genitori, ci sono figli che sono costretti a maturare in maniera frettolosa.
Siamo il risultato di molte delle dinamiche patologiche che sperimentiamo durante l’infanzia. Il fatto di affrontare certe situazioni insieme ai nostri fratelli potrebbe attenuare parte dell’impatto psicologico di quegli avvenimenti.
I bambini più grandi a volte fungono da mediatori tra i genitori quando litigano o si verificano situazioni di abuso.
Fratelli maggiori nel bel mezzo di crisi tra genitori
Inizieremo chiarendo che l’ordine di nascita non determina la nostra personalità. A influire maggiormente è il contesto sociale che ci circonda, quello capace di far assumere ad un bambino di dodici, tredici o quattordici anni, in un dato momento, il ruolo di genitori non disponibili con i fratellini più piccoli.
Siamo condizionati dall’ambiente in cui cresciamo e dalle dinamiche con i nostri caregiver. Allo stesso tempo, in questo processo di sviluppo ed emersione del nostro carattere, anche l’interazione con i nostri fratelli e sorelle è fondamentale. Uno studio della Purdue University, in Indiana, evidenzia infatti un aspetto importante.
La relazione che si instaura tra fratelli può promuovere in noi dall’apprendimento sociale, al tipo di attaccamento, a molti tratti della nostra personalità. Queste figure sono determinanti quanto i nostri genitori e talvolta sono anche il nostro caposaldo per promuovere e tutelare il benessere psicologico.
Quest’ultimo si verifica, soprattutto, in situazioni di famiglia disfunzionale. Quando ci sono situazioni di conflitto interparentale, è il fratello maggiore che si sente maggiormente colpito. In generale, questa figura rientra, in molti casi, nella funzione di mediatore tra i genitori o di badante dei fratelli più piccoli.
Il conflitto tra i genitori può causare un grande impatto emotivo sui bambini. Tuttavia, quando c’è un fratello maggiore, questa circostanza può essere mitigata agendo come protettore dei più piccoli.
Teoria dell’ammortizzatore e genitori non disponibili
Spesso si dà per scontato che quando c’è un rapporto conflittuale tra genitori, di solito c’è conflitto anche tra fratelli; ma non è sempre così. È vero che i genitori agiscono come quel modello sociale che i bambini tendono a imitare. È anche vero che queste dinamiche dominate da liti, urla e rimproveri generano un’atmosfera caotica e insicura.
Tuttavia, la teoria dello smorzamento ci dice che a volte la figura di un fratello maggiore cambia tutto.
Quando i genitori non sono disponibili, quel ragazzo o quella ragazza assume il ruolo dell’adulto. Sono il sostegno emotivo e fisico dei bambini più piccoli, loro che chiariscono la situazione e conferiscono sicurezza, loro che diventano la principale fonte di attaccamento valido e positivo.
I bambini più grandi e il carico emotivo non citato in giudizio
Uno studio condotto presso l’Università di Edimburgo nel 2017 ha affermato che, in media, i fratelli maggiori mostrano un QI più alto rispetto ai loro fratelli più piccoli. Questo è stato spiegato al lavoro per vari motivi. Questi bambini ricevono più stimoli, attenzioni e sostegno rispetto ai piccoli che arrivano dopo.
Ora, cosa succede in quelle case in cui i caregiver non sono disponibili o portano con sé qualche conflitto? Succede che i figli sono costretti a crescere con la forza, ad assumere compiti e responsabilità che non gli corrispondono. Sono ragazzi e ragazze con maggiore maturità dal punto di vista dell’intelligenza emotiva e che, spesso, sono costretti a mediare anche nei problemi dei propri genitori.
Non solo ricade su di loro l’obbligo di prendersi cura dei fratelli più piccoli, ma a volte agiscono anche come genitori dei propri genitori. Non ci sono dati sul fatto che questo aumenti o meno il tuo QI. Tuttavia, ciò che vediamo spesso è che portano un bagaglio emotivo che a lungo andare è traumatico e controproducente.
Nella genitorialità le barriere generazionali si attenuano ei figli sono costretti a recitare il ruolo di adulti, trascurando se stessi.
I fratelli maggiori e le ferite della genitorialità
Genitorialità è un termine coniato dallo psichiatra Iván Böszörményi-Nagy per definire quelle situazioni in cui un bambino assume il ruolo di adulto, sostituendosi così ai propri genitori. In questo modo, il fatto che il fratello maggiore debba essere il custode dei fratelli e dei genitori è una forma di abuso psicologico.
Molti di coloro che si sono trovati in questa situazione sanno che questo non sempre rende più forti, quanto piuttosto lascia vuoti abissali. È vero che possono esserci differenze interindividuali, tuttavia, in generale, comporta la perdita dell’infanzia e una distorsione della propria identità.
Essendo a loro volta quelle figure che danno sostegno, sicurezza e affetto ai propri cari, questi bambini crescono senza ricevere sostegno in queste dimensioni, da parte di una valida figura adulta.
È comune portare il segno del trauma e di molteplici bisogni insoddisfatti. Nessuno deve essere privato della propria infanzia assumendo compiti che non gli competono. L’infanzia è sacra e l’obbligo di prendersi cura di ogni creatura con amore è un obbligo di tutti.
Buongiorno amici. Oggi rispondiamo ad una domanda che molti s fanno:” sento di odiare il mio corpo. Cosa devo fare?”
Tutti noi, a un certo punto, ci siamo detti “mi sento come se odio il mio corpo”.
Non è facile amarlo ogni giorno o apprezzarne ogni sua imperfezione e forma.
Tuttavia, quei momenti passano e alla fine lo accettiamo così com’è, perché questo fantastico involucro fisico è ciò che ci permette di sentire, respirare, abbracciare, lavorare, goderci la vita e interagire con gli altri.
Tuttavia, negli ultimi anni, sempre più persone hanno un cattivo rapporto con la propria immagine corporea.
Rifiutano se stessi, odiano l’essere che si riflette nei loro specchi, perché non si armonizza con i presunti “corpi ideali” dei social network o con quelli che ci vengono venduti nella società dei consumi.
Come affrontare queste situazioni? Scopri di più a riguardo con il seguente articolo.
Non è necessario amare il nostro corpo, basta rispettarlo, accettarlo. Tuttavia, la cultura, e persino l’istruzione, fanno sì che sempre più giovani odino la propria immagine e portano a comportamenti autodistruttivi.
Come faccio a sapere se sento di odiare il mio corpo?
È possibile che ogni volta che ti guardi allo specchio o nei tuoi selfie ti dica “Mi sento come se odiassi il mio corpo”. Inoltre, potresti avere un figlio o una figlia adolescente che senti ripetere spesso. A che punto iniziamo a preoccuparci delle nostre percezioni o di quelle degli altri? Quando superi il confine da “normale” a “patologico”?
In uno studio pubblicato sull’Indian Journal of Psychiatry, viene evidenziato che, sebbene sia normale avere preoccupazioni per l’aspetto fisico, quando queste diventano eccessive, potremmo essere all’interno dello spettro del disturbo da dismorfismo corporeo (BDD).
Di conseguenza, è importante rilevare quei sentimenti e attribuzioni negative verso la propria immagine che sono più problematiche. Affinché tu sia più consapevole di questi tipi di situazioni e sentimenti negativi, li elenchiamo di seguito:
Sei ossessionato dal viso, dai capelli, dal naso e dalla pelle.
Ti confronti costantemente con gli altri.
Provi sentimenti di insicurezza e inferiorità.
Provi tristezza e demotivazione a causa del tuo schema corporeo.
La tua vita sessuale affettiva è molto limitata da questo problema.
L’idea di ricorrere alla chirurgia ti perseguita con insistenza.
Restringi la tua vita sociale per dispiacere della tua stessa immagine.
Queste preoccupazioni per il proprio corpo occupano buona parte della giornata.
Ti lasci scivolare in comportamenti compulsivi come guardarti costantemente allo specchio o spazzolarti i capelli.
Come aiutarmi a smettere di odiare il mio corpo
Per quanto ti dicano che “accettati per come sei”, farlo non è facile. Non è perché la mente è dominata da pregiudizi cognitivi che alimentano la visione negativa della propria immagine corporea.
Anche le credenze apprese e molte idee irrazionali inconsce che non sono facili da disattivare. Tale riformulazione richiede tempo e lavoro. Vediamo quali strategie sono utili se ti sembra di odiare il tuo corpo.
Pratica la neutralità del corpo
Realtà come il disturbo da dismorfismo corporeo, così come la propria persistente antipatia per l’immagine fisica, hanno una parte della loro origine nella bassa autostima. Meta -analisi come quella riportata in BMC Psychiatry indicano che questo stesso fattore è solitamente un elemento trasversale.
Un modo per disattivare quel rifiuto quando dici a te stesso che “mi sento come se odio il mio corpo” è praticare la neutralità del corpo. È una strategia emotiva e motivazionale volta a migliorare il rapporto che hai con il tuo fisico. Per fare ciò, prendere nota delle seguenti raccomandazioni:
Fai una lista di tutto ciò che puoi fare con il tuo corpo: respirare, vedere, camminare, lavorare, guidare, abbracciare, baciare, scrivere, leggere, giocare con il tuo animale domestico, ballare e molto altro.
Fai attività gratificanti: fai una passeggiata, goditi bagni rilassanti, balla, canta, ecc. Svolgi attività che ti permettano di goderti ogni sensazione fisica che il tuo corpo ti dà.
Accetta la tua immagine senza bisogno di amarne ogni parte: apprezza solo tutto ciò che il tuo corpo ti permette di fare, il che non è poco. Questo compito comporta lo sviluppo di un’adeguata empatia con te stesso, permettendoti di esistere nella tua fisicità senza giudicarla.
Un modo per migliorare la nostra relazione con il nostro corpo è praticare la neutralità corporea. Consiste nello smettere di giudicare noi stessi, imparare a vivere empaticamente con il nostro corpo, godendoci ciò che ci permette di fare.
Si consiglia di regolamentare l’uso dei social network
Viviamo in una società dominata dalla tirannia dell’immagine. Pubblicità, cinema, televisione e social network sono media che impongono l’idea distorta che esistano “organismi regolatori”.
Pertanto, la persona che non si conforma a queste misure, forme e proporzioni ideali si sente rifiutata e persino elabora che c’è qualcosa di difettoso in loro.
Ricerche come quella pubblicata su Clinics in Dermatology limitano questo problema.
L’uso dei social network e l’esposizione a immagini idealistiche del corpo sono alla base di molti disturbi e sofferenze. Pertanto, è essenziale migliorare l’uso che fai dei social network e l’esposizione ai loro messaggi.
Per raggiungere questo obiettivo, prendi nota delle chiavi che possono aiutare nel processo e che condividiamo di seguito:
Riformula i messaggi social che ti spingono alla perfezione: ricorda che non esistono corpi ideali, esistono corpi reali.
Scegli account che esaltino la diversità, la salute del corpo e la positività del corpo : nel momento in cui inizi a seguire figure o celebrità che apprezzano e rispettano tutte le corporature, l’algoritmo continuerà a mostrarti profili simili.
Limita o regola l’uso che fai delle reti: a volte, puoi passare troppo tempo a esporti a messaggi che feriscono e immagini che rafforzano inconsciamente il rifiuto del tuo corpo. Fai buon uso della tecnologia.
Guarisci te stesso dai messaggi che hai ricevuto sul tuo corpo nel corso della tua vita
È possibile che la prima volta che ti sei detto “Sento di odiare il mio corpo” sia stato nella prima adolescenza.
Spesso il nostro ambiente più vicino rafforza in noi il rifiuto della nostra immagine.
Ci sono messaggi come “saresti più carina se dimagrissi” che ci inoculano un disagio molto precoce verso la nostra immagine di noi stessi.
Per guarire e costruire una buona relazione con il tuo schema corporeo, devi riformulare tutte quelle verbalizzazioni che qualcuno ti ha indirizzato ad un certo punto.
È un compito psicologico complesso che comporta la revisione anche delle convinzioni che davi per scontate. Considera le seguenti azioni:
Tieni un diario e mettici delle belle frasi su di te.
Scrivi le convinzioni che hai sulla tua immagine.
Trasforma quei messaggi negativi, trasformali in messaggi positivi.
Chiediti da dove provengono questi messaggi (dalla tua famiglia, partner passati, amici, ecc.).
Comprendi che il dispiacere per la tua immagine è un’idea costruita che deve essere sanata.
Se rifiuti l’immagine del tuo corpo, potresti essere cresciuto in una famiglia che ti ha giudicato in base al tuo aspetto fisico. I messaggi dal nostro ambiente ci condizionano.
Circondati di persone che hanno un’immagine corporea sana di se stesse.
Potresti avere un amico ossessionato dal proprio fisico. Il fatto di trascorrere del tempo con persone ossessionate dal perdere peso, mostrando sempre un’apparente perfezione, può influenzarti in modo negativo. Ancora una volta, i messaggi che provengono dal tuo ambiente possono distorcere, a poco a poco, il rapporto che hai con il tuo corpo.
Sarebbe molto vantaggioso avere la vicinanza di figure che si accettano così come sono e che ti apprezzano anche per quello che sei. L’autostima si costruisce anche dalle parole che arrivano da chi ci circonda. Pertanto, avere amici che ti apprezzano, che ti convalidano e non ti giudicano dal tuo corpo, è qualcosa di molto salutare.
Cosa fare se sento di odiare costantemente il mio corpo?
Nel caso in cui non riesci a smettere di pensare al tuo corpo e la tua vita psicosociale è molto limitata, è il momento di chiedere aiuto. In generale, questo persistente rifiuto si traduce spesso in autolesionismo e persino ideazione suicidaria. Evita di arrivare a questo punto.
Ricerche come quella pubblicata su Behavior Therapy suggeriscono che la terapia cognitivo-comportamentale, combinata con antidepressivi, è appropriata. Sebbene questo studio si concentri sulla popolazione giovane, va notato che i suoi benefici possono essere correlati anche alla popolazione adulta.
Se cambio il mio corpo, l’odio o l’antipatia se ne andranno?
Sono molte le persone che ricorrono alla chirurgia estetica pur di raggiungere quell’aspetto fisico con cui riconciliarsi finalmente con se stesse. Ora, quella percezione di sé negativa cambierà se trasformi il tuo corpo?
Tutti possiamo ricorrere all’esercizio fisico e sottoporci a un intervento chirurgico per vederci meglio. Non si nega che questi cambiamenti spesso si ripercuotano sull’autostima. Ma dobbiamo stare attenti.
Le cliniche di chirurgia estetica dovrebbero valutare la presenza di un BDD; in questi casi, le modifiche non garantiscono che la persona avrà un aspetto migliore. L’odio persiste e continuano ad aver bisogno di sempre più operazioni.
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sugli adolescenti, ansia e paura di sbagliare.
“Mentre l’adolescente-Icaro di ieri volava troppo in alto, i nuovi Icaro hanno paura di volare.
Le loro ali tremano per la paura di sbagliare, cadere e fallire; tremano per l’ansia che ostacola la serenità del loro volo, a scuola come nella vita.
È quella voce che dice, sia a noi che ai nostri ragazzi, che non siamo abbastanza, che non ce la faremo che tentare è inutile, se sai già di fallire.
Nel cuore degli adolescenti di ieri c’era soprattutto il senso di colpa con cui confrontarsi, invece gli adolescenti di oggi provano fatica emotiva che si traduce in un grande senso di inadeguatezza, per il non riuscire a stare al passo, per la paura di fallire, di non essere abbastanza” (Stefano Rossi)
Ricerca adolescenti, ansia e paura di sbagliare
Una ricerca condotta da Fondazione Gemelli IRCCS e UNICEF sulla situazione dei giovani in Italia ha rilevato come il 39% della popolazione dichiari di soffrire di una sintomatologia ansioso-depressiva.
Gli adulti sono preoccupati dal disagio che i più giovani manifestano, eppure non sanno come affrontarlo: il 48% denuncia l’incapacità di far fronte al problema. Il 54% dei ragazzi, d’altra parte, pensa di non essere capito da mamme e papà troppo distratti e solo il 3% parlerebbe con un insegnante di una sua difficoltà.
È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i bambini, che ha voluto indagare anche le difficoltà di genitori e docenti nel dialogare con i ragazzi, che stanno scontando ancora gli effetti della pandemia sulla salute mentale.
La paura di sbagliare che blocca i ragazzi
Sempre più frequentemente gli adolescenti hanno paura di sbagliare, non accettano gli errori e li vivono come un fallimento.
Purtroppo viviamo in una società che pone troppo spesso l’accento sul risultato: ci si preoccupa di ottenere sempre buone prestazioni e ci si dimentica di quanto, invece, anche imparare a sbagliare sia importante per crescere e sviluppare una buona autostima.
È soprattutto a scuola che i più piccoli temono di sbagliare: livelli eccessivi di ansia, che spesso riguardano la paura di prendere un brutto voto o del giudizio degli altri, possono attivare un blocco e la percezione di non essere all’altezza.
Gli adolescenti hanno bisogno di ascolto, non di soluzioni, e di essere aiutati a trasformare le difficoltà in una sfida da affrontare!
Spesso gli adolescenti si bloccano davanti a un problema o a una situazione che percepiscono come difficile, assumono un atteggiamento difensivo e rinunciatario nei confronti di quello che devono affrontare e non riescono a viverlo come una sfida.
“Mi sento schiacciata da tutto quello che devo fare, mi sento di non riuscire a stare dietro a tutto. Ho mille pensieri che mi tormentano e quando mi sento così mi sale l’ansia, mi blocco e non riesco ad essere lucida.”
Nel momento in cui si presentano situazioni intense e impegnative il cervello rilascia sostanze chimiche e attiva una serie di circuiti neuronali.
Se si considera ciò che si sta vivendo come una minaccia, il cervello entra in uno stato di allarme e si prepara alla difesa.
Al contrario, se si affronta quella condizione come se fosse una sfida, il corpo produce una maggior quantità di energia per poterla superare e viene poi rilasciato un neurotrasmettitore, la dopamina, che fa sperimentare gratificazione.
Ascolto
Ascoltare i figli è fondamentale, è il primo passo per instaurare e mantenere aperta una relazione improntata sul dialogo e il confronto, anche nei momenti di difficoltà. Non è sempre facile riuscire ad ascoltarli e a comprendere i loro comportamenti e le loro motivazioni. Eppure è fondamentale: sentirsi ascoltati significa potersi fidare e sentire di essere importanti per l’altro!
I genitori hanno bisogno di acquisire consapevolezza, strumenti e strategie per fronteggiare in modo più efficace la quotidianità e le sfide che possono incontrare nella relazione con i figli e nelle diverse fasi della crescita.
In questo modo possono diventare promotori attivi potenziando il loro ruolo, rafforzando le loro competenze, promuovendo anche nei figli la consapevolezza e l’acquisizione di efficaci abilità di vita (life skills).
E vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi tramite il pulsante qui sotto
Buongiorno amici. Oggi voglio parlarvi di ansia sociale che, purtroppo, non colpisce solo gli adulti. Ma, ultimamente, ne sono affetti adolescenti e addirittura bambini.
Cos’è l’ansia sociale
E’ una paura, più o meno intensa, in situazioni socialmente connotate.
A differenza dell’ansia generalizzata, questa si verifica in specifiche condizioni, ad esempio: parlare in pubblico, esibirsi, parlare con altre persone, parlare al telefono, mangiare con altre persone ecc.
Sostanzialmente è una paura molto intensa di essere valutati/giudicati negativamente dagli altri. Nel disturbo d’ansia sociale, l’intensità dell’emozione compromette significativamente la qualità della vita e delle relazioni.
Quindi, non è ansia sociale il fatto di vergognarsi a parlare in pubblico (quello è molto diffuso!) ma piuttosto ritrovarsi ad avere una vita compromessa perché non si riesce a gestire nessuna situazione in cui ci si trova a contatto con altre persone.
Segnali d’allarme
Che tu sia un ragazzo o una ragazza, un genitore oppure un docente, nonostante la definizione di ansia sociale potresti ancora essere in dubbio su come riconoscerla e, eventualmente, intervenire.
Il segnale principe è l’evitamento, le persone ansiose evitano vistosamente le situazioni che creano ansia, quindi, nel caso dell’ansia sociale si potrebbe assistere al rifiuto di partecipare ad occasioni sociali.
Per esempio se tu (o tuo/a figlio/a o alunno/a) rifiuti inviti a feste, uscite, compleanni, non vuoi praticare uno sport o addirittura ti rifiuti di andare a scuola, ci sono buone probabilità che tu possa esserne affetto.
Nei casi più gravi, spiega la psicologa, si arriva a un ritiro completo, a persone che non escono più dalla propria stanza, come i cosiddetti hikikomori.
Ma come prevenirla ed evitarla?
Vi lascio i link che potete scaricare dove ne parliamo insieme.
Buongiorno amici. Oggi ci soffermiamo a parlare di ansia adolescenziale.
L’ansia è una risposta naturale del corpo. Nel corso di migliaia di anni, ha permesso agli esseri umani di sopravvivere.
E sebbene si manifestino episodi di questo disturbo a tutte le età, durante l’infanzia e l’adolescenza si presentano con caratteristiche particolari.
L’ansia è la stessa cosa della paura?
I concetti di paura, fobia e ansia non sono gli stessi. Sebbene sia comune che questa confusione appaia nel contesto della psicoterapia infantile, vale la pena evidenziare le differenze.
Un’immagine ansiosa è una risposta a una minaccia. È qualcosa di naturale e atteso, ma quando viene superato compaiono i disturbi.
Anche se abbiamo una visione molto negativa di questi episodi, dobbiamo capire che sono necessari. Senza questa risposta non ci sarebbe l’evoluzione umana.
Forse oggi non esisteremmo nemmeno come specie, poiché ci è servito in più occasioni per sfuggire ai pericoli o per affrontarli con successo.
D’altra parte, la paura è un’emozione naturale che, se soddisfa determinati parametri in base allo sviluppo del bambino, è considerata normale. ”
C’è da aspettarsi che un bambino fino a due anni abbia paura della separazione dai genitori o a sei anni abbia paura degli esseri immaginari. Quando la paura è eccessiva entriamo nel regno delle fobie.
Perché compare l’ansia eccessiva nei bambini?
Tutti i bambini soffriranno di ansia in momenti diversi della loro vita. È una risposta fisiologica. Ma perché in alcune persone si manifesta in modo estremo e genera un disturbo?
L’origine dell’ansia è multifattoriale. È legato a fattori biologici, genetici, psicologici e sociali. Diamo un’occhiata a ciascuno di essi in dettaglio:
Psicologico: in particolare, le esperienze e il modo in cui le affrontiamo durante l’infanzia. Tutto ciò genera tracce emotive dai traumi, sia da ciò che viviamo sia da ciò che non viviamo.
Biologico: gli squilibri nelle concentrazioni di neurotrasmettitori, come la serotonina o la dopamina, possono influenzare la regolazione emotiva. Anche alterazioni nella modalità di risposta del sistema nervoso autonomo, soprattutto nell’attivazione del sistema nervoso simpatico.
Genetica: è dimostrato che esistono geni associati allo sviluppo di disturbi di ansia e depressione. Ci sono anche persone che sono ipersensibili allo stress a causa di tratti caratteriali ereditati. Tuttavia, la genetica non determina completamente e l’interazione con gli elementi dell’ambiente è cruciale.
Sociale: l’ambiente familiare può influenzare notevolmente il modo di affrontare la situazione del bambino. Gli stili educativi che gli adulti metteranno in atto saranno fondamentali. L’iperprotezione e l’attaccamento evitante sono associati ad ansia estrema durante l’infanzia. Al contrario, l’attaccamento sicuro, con affetto e limiti, sarebbe protettivo. Qui va menzionato anche il social network di supporto, compresi gli amici.
Tipi di ansia nei bambini
Questo disturbo può manifestarsi in diversi modi durante l’infanzia. I sintomi dell’ansia nei bambini variano e talvolta ci sarà o meno espressione verbale. Di seguito sono riportate le presentazioni più comuni:
Disturbo di panico: è la forma acuta di ansia. I sintomi compaiono improvvisamente con manifestazioni fisiche, come palpitazioni e mancanza di respiro.
Disturbo d’ansia sociale: è la paura delle situazioni sociali con altre persone. Si tratta solitamente di bambini che non vogliono andare a scuola o che preferiscono non uscire con i coetanei per paura del giudizio che verrà loro trasmesso.
Disturbo d’ansia generalizzato (GAD): questa è una forma estrema e grave. I bambini presentano molteplici sintomi, come incubi, pianto frequente, irritabilità, difficoltà di concentrazione e scarso appetito.
Disturbo d’ansia da separazione: è un’ansia necessaria per lo sviluppo del bambino. Di solito si manifesta intorno agli 8 mesi, quando il bambino ha paura degli estranei ed esprime disperazione quando viene lasciato solo o perde di vista i genitori. La persistenza di questo comportamento oltre l’età prescolare deve essere affrontata.
Perché compaiono episodi di ansia in adolescenza?
Gli adolescenti possono avere difficoltà a gestire le emozioni che provengono dall’infanzia. L’adolescenza è una fase di labilità emotiva, per cui il rischio di soffrire di disturbi mentali è maggiore.
Secondo la psicologa Martín, molti giovani si presentano nel suo ufficio parlando come sulle montagne russe. Non capiscono cosa sta succedendo loro e sono i primi a disperarsi per questo.
Fattori che influenzano l’ansia adolescenziale
Gli ormoni giocherebbero un ruolo importante nel comportamento ansioso.
Il cortisolo, la molecola associata allo stress, è elevato nel periodo adolescenziale. Quando c’è un eccesso di cortisolo, l’elaborazione emotiva e le capacità decisionali vengono influenzate.
Un altro fattore è la famiglia. La prima rete di contenimento che dovrebbe essere presente potrebbe fallire.
Una famiglia che fin dall’infanzia offre uno spazio di dialogo e una solida base di legame offre all’adolescente l’opportunità di affrontare meglio i propri problemi.
Al contrario, l’assenza di questi fondamenti favorisce comportamenti ansiosi.
«Ci sono adolescenti che non parlano con i loro genitori di questioni con peso emotivo perché la loro famiglia non si è precedentemente interessata a cose con meno peso emotivo, come i loro interessi quotidiani . citazione-atomica]
Un’opzione da proporre è la scrittura terapeutica.
Cioè, scrivere per incanalare ciò che accade loro. Naturalmente questo deve essere adattato al mondo digitale dei teenager, dando loro la possibilità, ad esempio, di scrivere appunti sul cellulare.
L’ansia è multifattoriale e l’ambiente è fondamentale per aiutare
Un disturbo d’ansia non può essere attribuito ad un’unica causa; molto meno nei bambini e negli adolescenti.
È possibile prevenire il problema? Con una comunicazione familiare aperta e assertiva basata su un attaccamento sicuro, è almeno possibile ridurre il rischio che i nostri figli attraversino uno stato di estrema ansia.
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Buongiorno amici. Oggi ci chiediamo ma è vero che i ragazzi sono menefreghisti?
Genitori e figli spesso si trovano a navigare in acque agitate, dove le emozioni sembrano nascoste dietro una facciata di indifferenza e menefreghismo.
Bambino affettuoso
“Il bambino affettuoso del passato, sempre pronto ad accettare i suggerimenti e gli ordini paterni, non esisteva più. I genitori, al momento dell’adolescenza del figlio, vivono un vero e proprio lutto: non esiste più il bambino tanto amato che li faceva sentire importanti e addirittura indispensabili” (Tratto dal libro Nel nome del figlio di Nicolò e Massimo Ammaniti).
Tuttavia, dietro questo velo di apparente distacco si cela spesso un mondo interno ricco di sfumature e sentimenti profondi.
Gli adolescenti, infatti, si trovano in una fase della vita in cui stanno cercando di scoprire chi sono e come vogliono essere visti dagli altri.
In questo percorso di scoperta ed esplorazione, spesso si ritrovano ad indossare una maschera, che il genitore potrebbe percepire come un muro di gomma, piuttosto frustrante da gestire.
Genitori lamentosi
“E’ tornato a casa con l’ennesimo 4 e me lo dice con una tranquillità disarmante: possibile che la scuola non gli interessi a tal punto? Ma neanche un po’ di vergogna, io mi sentirei piccola così”
“Mi dispiace dirlo, ma mio figlio ha il cuore di pietra. Non gli importa assolutamente nulla di noi, potrei morirgli davanti e mi scavalcherebbe”
“Mia figlia quando mi rivolge parola è perché mi deve chiedere qualcosa: sono la sua banca e il suo taxi. Possibile che non le abbia insegnato nulla?”
“Dopo una giornata di lavoro, tornare a casa e trovarla in uno stato pietoso con ancora sul tavolo la tazza della colazione, mi fa uscire letteralmente fuori di testa. Ma come è possibile che mia figlia non riesca ad empatizzare minimamente con me e con la mia stanchezza e non collabori neanche un minimo?”
Vulnerabilità
Molti ragazzi adolescenti, per proteggere se stessi e mascherare la propria vulnerabilità, possono optare per un atteggiamento freddo e indifferente.
Questo comportamento può trarre in inganno i genitori, spingendoli a interpretare erroneamente la situazione come mancanza di interesse o affetto da parte dei propri figli.
Il problema non è certo quello di perdere qualche volta la pazienza: i genitori non possono e non devono essere sempre perfetti e fare sempre la cosa giusta al momento giusto. L’errore è normale, l’importante è usare queste situazioni come momento di riflessione e, se serve, di messa in discussione.
Spesso, l’indifferenza e il menefreghismo sono solo una maschera che nasconde paure, fragilità e difficoltà nel tirare fuori i propri sentimenti ed è fondamentale riuscire ad andare oltre.
Cosa si può fare?
Diventano grandi senza preavviso e spesso si ha la sensazione che siano cambiati nel giro di pochi mesi o addirittura giorni, senza dare ai genitori il tempo necessario per adattarsi a questo cambiamento.
Si trovano in un’età in cui l’identità è ancora in fase di costruzione e la maschera può rappresentare un modo per sentirsi più sicuri e meno esposti alle critiche esterne.
Eppure, questo non significa che non abbiano bisogno degli adulti o che non gliene importi nulla.
Hanno bisogno di essere visti, di essere riconosciuti nelle loro idee e nei loro nuovi bisogni, di sapere che il genitore, pur non condividendo sempre le loro posizioni, riesce comunque a comprendere ciò che vivono, le loro emozioni, i loro sentimenti e sia pronto ad ascoltare, prima ancora che fornire soluzioni.
Diventano, dunque, ingredienti indispensabili il saper ascoltare senza giudicare, mostrare empatia e offrire supporto incondizionato, per instaurare un rapporto di fiducia e favorire un’apertura emotiva.
È importante non scoraggiarsi se non vogliono parlare o se tendono a chiudere la conversazione rapidamente.
Se si continua a mostrare interesse nei loro confronti, al momento giusto si apriranno, sapendo che mamma e papà sono un punto di riferimento.
Intransigenza
“Un fattore che rende difficile la comunicazione sono gli atteggiamenti intransigenti. Soltanto se usiamo lo stesso tono che desideriamo che gli altri usino con noi consentiamo il dialogo.
[…]L’empatia consente di calarsi nei panni dell’altro. In alcuni momenti bisogna saper spingersi al di là delle parole per comprendere lo stato d’animo e le reali esigenze del nostro interlocutore.
L’autocontrollo richiede perseveranza. Invece di scattare alla minima contrarietà, […] e provocare chiusure e irrigidimenti, meglio riflettere e usare toni pacati”
(Tratto dal libro Sopravvivere con un adolescente in casa di Anna Oliverio Ferraris)
Non esiste una formula magica per decifrare il linguaggio criptico di un figlio adolescente.
Ma con pazienza, amore e comprensione si può gradualmente costruire un ponte verso la reciproca comprensione e la condivisione di emozioni autentiche.
Con la consapevolezza che gli aspetti più profondi e intimi sono solo nascosti dietro quella facciata di insensibilità e che non vedono l’ora di trovare uno spazio per essere espressi.
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Perché l’insicurezza non è solo degli adulti ma anche dei minori.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come identificare l’insicurezza dei nostri figli.
Perché vostro figlio è insicuro?
I bambini sono esseri indifesi, soprattutto quando hanno meno di 6 anni. La loro innocenza e l’incapacità di gestire le emozioni e i problemi che possono dover affrontare li trasforma in facili prede della manipolazione, sia mentale sia fisica.
È un fatto del tutto normale dato che nessuno nasce con il sapere in sé ed è solo l’esperienza a permetterci di affrontare le innumerevoli circostanze con cui ci scontriamo ogni giorno.
I bambini, inoltre, assorbono tutto ciò che c’è attorno a loro; sicuramente avrete sentito più di una volta l’espressione “i bambini sono come delle spugne”. Questo vale per tutti gli aspetti della loro vita.
Litigi
I litigi in famiglia, la pressione a cui vengono sottoposti, la mancanza di attenzione da parte dei genitori possono provocare in loro una forte insicurezza. State dando ai vostri figli l’attenzione necessaria? Vi preoccupate per i loro problemi?
“La migliore eredità che un genitore può lasciare ai suoi figli è un po’ del suo tempo quotidiano”
Spesso riteniamo sciocchezze tutti i bisogni dei nostri bambini… E la maggior parte delle volte è proprio così!
È solo che per loro non sono stupidaggini: sono arrivati da poco a questo mondo e stanno ancora imparando.
I bambini hanno bisogno di essere compresi e di comunicare; in caso contrario, diventeranno bambini insicuri.
Aiutate i vostri figli a superare la loro insicurezza
È importante che tendiate sempre la mano ai vostri figli, affinché possano superare i loro problemi di insicurezza. Se non lo farete, rischierete di trasformarli in adulti insicuri che non sapranno affrontare tale questione.
Se individuate il problema, è bene che prendiate provvedimenti il prima possibile per ristabilire la percezione di sicurezza nel vostro bimbo.
Cosa pensate che succederà quando entrerà nella fase adolescenziale? In quella fase dovrà affrontare molti problemi, non lasciate che l’insicurezza sia uno di essi.
Come sapere se vostro figlio è insicuro?
Come sapere se vostro figlio soffre di insicurezza? Quali sono i segnali?
Per quanto riguarda l’igiene personale, soffre di una sorta di dipendenza nei confronti della madre, dato che lascia a lei l’onere di occuparsene.
Nel suo comportamento affettivo prevalgono l’instabilità emotiva, la disubbidienza e l’aggressività.
Quando gioca, tende a ripetere sempre lo stesso gioco e a voler interpretare il ruolo di un bambino piccolo e/o pauroso.
Ha timori irrazionali e piange per richiamare l’attenzione.
Parla di notte, soffre di insonnia, chiede di dormire con la luce accesa o di farsi raccontare una storia.
A scuola, ha difficoltà nel concentrarsi.
Fa le smorfie o fa uso di altre espressioni corporali od orali innaturali.
Possiede un oggetto (una coperta, un pupazzo, ecc.) da cui non vuole separarsi.
Quando vostro figlio ha un problema, non ditegli che si tratta di una sciocchezza, perché, così facendo, gli starete dando un futuro infelice.
Coltivare l’autostima
Invece di arrabbiarvi coi vostri bambini perché possiedono irrazionalmente un oggetto o perché disobbediscono, è meglio parlare con loro.
Rimproverarli non risolverà il problema: i vostri figli hanno bisogno che stiate dalla loro parte, non che diventiate il loro peggior nemico.
Se non sapete come agire, potete parlare coi loro maestri o con qualche professionista che vi mostri come aumentare la loro autostima affinché smettano di essere insicuri.
L’autostima è il rimedio migliore per questa terribile circostanza, affatto semplice da risolvere, persino negli adulti.
Sintomi
Se non baderete a questi sintomi e li ignorerete, renderete vostro figlio una persona triste, con una bassa autostima e particolarmente esposto al rischio di soffrire di depressione. In questo modo, la sua vita sarà un’esperienza dolorosa, piena di limiti e di emozioni ingestibili.
In quanto genitori, avete il dovere di insegnare ai vostri figli ad essere felici.
Tutti siamo stati bambini una volta, quindi non dimentichiamoci dell’importanza delle sensazioni e delle esperienze in questa prima fase della vita.
Non dobbiamo neanche dimenticarci di quanto influisce il vissuto dell’infanzia sulla vita adulta, provocando problemi che poi sono difficili da risolvere. Il momento per porre fine a tutto questo è ora!
Buongiorno amici. Oggi riflettiamo sul pensiero “ma la felicità è un obbligo?“.
Il Mito dell’Obbligo di Essere Sempre Felici: Accettare Tutte le Emozioni Come Parte della Vita Reale
Viviamo in un’epoca in cui l’idealizzazione della felicità è diventata una sorta di imperativo sociale.
I social media sono pieni di immagini di vite perfette e sorrisi smaglianti, ma dietro questa facciata di allegria si nascondono spesso storie più complesse e sfide personali.
Ci sentiamo così obbligati a mostrare solo il lato positivo delle nostre vite, temendo il giudizio degli altri se dovessimo ammettere di non essere sempre felici.
Questo costante tentativo di conformarsi a un’idea distorta di felicità può trasformarsi in una prigione emotiva, imprigionandoci in una ricerca perenne di un’irraggiungibile perfezione emotiva.
La Trivialità della Felicità Perenne
C’è una differenza sostanziale tra cercare di essere felici e sentirsi obbligati a essere sempre felici.
La vera felicità non è qualcosa che possiamo forzare o costringere; è un’esperienza autentica che nasce dalla nostra connessione con noi stessi e con il mondo che ci circonda.
Pretendere di essere sempre felici trascura il fatto che le emozioni sono un linguaggio universale attraverso il quale esprimiamo le nostre esperienze.
La tristezza, ad esempio, può essere un’opportunità per la riflessione e la crescita personale, mentre la rabbia può indicare la necessità di porre dei limiti o difendere i nostri valori. Accettare la complessità delle nostre emozioni ci permette di abbracciare la totalità della nostra esperienza umana.
La Variegata Gamma delle Emozioni Umane
Immagina di essere su un’isola deserta e di vedere un arcobaleno dopo una tempesta: senza la tristezza e la rabbia, non apprezzeremmo pienamente la bellezza e la magia di quel momento.
Allo stesso modo, senza sperimentare la gamma completa delle nostre emozioni umane, non potremmo veramente gustare le gioie della vita.
Le emozioni negative non sono da evitare, ma da abbracciare come parte integrante della nostra esperienza.
Rifiutare le emozioni meno piacevoli significa negare la nostra umanità e limitare il nostro potenziale di crescita e comprensione di noi stessi e degli altri.
Embracing Real Life
La vera felicità non è una destinazione finale da raggiungere, ma un percorso da percorrere con tutte le sue curve e deviazioni.
Dobbiamo imparare a coltivare la compassione per noi stessi e gli altri nelle nostre esperienze emotive.
Essere gentili con noi stessi significa permetterci di essere umani, con tutte le nostre imperfezioni e contraddizioni.
Accettare la nostra intera gamma di emozioni ci consente di vivere in modo più autentico e connesso con il mondo che ci circonda.
Liberarsi dalla Prigione dell’Obligo di Felicità
In conclusione, la ricerca ossessiva della felicità continua può diventare una sorta di prigione emotiva.
Dobbiamo liberarci da questa aspettativa irrealistica e abbracciare la totalità delle nostre esperienze emotive.
Accettare le emozioni negative non significa essere pessimisti, ma piuttosto essere realisti riguardo alla complessità della vita.
Solo abbracciando la nostra umanità nella sua interezza possiamo sperare di vivere una vita autentica e appagante.