Buongiorno amici. Ogg parliamo di autolesionismo adolescenziale.
Non ne vorremmo parlare. Eppure tacere sull’autolesionismo è il primo errore. Sempre più ragazzine, ragazzi e giovani donne si tagliano braccia e gambe. O si provocano piccole ustioni o bruciature di nascosto. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa che da anni studia e affronta i disagi che portano all’autolesionismo
Non è un disturbo marginale. In Europa, pratica l’autolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti. Sono dati inquietanti, frutto di una meta analisi basata su molti studi sull’argomento che hanno coinvolto la popolazione in generale. In Italia, però, la situazione non è migliore, anzi. «Prima della pandemia da Covid-19 la fotografia italiana riguardo all’autolesionismo rispecchiava questi dati europei, in particolare per gli adolescenti i casi interessavano circa il 17% dei giovani».
«Dopo il lockdown e le varie restrizioni, però la situazione è fortemente peggiorata. Dal 2020 al 2021 si è assistito a una crescita del +10%, in particolare tra gli adolescenti. Adesso si stima che l’autolesionismo interessi circa il 27% dei ragazzini»
Perché sono così tanti quelli che si tagliano
Forse dovremo scrivere perché sono così tante quelle che praticano l’autolesionismo. Anche per questo problema, infatti, le donne hanno “vinto” il primo premio. «Sicuramente il sesso femminile è un fattore di rischio, ma anche tra i ragazzi l’autolesionismo non suicidario è molto diffuso. In parole più semplici, ci si fa male non con lo scopo o l’intento di arrivare a togliersi la vita (meno male! ndr).
Ma perché provocarsi del dolore aiuta a stare meglio» chiarisce la professoressa Borroni. L’autolesionismo, in pratica, aiuta a gestire un disagio. A tenerlo sotto controllo. «Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, l’autolesionismo non suicidario compare come disturbo mentale autonomo, che necessita di ulteriori studi» spiega la professoressa Serena Borroni. «È anche vero, però, che il provocarsi dolore o ferite è un sintomo trasversale, comune ad altri problemi psicologici».
L’autolesionismo come valvola di sfogo
Tagli, punture, bruciature di sigarette. Ma anche sbattere la testa contro il muro. O sfregarsi la pelle fino a farla sanguinare. Sono queste le strade più comuni percorse da chi sceglie di darsi dolore, fino ad arrivare al sanguinamento o a serie echimosi. «Provocarsi una lesione permette di provare una sensazione di sollievo. Soprattutto in chi vive un profondo disagio, come la rabbia, la tristezza, una forte ansia, una tensione interiore. O comunque un disagio cognitivo emotivo» chiarisce la psicologa clinica e psicoterapeuta. Si prova sollievo dalla sofferenza interiore, grazie al sanguinamento o al dolore che ci si è inflitti. Ma come è possibile? «Si sposta il disagio dal piano emotivo e psicologico a quello fisico e lo si fa in modo consapevole. Quindi è come se in qualche modo si riuscisse a gestire quel malessere, che porta a compiere azioni di autolesionismo» .
Può nascere una dipendenza
Il fatto che l’autolesionismo provochi sollievo è uno stimolo a ripetere l’azione, anche se poi le braccia si ripieno di taglie e ferite. Nel momento in cui si vive un forte disagio interiore, ciò che fa stare meglio viene subito praticato. Pure se “il meglio” è finire al Pronto Soccorso. «La tendenza a ripetere i gesti di autolesionismo, alla lunga, può provocare una vera e propria dipendenza, perché certi comportamenti diventano l’unico modo che la persona ha nell’alleviare la propria sofferenza psichica»
A volte si comincia per curiosità
A volte, si comincia a farsi del male per imitazione. Soprattutto tra i giovanissimi capita che un’amica lo faccia e, magari, ci si taglia solo per provare la stessa sensazione che prova lei. Oppure perché si è visto qualche video sul web. O ancora peggio perché si è deciso di partecipare a qualche “challenge” online. «Se l’episodio di autolesionismo è unico, e magari il ragazzo o la ragazzina lo raccontano spontaneamente ai genitori, si può considerare non patologico. Se, però, si ha la sensazione che non sia il primo o l’ultimo, allora è bene fare molta attenzione e rivolgersi a uno psicologo, in grado di affrontare questo problema» conclude la psicologa sociale.
Attenzione a questi campanelli d’allarme
Maglie e pantaloni lunghi, sempre. Anche in estate. Braccia e gambe costantemente coperte. Lividi che compaiono senza un motivo. Rifiuto di frequentare piscine, palestre o altre situazioni dove si deve esporre il proprio corpo. Possono essere questi i primi segnali da non trascurare se si teme che il proprio figlio o la propria figlia pratichi l’autolesionismo. «I ragazzi tendono a nascondere il problema, perché mettono in atto una strategia disfunzionale che però a loro risulta utile per sentirsi subito meglio» .
«Se oltre ai segnali precedenti, l’adolescente ha un cambiamento nello stile di vita, è molto più introverso sta, ancora più del solito, chiuso in bagno o in camera, allora è importante valutare la necessità di un intervento specialistico»
L’autolesionismo non passa da solo
Sicuramente l’adolescenza è uno dei periodi più critici nella vita di una persona. Ma non si può confinare l’autolesionismo a uno dei tanti cambiamenti che avvengono nel passaggio dall’età puberale a quella adulta.
L’approccio cambia in base a vari fattori, primo fra tutti la gravità delle lesioni che ci si provoca. Perché, se è vero che l’intento di chi pratica autolesionismo non è quello suicidario, è anche vero che, spesso, si arriva a farsi molto male.
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi trmaite l sezione contatti e consulenze del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di emozioni e dell’educazione a queste.
Siamo emozione, viviamo di emozioni eppure?
Puntualmente c’è qualcuno, quando siamo piccini, che ci vieta di esternarle o che ci condiziona talmente tanto da essere impauriti.
Atteggiamenti
I bravi genitori sono quelli che accettano i bimbi e i ragazzi così come sono.
Sono quelli che insegnano loro a esprimere le loro emozioni, i loro pensieri e desideri liberi da condizionamenti.
I bravi genitori sono quelli che non giudicano, non ricattano moralmente per portare il bimbo a are quello che loro genitori, decidono debba fare o essere.
Errori
Molti sono gli errori che portano poi, il bimbo a diventare prima un ragazzino frustrato, poi un adulto violento .
E quali sono questi atteggiamenti?
L’inculcare paura.
Non andare lì che c’è il mostro.
Quante volte anche i nonni l’hanno detto. Pensando che ,in questo modo, un bimbo stia lontano dai pericoli.
Invece che succede? Lo intimoriscono facendolo diventare insicuro di quello che davvero può fare.
Dire bugie
Se tic almi la mamma ti porta alle giostre.
E anche qui…sappiamo tutti benissimo che non sarà così però…”almeno così sta buono”. E cosa insegni in questo modo A mentire, a irretire, a ottenere quello che vuoi con la menzogna.
Senso di colpa
Se fai così la mamma piange.
Ma perché? Perché dire una frase del genere invece di spiegare ad un bambino le conseguenze di un’azione non bellissima?
Perché farlo sentire in colpa? Altro insegnamento malsano. E altro modo per crescere un adolescente insicuro.
Essere ipercritici
Sei un pasticcione, non sai fare nulla.
Ecco, atteggiamento che non si deve assolutamente avere. Sei tu il genitore, sei tu che devi essere esempio camminare mano nella mano con una personcina che diventerà un adulto sano o meno.
Sei tu che devi insegnare a tuo figlio a sbagliare perché così impara dai suoi errori e trovare, insieme, un modo per…aggiustare il tiro.
Se pronunci frasi di questo tipo non fai altro ch distruggere l’autostima di un minore.
Condizionare l’amore
Se non mangi non ti voglio più bene.
Quindi il tuo amore va in base a quello che io devo fare per te E se, casualmente, dovessi sbagliare o fare qualcosa che non rientra nei tuoi piani l’amore svanisce? Tremendo.
Invalidare le emozioni
Arrabbiarti non ti servirà a nulla.
Perché? Tutte le mozioni vanno esternate, tutte vanno vissute e condivise e mostrate.
Non deve esserci nessun condizionamento, nessuna vergogna. E’ giusto esternare rabbia, dolore, gioia, tristezza, sorrisi e lacrime. Se tu e devi essere padrone delle tue emozioni.
Punire le emozioni
Se piangi ancora niente gelato.
Un’altra cosa che davvero non capisco è vergognarsi del pianto.
Piangere serve, coem sorridere, come arrabbiarsi.
Si pò piangere per mille motivi e tutti devono essere rispettati. Il non pianto davnti a qualsiasi occasione che, invece lo prevede, non deve essere un pregio, un premio.
Se non piango sono migliore di un altro. No, il contrario.
Non possiamod ecidere quali emozini deve provare ed esternare un bamibo.
Quello che dobbiamo fare è decidere di aiutarlo a farlo.
E se avete bisogno dime potete contattarmi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Chi sono? come comportarsi? Cerchiamo di comprenderli
Buongiorno amici. Oggi occupiamoci di quelli che vengono definiti adolescenti difficili.
Chi sono
L’ottimista vede la rosa e non le spine;
il pessimista si fissa sulle spine, dimenticandosi della rosa.
Khalil Gibran
“Una spina è una rigida protuberanza, appuntita e spesso lacerante, che fuoriesce dalla superficie di numerose piante.
È bene ricordare che sia le sottili e rigide punte aghiformi dei cactus che le sporgenze più o meno grosse, carnose e acuminate di alcuni arbusti, come le rose sono tutte spine.
La presenza di spine assume valore difensivo verso gli attacchi dei predatori, ma benché, in generale, queste siano solo un meccanismo di difesa passiva, in alcune specie possono essere vuote e contenere al loro interno sostanze tossiche, urticanti o nocive che possono causare all’aggressore una sofferenza più o meno durevole se non anche una paralisi.”
Le spine
Al di là della metafora, gli adolescenti e i giovani, definiti difficili, si presentano come tante spine pronte a pungere o per una costante difesa o per una voluta offesa verso gli altri.
Di fronte a tutto ciò che ci punge, ci fa del male, ci offende, ci disturba, mettiamo in atto delle strategie immediate di ripulsa, di difesa, di esclusione.
Ma così facendo rischiamo di perdere delle opportunità di relazione emancipante, di crescita reciproca, di gestione della conflittualità, di prospettive educative e innovative.
Per interagire con gli adolescenti “difficili” bisogna superare la barriera del dolore soggettivo e vedere al di là delle spine la rosa, il fusto pieno d’acqua, le funzionalità e i loro bisogni.
Se li ignori, continueranno a lasciarsi travolgere dai loro impulsi di distruggere/distruggersi; se li combatti scendi sul piano della guerra senza quartiere con il risultato di sfiancarti e di essere perdente.
In qualsiasi modo perderai, o perché sarai sconfitto dallo loro “sfacciataggine” o perché non ti curerai del loro malessere.
Abbracciare ciascun giovane che si presenta con le spine, significa non farsi irretire o bloccare nei tentativi di relazioni significative.
Spesso questi adolescenti difficili si presentano con le spine per metterci alla prova, per saggiare la capacità di resistenza e di fiducia d’accordare, per difendersi da un dolore vissuto, per esprimere la rabbia di torti subiti, di frustrazioni o di illusioni svanite nel nulla.
Ogni educatore, come ogni genitore, deve saper superare il dolore ineluttabile della puntura della spina e lo può fare non con la freddezza di un guanto antidolore, ma con un abbraccio caldo e metaforico che annulli le asperità e le apparenti ruvidezze.
ADOLESCENTI DIFFICILI: I COMPORTAMENTI
I cactus li incontriamo nei ragazzi che mentono.
Lo fanno spudoratamente e assiduamente per salvaguardare la propria immagine, la propria autostima. Se fossero sicuri dell’accoglienza non valutativa, seppur correttiva, non avrebbero alcun motivo di mentire.
Ma essi si ritrovano e si ritagliano soltanto angoli e margini della famiglia, della scuola, del gruppo classe e si difendono con il nascondersi, il negarsi come persone, il barare.
Tra di essi ci sono quelli che mentono esibendo un sé grandioso; tentano di colpire la percezione altrui con aneddoti, storie, comportamenti da gradasso.
Lo possono fare maldestramente e vistosamente, a tal punto da essere compatiti, derisi e sopportati, oppure in maniera spaccona, bullesca, fino al punto da essere perseguitati, castigati, esclusi dalle relazioni.
Dietro il sé grandioso si annida la paura di non poter essere stimato così come ci si percepisce;
rimane un tentativo di apparire, di sbalordire, come fa il bambino povero quando accentua il tintinnio dei pochi soldi in tasca.
Se tu ti scagli contro questi comportamenti da mentitore senza coglierne il significato recondito, rimani incastrato da queste spine e non cogli l’acqua del cactus.
Altri ragazzi mentono per nascondere parti del loro sé,.
Come uno spazio privato che non lo si vuole dischiudere a un altro, a un estraneo, a un giudicante.
Nessuno ha loro insegnato che le parti del sé, apparentemente più fragili, contribuiscono a costruire la simpatia che emaniamo dalla nostra persona.
Guai se fossimo perfetti! Saremmo antipatici e odiosi ai più.
Altri, ancora, mentono per abitudine, per stile acquisito; hanno strutturato un falso sé che li induce alla bugia in maniera automatica e impulsiva.
In questo modo, essi si preservano dall’imbarazzo dell’ammissione e dalla vergogna dei loro comportamenti; non provano senso di colpa per la bugia, ma la utilizzano come difesa, come scudo protettivo da eventuali e fantasiose reprimenda.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che rubano.
I bambini piccoli quando si appropriano di oggetti, giochi, cose che non gli appartengono lo fanno proprio per soddisfare il desiderio di possesso, per esprimere senso di invidia e gelosia nei riguardi di qualche compagno che possiede tutto ciò che loro bramano e non hanno.
È una fase evolutiva della crescita dove gradualmente s’impara a saper rinunciare, a non essere più onnipotente, a non ricevere gratificazioni immediate.
A saper posticipare il piacere, la soddisfazione, a saper condividere con gli altri i propri oggetti, a saper accettare di accontentarsi di quello che si ha senza volere a tutti costi possedere la qualsiasi.
È il passaggio dalla fase egocentrica a quella allocentrica, relazionale; è la fase dell’accettazione della realtà che mi circonda, rispetto al senso di onnipotenza con la quale avevo convissuto fino adesso.
Per cui il rubare del bambino non ha lo stesso significato di quello di un adulto; è come se il piccolo si attardasse in questo meraviglioso mondo in cui aveva vissuto ed ora è costretto, suo malgrado, ad abbandonare per un altro dove ci sono dei limiti, delle condivisioni, delle rinunce.
Il rubare degli adolescenti difficili ha un altro significato, più variegato e complesso.
In alcuni può significare la difficoltà che si sperimenta a crescere e doversi basare esclusivamente sulle proprie forze, capacità ; l’appropriazione indebita di oggetti non propri li fa sentire ancora onnipotenti, rispetto a tutto ciò che non riescono a conquistarsi con il proprio sforzo, le proprie attitudini, la propria intelligenza.
Così rubano motorini che non possono comprare, copiano il compito che non riescono a svolgere, si appropriano della bici più in voga che non si possono permettere.
L’oggetto riempie un’assenza di capacità e rimanda indietro la fatica del “doverseli conquistare” con i propri sforzi.
Perché rubano?
Per altri assume un significato simbolico di potenza, destrezza, forza, capacità.
Ci si reputa “bravi e furbi” perché ce se n’è appropriato. L’oggetto rubato diventa, quindi, un trofeo di guerra da esibire e mostrare con orgoglio al gruppo dei pari o alla banda d’appartenenza.
In questo modo si manifesta, anche, un’identità di genere: per i maschi la forza, la nascente virilità e la destrezza del rubare;
per le ragazze il mostrare la propria femminilità con i vestiti, collane e vari oggetti alla moda, anch’essi sottratti agli altri.
Le vittime predilette dell’atto del rubare sono i figli di papà, gli “sfigati”, i ricchi, i secchioni. Sono quei compagni distanti da loro anni luce per impegno, rispetto delle regole, buona educazione.
È come se si volessero vendicare di non poter o voler essere come loro, che sono apprezzati e stimati nel contesto scolastico o sociale dove vivono.
Altri rubano per “partito preso” per “andare contro” qualcuno, contro chi comanda, contro l’adulto che vuole dominare.
L’importante è che, rubando, si cerca la sfida con la legge, con i rappresentanti di essa. In questa sfida c’è la gioia sadica di “farla franca”, di vedere sconfitti tutti quelli che loro non apprezzano e combattono, perché esigenti e diversi.
Questi adolescenti difficili sono figli e schiavi di questa madre società del benessere che se da una parte abbaglia con i sogni del piacere e delle soddisfazioni, dall’altra non ti permette di avere gli strumenti per acquistarli o per prenderne le distanze in maniera matura.
Capire le dinamiche psicologiche che spingono gli adolescenti a rubare, permette all’adulto di intervenire per placare il senso di disfatta che riempie la loro esistenza e per addolcire le loro relazioni interpersonali.
I cactus li incontriamo negli adolescenti difficili che aggrediscono sistematicamente gli altri.
Sono come dei cerberi, protesi ad abbaiare e dilaniare tutto ciò che incontrano e toccano. Il bullo, l’aggressore sistematico tenta di presentarsi da “spaventoso” per non far emergere lo “spaventato” che è.
È una maniera di affermare, con la forza fisica, la propria personalità.
Solamente che questa forza fisica la utilizza contro i più deboli, gli inermi, i pavidi e non con altri di pari età, forza, aggressività.
L’educatore che riesce a far emergere tale senso di inadeguatezza e fragilità psichica, ha la possibilità di recuperare il bullo di turno e porre fine alle varie aggressioni.
I ragazzi bulli sono dei frustrati
sul piano scolastico e tentano di conquistare l’ammirazione con la forza fisica o con i continui pestaggi verso i più deboli.
Le bravate di questi adolescenti difficili servono per scacciare il senso di inadeguatezza in ambito scolastico e recuperare l’immagine di loro stessi.
Ricevendo applausi, sorrisi, connivenze tacite dal pubblico degli astanti, si fregia di una considerazione che riesce a riempire quella poco positiva di studente.
Ogni aggressione realizzata in contesti diversi, fa emergere dei significati che altrimenti verrebbero considerati solamente come comportamenti disturbanti o disturbo da condotta.
Bullismo
Ma il bullismo o le varie aggressioni nel contesto scolastico, denotano che c’è un mancato riconoscimento come ragazzo-studente da parte degli insegnanti, dei compagni e non ultimo da se stesso.
Egli si sente un “pesce fuor d’acqua” e fa di tutto per farsi notare e per debellare il senso di noia e inutilità della sua presenza.
A casa potrebbe attuare le sue forme di aggressioni come per non subire i contraccolpi di disarmonie e separazioni dei propri genitori e lenire il suo dolore.
Attira l’attenzione su di sé, pur di non subire la pesantezza della solitudine del disastro affettivo dei propri genitori.
Con i pari età potrebbe essere sollecitato e sfidato a far emergere ampollosamente la propria identità virile, pena la disistima e l’incapacità a farsi valere in altre modalità e capacità al di fuori della mera brutale forza fisica.
Forza apparente
Quando un ragazzo crede di avere un solo modo per essere stimato all’interno del gruppo dei pari, degli amici, del contesto abitativo, quello di far valere la propria aggressività e forza fisica come virilità, rischia di costruire un fantoccio di uomo inconsapevole dell’emotività, della propria dolcezza e sensibilità.
Quando le aggressioni e i pestaggi avvengono contro i barboni, le persone diversamente abili, gli stranieri, allora emerge il meccanismo psicologico della proiezione.
Si scaricano su queste persone deboli, periferiche, portatrici di qualche difficoltà, le proprie paure, i propri fallimenti, i propri fantasmi.
Le tematiche persecutorie interne alla propria vita si proiettano fuori;
gli aspetti di sé temuti o disprezzati si scaricano nelle figure dei più deboli, nelle minoranze come forma di non appropriazione di queste parti che ineluttabilmente farebbero soffrire.
Gli adolescenti difficili che si divertono a far del male a tali persone, che deridono quelli in difficoltà, che bruciano il clochard di turno che dorme in una panchina del giardino cittadino, fanno emergere il senso di desolazione e di vuoto che li accompagna nella vita.
Sono ragazzi che hanno di bisogno di fermarsi per riflettere e prendere in mano la loro esistenza, per dare un senso ai loro giorni sempre uguali, risanando ferite e riscoprendo il caldo abbraccio di persone che li vogliono bene.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che distruggono tutto ciò che appartiene al pubblico, agli altri e non a loro.
Sono gli adolescenti difficili che camminano e rompono i vetri dei negozi, strisciano le macchine posteggiate, tirano pietre ai lampioni della città, calpestano i fiori delle aiole che adornano le strade.
Lo fanno per noia, per il gusto sadico del distruggere senza alcun motivo o causa scatenante. Essi desiderano lasciare una traccia, un segno del loro passaggio, del loro esserci.
Vogliono lanciare il messaggio che la loro presenza non è evanescente, ma concreta, precisa e vistosa.
Nell’attuare tali comportamenti devianti, essi non hanno la consapevolezza del danno arrecato, delle conseguenze legali a cui vanno incontro; lo fanno per trascuratezza, per esprimere il non senso della loro vita.
Se sporcano i sedili del treno lo fanno con disinvoltura; se danneggiano un edificio lo fanno perché non appartengono a nessuno, come loro non appartengono a questa società.
Se sono ripresi perché urinano per strada davanti alla gente, si arrabbiano maldestramente mandando a quel paese l’incauto passante che si era permesso di far loro notare il comportamento ineducato.
In questo modo gli adolescenti difficili salgono agli onori della cronaca e ottengono quella visibilità che altrimenti non avrebbero per comportamenti consoni alla norma.
Mentre da una parte c’è una vena esibizionistica o aggressiva contro le “cose degli altri”, dall’altra fanno emergere delle motivazioni psicodinamiche che ci permettono di intravedere vuoti e bisogni affettivi non soddisfatti.
Motivazioni
Essi si sentono periferici, di non appartenere al nucleo dove vivono e trascorrono le giornate, di non avere la consapevolezza del loro valore perché trascurati o abbandonati al loro destino.
In queste condizioni di deprivazione affettiva e senso di appartenenza, l’adolescente grida la sua esclusione con la distruzione di tutto ciò che incontra e che maneggia.
E quei pochi momenti di affettività li immortala sui muri scrivendo il proprio amore o che si è innamorati.
Che bisogno ha di farlo sapere a tutti, quando gli altri pari età lo nascondono per paura o per timidezza?
È un’uscita impulsiva e diversa dagli usuali comportamenti distruttivi e induce alla tenerezza per questo ulteriore grido di bisogno di normalità e affettività.
Dietro ogni comportamento disturbante degli adolescenti difficili si trova sempre un vuoto e un bisogno affettivo. Se tali ineludibili esigenze venissero riconosciute e soddisfatte non ci sarebbero ragazzi dediti alla devianza o alla delinquenza.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di quella spasmodica ricerca della perfezione che attanaglia molti ragazzi, e non solo.
Quando parliamo di perfezionismo ci riferiamo a quella tendenza di raggiungere la perfezione, ovviamente ideale, in quanto non esiste. Il fatto che la perfezione non esista, non significa che non dobbiamo applicarci per cercare di raggiungere risultati sempre migliori.
Dare il meglio di se stessi è importante, ma non si deve mai perdere l’aspetto ludico, del piacere e del divertimento, nonché quello umano della vita, soprattutto quando parliamo di bambini e adolescenti in fase di sviluppo.
Devono imparare a sbagliare e a ricavare qualcosa di utile dai propri errori.
Fare tutto bene, secondo dei criteri imposti dall’esterno non aiuta a crescere perché non fa vivere il senso profondo delle cose, non permette di entrare in relazione con l’ambiente e con le persone, spoglia la vita degli aspetti emotivi a favore di un risultato, di un numero o di una posizione.
Il perfezionismo
Il perfezionismo sembra un problema molto frequente e in aumento soprattutto in questa fase storica e purtroppo, è presente fin dalla prima infanzia, a partire dai primi anni di vita.
I più piccoli non sentono solo la pressione sociale, dei familiari, delle loro aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici, ma anche quella social.
Basta fare un giro nei vari social media che troviamo tutorial su come fare qualsiasi cosa “perfetta”. Vuoi fare una festa perfetta? Vuoi fare il regalo perfetto ecc…
Una ricerca della perfezione anche nelle nostre attività quotidiane, come se non si potesse più fare qualcosa di “normale”. Nella vetrina della rete sembrano tutto bravi in qualcosa, tutti capaci, tutti talenti, macchine da like. A volte credo non esistano più bambini “normali”.
Ascolto prettamente genitori che sottolineano di quanto i figli siano bravi e talentuosi in tutto ciò che fanno; difficilmente li sento orgogliosi di ciò che sono i loro bambini.
A cosa può portare questa ricerca del perfezionismo?
Il perfezionismo non deve essere scambiato con la capacità di mettersi in gioco e di migliorarsi: è un DOVER fare alla perfezione, non un VOLER. Spesso il perfezionismo nasce dalle pressioni familiari, da aspettative troppo elevate che i genitori riversano nei confronti dei loro figli. Si origina anche dalla paura di sbagliare, del giudizio e della valutazione di chi ci sta intorno.
Questa ricerca della perfezione non favorisce il piacere di fare le cose e può generare insoddisfazione.
Un bambino o un adolescente non riescono a godersi i risultati ottenuti, pensano di non aver fatto abbastanza anche quando hanno fatto tutto bene.
“Potevo fare meglio”, “Qui non è proprio perfetto”, “ Non è andata come volevo”.
Frasi spesso accompagnate da un po’ di delusione. Così non riescono a vivere ciò che stanno facendo, rischiano di non essere mai contenti e soddisfatti, e di sviluppare con il tempo anche un’ansia da prestazione.
In questo modo si rischia che anche un consiglio venga letto come una critica, può generare frustrazione e un automatico giustificare le proprie azioni. Non ci si accontenta mai, anche quando è andato tutto bene.
Non si prende in considerazione il “poteva andare peggio”, ma si vede solo il “poteva andare meglio”. Quando qualcosa non va per il verso giusto c’è il rischio che venga intaccato l’umore e che l’errore o ciò che la testa legge come tale anche quando non lo è, rimanga un pensiero fisso.
Nei casi più gravi si può andare incontro anche a un blocco, un rifiuto, un impuntarsi, un non voler andare più avanti. A volte preferiscono abbandonare ciò che stanno facendo perché non riescono a gestire le emozioni che si attivano e la paura di sbagliare.
Tutto questo perfezionismo rischia anche di andare a intaccare l’autostima perché possono arrivare a pensare di non essere adeguati e di non essere in grado di fare le cose.
Si può fare senza dover sempre dimostrare. Come devono intervenire gli adulti?
La sfera creativa e del piacere sono spesso messe in secondo piano a discapito di quella del dovere e della riuscita personale che si basa su un metro di giudizio secondo il quale sei realizzato se ottieni voti alti, medaglie, punteggi alti ecc…
I figli non devono vivere nel dimostrare sempre qualcosa per essere riconosciuti. Non sono le prestazioni “perfette” che devono far felice un genitore, è un figlio in equilibrio che deve far felice un padre o una madre.
Puntare alla crescita personale è un insegnamento importante come fargli capire che si devono mettere sempre in gioco senza paura del giudizio.
Nella vita c’è sempre da imparare, non si vale meno rispetto agli altri quando non si è ai massimi livelli. Sono i valori di una persona che arricchiscono. Il rischio è che il perfezionismo diventi patologico.
Dobbiamo porre attenzione quando un figlio perde il piacere nel fare le cose, quando cerca solo il risultato, quando diventa più importate dimostrare piuttosto che provarci e impegnarsi per raggiungere gli obiettivi. Si può migliorare senza pressioni mentali, concentrarsi sul processo, non sul risultato.
Competizione
È importante abbassare le aspettative e le pressioni esterne e puntare maggiormente sui canali espressivi valorizzando l’importanza dell’essere se stessi. La competizione è importante ma deve essere sana. Il confronto con gli altri serve per migliorarsi e per crescere, non va subìto. Non è tutto una gara o una sfida, neanche tra fratelli. Si devono evitare gli inutili confronti e puntare sulla valorizzazione delle risorse interne e delle differenze individuali.
I ragazzi oggi vivono già in una società altamente competitiva dove si respirano in ogni angolo le pressioni sociali e social. A volte serve riequilibrare e abbassare un po’ l’asticella, non si può pensare di essere al top in tutto. È importante lavorare sugli aspetti legati al piacere e al divertimento. Non possono diventare giudici troppo severi di se stessi, non godersi i propri risultati e non essere mai soddisfatti di se stessi.
Se anche voi vi ritrovate in una situazione del genere, se volete aiutare i vostri figli a crescere nel modo corretto
Se avete paura del senso di dovere che hanno e volete aiutarli contattatemi
Ma davvero può essere pericolosa la serie diventata ormai un cult e un caso per ragazzi e bambini?
Buongiorno amici. Oggi parliamo di squid game ed emulazione violenta nei minori.
Squid Game è diventato soprattutto un caso oggetto di polemiche e allarmi da parte delle istituzioni. La denuncia più recente arriva dall’Inghilterra, dalla contea di Bedfordshire.
Il consiglio comunale, a partire dalle segnalazioni del team che si occupa dei programmi di tutela e salvaguardia dell’educazione, ha allertato le famiglie su una serie di casi che hanno coinvolto numerosi minorenni. In una mail rivolta a familiari e tutori legali, riporta il Guardian, hanno consigliato di “tenere gli occhi ben aperti e rimanere vigili”.
LA RAGIONE?
“Il numero crescente di report che registrano un sensibile aumento della percentuale di bambini e adolescenti invischiati in competizioni violente ispirate a Squid Game. Prodotto che, almeno da quanto indicato dal network, sarebbe destinato a un pubblico d’età superiore ai 15 anni”.
Anche dal Belgio la cronaca riporta episodi di percosse tra bambini proprio dopo avere imitato un gioco della famosa serie tv.
In effetti i bambini imparano molto per imitazione e i personaggi che vincono, che hanno un potere sugli altri, attirano molto la loro attenzione, perché essi si percepiscono in una posizione di inferiorità rispetto agli adulti. Se poi i personaggi ‘forti’ vengono proposti in un videogioco dagli stessi adulti, si sentono incoraggiati a imitarne i comportamenti.
La SERIE attira i bambini perché riproduce i giochi tipici dell’ infanzia, come “un, due, tre, stella…”..ma le penitenze di chi perde hanno dei risvolti violenti.
La violenza eccita, mette in circolazione adrenalina, suscita emozioni forti, questo è il motivo per cui la violenza può avere la meglio sulla paura e anche sul senso di pietà nei confronti delle vittime.
Un mix di violenza e impatto visivo. Ricorda un po’ Arancia Meccanica di Kubrick: Il contenuto è quello: violenza esasperata e l’uso della stessa senza una risonanza emotiva.
MA LA COLPA è DA ATRRIBUIRE SOLO ALLA SERIE?
Assolutamente no. E’ un po’ il discorso trito e ritrito del “quello è un satanista perché ascolta metal “…la colpa nn è della serie, della musica, dei film horror.
Davanti scene di questo tipo, e essendo in presenza di minori, i Genitori dovrebbero fare da filtro e spiegare che quelle scene sono rese per attirare l’attenzione, non sono e non devono essere realtà.
I genitori devono aiutare i più piccoli decodificare certi tipi di messaggi.
Non diamo sempre la colpa ad uno spauracchio qualsiasi e diverso a seconda delle situazioni. Prendiamoci le nostre responsabilità.
Buongiorno a tutti:) Oggi parliamo di bambini e cellulari.
Leggevo la notizia di quel bimbo di 11anni che si è suicidato gettandosi dal decimo piano della sua abitazione lasciando un messaggio ai suoi genitori e accennando ad un uomo col cappuccio.
Gli inquirenti stanno indagando sull’accaduto e ipotizzano, tra le altre cose, a un “gioco” online (come la blue whales o qualche creepy pasta americano) che abbia potuto indurre il bimbo a fare quel brutto gesto.
LA TECNOLOGIA E I MINORI
Personalmente sono un’amante e sostenitrricedella tecnologia ma? se ben utilizzata.
Dare in mano ad un bambino un celllare che funge da babysitter quando mamma e papà non hanno tempo è deleterio. Ormai i bambini sono abiliad usare let ecnologie e spesso cadono in luoghi, siti, posti incnsapevoli di quello che possa uccedere.
Sono contro quei genitori che continuano a postare foto dei piccini perché, per quanto una persona possa essere social e amare la tecnologia e internet come modo di comunicazione, deve anche pensare che una foto di questo tipo può essere utilizzata per scopi e da persone che non ne fanno di sicuro un uso…benevolo.
Quanti gruppi di pedofili, se si tratta di bambini. Quante ragazzine che si divertono a fare le donne davanti ad una fotocamera vengono adescate da malintenzionati.
La tecnologia è progresso ma, vi prego, non lasciatela nelle mani di bambini, altamente influenzabili e malleabili psicologicamente parlando. E’ un attimo cadere in un tranello per loro, è facile convincerli a fare cose che non si sognerebbero nemmeno di fare, nella vita reale, per ottenere, forse, un premio, un qualcosa che li attrae.
Cercate sempre di monitorare, nel modo corretto, i vostri figli se minorenni. La loro tutela, la loro educazione e protezione è vostra responsabilità. Sono piccoli grandi uomini e donne che stanno crescendo e senza guida è difficile.
Il mondo di oggi ha molte più insidie e dobbiamo avere gli occhi ben aperti soprattutto nei confronti dei più piccoli.
Se volete, parlatene con me e insieme percorreremo un percorso per …correggere alcuni errori.
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Oggi puntiamo l’attenzione proprio su uno standard sempre più diffuso.
Ciao a tutti:) Parliamo oggi de la famiglia allargata.
Non è raro, oggi, trovare famiglie…così. Molto spesso lavoro conuomini e donne che, una volta separati dal rispettivo marito o moglie scelgono dirifarsi una vita.
E, davanti a loro, trovano una persona che è uan grande sostenitrice di tutto ciò.
Ovviamente, è molto più facile chiudere una porta e riaprirne un’altra, si spera migliore, se non hai figli a carico. Sei solo, devi pensare solo a te stesso. Se hai scelto di cambiare vita e compagno di vita dipende e devi dar conto solo a te stesso.
Ma se così non è? se ci sono dei minori di mezzo?
I FIGLI
Gli errori sostanziali, e i più comuni, sono due: dipendere totalmente dai figli, fregarsene completamente del loro parere e del fatto che stanno con noi.
Io ho estremizzato ma quante persone si trovan in questa situazione e quanti sicomportan esattamente così?
Ho amici, perosne a me care che si sono separate e che hanno figli piccoli o adolescenti. Alcuni si fanno il prolbmea di come fare altri meno altri per nulla.
Errore uno:”nooo, io fin quando i miei figli sono maggiorenni non presento nessuno”…e poi, comunque, hanno relazioni e si comportano come dei ragazzini alla prima cotta perché non vogliono che nessuno veda o senta.
E poi ci sono quellidella second afazione…quelli che si comportano come ragazzini(o ragazzine) fregandosene di quello che un figlio possa pensare di noi edi come ci comportiamo.
CHE FARE
Ovviamentela cosamigliore sta nel mezzo.
Un uomo o una donna separato ha il diritto di rifarsi una vita, che abbia o no un fuglio a carico.Ma bisogna saper gestire a situzione.
Bisogna mettersi nell’ottica che non dobbiamo cadere, a volte succede, in ricatti morali da parte soprattutto dei più grandi ma, d’altro canto, dobbiamo tener conto di loro, sempre.
Pensate solo al fatto che già un figlio deve subire, letteralmente subire, la separazione, lo sfaldamneto della propria famiglia. E ne soffrono. Anche chi non lo da a vedere soffre. E si soffre parecchio perché nessuno vorrebbe una famiglia divisa, nessuno vorrebbe vedere amma è papà divisi, nessuno vorrebbe trovarsi nella situazione di avere due mamme o due papà.
Quindi, vivete sì la vostra vita a rispettate i sentimenti dei vostri ragazzi. Alla fine sta tutto sempre nel dialogo con loro. Ragionate, fate capire cloro che c’è un’altra persona che può rendere felice mamma( o papà) ma questo non cambierà minimamente, e vorrei ben vedere, l’amore che si prova per loro. Nessuno potrà mai cambiare tutto questo nè potrà eliminarlo.
Il discorso su la famiglia allargata potrebbe durare ore. Se avete un problema di questo tipo non esitate a contattarmi.
1992-1997: diploma di liceo linguistico presso l’istituto superiore “Giovanni Falcone” di Bergamo
1997-1998: specializzazione in import-export conseguito presso Enaip Lombardia, Bergamo
2002-2006: laurea in scienze dell’educazione e della formazione col titolo di educatore di comunità, conseguita presso l’università statale di Bergamo
2017: conseguimento dell’attestato di counselling
ESPERIENZE PROFESSIONALI
1999-2000: Impiegata import-export presso Odl spa con la mansione di responsabile commerciale e gestione rapporti con i clienti internazionali e nazionali; articolitsa presso il quotidiano “L’eco di bergamo”.
2006: tirocinio presso la comunità minori di bergamo “a.f.a”. Mansione: accompagnare nella quotidianità gli ospiti minorenni e maggiorenni( maschi), seguirli nei momenti ludici e nelle attività scolastiche ed extra-scolastiche,assistenza alle visite protette con le famiglie degli utenti,accompagnamento alle visite con gli psicologi.
2007-2008: mediatrice familiare , in forma privata con partita iva, presso il domicilio di famiglie; aiuto nel reinserimento scolastico, sociale e lavorativo.
2010-2012: educatrice presso diversi istituti scolastici (scuole medie): assistenza a ragazzi affetti da disturbo dell’attenzione, ragazzi provenienti da comunità di minori vittime di abbandoni e abusi, assistenza a minori con situazioni familiari complesse( alcolismo, genitore in carcere, indigenze).assistenza a ragazzi con difficile background familiare e con problemi di iperattività e ansie da prestazione.assistenza quotidiana a ragazzi con difficoltà nell’attenzione e contenimenti comportamentali all’interno del gruppo classe.
2013-2014: a.d.m. (assistenza domiciliare minori) in forma privata presso famiglie in situazioni di disagio e complesso rapporto genitori/figli
2014-2016: esperienza editoriale presso “blasting news”.
2018-2019: educatrice presso la cooperativa “Universiis” di Bolgare: adm presso il domicilio di famiglie sotto decreto emesso dal tribunale dei minori di Brescia; incontri protetti tra minori e genitore
ad oggi: mediatrice familiare; esperta in disagi minorili e familiari; assistenza adolescenti e pre adolescenti in momenti difficili; assistenza, minori e non, scolastica con insegnamento di un efficace metodo di studio(per scuole medie, superiori e università).
LINGUE CONOSCIUTE
Inglese: ottimo scritto e orale
Francese: ottimo scritto e orale
Tedesco: livello scolastico scritto e orale
CAPACITà E COMPETENZE SOCIALI
Ottime capacità relazionali con colleghi e utenti;capacità di entrare nei vissuti e di empatizzare con ragazzi e genitori ; assistenza lavorativa,reinserimento sociale e assistenza scolastica ragazzi stranieri;capacità di interpretare i linguaggi del corpo; capacità di interagire con ragazzi e famiglie per mediare rapporto tra questi;utilizzo giochi di ruolo per comprendere difficoltà relazionali dei ragazzi. Capacità di mediare scontri verbali tra ragazzi all’interno del gruppo classe. Guida al dialogo.
Utilizzo delle passioni più grandi, musica e arte pittorica, come mezzo di comunicazione non verbale.
Insieme possiamo superare le difficoltà. La vita è un bene prezioso, da vivere attimo per attimo.Se hai bisogno di me contattami, posso aiutarti.Avrai il supporto di cui hai bisogno.
Buongiorno a tutti. Questa è la homepage del mio sito, Qui mi presento e vi spiego di cosa mi occupo, del supporto che offro e della mia esperienza con famiglie e minori.
Mi chiamo Maria Teresa e sono un’educatrice esperta in problemi legati all’adolescenza, alle mille problematiche che caratterizzano questo periodo delicato della vita non solo i diretti interessati ma anche delle famiglie.
FAMIGLIE E RAGAZZI A SCUOLA
Ho aiutato famiglie in situazioni di forte disagio; ho aiutato genitori e figli a ritrovare un dialogo, un rapporto che sembrava ormai perso.
Molta della mia esperienza l’ho maturata in comunità di minori vittime di violenze e abbandoni,in scuole di ogni grado di istruzione affiancando ragazzi con alle spalle delle situazioni familiari molto complesse.
Ragazzi che provenivano da comunità che non avevano nessuno. C’era chi era affetto da disturbi dell’attenzione che, quindi, avevano difficoltà a prestare attenzione all’interno della classe disturbando l’operato di insegnanti e compagni.
Altri non riuscivano a interagire nel modo corretto con i coetanei, che non riuscivano ad esprimere nel modo corretto i loro pensieri, bullizzati o semplicemente timorosi.
Altri ancora che avevano bisogno di sostegno, iperattivi, con ansie da prestazione che, poi, si riflettevano anche nella vita personale.
ESPERIENZA IN TUTELA MINORI
Ho lavorato, in tutela minori, presso cooperative sociali svolgendo a.d.m. (assistenze domiciliari minori presso famiglie sotto decreto emesso dal tribunale dei minori, nel mio caso Brescia) e svolto molti incontri protetti tra minori e genitore o intero nucleo familiare allontanato da loro. Ho collaborato con avvocati, con famiglie affidatarie e con minori, e non, vittime di dipendenze, che fossero di droga, di alcool o di gioco.
Il mio bagaglio di esperienze è vasto. Ma io non vedo quello di educatrice un semplice lavoro. La mia, come ho sempre detto, è una vera e propria missione.
L’EMPATIA, BASE DEL MIO OPERARE
Con le famiglie e con i ragazzi riesco ad instaurare un legame particolare che dura negli anni, anche dopo aver concluso il percorso professionale.Non solo supporto lavorativamente parlando ma la mia è una vera missione: aiutare gli altri.
Il mio approccio è empatico. Ho basato la mia professione e la mia vita su questa bellissima qualità, caratteristica. Empatizzare significa entrare nei vissuti non solo delle persone che ti chiedono aiuto ma anche delle persone che ti stanno accanto.
ARTE, MUSICA E MIMICA
Nel mio percorso di formazione, ma anche per puro interesse personale che mi ha portato a tenermi costantemente aggiornata sull’argomento, rientra anche lo studio del linguaggio del corpo, della mimica facciale involontaria, dell’intonazione della voce per poter capire davvero a fondo chi ho davanti, anche senza dire una parola. Il detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima” non sapete quanto è vero.
Ho studiato per anni in conservatorio, pianoforte, e la musica, spesso, la uso come una forma di comunicazione, un’ennesima. E’ un linguaggio universale che ti permette di esprimere quello che, a volte, a parole non riusci a fare. Un ottimo supporto alternativo.
Dipingo e anche l’arte pittorica è comunicazione. Sono tutti linguaggi non verbali ma che nascondono un mondo, il mondo interiore complesso ma estremamente affascinante di ognuno di noi.
METODO DI STUDIO EFFICACE E…GIOCHI DI RUOLO
E, infine, ultimo ma non per importanza, insegno a ragazzi dalle scuole medie fino all’università, un metodo di studio efficace per poter superare esami, verifiche, accessibile davvero a tutti.
Lo sapete cosa sono i giochi di ruolo? Ecco, uno dei progetti che spesso ho cercato di presentare alle scuole è proprio quello dei giochi di ruolo, utilissimo per conoscere le difficoltà nascoste dei ragazzi, per cooperare, per imparare a relazionarsi e ad affrontare le piccoli grandi paure. Non a caso, i giochi di ruolo sono spesso utilizzati dalle aziende per il team building .
Gli orari e il modo per contattarmi li trovate nella sezione “Contatti”. Io sono qui, se avete bisogno di un aiuto concreto che non sia solo fatto di parole chiamatemi, sono qui per voi.
Insieme possiamo risolvere tutto. La vita va vissuta in ogni piccolo istante.
Chi sono: sezione dedicata al curriculum professionale ed esperienze lavorative della dottoressa Napolitano.
DR.SSA MARIA TERESANAPOLITANO
CURRICULUM
ISTRUZIONE E FORMAZIONE
1992-1997: diploma di liceo linguistico presso l’istituto superiore “Giovanni Falcone” di Bergamo
1997-1998: specializzazione in import-export conseguito presso Enaip Lombardia, Bergamo
2002-2006: laurea in scienze dell’educazione e della formazione col titolo di educatore di comunità, conseguita presso l’università statale di Bergamo
2017: conseguimento dell’attestato di counselling
ESPERIENZE PROFESSIONALI
1999-2000: Impiegata import-export presso Odl spa con la mansione di responsabile commerciale e gestione rapporti con i clienti internazionali e nazionali;in seguito, articolista presso il quotidiano “L’eco di bergamo”.
2006: tirocinio presso la comunità minori di bergamo “a.f.a”. Mansione: accompagnare nella quotidianità gli ospiti minorenni e maggiorenni( maschi), seguirli nei momenti ludici e nelle attività scolastiche ed extra-scolastiche,assistenza alle visite protette con le famiglie degli utenti,accompagnamento alle visite con gli psicologi.
2007-2008: mediatrice familiare , in forma privata con partita iva, presso il domicilio di famiglie; aiuto nel reinserimento scolastico, sociale e lavorativo.
2010-2012: educatrice presso diversi istituti scolastici (scuole medie): assistenza a ragazzi affetti da disturbo dell’attenzione, ragazzi provenienti da comunità di minori vittime di abbandoni e abusi, assistenza a minori con situazioni familiari complesse( alcolismo, genitore in carcere, indigenze); e ancora,assistenza a ragazzi con difficile background familiare e con problemi di iperattività e ansie da prestazione.assistenza quotidiana a ragazzi con difficoltà nell’attenzione e contenimenti comportamentali all’interno del gruppo classe.
2013-2014: a.d.m. (assistenza domiciliare minori) in forma privata presso famiglie in situazioni di disagio e complesso rapporto genitori/figli
2014-2016: esperienza editoriale presso “blasting news”.
2018-2019: educatrice presso la cooperativa “Universiis” di Bolgare: adm presso il domicilio di famiglie sotto decreto emesso dal tribunale dei minori di Brescia; incontri protetti tra minori e genitore
ad oggi: mediatrice familiare; esperta in disagi minorili e familiari; assistenza adolescenti e pre adolescenti in momenti difficili; assistenza, minori e non, scolastica con insegnamento di un efficace metodo di studio(per scuole medie, superiori e università).
LINGUE CONOSCIUTE
Inglese: ottimo scritto e orale
Francese: ottimo scritto e orale
Tedesco: livello scolastico scritto e orale
CAPACITà E COMPETENZE SOCIALI
Ottime capacità relazionali con colleghi e utenti;capacità di entrare nei vissuti e di empatizzare con ragazzi e genitori ; assistenza lavorativa,reinserimento sociale e assistenza scolastica ragazzi stranieri;capacità di interpretare i linguaggi del corpo; capacità di interagire con ragazzi e famiglie per mediare rapporto tra questi;utilizzo giochi di ruolo per comprendere difficoltà relazionali dei ragazzi. Capacità di mediare scontri verbali tra ragazzi all’interno del gruppo classe. Guida al dialogo.
Utilizzo delle passioni più grandi, musica e arte pittorica, come mezzo di comunicazione non verbale.