Buongiorno amici. Oggi parliamo di estate e amori adolescenziali.
L’estate è solitamente il periodo in cui i figli adolescenti trascorrono più tempo con gli amici, conoscono persone nuove e iniziano a sperimentarsi nelle prime storielle d’amore.
Ed ecco che chiedono di uscire sempre di più, trascorrono ore al telefono chiusi in camera, sono distratti, sorridenti e con la testa tra le nuvole.
I primi amori rappresentano esperienze molto importanti per i ragazzi, che si muovono verso un maggiore distacco dalla famiglia per mettersi in gioco anche nelle relazioni affettive, che creeranno il terreno per i rapporti sentimentali futuri.
Anche se si tratta di relazioni spesso di breve durata o sembrano basarsi su aspetti più “superficiali”, sono vissuti dai ragazzi in maniera molto intensa.
In quel momento, l’adolescente è preso da un turbinio di sensazioni ed emozioni nuove ed è completamente preso dall’altra persona.
I genitori spesso fanno fatica ad accettare che i figli siano cresciuti e, vederli alle prese con i primi innamoramenti, diventa per loro fonte di ansia e preoccupazione.
Come comportarsi con i figli? 8 consigli utili- estate e amori adolescenziali
1. NON SIATE INVADENTI.
Cercate di non fargli l’interrogatorio e non tradite assolutamente la loro fiducia, controllandogli smartphone, pc o tablet, altrimenti si chiuderanno completamente e non vi racconteranno più nulla, finendo col fare le cose di nascosto.
È normale che all’inizio i ragazzi vogliano tenere segreto un momento così importante e per i genitori può essere difficile accettare che i figli non vogliano farli entrare, ma è importante che rispettiate questa esigenza, per far sì che siano loro ad aprirsi gradualmente.
2. NON SMINUITE I LORO SENTIMENTI.
Se li vedete presi da questa situazione, mettetevi nei loro panni per capire quello che stanno vivendo.
Non fate battutine sarcastiche, prendendoli in giro o rovinandogli tutto con frasi del tipo “figurati, sai quante storie d’amore che avrai”, “goditi la vita, è troppo presto”.
In questo modo, sentono di non essere compresi dal genitore che, piuttosto che rispettare questo momento per loro unico, si pone in una posizione ostile e di distanza.
3. RISPETTATE LA LORO RISERVATEZZA.
Non andate a raccontare in giro, ai parenti o agli amici, che si sono fidanzati, spettegolando alle loro spalle, perché si sentiranno violati, perderanno fiducia in voi e inizieranno a tenervi nascoste le cose.
Si tratta di un’esperienza personale, di un loro spazio intimo, quindi, a meno che non siano loro ad autorizzarvi, rispettateli da questo punto di vista.
4. CREATE UN CLIMA DI FIDUCIA.
Se riuscite a mantenere la giusta distanza e coltivate con loro un clima di fiducia e rispetto, saranno loro ad avvicinarsi, perché si sentiranno liberi di comunicare i loro sentimenti.
In questo modo, potete fungere anche da contenitore delle loro emozioni quando sono tristi, litigano o la storia finisce, facendoli sentire sostenuti e capiti.
Se si confidano o vi chiedono un consiglio, non vi ponete come se voi sapeste tutto: “devi fare così”, “dammi retta”, ma fateli parlare e portateli a riflettere.
Solo così li aiuterete a crescere e ad imparare dalle esperienze.
5. NON SIATE GELOSI.
Non entrate in competizione con il/la fidanzatino/a, con frasi del tipo “ormai non stai più con noi, pensi solo a lui/lei”, “noi non contiamo più nulla”.
È normale che, in quel momento, la loro priorità sia un’altra, quindi, cercate di essere comprensivi, senza caricarli di un peso o facendoli sentire in colpa.
È importante che si sentano liberi di vivere le proprie emozioni, senza la paura di poter far soffrire il genitore, altrimenti si rischia che non vi dicano più la verità rispetto a quello che fanno.
6. MANTENETE REGOLE E CONFINI.
Non dovete diventare neanche confidenti intimi, come se foste gli amici, perché i figli hanno comunque bisogno di adulti di riferimento.
È importante che le regole ci siano, anche se sono ridimensionate in base alle nuove esigenze, come l’utilizzo del telefono, gli orari di rientro, la presenza del/la fidanzatino/a in casa, ecc.
Se notate che col tempo, continuano a restare assorbiti dalla storia, perdendo di vista le priorità, cercate di ridimensionare, facendogli capire che è importante viversi le relazioni ma senza escludere altre aree della vita.
7. PARLATE CON LORO DELLA SESSUALITA’.
Cercate di non aspettare il momento della prima relazione, per parlare con i figli di sesso perché è un percorso che andrebbe iniziato sin da quando sono piccoli, utilizzando un linguaggio appropriato per ogni età.
Per moltissimi genitori, questo argomento è un tabù ma è bene superare l’imbarazzo e affrontarlo insieme, altrimenti i figli riceveranno soltanto le informazioni distorte dai coetanei e dalla rete.
8. EDUCATELI DA UN PUNTO DI VISTA AFFETTIVO.
Non limitatevi soltanto alle raccomandazioni rispetto all’uso di contraccettivi, per evitare gravidanze indesiderate e malattie sessuali ma parlate anche degli aspetti positivi legati all’intimità.
Accompagnateli in un’educazione sentimentale che trasmetta valori, come il rispetto di sé e dell’altro, della dignità e dell’intimità, per vivere rapporti sani e tutelarsi da esperienze potenzialmente distruttive.
Cercate di non lasciarli soli in questo perché purtroppo sono tanti gli adolescenti che, senza accorgersene, restano incastrati in relazioni basate sul controllo, sul possesso e sulla violenza!
Spero che parlare di estate e amori adolescenziali vi sia stato di aiuto.
E se avete bisogno del mio aiuto non esitate a contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
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e sulla piattaforma di huknow dove potete prenotare uan consulenza.
Chi sono? come comportarsi? Cerchiamo di comprenderli
Buongiorno amici. Oggi occupiamoci di quelli che vengono definiti adolescenti difficili.
Chi sono
L’ottimista vede la rosa e non le spine;
il pessimista si fissa sulle spine, dimenticandosi della rosa.
Khalil Gibran
“Una spina è una rigida protuberanza, appuntita e spesso lacerante, che fuoriesce dalla superficie di numerose piante.
È bene ricordare che sia le sottili e rigide punte aghiformi dei cactus che le sporgenze più o meno grosse, carnose e acuminate di alcuni arbusti, come le rose sono tutte spine.
La presenza di spine assume valore difensivo verso gli attacchi dei predatori, ma benché, in generale, queste siano solo un meccanismo di difesa passiva, in alcune specie possono essere vuote e contenere al loro interno sostanze tossiche, urticanti o nocive che possono causare all’aggressore una sofferenza più o meno durevole se non anche una paralisi.”
Le spine
Al di là della metafora, gli adolescenti e i giovani, definiti difficili, si presentano come tante spine pronte a pungere o per una costante difesa o per una voluta offesa verso gli altri.
Di fronte a tutto ciò che ci punge, ci fa del male, ci offende, ci disturba, mettiamo in atto delle strategie immediate di ripulsa, di difesa, di esclusione.
Ma così facendo rischiamo di perdere delle opportunità di relazione emancipante, di crescita reciproca, di gestione della conflittualità, di prospettive educative e innovative.
Per interagire con gli adolescenti “difficili” bisogna superare la barriera del dolore soggettivo e vedere al di là delle spine la rosa, il fusto pieno d’acqua, le funzionalità e i loro bisogni.
Se li ignori, continueranno a lasciarsi travolgere dai loro impulsi di distruggere/distruggersi; se li combatti scendi sul piano della guerra senza quartiere con il risultato di sfiancarti e di essere perdente.
In qualsiasi modo perderai, o perché sarai sconfitto dallo loro “sfacciataggine” o perché non ti curerai del loro malessere.
Abbracciare ciascun giovane che si presenta con le spine, significa non farsi irretire o bloccare nei tentativi di relazioni significative.
Spesso questi adolescenti difficili si presentano con le spine per metterci alla prova, per saggiare la capacità di resistenza e di fiducia d’accordare, per difendersi da un dolore vissuto, per esprimere la rabbia di torti subiti, di frustrazioni o di illusioni svanite nel nulla.
Ogni educatore, come ogni genitore, deve saper superare il dolore ineluttabile della puntura della spina e lo può fare non con la freddezza di un guanto antidolore, ma con un abbraccio caldo e metaforico che annulli le asperità e le apparenti ruvidezze.
ADOLESCENTI DIFFICILI: I COMPORTAMENTI
I cactus li incontriamo nei ragazzi che mentono.
Lo fanno spudoratamente e assiduamente per salvaguardare la propria immagine, la propria autostima. Se fossero sicuri dell’accoglienza non valutativa, seppur correttiva, non avrebbero alcun motivo di mentire.
Ma essi si ritrovano e si ritagliano soltanto angoli e margini della famiglia, della scuola, del gruppo classe e si difendono con il nascondersi, il negarsi come persone, il barare.
Tra di essi ci sono quelli che mentono esibendo un sé grandioso; tentano di colpire la percezione altrui con aneddoti, storie, comportamenti da gradasso.
Lo possono fare maldestramente e vistosamente, a tal punto da essere compatiti, derisi e sopportati, oppure in maniera spaccona, bullesca, fino al punto da essere perseguitati, castigati, esclusi dalle relazioni.
Dietro il sé grandioso si annida la paura di non poter essere stimato così come ci si percepisce;
rimane un tentativo di apparire, di sbalordire, come fa il bambino povero quando accentua il tintinnio dei pochi soldi in tasca.
Se tu ti scagli contro questi comportamenti da mentitore senza coglierne il significato recondito, rimani incastrato da queste spine e non cogli l’acqua del cactus.
Altri ragazzi mentono per nascondere parti del loro sé,.
Come uno spazio privato che non lo si vuole dischiudere a un altro, a un estraneo, a un giudicante.
Nessuno ha loro insegnato che le parti del sé, apparentemente più fragili, contribuiscono a costruire la simpatia che emaniamo dalla nostra persona.
Guai se fossimo perfetti! Saremmo antipatici e odiosi ai più.
Altri, ancora, mentono per abitudine, per stile acquisito; hanno strutturato un falso sé che li induce alla bugia in maniera automatica e impulsiva.
In questo modo, essi si preservano dall’imbarazzo dell’ammissione e dalla vergogna dei loro comportamenti; non provano senso di colpa per la bugia, ma la utilizzano come difesa, come scudo protettivo da eventuali e fantasiose reprimenda.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che rubano.
I bambini piccoli quando si appropriano di oggetti, giochi, cose che non gli appartengono lo fanno proprio per soddisfare il desiderio di possesso, per esprimere senso di invidia e gelosia nei riguardi di qualche compagno che possiede tutto ciò che loro bramano e non hanno.
È una fase evolutiva della crescita dove gradualmente s’impara a saper rinunciare, a non essere più onnipotente, a non ricevere gratificazioni immediate.
A saper posticipare il piacere, la soddisfazione, a saper condividere con gli altri i propri oggetti, a saper accettare di accontentarsi di quello che si ha senza volere a tutti costi possedere la qualsiasi.
È il passaggio dalla fase egocentrica a quella allocentrica, relazionale; è la fase dell’accettazione della realtà che mi circonda, rispetto al senso di onnipotenza con la quale avevo convissuto fino adesso.
Per cui il rubare del bambino non ha lo stesso significato di quello di un adulto; è come se il piccolo si attardasse in questo meraviglioso mondo in cui aveva vissuto ed ora è costretto, suo malgrado, ad abbandonare per un altro dove ci sono dei limiti, delle condivisioni, delle rinunce.
Il rubare degli adolescenti difficili ha un altro significato, più variegato e complesso.
In alcuni può significare la difficoltà che si sperimenta a crescere e doversi basare esclusivamente sulle proprie forze, capacità ; l’appropriazione indebita di oggetti non propri li fa sentire ancora onnipotenti, rispetto a tutto ciò che non riescono a conquistarsi con il proprio sforzo, le proprie attitudini, la propria intelligenza.
Così rubano motorini che non possono comprare, copiano il compito che non riescono a svolgere, si appropriano della bici più in voga che non si possono permettere.
L’oggetto riempie un’assenza di capacità e rimanda indietro la fatica del “doverseli conquistare” con i propri sforzi.
Perché rubano?
Per altri assume un significato simbolico di potenza, destrezza, forza, capacità.
Ci si reputa “bravi e furbi” perché ce se n’è appropriato. L’oggetto rubato diventa, quindi, un trofeo di guerra da esibire e mostrare con orgoglio al gruppo dei pari o alla banda d’appartenenza.
In questo modo si manifesta, anche, un’identità di genere: per i maschi la forza, la nascente virilità e la destrezza del rubare;
per le ragazze il mostrare la propria femminilità con i vestiti, collane e vari oggetti alla moda, anch’essi sottratti agli altri.
Le vittime predilette dell’atto del rubare sono i figli di papà, gli “sfigati”, i ricchi, i secchioni. Sono quei compagni distanti da loro anni luce per impegno, rispetto delle regole, buona educazione.
È come se si volessero vendicare di non poter o voler essere come loro, che sono apprezzati e stimati nel contesto scolastico o sociale dove vivono.
Altri rubano per “partito preso” per “andare contro” qualcuno, contro chi comanda, contro l’adulto che vuole dominare.
L’importante è che, rubando, si cerca la sfida con la legge, con i rappresentanti di essa. In questa sfida c’è la gioia sadica di “farla franca”, di vedere sconfitti tutti quelli che loro non apprezzano e combattono, perché esigenti e diversi.
Questi adolescenti difficili sono figli e schiavi di questa madre società del benessere che se da una parte abbaglia con i sogni del piacere e delle soddisfazioni, dall’altra non ti permette di avere gli strumenti per acquistarli o per prenderne le distanze in maniera matura.
Capire le dinamiche psicologiche che spingono gli adolescenti a rubare, permette all’adulto di intervenire per placare il senso di disfatta che riempie la loro esistenza e per addolcire le loro relazioni interpersonali.
I cactus li incontriamo negli adolescenti difficili che aggrediscono sistematicamente gli altri.
Sono come dei cerberi, protesi ad abbaiare e dilaniare tutto ciò che incontrano e toccano. Il bullo, l’aggressore sistematico tenta di presentarsi da “spaventoso” per non far emergere lo “spaventato” che è.
È una maniera di affermare, con la forza fisica, la propria personalità.
Solamente che questa forza fisica la utilizza contro i più deboli, gli inermi, i pavidi e non con altri di pari età, forza, aggressività.
L’educatore che riesce a far emergere tale senso di inadeguatezza e fragilità psichica, ha la possibilità di recuperare il bullo di turno e porre fine alle varie aggressioni.
I ragazzi bulli sono dei frustrati
sul piano scolastico e tentano di conquistare l’ammirazione con la forza fisica o con i continui pestaggi verso i più deboli.
Le bravate di questi adolescenti difficili servono per scacciare il senso di inadeguatezza in ambito scolastico e recuperare l’immagine di loro stessi.
Ricevendo applausi, sorrisi, connivenze tacite dal pubblico degli astanti, si fregia di una considerazione che riesce a riempire quella poco positiva di studente.
Ogni aggressione realizzata in contesti diversi, fa emergere dei significati che altrimenti verrebbero considerati solamente come comportamenti disturbanti o disturbo da condotta.
Bullismo
Ma il bullismo o le varie aggressioni nel contesto scolastico, denotano che c’è un mancato riconoscimento come ragazzo-studente da parte degli insegnanti, dei compagni e non ultimo da se stesso.
Egli si sente un “pesce fuor d’acqua” e fa di tutto per farsi notare e per debellare il senso di noia e inutilità della sua presenza.
A casa potrebbe attuare le sue forme di aggressioni come per non subire i contraccolpi di disarmonie e separazioni dei propri genitori e lenire il suo dolore.
Attira l’attenzione su di sé, pur di non subire la pesantezza della solitudine del disastro affettivo dei propri genitori.
Con i pari età potrebbe essere sollecitato e sfidato a far emergere ampollosamente la propria identità virile, pena la disistima e l’incapacità a farsi valere in altre modalità e capacità al di fuori della mera brutale forza fisica.
Forza apparente
Quando un ragazzo crede di avere un solo modo per essere stimato all’interno del gruppo dei pari, degli amici, del contesto abitativo, quello di far valere la propria aggressività e forza fisica come virilità, rischia di costruire un fantoccio di uomo inconsapevole dell’emotività, della propria dolcezza e sensibilità.
Quando le aggressioni e i pestaggi avvengono contro i barboni, le persone diversamente abili, gli stranieri, allora emerge il meccanismo psicologico della proiezione.
Si scaricano su queste persone deboli, periferiche, portatrici di qualche difficoltà, le proprie paure, i propri fallimenti, i propri fantasmi.
Le tematiche persecutorie interne alla propria vita si proiettano fuori;
gli aspetti di sé temuti o disprezzati si scaricano nelle figure dei più deboli, nelle minoranze come forma di non appropriazione di queste parti che ineluttabilmente farebbero soffrire.
Gli adolescenti difficili che si divertono a far del male a tali persone, che deridono quelli in difficoltà, che bruciano il clochard di turno che dorme in una panchina del giardino cittadino, fanno emergere il senso di desolazione e di vuoto che li accompagna nella vita.
Sono ragazzi che hanno di bisogno di fermarsi per riflettere e prendere in mano la loro esistenza, per dare un senso ai loro giorni sempre uguali, risanando ferite e riscoprendo il caldo abbraccio di persone che li vogliono bene.
I cactus li incontriamo nei ragazzi che distruggono tutto ciò che appartiene al pubblico, agli altri e non a loro.
Sono gli adolescenti difficili che camminano e rompono i vetri dei negozi, strisciano le macchine posteggiate, tirano pietre ai lampioni della città, calpestano i fiori delle aiole che adornano le strade.
Lo fanno per noia, per il gusto sadico del distruggere senza alcun motivo o causa scatenante. Essi desiderano lasciare una traccia, un segno del loro passaggio, del loro esserci.
Vogliono lanciare il messaggio che la loro presenza non è evanescente, ma concreta, precisa e vistosa.
Nell’attuare tali comportamenti devianti, essi non hanno la consapevolezza del danno arrecato, delle conseguenze legali a cui vanno incontro; lo fanno per trascuratezza, per esprimere il non senso della loro vita.
Se sporcano i sedili del treno lo fanno con disinvoltura; se danneggiano un edificio lo fanno perché non appartengono a nessuno, come loro non appartengono a questa società.
Se sono ripresi perché urinano per strada davanti alla gente, si arrabbiano maldestramente mandando a quel paese l’incauto passante che si era permesso di far loro notare il comportamento ineducato.
In questo modo gli adolescenti difficili salgono agli onori della cronaca e ottengono quella visibilità che altrimenti non avrebbero per comportamenti consoni alla norma.
Mentre da una parte c’è una vena esibizionistica o aggressiva contro le “cose degli altri”, dall’altra fanno emergere delle motivazioni psicodinamiche che ci permettono di intravedere vuoti e bisogni affettivi non soddisfatti.
Motivazioni
Essi si sentono periferici, di non appartenere al nucleo dove vivono e trascorrono le giornate, di non avere la consapevolezza del loro valore perché trascurati o abbandonati al loro destino.
In queste condizioni di deprivazione affettiva e senso di appartenenza, l’adolescente grida la sua esclusione con la distruzione di tutto ciò che incontra e che maneggia.
E quei pochi momenti di affettività li immortala sui muri scrivendo il proprio amore o che si è innamorati.
Che bisogno ha di farlo sapere a tutti, quando gli altri pari età lo nascondono per paura o per timidezza?
È un’uscita impulsiva e diversa dagli usuali comportamenti distruttivi e induce alla tenerezza per questo ulteriore grido di bisogno di normalità e affettività.
Dietro ogni comportamento disturbante degli adolescenti difficili si trova sempre un vuoto e un bisogno affettivo. Se tali ineludibili esigenze venissero riconosciute e soddisfatte non ci sarebbero ragazzi dediti alla devianza o alla delinquenza.
vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto , potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Anche per bimbi e adolescenti:le richieste del consiglio d’Europa.
Buongiorno amici. Oggi parliamo del cambio sesso e delle richieste fatte dal consiglio d’Europa per consentirlo anche a bambini e adolescenti.
Il monito agli Stati membri è contenuto in un rapporto che invita ad agevolare il cambio di sesso anche per i minori e rimuovere l’obbligo di scegliere il genere nei documenti.
il Consiglio d’Europa ha anche suggerito di rimuovere l’obbligo di scegliere tra genere femminile e maschile per l’identificazione sui documenti.
Ideologie
Continuano le battaglie ideologiche in Europa e dopo le ragazze velate scelte come simbolo per i giovani europei, ecco che si avanzano anche proposte per agevolare il cambio di sesso nei giovani minorenni.
Il documento è piuttosto particolareggiato in tal senso e invita gli Stati ad abolire la necessità di sottoporsi a qualsiasi trattamento medico, compresa la sterilizzazione, prima di poter cambiare sesso.
La transizione è un processo altamente complesso, che per la legge dev’essere effettuato dietro strettissimo controllo medico e psicologico, al quale si arriva solamente dopo la certezza che quello è ciò che realmente la persona desidera.
E queste sono mere valutazioni mediche e psicologiche, che non possono essere allentate per la salute dello stesso individuo.
Parliamone
Conosco, da amica e da dottoressa, e sono stata vicino a persone che hanno compiuto questo importante passo.
E no ragzzi, non è facile sia da un punto di vista fisico poiché non tutti riescono a sostenere le cure ormonali e sono costretti ad interrompere.
Sia da un punto di vista psicologico.
Chid ecide di compiere questo passo è cosnaevole che non si può più tornare indietro e, appunto, bisogna volerlo davvero.
Adolescenti
Ammro ch lof a perché, arrivati a questo pnto, si ha la necessità da cambiare vita, di vivere la vita che si ha sempre desiderato da che si è bambini.
Ma queste decisioni sonos empre prese da adulti e, comunque, seguiti da professionisti come me, psicologi, medici.
Vi dico la mia. Gli adoelscenti sono in piena fase dic ambiamento, a 360°. Cambiano idea da un giorno all’altro su tutto…da un’ora all’altra.
Giusto e doveroso perché, apunto, stanno cercando la loro strada, stanno diventando adulti ma non hanno ancora la giusta capacità analitica e critica per poter prendere delle decisioni troppo grandi.
Un po’ azzardato, quindi, lasciar libero arbitrio, su questo tema, a ragazzi in crescta, figuriamoci a dei bambini.
Voi come la pensate sulla richiesta dell’europa riguardo alc ambios esso per i minori?
Io vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto per ritrovare la serenità con voi stessi of amiare potete contattarmi nella sezione contatti e consulenze del sito
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di fomo estiva, ossia la paura dei ragazzi di essere tagliati fuori durante le vacanza.
Durante le vacanze, in cui si dovrebbe pensare a divertirsi e a trascorrere momenti di condivisione con la famiglia e con gli amici, gli effetti della FOMO potrebbero prendere il sopravvento.
Non a caso è proprio in questo periodo che molti adolescenti fanno più fatica a staccarsi dalla tecnologia.
Fomo
I ragazzi, sono in pausa dalla scuola, hanno più tempo libero a disposizione, per cui sono ancora più spinti a controllare cosa stanno facendo gli altri e venire a contatto.
Foto di persone felici che si riuniscono con parenti e amici, che trascorrono vacanze da sogno, che escono e fanno attività divertenti con i coetanei.
I sentimenti di ansia, isolamento e solitudine colpiscono in particolare i ragazzi con bassa autostima e maggiore insicurezza, i quali dimenticano spesso quanto sui social network le apparenze possano ingannare.
La F.O.M.O.
Fear of Missing Out, letteralmente la “paura di essere tagliati fuori”, è una condizione patologica che emerge nel momento in cui si è impossibilitati a controllare cosa stanno facendo i propri contatti online oppure quando non si visualizzano gli aggiornamenti di profilo o nuove condivisioni.
Si riferisce alla preoccupazione eccessiva e ossessiva di potersi perdere gli aggiornamenti, ma anche all’ansia e all’invidia che gli altri facciano esperienze gratificanti nelle quali non si è presenti o coinvolti direttamente.
La FOMO evidenzia uno stato di ansia sociale caratterizzato dal bisogno di controllare ripetutamente i profili social e le chat alla ricerca di aggiornamenti e notizie per essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo.
Rappresenta un comportamento automatico che, se non soddisfatto, può causare uno stato di sofferenza, una vera e propria “crisi di astinenza”.
Genitori
I genitori devono fare attenzione perché si tratta di una condizione presente soprattutto tra i giovani, dove il bisogno di appartenenza e la paura di essere esclusi dal gruppo sono amplificati dai social network .
Quali sono i segnali d’allarme della FOMO?
– Controllare e monitorare costantemente lo smartphone, in particolare l’attività degli amici e dei familiari sui vari social network;
– ritardare il momento in cui si va a dormire per visualizzare in tempo reale, anche durante la notte, i vari aggiornamenti;
– avere la sensazione che si sta perdendo qualcosa di quello che sta succedendo, l’angoscia di restare fuori dalla web-community;
– commentare sempre e condividere tutto nella rete;
– avere l’illusione, attraverso l’uso compulsivo dello smartphone, di essere sempre in contatto con qualcuno e di non essere mai soli;
– si tende a togliere del tempo ad altre attività, come lo studio, lo sport, le uscite, il lavoro;
– possedere la convinzione che quello che sta accadendo e accadrà online sarà migliore di ciò che si sta facendo nella vita reale;
– fare un confronto costante, tra sé e gli altri, in base agli aggiornamenti e alle notizie dei social e delle chat che spesso crea rabbia e invidia;
– avere la percezione che gli altri siano più felici e più fortunati.
Conseguenze
La FOMO può distogliere completamente i ragazzi dal momento presente, non permette di godersi il qui ed ora perché la mente è concentrata solo su quello che non si ha.
Sul fatto che ci si sta perdendo qualcosa di divertente, senza pensare che spesso ciò che viene condiviso sui social non è la realtà assoluta ma solo ciò che l’altro vuole mostrare.
Ecco 7 consigli per aiutare i figli a gestire la paura di essere tagliati fuori
1. Mettete dei paletti e aiutateli a staccarsi da ciò che avviene sul web.
Attraverso alcune regole di utilizzo dello smartphone, portateli a rimandare il controllo continuo e sistematico degli aggiornamenti, delle notifiche, dei social network e delle chat.
Devono mettersi gradualmente nella condizione di provare sulla propria pelle che, anche se non leggono immediatamente quello che ha postato l’amico, non crolla il mondo e che, farlo in un altro momento, non cambia assolutamente nulla.
2. Fategli capire che i social non sempre rispecchiano la realtà.
I ragazzi sembrano non tenere conto che in rete si mostra principalmente la parte migliore, filtrata di se stessi, e che si può anche mentire.
Infatti, molte volte si focalizzano eccessivamente su quello che gli altri pubblicano, scrivono o condividono sui social come se fosse sempre una comunicazione reale della loro vita.
Troppe volte tendono ad amplificare, pensando “a lui va sempre tutto bene”, “io non faccio mai qualcosa di bello”.
È fondamentale che gli venga trasmesso il messaggio che la realtà è quella che si vive nel quotidiano, non quella che si esibisce, per cui non bisogna farsi condizionare da ciò che si vede sul web.
3. Aiutateli a riflettere sulle emozioni che provano in quei momenti.
È importante che si chiedano: “Cos’è che mi provoca ansia, cosa mi infastidisce?”. Cercate di farli parlare e di farli sfogare, perchè spesso alla base dell’impulso a controllare internet,
C’è una sensazione di solitudine, di inutilità e di invidia per gli altri.
Il fatto che comprendano, dunque, quali sono i vissuti sottostanti è il primo passo per affrontare il proprio malessere e pensare a cosa si potrebbe fare per migliorare la propria situazione, avvertendo la vostra vicinanza e sentendosi sostenuti.
4. Devono concentrarsi di più sulla loro vita.
È importante che pensino meno agli altri e più a se stessi, ritagliandosi quanto più tempo possibile per stare con gli altri e dedicarsi ad attività piacevoli e divertenti, senza distrazioni tecnologiche.
Devono capire che quello che gli altri pubblicano non li riguarda direttamente e non li deve influenzare in alcun modo, perché gli altri hanno un potere su di loro nella misura in cui sono loro a concederglielo.
5. Prediligere gli amici reali.
Troppe volte, i ragazzi danno più importanza a quello che succede sul web rispetto alla loro realtà di tutti i giorni, ma è importante non permettere allo smartphone di allontanarli da chi hanno realmente vicino.
Fategli capire che essere sempre connessi anche quando si è in gruppo o in altre situazioni sociali, estraniarsi e disconnettersi dalla realtà, è dannoso per loro.
6. Rompere la routine.
È importante che, soprattutto in estate, si stacchino completamente dalla solita routine quotidiana a cui sono abituati.
Per non restare sempre appiccicati al cellulare e per spendere il loro tempo e le loro energie diversamente: metteteli, dunque, nelle condizioni di trascorrere più tempo all’aria aperta e spronateli a dedicarsi ad altre attività piacevoli e rilassanti.
Proprio per prendere una pausa dall’iperconnessione e ricaricarsi attraverso nuove esperienze stimolanti.
7. Chiedere aiuto.
Se non riuscite a gestire in alcun modo l’impulso irrefrenabile dei vostri figli a connettersi e a ridurre il loro malessere, è utile chiedere un aiuto professionale per cercare di focalizzare meglio il disagio e individuare strategie mirate per superarlo.
È fondamentale che i ragazzi imparino a gestirsi autonomamente e a non essere succubi della connessione. Sono loro che dettano le regole della loro vita, non il telefono!
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cos’è e come metterla in pratica all’interno della famiglia.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di comunicazione non violenta.
I conflitti sono comuni nelle famiglie e di per sé non sono negativi. Tuttavia, possono diventarlo quando non sono gestiti in modo appropriato e causano ferite che non si rimarginano. Che ruolo gioca la comunicazione nonviolenta in questo contesto?
La comunicazione non violenta è un modello sviluppato da Marshall Rosenberg che rende più facile per le persone comunicare con empatia e assertività. Nel contesto familiare, questo concetto si applica alla comunicazione tra i diversi membri.
Gli strumenti offerti dalla comunicazione non violenta permettono di trasformare una situazione conflittuale che può sorgere nella convivenza quotidiana e relazionarsi con gentilezza, rispetto e armonia.
Questo modello di comunicazione, chiamato anche comunicazione empatica, ha lo scopo di sostituire i modelli di risposta difensivi o evitanti ai giudizi e alle critiche di altri membri della famiglia con altri basati sull’empatia.
Le reazioni di resistenza, difesa e violenza sono ridotte al minimo, poiché quando ci concentriamo sul chiarire ciò che osserviamo, sentiamo e desideriamo, invece di dedicarci alla diagnosi e al giudizio, la compassione tende a emergere naturalmente.
La comunicazione empatica rimuove le barriere tra le persone per favorire la comprensione.
Linee guida per una comunicazione non violenta in famiglia
In caso di conflitto tra due familiari, la comunicazione non violenta propone di seguire le seguenti fasi:
Osservazione dei fatti: come li vedo io e come li vede l’altro.
Come ci sentiamo (io e l’altro)?: con empatia, senza giudicare, rifiutare, ecc.
Quali sono i bisogni autentici alla base dei sentimenti scoperti?
Avanzare una richiesta diretta a raggiungere l’obiettivo o il desiderio genuino (necessità). Cosa possiamo e dobbiamo chiedere a noi stessi o all’altro per risolvere il problema e arricchire la nostra vita.
Dopo aver fatto la richiesta, è necessario assicurarsi che il messaggio sia stato compreso in modo soddisfacente con domande dirette.
L’idea è capire come l’interlocutore ha inteso le nostre parole e poter correggere qualsiasi interpretazione errata (Rosenberg, 2013). In sintesi, la struttura suggerita da Rosenberg (2013) è la seguente:
“Quando fai o dici…”
“Sento che…”
“Perché ho bisogno di…”
Se sei d’accordo, vorrei che tu…”.
Un’ulteriore fase consiste nel rispettare i passaggi descritti con i diversi membri della famiglia. In primo luogo, percependo ciò che pensano, provano e di cui hanno bisogno per poi scoprire ciò che desiderano per arricchire la loro vita ascoltando la richiesta che ci fanno. Allo stesso modo, invitiamoli a fare lo stesso e stabiliamo un flusso di comunicazione assertiva.
La comunicazione non violenta: lessico dei sentimenti e dei bisogni in famiglia
L’espressione degli stati emotivi deve essere chiara e precisa in modo da aiutarci a connetterci con gli altri. Rosenberg distingue tra sentimenti piacevoli, quando i bisogni sono soddisfatti, e sentimenti spiacevoli, quando i bisogni non sono soddisfatti.
Da un lato, menziona sentimenti piacevoli come affetto, fiducia, entusiasmo, speranza, pace, felicità, gratitudine, interesse, ispirazione e apertura. D’altra parte, elenca sentimenti spiacevoli come desiderio, avversione, confusione, rabbia, irrequietezza, paura, tristezza, rabbia, dolore e vergogna.
Tuttavia, vi sono due elementi che ostacolano con frequenza l’espressione dei sentimenti. Uno è la mancanza di alfabetizzazione emotiva in famiglia, che complica la capacità dei membri di esprimersi apertamente e con chiarezza.
Un altro ostacolo è la paura comune di mostrarsi vulnerabili agli altri, quando proprio la vulnerabilità facilita la risoluzione dei conflitti (Vivas, Gallego e González, 2007).
Quanto all’espressione dei bisogni, significa collegare il sentimento con tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere fisico, emotivo e spirituale.
Ancora una volta, Rosenberg fornisce un elenco di bisogni umani, tra cui connessione, vicinanza, autonomia, integrità, partecipazione, libertà e interdipendenza, che possono guidarci nel capire quale bisogno non abbiamo soddisfatto.
La comunicazione non violenta permette la comprensione sulla base dell’empatia e del rispetto.
Uno strumento utile in casa: la scatola dei sentimenti
La scatola dei sentimenti è uno strumento utile da usare a casa per favorire la comunicazione non violenta. Consiste nel lasciare su un tavolo, accessibile a tutti, una scatola con all’interno dei pezzetti di carta.
Attraverso questa risorsa, tutti i membri della famiglia possono condividere i diversi eventi che hanno causato loro disagio durante la giornata.
A fine giornata, ogni membro leggerà un pezzo di carta a caso e proporrà una soluzione o un bel commento per trovare una soluzione al problema. Questa dinamica aiuta a essere consapevoli e responsabili in quanto a pensieri, sentimenti e azioni; di conseguenza, ha prendere decisioni migliori.
Conclusioni
La comunicazione non violenta ci aiuta a connetterci con noi stessi e con gli altri. Grazie a essa, possiamo aumentare la comprensione e l’empatia, basando la convivenza sull’onestà e l’impegno.
E se anche voi avete bisogno di ritrovare una serenità familiare contattatemi tramite form per cominciare un percorso di…rinascita.
Spero che aver parlato di comunicazione non violentavi sia stato utile.
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Buongiorno amici. Oggi parliamo del perché i ragazzi scappano di casa.
Capita spesso che i ragazzi decidano di allontanarsi volontariamente dalla propria casa, soprattutto durante la fase adolescenziale.
Anche quando il genitore non comprende minimante la motivazione sottostante, c’è sempre una spinta interna che li porta a compiere questo gesto.
Perché
La maggior parte delle volte si tratta di poche ore o comunque il rientro avviene all’interno della stessa giornata.
Altre volte ci si allontana per qualche giorno, a volte si cerca un posto sicuro, magari un amico di estrema fiducia o comunque un posto significativo per loro, studiato e di protezione.
Ci sono casi in cui annunciano “la fuga sui social network” e cercano di attirare una maggiore attenzione.
Il fuggire di casa può essere premeditato o anche impulsivo, generalmente frutto di discussioni ed incomprensioni intra-familiari.
Allontanamenti
Spesso e volentieri sono degli allontanamenti provocatorimessi in atto per spaventare il genitore, per farlo preoccupare con lo scopo di ottenere ciò che non si riesce ad ottenere in altro modo.
Sono frutto di un disappunto sulle scelte genitoriali, non si condividono le decisioni prese dagli adulti, anche per esempio nei casi di una separazione o si disapprova la scelta di un nuovo partner. Tendenzialmente però si rifiutano le infiltrazioni del genitore nella sua vita privatae le critiche legate alle scelte affettive e amicali. Come per esempio il genitore che non condividere il partner e cerca di ostacolare il figlio.
Il problema però più rilevante alla base delle fughe adolescenziali è legato alla scuola e ai problemi scolastici!
Molti figli hanno paura di affrontare i genitori magari perché hanno preso dei brutti voti e non hanno il rendimento scolastico come loro vorrebbero.
Hanno timore di essere puniti e sgridati e spesso, la fuga, è il frutto di una serie di scontri precedenti sempre sull’argomento scuola, compiti e studio.
In questo caso l’allontanamento è legato alle problematiche di gestione di questa situazione che per lui diventa troppo pesante e stressante.
Il ragazzo non vede altra via d’uscita, il dialogo, la parola non funziona e quindi passa all’atto e agisce il suo stato interno.
Non è sicuro della stabilità del rapporto con il genitore e delle sue reazioni, si sente incompreso e solo e quindi pensa che andare via sia la soluzione migliore.
Come gestire il ritorno a casa
Solitamente quando l’adolescente si allontana da casa, ha il desiderio e la volontà di tornare, sperando in un cambiamento o in una reazione da parte dei genitori.
È fondamentale che voi genitori riusciate a gestire bene il momento del rientro a casa, senza agire con impulsività e reazioni emotive che possono di nuovo far perdere di vista il bisogno del figlio.
– Mettete da parte il risentimento e la rabbia, siate accoglienti e cercate di instaurare le basi per un dialogo aperto con il ragazzo.
– È inutile iniziare di nuovo con la lista dei problemi e con le prediche che non fanno altro che mettere distanza.
– Se vostro figlio rifiuta inizialmente di parlare o siete ancora troppo arrabbiati
– Quando si sono calmate le acque, è bene riprendere la discussione, cercando di trovare insieme una soluzione e un punto di incontro.
– Bisogna utilizzare delle modalità più adeguate di confronto, affrontando il problema in modo costruttivo.
– Dovete essere disposti a fare un passo indietro e a mettervi in discussione. Come?cercando di parlare con vostro figlio, capire le sue difficoltà, mettervi nei suoi panni, chiedergli come si sente e cosa c’è che non va.
– Una volta che si riesce ad instaurare un dialogo, è più facile aiutare il ragazzo ad esprimere costruttivamente il proprio disagio, a chiedere aiuto e a trovare strategie diverse dalla fuga.
Se non si riesce a porre un cambiamento in questo senso e a riattivare un dialogo, c’è il rischio che la fuga sia solo l’inizio di una serie di comportamenti che portano il ragazzo ad alzare il tiro, a mettersi a rischio, a commettere azioni più gravi contro se stesso o gli altri
Io spero che parlare del perché i ragazzi scappano di casa vi sia stato util.
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Cos’è, come capire se un ragazzo ne è affetto e come proteggerli
Buongiorno amici. Oggi parliamo di sadfishnig.
Con il termine sadfishing si definisce un comportamento complesso di cui, probabilmente, siamo stati testimoni in più di un’occasione. Ci sono persone che pubblicano nei loro social network frasi, testi o espressioni con contenuti emotivi angoscianti e persino preoccupanti.
È molto comune leggere frasi come “La vita non ha senso”, “ È chiaro che a nessuno importa di me”, “Sono sempre più solo” o “Se sparissi, sicuramente non importerebbe a nessuno”.
In certi casi, leggendo simili messaggi, si è portati a pensare che l’intento reale della persona sia attirare l’attenzione. E a volte può essere così. Tuttavia, negli ultimi anni, gli esperti prestano particolare attenzione a queste realtà che sono sempre più frequenti nel mondo on line.
Come facciamo a sapere se una persona sta realmente chiedendo aiuto? Come possiamo distinguere chi cerca attenzione da chi sta realmente soffrendo? Questo è un fenomeno a cui dovremmo prestare più attenzione. Per questo motivo, oggi lo analizzeremo.
Sadfishing, i post carichi di tristezza nel mondo on line
Siamo consapevoli che spesso la nostra realtà è piena di anglicismi ed etichette difficili da ricordare e da gestire. Questa espressione, tuttavia, è utile per descrivere comportamenti e situazioni nuove, soprattutto quando provengono dal mondo digitale e dalla rete.
Con il termine “sadfishing”, ci riferiamo ad una persona che rende pubbliche nella sua comunità virtuale le sue emozioni ed i suoi pensieri negativi.
Come abbiamo sottolineato all’inizio dell’articolo, a molti di noi sarà capitato di vedere post simili in più di un’occasione. Il nostro interesse per questo fenomeno è dovuto a due motivi ben precisi:
Il primo, sapere come i lettori giudicano ed elaborano questo tipo di messaggi.
Il secondo, verificare se la persona che ha scritto quel post sta chiedendo veramente aiuto.
Sono qui e voglio la tua attenzione
In alcuni casi, è proprio questo: un campanello di allarme. È come il bambino che rimprovera gli adulti per essere ascoltato.
Con questo atteggiamento ottiene la loro attenzione facendo leva sulle emozioni. In questo caso, non c’è manipolazione o inganno. È un esercizio di catarsi per far sì che qualcuno risponda all’appello.
Negli ultimi mesi, a seguito della pandemia, dei lockdown e delle zone rosse è aumentato il disagio sociale e il fenomeno del sadfishing. Una cosa che sappiamo tutti è che quando si tira in ballo la sfera emotiva, la nostra parte empatica risponde.
Pertanto, quando leggiamo dei post in cui c’è scritto “Sono al limite”, “Non so se riuscirò a superare questo momento” o “Ogni giorno mi sento sempre più triste”, li interpretiamo non solo come dei tentativi di attirare l’attenzione, ma anche come una richiesta di aiuto o di supporto.
In fondo, chi scrive vuole sapere se anche gli altri si sentono come lui e che non è il solo a provare certi sentimenti.
I giovani tra i 14 ed i 22 anni sono quelli che praticano di più il sadfishing (e bisogna tenerli in considerazione)
Se si hanno dei dubbi sul fatto che qualcuno stia cercando di attirare l’attenzione o stia davvero chiedendo aiuto, è sempre meglio optare per la seconda ipotesi e rispondere. Non costa niente chiedere a quella persona se ha bisogno di qualcosa.
Non è un comportamento scorretto contattare privatamente la persona che ha scritto quel post pieno di angoscia e chiederle se ha bisogno di qualcosa o se vuole parlare. Lo studio condotto dal Dipartimento di Pediatria del St. Joseph Health di Washington, ci mostrano dei dati importanti.
Gran parte dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 22 anni che soffrono di depressione o ansia vedono i social network come l’unico modo per entrare in contatto con gli altri. I messaggi che pubblicano, pertanto, sono delle vere e proprie richieste di aiuto.
Il miglior consiglio che possiamo darvi è di rispondere sempre a questo tipo di messaggi
Internet è la nostra finestra sul mondo. Siamo arrivati ad un punto in cui i social network sono diventati i mezzi più utilizzati per esprimere i nostri pensieri, i nostri bisogni e sfogare la nostre frustrazioni.
I giovani di oggi vedono i social network come l’unico mezzo per esprimersi e dove rifugiarsi. Questo è qualcosa che non possiamo ignorare.
Di fronte a pratiche come il sadfishing è molto difficile individuare ciò che è vero da ciò che non lo è. Pertanto, è importante riflettere su quando segue:
La migliore risposta a questa situazione è comunicare in privato con quella persona e darle supporto.
Quando rispondiamo a questi messaggi carichi di angoscia emotiva, bisogna evitare di ricorrere alla mera simpatia. Non dobbiamo semplicemente mettere un Mi piace o commentare con un semplice “A me succede la stessa cosa”.
È preferibile usare frasi come: “Mi dispiace per quello che stai passando, come posso aiutarti?”. Sono più utili in queste situazioni.
Il pericolo di pubblicare sui social network come ci sentiamo
Non va bene, non è consigliato ed è meglio non farlo. Quando stiamo attraversando un brutto periodo, non è conveniente rendere pubblici i nostri sentimenti sui social network. E non lo è per una serie di ragioni.
La prima è che quella testimonianza digitale non verrà cancellata e tutte le discussioni saranno pubbliche.
La seconda perché esistono i troll. C’è chi userà il nostro post contro di noi per ridicolizzarci e umiliarci. Ciò può aggravare ulteriormente la nostra sofferenza.
Il terzo motivo per cui non è bene scrivere questo tipo di post è che non tutti sono qualificati a dare dei consigli. Anche con tutte le buone intenzioni, qualcuno potrebbe dirci o proporci qualcosa che in pratica ci fa stare peggio.
In fin dei conti, in queste circostanze abbiamo bisogno di comprensione e sostegno. È meglio che il vero aiuto provenga da degli esperti.
Conclusioni
Non possiamo che ripetere quando detto in precedenza: non bisogna ignorare questo tipo di messaggi. A volte, chi ha più bisogno d’aiuto è chi grida di meno e scrive di più dove non dovrebbe (sulle bacheche di Facebook o su Twitter).
Non vogliono studiare, non aiutano, rispondono male. Che fare?
Buongiorno amici. Oggi poniamo l’attenzione sugli adolescenti non collaborativi.
Non è sempre facile fare il genitore, soprattutto quando i figli sono un po’ ribelli, non obbediscono facilmente, non ascoltano, rispondono, non collaborano in casa e fanno i compiti a fatica.
Capita spesso di trovarsi incastrati in un meccanismo snervante, un dinamica che si instaura tra genitore e figlio basata su un tira e molla continuo, su un braccio di ferro a volte faticoso.
Tante volte, però, i comportamenti oppositivi del figlio sono una ricerca di attenzioni e soprattutto una ricerca di accettazione.
Gli adolescenti, quando non corrispondono al figlio che i genitori avrebbero voluto, quando la madre o il padre sono appesantiti dai loro comportamenti, non studiare, non riordinare, apparente menefreghismo, o rispondere male, scatta un meccanismo per cui si sentono rifiutati e tirano ancora di più la corda.
Ricerca di attenzioni
Le loro diventano reazioni oppositive, “mi vedono solo se vado bene a scuola, quindi ho deciso di andare male” , “mi devono voler beve anche se non faccio quello che mi dicono”, “non hanno capito che così mi fanno solo soffrire e allora faccio soffrire anche io loro”, “mi faccio bocciare così si accorgono che sto male“.
Questo non significa che bisogna dargliele tutte vinte ma semplicemente che si deve comprendere per evitare di creare un circolo vizioso, come un cane che si morde la coda.
Sono adolescenti, sono ragazzi in pieno conflitto con se stessi e a volte con il mondo che li circonda, non tutti sono omologati alla massa, tanti non riescono ad integrarsi e sono ancora più complessi da gestire e sfogano tutto dentro le mura domestiche.
Tanti ragazzi sono in crisi con il proprio corpo, con la propria identità per questo è la fase in cui avrebbero più bisogno di stabilità intorno a loro e di accettazione, anche o soprattutto, quando non sono il figlio modello.
Diventa quasi una sfida con il genitore e sono pronti a tirare la corda e la prima cosa che intaccano in assoluto è la scuola perché il genitore in genere tiene particolarmente al rendimento scolastico.
PIÙ FATE VEDERE CHE TENETE AD UNA COSA, PIÙ LORO LA INTACCHERANNO E ANDRANNO CONTRO.
Non capiscono che il male lo fanno a se stessi stessi, vogliono solo essere accettati e riconosciuti, a prescindere dalla scuola o da altre cose simili dove ci si basa sul rendimento come per esempio le prestazioni sportive.
A volte si devono confrontare con fratelli pesanti, ingombranti, che sono bravi, che vengono osannati dai genitori e si sentono ancora meno accettati e fuori luogo, rischiando di diventare rabbiosi e nervosi con il fratello o sorella in questione.
I COMPORTAMENTI PROVOCATORI SONO COMUNQUE RICERCHE DI ATTENZIONE E UNA RICERCA DI AFFETTO.
Che fare e come comportarsi con loro?
1. LEGGERE OLTRE I COMPORTAMENTI APPARENTI DEL FIGLIO E CAPIRE IL MESSAGGIO CHE VUOLE VERAMENTE MANDARE.
Si sentirà riconosciuto. È importante ricordare che comprendere non significa dargliela vinta su tutto ma leggere tra le righe per essere più efficaci ed evitare inutili litigate e scontri.
2. FARE UNA SORTA DI AUTOANALISI E DI VALUTAZIONE DEI PROPRI ATTEGGIAMENTI e comportamenti ogni tanto non guasta.
Significa anche capire che l’adolescenza di oggi è molto diversa dalla nostra, che i tempi sono completamente cambiati e che ogni tanto dobbiamo anche guardare dal loro punto di vista, senza perdere mai il nostro di adulti.
3. NON FATE MAI PARAGONI CON I FRATELLI O SORELLE O AMICI PIÙ BRAVI,
facendo raffronti sui risultati, sui comportamenti. “se fossi come lui”, “perché lei ci riesce e tu no?”, “guarda tuo fratello o tua sorella come sono bravi?”, “e il tuo amico come è andato?”, “anche lui si è comportato come te?”.
Sono tutte frasi da evitare perché pesano come macigni sulla testa dei figli e li fanno sentire ancora più pressati e sbagliati rischiando solo di esasperare i suoi comportamenti.
4. NON ACCUSATELI DIRETTAMENTE
con frasi dei tipo “tu sei cattivo”, “cosi mi fai star male”, “così mi mandi ai pazzi”, si sentiranno solo più fuori luogo, meno amati e poi compresi e in più proveranno sensi di colpa per farvi star male
. Dovete attaccare i loro comportamenti, il dissenso è verso ciò che fanno, non verso la loro persona.
5. RIPRENDETE IL DIALOGO IL PIÙ POSSIBILE,
abbassate i toni e dategli qualche attenzione in più, anche se secondo voi non se la meritano per come si comportano.
Ovviamente non va bene neanche il contrario ossia il diventare servizievoli o far finta di niente e fargliele passare tutte. La sana via di mezzo è sempre la soluzione migliore.
Il ruolo autorevole di contenimento e di chi instrada e governa, è sempre del genitore, non del figlio.
Se invece fate sempre ciò che dice andate solo a rinforzare quella modalità di comportamento e gli fate capire che “più fa i capricci, più ottiene”.
6. APPROCCIATEVI A LORO IN MANIERA DIVERSA,
non partite dalla scuola, dall’attenzione per i voti o per i compiti, ma iniziate da domande che indagano sul loro stato emotivo, anche se vi rispondono a monosillabi o a mezza bocca.
E’ pur sempre una risposta o anche se non vi guardano e stanno attaccati al cellulare, vi stanno pur sempre ascoltando, non vi dimenticate che loro vivono in multitasking.
In questo modo si sentiranno riconosciuti come persone e non solo in funzione del rendimento scolastico.
Se si sentono pressati sulla scuola e capiscono che fate particolare ai voti intaccheranno per prima la scuola.
7. CERCATE DI CAPIRE GLI STATI EMOTIVI CHE SI NASCONDONO DIETRO QUESTI ATTEGGIAMENTI OPPOSITIVI,
il perché si comportano così, ripartendo dal dialogo evitando il più possibile urla e punizioni.
8. NON ESSERE SEMPRE PREVENUTI NEI LORO CONFRONTI.
Lo sanno di essere sbagliati e questo li fa star male, sanno che non siete contenti di loro, e in più se magari qualche volta fanno qualcosa bene o di giusto e voi sminuite o partite prevenuti che tanto è sempre colpa loro o sono sempre loro a creare i problemi staranno ancora più male e reagiranno peggio.
Contatti
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di competizione mamma figlia.
La madre ha un ruolo determinante e centrale nella vita della figlia: rappresentando per lei il primo e più importante modello femminile, influenza inevitabilmente il suo futuro come donna, compagna e poi, a sua volta, genitore. Dalla salute di questo rapporto dipende quindi in buona parte la crescita e il benessere della figlia.
Tuttavia, molti ostacoli possono frapporsi nell’instaurarsi di questa relazione, che già di per sé è complessa e difficile.
La madre
Quando dà alla luce una bambina, una donna può inconsciamente desiderare che la figlia sia uguale a lei, che le vorrà bene più che a nessun altro, che la prenda ad esempio e diventi una ragazza perfetta.
Dietro a queste aspettative, in realtà, si nasconde spesso il bisogno di sentirsi amate e di riparare a ferite subite nelle relazioni passate, spesso proprio nel rapporto stesso con la madre.
Un momento di svolta particolarmente importante per l’evoluzione del rapporto fra madre-figlia è però l’età della pubertà, in cui la ragazza inizia a svilupparsi e ad apparire più femminile.
Competizione
Se prima è normale che la bambina si riferisca alla madre come modello, la imiti e la consideri la più bella, è altrettanto sano e giusto che ora la giovane adolescente inizi a prenderne le distanze, cercando di scoprire i propri gusti e interessi, nonché un modo personale di esprimere sé stessa e la propria femminilità.
Per alcune mamme, questa fase può essere difficile da accettare,.
Non solo perché vedono la figlia allontanarsi, ma anche perchè la sua crescita può risvegliare in loro un desiderio di giovinezza, facendo nascere invidia per ciò che ormai non hanno più.
È comune che questi sentimenti si sviluppino in donne molto insicure e bisognose di conferme, che richiedono attenzioni su di sé e che presentano tratti narcisisti.
Strategie malsane
Per far fronte a questo senso di gelosia nei confronti delle figlie, le madri possono mettere in atto diverse strategie.
Fra le più frequenti, c’è la tendenza a comportarsi come amiche più che come genitori e il tentativo di imitare le ragazze, vestendosi e truccandosi come loro.
Un altro comportamento tipico è invece quello di essere fortemente critiche nei confronti delle giovani, rimproverandole continuamente e svalorizzando i risultati che raggiungono.
Spesso, inoltre, le mamme possono cercare di ribadire indirettamente la loro superiorità.
Ad esempio dicendo che quando avevano l’età della figlia erano più magre di lei e che l’uomo che hanno sposato è migliore dei ragazzi da lei frequentati.
Conseguenze
A prescindere da queste diverse modalità, tutti i casi descritti sottendono una forte competizione messa in atto dalle madri.
Queste, spaventate dalla crescita delle figlie, dal loro diventare donne, si comportano come delle rivali, desiderando inconsciamente la loro giovinezza e freschezza.
Purtroppo, è molto difficile che una madre riconosca di nutrire sentimenti negativi nei confronti della figlia e che chieda aiuto per questo.
Più frequentemente, è quest’ultima a rivolgersi ad uno psicologo a causa delle difficoltà provocate in lei dal comportamento genitoriale.
Simili condotte materne, infatti, impediscono alla ragazza di maturare e sviluppare la propria identità come dovrebbe avvenire in adolescenza.
Inoltre, la rivalità, anche se mascherata e resa poco evidente da gesti apparentemente amichevoli, fa sentire la figlia non amata per quello che è, ma criticata e giudicata.
Che fare
Un genitore dovrebbe aiutare la giovane donna a trovare la propria strada, valorizzare la sua femminilità e sostenerla nel processo di crescita.
Controllare continuamente il suo aspetto, i suoi voti, le sue scelte porta invece a farla sentire inadatta e imperfetta.
Se sei una donna e ti rendi conto di trovarti o di esseri trovata in una situazione di questo tipo, ti consiglio quindi un percorso con me.
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Quando pensare troppo fa male: cause, sintomi, strategie per superarlo
Buongiorno amici. Oggi parliamo di overthinking.
Overthinking significa pensare troppo a qualcosa, troppo a lungo. Ci impedisce di agire, fare cose nuove e fare progressi nella vita. Consuma le nostre energie, spreca il nostro tempo, disabilita la nostra capacità di prendere decisioni e ci inserisce in un ciclo infinito di pensieri, più e più volte.
Questo tipo di pensiero può portare a gravi disagi emotivi e aumentare il rischio di problemi di salute mentale.
Il pensiero eccessivo occupa la nostra mente in modi che ci impediscono di pensare in modo chiaro, ci tiene distratti e consuma la nostra energia mentale, con il risultato di meno tempo ed energia per fare il vero lavoro. Impone un carico cognitivo nella nostra mente che ci distrae dal pensare al futuro e dal fare progressi reali.
Cosa causa l’overthinking?
Sono vari fattori che contribuiscono alla tendenza a pensare troppo, ma in questo articolo ci soffermiamo su due in particolare:
1. Ambiente circostante
Le circostanze in cui siamo cresciuti, le condizioni in cui lavoriamo e le persone intorno a noi costituiscono una parte importante del nostro modo di pensare.
Se facciamo parte di un ambiente in cui gli errori vengono puniti, il successo celebrato e i fallimenti sono visti come un segno di debolezza, tendiamo a diventare eccessivamente cauti e attenti a tutto ciò che facciamo. Ciò si traduce nell’analisi eccessiva delle nostre decisioni e dei loro possibili risultati e anche nel rimuginare sulle nostre azioni passate.
2. La mente umana
Numerosi studi scientifici dimostrano che il fallimento rimane con noi molto più a lungo del successo. Il successo può darci una felicità momentanea, ma i nostri fallimenti possono vivere con noi per sempre.
Una volta che la nostra mente rimane bloccata negli aspetti negativi, è tutto ciò che vede. Ogni azione e decisione può diventare una battaglia nella nostra mente poiché tende a far emergere solo una forma di pensiero senza la capacità di cambiare.
Un altro strano motivo che lascia il posto al pensiero eccessivo è il desiderio di avere il controllo su tutto. Come specie umana, desideriamo tutti un mondo perfettamente ordinato. Pensiamo troppo con il desiderio di plasmare il nostro futuro e allineare i nostri risultati nel modo in cui vogliamo senza renderci conto che gran parte della nostra vita non è sotto il nostro controllo.
Sta a noi decidere quale mentalità scegliamo, una mentalità rigida che analizza eccessivamente o una mentalità di crescita che crede nell’agire.
Pensare troppo a qualcosa senza vederne la fine è estenuante
Tutti possono pensare e ripensare ad alcune cose di tanto in tanto, ma i pensatori cronici, quelli che trascorrono gran parte del loro tempo a rimuginare e a mettersi sotto pressione confondono quella che io chiamo “pressione positiva” con lo stress.
L’overthinking può assumere molte forme:
ponderare all’infinito quando si prende una decisione (e quindi mettere in discussione la decisione)
tentare di leggere le reazioni o le possibili reazioni degli altri
cercare di predire il futuro
leggere ogni evento nei minimi dettagli, ecc.
Le persone che ripensano costantemente fanno commenti nelle loro teste, criticano e separano ciò che hanno detto e fatto ieri, terrorizzati dal fatto di preoccuparsi per un terribile futuro che potrebbe aspettarli.
Frasi come: “Cosa succede se” e “dovrebbe” dominano il pensiero, come se una giuria invisibile sedesse in giudizio sulla vita. Conoscete qualcuno che si agita ogni volta che pubblica online perché profondamente preoccupato di come le altre persone interpreteranno post e gli aggiornamenti?
L’overthinking può facilmente indebolire il tuo senso di controllo sulla tua vita. Ci deruba della partecipazione attiva a tutto ciò che ci circonda.
Il pensiero eccessivo può intrappolare il cervello in un ciclo di preoccupazione. Quando pensare troppo diventa naturale come respirare, devi affrontarlo rapidamente e trovare una soluzione.
Innanzitutto sappi che la preoccupazione cronica non è permanente. È un’abitudine che può essere spezzata. Puoi allenare il tuo cervello a guardare la vita da una prospettiva diversa.
Chiediti:qual è la probabilità che ciò di cui ho paura accada effettivamente? Se la probabilità è bassa, quali sono alcuni risultati più probabili?
Come non pensare a qualcosa in modo eccessivo?
Trova un modo costruttivo per elaborare eventuali preoccupazioni o pensieri negativi. Scrivi i tuoi pensieri in un diario ogni sera prima di andare a letto o la prima cosa al mattino. Puoi anche controllare la tua abitudine di rimuginare collegandoti con ciò che puoi sentire, vedere, annusare, gustare e sentire.
Quando siamo bloccati nella paralisi dell’analisi o semplicemente non siamo in grado di prendere una decisione, possiamo fare piccoli passi e fare un lavoro che ci farà avanzare nella direzione dei nostri obiettivi. Facendo piccoli progressi nei compiti, possiamo preparare il nostro cervello ad agire.
Ecco 10 semplici strategie per liberarti dall’overthinking
1. La consapevolezza è l’inizio del cambiamento
Prima di poter iniziare ad affrontare la tua abitudine a pensare troppo e a capire come fare a non pensare a qualcosa troppo a lungo, è molto utile imparare ad esserne consapevole. Ogni volta che ti trovi in dubbio o ti senti stressato o ansioso, fai un passo indietro e osserva la situazione e il modo in cui stai rispondendo. In quel momento di consapevolezza è il seme del cambiamento che vuoi fare.
2. Non pensare a cosa può andare storto, ma cosa può andare bene
In molti casi, il pensiero eccessivo è causato da una singola emozione: la paura. Quando ti concentri su tutte le cose negative che potrebbero accadere, è facile rimanere paralizzati. La prossima volta, quando senti che stai iniziando ad andare in quella direzione, fermati. Visualizza tutte le cose che possono andare bene e mantieni i pensieri presenti in primo piano.
3. Concediti distrazioni di felicità
A volte è utile avere un modo per distrarti con alternative felici, positive e sane. Cose come la mediazione, la danza, l’esercizio fisico, l’apprendimento di uno strumento, il disegno e la pittura possono distanziarti abbastanza da aiutarti a chiudere l’analogia.
4. Visualizza gli eventi in prospettiva
È sempre facile rendere le cose più grandi e più negative di quanto possano essere. La prossima volta che ti sorprendi a costruire una montagna con un granello di sabbia, chiediti quanto questo sarà importante tra cinque anni. Oppure, tra un mese. Solo questa semplice domanda, modificando il lasso di tempo, può aiutarti a smettere di pensare troppo.
5. Smetti di aspettare la perfezione
Per tutti noi che aspettiamo la perfezione, possiamo smettere di farlo proprio ora!
Essere ambiziosi è grandioso, ma mirare alla perfezione è irrealistico, impraticabile e debilitante. Il momento in cui inizi a pensare “Questo deve essere perfetto” è il momento in cui devi ricordare a te stesso, “Aspettare il perfetto non è mai così intelligente come fare piccoli progressi”.
6. Cambia la tua visione della paura
Che tu abbia paura perché hai fallito in passato, oppure paura di provare o di sovra-generalizzare qualche altro fallimento, ricorda che solo perché le cose non hanno funzionato prima non significa che debba essere lo stesso risultato ogni volta. Ricorda, ogni opportunità è un nuovo inizio, un posto per ricominciare.
7. Metti un timer al lavoro
Datti un limite di tempo. Imposta un timer per cinque minuti e concediti quel tempo per pensare, preoccuparti e analizzare. Una volta che il timer si spegne, trascorri 10 minuti con carta e penna, scrivendo tutte le cose che ti preoccupano, ti stressano o ti danno ansia. Quando sono trascorsi i 10 minuti, vai avanti, preferibilmente verso qualcosa di divertente.
8. Renditi conto che non puoi prevedere il futuro
Nessuno può prevedere il futuro; tutto ciò che abbiamo è il qui e ora. Se trascorri il momento presente preoccupandoti del futuro, ti stai privando del tuo “adesso”. Trascorrere del tempo sul futuro non è semplicemente produttivo. Dedica quel tempo invece a cose che ti danno gioia.
9. Accetta il meglio
La paura che il fondamento del pensiero eccessivo si basi spesso sulla sensazione di non essere abbastanza bravi – non abbastanza intelligenti o abbastanza laboriosi o abbastanza dedicati. Una volta che hai fatto del tuo meglio, accettalo come tale e sappi che, mentre il successo può dipendere in parte da alcune cose che non puoi controllare, hai fatto quello che potevi fare.
10. Sii grato
Non puoi avere un pensiero triste e un pensiero riconoscente allo stesso tempo, quindi perché non passare il tempo positivamente? Ogni mattina e ogni sera, fai un elenco di ciò per cui sei grato. Insieme ad un amico scambia gli elenchi in modo da avere una testimonianza delle cose buone che ti circondano.
L’overthinking è qualcosa che può succedere a chiunque.
Ma se hai un ottimo sistema per affrontarlo, puoi allontanare i pensieri negativi, ansiosi, stressanti e trasformarlo in qualcosa di utile, produttivo ed efficace.
Io spero, co quest post, di aver fatto chiarezza sul tema overthinking.
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