Buongiorno amici. Oggi parliamo di ragazzi interrotti e della loro mancata felicità.
C’ è poco da sorridere, scorrendo i dati dell’ultimo World Happiness Report resi pubblici ieri dalle Nazioni Unite.
Paesi felici
Aldilà delle classifiche che sanciscono che per il settimo anno consecutivo è la Finlandia ad aggiudicarsi il titolo di “Paese più felice al mondo“,.
L ’Italia risulta 41ª appena sopra il Guatemala ma parecchio sotto Kosovo e Romania, solo citando a caso, il dato decisamente più preoccupante è quello che riguarda i ragazzi.
Per la prima volta dal 2012 – anno in cui è stato redatto il primo “Report“ – “il trend positivo globale della soddisfazione di vita tra i 15 e i 24 anni si è interrotto”.
E secondo Vivek Murthy, il massimo funzionario Usa ad occuparsi di questioni di salute pubblica, la colpa di tanta infelicità tra i ragazzini è l’uso e soprattutto l’abuso dei social media .
Giovani e felicità
Il binomio gioventù-felicità è andato in crisi (pur se meno bruscamente) anche in Europa occidentale”.
“In Nord America e in Europa Occidentale è come se i giovani stessero vivendo una “crisi di mezz’età“.
“Passando – prosegue il Report – alle età più giovani (10-15 anni), i risultati degli studi sono più limitati. Nei paesi ad alto reddito, la soddisfazione per la propria vita è comunque diminuita dal 2019, soprattutto per le ragazze.
Le ragazze riportano una minore soddisfazione nei confronti della propria vita rispetto ai ragazzi intorno all’età di 12 anni. Questo divario si allarga tra i 13 e 15 anni, e la pandemia ha amplificato la differenza”
Social sotto accusa
Immediato il grido d’allarme lanciato – sulle pagine del Guardian – da Vivek Murthy, Surgeon general degli Stati Uniti: alla luce dei nuovi dati, Murthy ha ribadito l’urgenza di provvedimenti governativi sull’uso dei social media.
“È l’uso incontrollato dei social media a portare all’isolamento e alla depressione i nostri ragazzi – ha ripetuto ieri Murthy –, l’uso senza regole dei social media equivale a guidare macchine che non hanno dispositivi di sicurezza.
La battaglia di Murthy da mesi è volta al recupero della connessione sociale – tra i più giovani – attraverso la creazione di occasioni di attività culturali e sportive.
Emozioni
Nella quotidianità di coloro che oggi hanno dai 15 ai 24 anni negli Stati Uniti e in Europa occidentale, è evidente che a dominare siano le emozioni negative.
“Le protezioni per salvaguardare i più giovani sono necessarie immediatamente” ha detto Murthy: “se hai a che fare con un dodicenne o un quindicenne, non puoi aspettare tre o cinque anni e vedere se intanto la politica per caso fa qualcosa.
Temo che i governi non avvertano tutta l’urgenza che c’è: l’infanzia dei nostri figli è in corso adesso”. Ed è sempre meno felice.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di ragazzi che si sentono soli.
La paura dell’abbandono, porta ad aver paura di perdere la persona a cui mi sono legato, alla quale tengo e sulla quale ho investito le mie energie.
Erroneamente si tende a pensare che questo vissuto riguardi solo le relazione tra adulti, mentre molto spesso anche i ragazzi vivono la perdita come qualcosa che non c’è più nel presente, non tornerà più nel futuro e non si può colmare con qualcos’altro.
Controllo ed evitamento
“Sto male da diversi mesi con la mia fidanzata ma non riesco a mettere la parola fine a questa relazione: lei è possessiva, mi controlla in ogni mio passo e discutiamo ogni giorno per ore fino ad essere esausti.
Dentro di me conosco già tutte le risposte, perché sono certo che questo non possa essere amore.
Ma il solo pensiero di lasciarla mi fa sentire un vuoto dentro che mi blocca. Troverò qualcun altro che mi ami così tanto? Rimarrò da solo per sempre?”
Questa solitudine, talvolta, diventa così forte da indirizzare i pensieri e le azioni verso la strada del controllo e dell’evitamento, senza capire che, più la si evita, più verrà alimentata e rinforzata.
Può essere una paura che riguarda qualsiasi tipo di relazione affettiva in cui c’è un legame forte, anche un’amicizia, non solo un legame sentimentale.
Amici
“Quando sono con i miei amici, non mi sento totalmente libera di esprimere me stessa perché ho sempre paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
E se poi non piaccio? Se mi trovano noiosa? E se trovano qualcuno migliore di me e non mi chiedono più di uscire? Ogni tanto vorrei essere un po’ più leggera, ma proprio non ci riesco, mi sembra sempre di stare in bilico su un filo”
“Il mio migliore amico, la prossima settimana andrà in gita qualche giorno con la sua classe.
Più si avvicina la data più mi sale l’angoscia. So che dovrei essere felice per lui, ma il pensiero di sentirlo molto di meno o che mi possa sostituire con qualche suo compagno di classe mi massacra e non riesco a smettere di pensarci”.
L’abbandono, nella testa di chi lo prova, rappresenta la paura di rimanere solo: anche solo il pensiero di quello che potrà accadere dopo, attiva un forte stato di tensione interna.
Quali meccanismi scattano nella testa?
“Ho 17 anni e se mi guardo intorno mi sembra di non aver mai costruito nulla a livello di amicizie. Credo di essere io il problema, ogni volta che stringo dei legami le persone si allontano da me. Non capisco cosa io abbia di così sbagliato e questa situazione mi fa sentire profondamente sola.
Spesso i ragazzi utilizzano le parole “mai”, “sempre” e tendono a interpretare la realtà in funzione del filtro della paura dell’abbandono e a commettere un errore cognitivo.
Vedono, infatti, nei comportamenti, negli atteggiamenti e nelle parole dell’altro solo ciò che può andare a confermare i loro timori.
Frasi o messaggi in cui ci sono anche affermazioni positive vengono interpretati come meno rilevanti e messe in secondo piano.
Cosa accade in queste situazioni?
Quando si attiva il processo che innesca la paura, il pensiero razionale si spegne e il modo in cui si interpreta la realtà cambia.
A livello fisico, inoltre, il cuore inizia a battere più forte, il respiro si fa più affannoso e le mani iniziano a diventare più fredde e anche a sudare.
In certi momenti scatta anche la rabbia nei confronti dell’altra persona, oppure non si riesce più a tollerare il pensiero di stare da soli e dover affrontare la solitudine.
Questa paura impedisce di godere dei rapporti, non permette di vedere le potenziali vie di uscita, ma soprattutto non permette di vedere che nella vita sono state già superate tante situazioni simili e che sono state acquisite le competenze per andare avanti.
Proprio per questo, risulta fondamentale lavorare su se stessi e fare i conti con le proprie paure e con il proprio vissuto di essere abbandonati, mettendo in atto delle strategie efficaci per non farsi più condizionare nelle scelte e nelle relazioni.
Buongiorno amici. Oggi parliamo dei ragazzi sotto pressione per il rush finale della scuola.
Giunti quasi al termine dell’anno scolastico, aumentano stress e tensioni sperimentate dai ragazzi nel tentativo di gestire al meglio lo sprint finale.
Tra voti da recuperare, paura di prendere debiti e rischio di bocciature, le ultime verifiche e interrogazioni diventano la preoccupazione principale per ragazzi e genitori.
Consigli
Oggi anno ragazzi e genitori si trovano ad affrontare l’immancabile sprint finale.
L’ultimo mese di scuola è quello che pesa di più in assoluto perché sulle spalle di tutti perché si sente la fatica di tutto l’anno scolastico perché aumenta la tensione e la paura di non farcela.
In questo periodo fioccano rimproveri e sensi di colpa per non aver studiato regolarmente durante tutto l’anno accompagnati dal “potevi pensarci prima”.
Rinfacciare non serve a niente, non risolve il problema, ci si deve rimboccare le maniche, accettare la situazione e correre ai ripari, pronti per i buoni propositi di inizio scuola che tendenzialmente non vengono mai mantenuti.
Il ruolo di madri e padri in questo peridio è fondamentale, non serve accrescere la loro tensione e ansia, serve indirizzare, contenere e sostenere.
vademecum
Ecco allora qualche piccolo consiglio per “sopravvivere” all’ultimo mese di scuola:
EVITARE LITIGI E ATTACCHI DIRETTI!
È facile cedere alla tentazione di rimproverarli e ricordare loro che, se si fossero impegnati di più nei mesi precedenti ora sarebbero indubbiamente più tranquilli.
Ma non si può piangere sul latte versato, diventa fondamentale per prima cosa far capire che gli potete dare una mano pratica e che potete studiare insieme un piano di attacco.
In questa fase è controproducente dare spazio a discussioni e litigi sul fatto che per i ragazzi la scuola non sia la priorità e che non siano responsabili, sono adolescenti e lo stanno imparando.
Lo sanno di essere in torto anche se non lo fanno vedere e se non danno la soddisfazione al genitore.
Per questo bisogna spronarli a dare il massimo e motivarli magari anche raccontandogli alcune difficoltà del genitore vissute a scuola alla loro età, in modo da fargli capire che si può affrontare tutto e anche imparare dagli errori.
Soprattutto bisogna evitare di lasciargli quella sensazione di sconfitta e di “non ce la farò”.
È importante che nella vita imparino anche a scontrarsi con le difficoltà, tendono troppo a sfuggire e a non voler vedere il problema.
LA PAROLA CHIAVE È ORGANIZZAZIONE.
Spesso il problema non è legato solo al fatto che non vogliono studiare o non lo fanno abbastanza, ma alla difficoltà nel trovare il proprio metodo di studio.
Sbagliano il modo di studiare e non è solo colpa dei cellulari e che a volte nessuno li indirizza ad una modalità di studio più adatta al loro cervello. Non imponete il vostro metodo cercate il loro.
Bisogna aiutarli ad organizzarsi nel rispetto delle loro esigenze, senza polemiche o ramanzine che rischierebbero di togliere ancora più tempo allo studio.
È importante capire insieme a loro dove sbagliano o dove possono migliorare, in modo tale da trovare la strategia migliore per essere più efficaci ed incisivi.
LE MINACCE NON SONO UTILI!
Minacce e punizioni legate, ad esempio, al togliere la paghetta, vietare le uscite con gli amici o sequestrare smartphone non sempre sono efficaci e rischiano di inasprire ancora di più il rapporto tra genitori e figli, generando rabbia e frustrazione.
Questo non significa il contrario, ossia premiarli per non aver studiato.
L’autorevolezza è ovviamente fondamentale: devono capire che si tratta comunque di un periodo più intenso da affrontare.
Bisogna rimboccarsi le maniche e impegnarsi fino in fondo e che devono fare qualche rinuncia in modo tale che capiscano che quando si sbaglia si paga e che il non assumersi le responsabilità ha delle conseguenze.
Anche se in alcuni momenti può essere molto difficile, soprattutto dopo la fatica di un interno anno di corse e via vai, è importante cercare sempre il dialogo, non lo scontro.
AIUTARLI A TOLLERARE ANCHE LE FRUSTRAZIONI.
Spesso i ragazzi tendono a bloccarsi e fanno fatica a recuperare anche perché si sentono stanchi, hanno paura di fallire, di non riuscire ad ottenere dei risultati o di deludere ancora di più i genitori.
La paura tante volte li blocca, invece di reagire si sentono schiacciati e preferiscono mollare pur di non affrontare un fallimento.
Bisogna bloccare sul nascere atteggiamenti ostili e pessimisti con cui vogliono affrontare questo ultimo mese di scuola.
Far capire loro che sono in grado di farcela, con l’obiettivo di rinforzarli e aiutarli a trovare una giusta motivazione che possa rendere il tutto più leggero.
A volte il genitore si deve trasformare in una sorta di coach, di motivatore in grado di dargli appunto strumenti e spinta. Sono troppo demotivati e troppo poco abituati a faticare.
NON SOSTITUIRSI A LORO.
Non bisogna cadere nell’errore di fare i compiti o studiare al loro posto, è fondamentale che sperimentino la propria autonomia.
La propria autoefficacia e sviluppino maggiore sicurezza in se stessi, anche assumendosi le proprie responsabilità quando le cose non vanno per il meglio.
Non sono certo una volta o una situazione specifica in cui si dà loro una mano in un momento di emergenza a rappresentare un problema.
L’importante è che non sia una modalità quotidiana, altrimenti si abitueranno anche in futuro a delegare le loro responsabilità.
Ragazzi
Spesso i ragazzi hanno la sensazione che per i genitori conti solo la scuola e i risultati e questo, anche quando non lo danno a vedere, li fa soffrire e arrabbiare.
Hanno un estremo bisogno di sentirsi accettati e sostenuti per quello che sono, e il ruolo fondamentale dei genitori è quello di fornire loro insegnamenti e strumenti che possano aiutarli ad affrontare le diverse situazioni della vita, a confrontarsi con se stessi e con gli altri, rendendoli sempre più autonomi e responsabili.
Tante volte non è solo un problema legato ad una scarsa motivazione, attraverso i voti e i comportamenti a scuola i ragazzi esprimono disagi e comunicano il loro mondo interno.
Per questo è importante imparare a decodificare ciò che hanno da dire, per farli sentire meno soli e più accolti.
E se avete bisogno del mio aiuto contattatemi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Piccola riflessione per genitori ma anche per voi ragazzi:)
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come prevenire i problemi dei ragazzi.
Tecnologia
Ma allo stesso momento, quando c’è bisogno, quando c’è una necessità, quando servono, sono lì, pronti ad intervenire.
Genitori
Non precederli in tutto, non spianargli la strada sempre, non essere iperprotettivi, permette ai ragazzi di crescere con quella porzione di autonomia psichica sufficiente per ragionare e riflettere sull’esito delle proprie azioni, per avere una sorta di consapevolezza di ciò che si sta facendo e acquisire la responsabilità che serve per non farsi del male, per non farlo agli altri e per capire quando si sta passando un limite e quando hanno bisogno dell’aiuto di un adulto.
Per fare questo si deve creare un clima giusto, un ambiente familiare non oppressivo e non troppo permissivo, si dovrebbero evitare frasi del tipo
“Mi cerchi solo quando hai un problema o quando ti serve qualcosa”
perché, per il loro orgoglio adolescenziale, si rischia solo di indurli a non chiedere più niente per non sentirsi rinfacciare le cose.
È vero che un genitore dice queste frasi perché si aspetta che un figlio riconosca anche altri lati della loro persona e del loro essere madre o padre, al di fuori dei beni materiali e di ciò che gli serve.
Ma un adolescente, non la vede così, la vive sul personale, la filtra male e reagisce di conseguenza. Non significa ovviamente, fargli passare tutto, anche questo atteggiamento sarebbe sbagliato, significa, essendo più maturi, capire anche il loro punto di vista.
Dialogo
Non si può pretendere che un adolescente si metta da solo nei panni di un genitore e capisca il suo punto di vista.
Si devono quindi stimolare al dialogo e al confronto, per cui non si deve sminuire ciò che dicono, si deve fare attenzione ai loro racconti, sia quelli più superficiali e banali, che quelli più ricchi di problemi e profondi.
Invece, capita che, quando raccontano quelle che, per un genitore sono fesserie, non si ascoltino e si drizzino le antenne solo quando si sente la parola “problema”.
Per loro significa non essere compresi, non essere compresi significa non essere riconosciuti nei propri problemi.
Di conseguenza, si chiude la porta ai genitori, anche quando non si dovrebbe.
Il digitale ha unito da tanti punti di vista le famiglie.
Siamo in un periodo storico in cui non credo che genitori e figli siano mai stati così vicini e che padri e madri, soprattutto padri, siano mai stati così presenti nella vita dei figli (questo non significa che tutti i padri siano così).
Attraverso la tecnologia ci si scrive messaggi, si sa sempre dove ci si trova e cosa si sta facendo e le comunicazioni arrivano in tempo reale e in simultanea a tutti i membri della famiglia.
Abituarsi a parlare
Nello stesso momento questa modalità deve agevolare da alcuni punti di vista, ma non si può assolutamente sostituire al dialogo e al contatto diretto tra i vari membri della famiglia.
Non ci si deve abituare a non parlare, un messaggio vocale non deve sostituire la conversazione.
Il fatto di sapere dove ci si trova o quello che si fa o cosa accade a scuola attraverso i registri elettronici, ha annullato anche il confronto sul rendimento scolastico e l’affrontare direttamente un genitore.
Il fatto che non si affronti più il genitore, e che si comunichino anche le cose che non vanno o i problemi attraverso le chat, porta a non assumersi le proprie responsabilità.
Porta a non trovare strategie per risolvere i problemi, alla assenza del confronto con un adulto, al guardalo in faccia per vedere il suo dissenso che serve per acquisire le competenze per capire di aver commesso degli errori.
Genitori amici?
Per esperienza diretta con i ragazzi, oggi nelle famiglie digitali si tende a discutere tanto, soprattutto in merito gli aspetti legati alle prestazioni.
In particolar modo quelle scolastiche, e molto meno a quelli emotivi, dimenticandosi che il dialogo tra i genitori e figli, e tra genitori e genitori, è uno strumento di prevenzione e di educazione potentissimo.
Dialogare insieme, non significa diventare i loro amici o i loro confidenti, come troppi adulti erroneamente fanno, ma la loro carta assorbente, un confronto maturo ed esperto in grado di comprenderli.
In troppe situazioni, purtroppo, è praticamente impossibile, a causa della immaturità dei genitori, dei loro problemi o disturbi e della incapacità di essere un riferimento autorevole.
Questo purtroppo, li porterà a non avere punti di riferimento stabili e li renderà vulnerabili, potenzialmente alla deriva.
Dialogare non è rendicontare, soprattutto per soddisfare la curiosità del genitore o placare le sue ansie.
Conoscere davvero un figlio
Solo attraverso il dialogo si riesce a conoscere veramente un figlio, si guarda nei suoi occhi, si apprende come si esprime, nel bene e nel male e si riesce quindi a capire quando c’è qualcosa che non va.
Perché un figlio si apra con il genitore ci deve essere innanzitutto l’ascolto empatico, ossia ascoltare ciò che un ragazzo racconta mettendosi nei suoi panni e guardando anche attraverso il suo filtro.
Il messaggio che deve arrivare ad un ragazzo è che, nel bene e nel male, il genitore è pronto ad ascoltarlo, anche quando gli racconta ciò che non vorrebbe mai sentire con le sue orecchie.
Per questo è importante che in famiglia ci sia un clima di apertura e si parli di tutte le problematiche che caratterizzano la vita, non solo di compiti.
E voi, vi ritrovate in queste situazioni?
Se sì e avete bisogno di un aiuto concreto contattatemi qui
Ma davvero può essere pericolosa la serie diventata ormai un cult e un caso per ragazzi e bambini?
Buongiorno amici. Oggi parliamo di squid game ed emulazione violenta nei minori.
Squid Game è diventato soprattutto un caso oggetto di polemiche e allarmi da parte delle istituzioni. La denuncia più recente arriva dall’Inghilterra, dalla contea di Bedfordshire.
Il consiglio comunale, a partire dalle segnalazioni del team che si occupa dei programmi di tutela e salvaguardia dell’educazione, ha allertato le famiglie su una serie di casi che hanno coinvolto numerosi minorenni. In una mail rivolta a familiari e tutori legali, riporta il Guardian, hanno consigliato di “tenere gli occhi ben aperti e rimanere vigili”.
LA RAGIONE?
“Il numero crescente di report che registrano un sensibile aumento della percentuale di bambini e adolescenti invischiati in competizioni violente ispirate a Squid Game. Prodotto che, almeno da quanto indicato dal network, sarebbe destinato a un pubblico d’età superiore ai 15 anni”.
Anche dal Belgio la cronaca riporta episodi di percosse tra bambini proprio dopo avere imitato un gioco della famosa serie tv.
In effetti i bambini imparano molto per imitazione e i personaggi che vincono, che hanno un potere sugli altri, attirano molto la loro attenzione, perché essi si percepiscono in una posizione di inferiorità rispetto agli adulti. Se poi i personaggi ‘forti’ vengono proposti in un videogioco dagli stessi adulti, si sentono incoraggiati a imitarne i comportamenti.
La SERIE attira i bambini perché riproduce i giochi tipici dell’ infanzia, come “un, due, tre, stella…”..ma le penitenze di chi perde hanno dei risvolti violenti.
La violenza eccita, mette in circolazione adrenalina, suscita emozioni forti, questo è il motivo per cui la violenza può avere la meglio sulla paura e anche sul senso di pietà nei confronti delle vittime.
Un mix di violenza e impatto visivo. Ricorda un po’ Arancia Meccanica di Kubrick: Il contenuto è quello: violenza esasperata e l’uso della stessa senza una risonanza emotiva.
MA LA COLPA è DA ATRRIBUIRE SOLO ALLA SERIE?
Assolutamente no. E’ un po’ il discorso trito e ritrito del “quello è un satanista perché ascolta metal “…la colpa nn è della serie, della musica, dei film horror.
Davanti scene di questo tipo, e essendo in presenza di minori, i Genitori dovrebbero fare da filtro e spiegare che quelle scene sono rese per attirare l’attenzione, non sono e non devono essere realtà.
I genitori devono aiutare i più piccoli decodificare certi tipi di messaggi.
Non diamo sempre la colpa ad uno spauracchio qualsiasi e diverso a seconda delle situazioni. Prendiamoci le nostre responsabilità.
La resilienza è la capacità delle persone di affrontare i momenti più stressanti e traumatici della vita senza che, questi eventi, appunto, sopraffacciano loro.
Quella capacità di superare le avversità, di avere la forza di…autoripararsi. Come fossimo un bel vaso di vetro ch si rompe ma che ha , pi, la capacità di autoripararsi.
Ma, ahimé, questa capacità non sempre è presente.
Quello che, però, non pensiamo è che tutti, di base, siamo resilienti perché tutti, prima o oi, nella vita siamo chiamati ad affrontare un momento particolarmente difficile. Ad alcuni manca solo los timolo, la forza d’animo per farlo.
La resilienza comporta, quindi, particolari comportamenti, pensieri, atteggiamenti.
CARATTERISTICHE
La resilienza è, perciò, una funzione psichica, sì..possiamo definirla così. Ma anch’essa ha delle caratteristiche.
Chi è resiliente possiede:
impegno: certo…sono persone che non sene stanno con le mani in mano ma si impegnano ed agiscono.
controllo: già..perché i resilienti hanno la convinzione di poter governare gli eventi.
gusto per le sfide: perché accettano i cambiamenti che la vita pone loro davanti, li abbracciano e vanno avanti.
FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI
I fattori protettivi sono tutte quelle caratteristiche che ci fanno essere resilienti. Quali sono?
Essere primogenito: se ci pensate, il primogenito ha un po’ la responsabilità di essere da esempio ai fratelli minori . Chi è figlio unico, invece, deve vedersela da solo davanti ad alcune difficoltà…
Essere sensibili e avere un buon temperamento: la sensibilità è fattore importantissimo per comprendere se stessi e gli altri. E il temperamento ci aiuta,appunto, a rimboccarci le maniche e combattere.
Autonomia e autocontrollo: ovviamente sì. Le persone resilienti sono anche persone autonome che cercano di risolvere i problemi da soli, con la loro forza di volontà. Autocontrollo…l’abbiamo già detto… l’autocontrollo ci aiuta a dominare ,e non farci dominare, dagli eventi.
socialità e fiducia nelle proprie capacità: il resiliente non è una persona asociale, al contrario. E, in ultima analisi, ha una gran fiducia nelle proprie capacità. Altrimenti non avrebbe nemmeno la fora di lottare.
Ma come ci sono i fattori protettivi, dunque, ci sono anche i fattori di rischio. Quelle caratteristiche che fanno sì che non riusciamo a sopportare minimamente un evento difficile, tanto da non avere le forze per affrontarlo. I bimbi, ad esempio, che mancano di fattori protettivi, hanno difficoltà comportamentali, emotive, di apprendimento.
I fattori di rischio si dividono n diverse categorie:
interpersonali: chiusura ins e stessi , isolamento, depressione.
familiari: scarso legame con i genitori, mancanza di dialogo con questi, conflitti.
di sviluppo: disabilità soprattutto nella lettura, ritardi, disturbi dell’attenzione.
COSA SVILUPPA LA RESILIENZA?
Innanzitutto un carattere ottimista. Infatti, chi vede il bicchiere mezzo pieno anche nelle difficoltà riuscirà sicuramente ad affrontarle.
Autostima.. avere fiducia nelle proprie capacità è fondamentale per essere resilienti.
Robustezza psicologica: controllo, impegno e sfida, come dicevamo.
Emozioni positive: e qui ci ricolleghiamo all’ottimismo:) ma anche al fatto che abbiamo bisogno di contornarci di persone positive.
Supporto sociale: ultimo ma non per importanza. Cosa vuol dire? che tutti noi abbiamo bisogno di essere supportati, di essere oggetto di amore, cure, di essere stimati ed ascoltati.
Io spero ragazzi di esservi stata di aiuto parlandovi di resilienza.
Ricordatevi che per qualsiasi problema io sono sempre disponibile nella sezione contatti consulenza
Qui potete trovar tutti i miei contatti e prenotare giorno e ora della vostra consulenza per iniziare un percorso insieme.
Buongiorno amici! Oggi parliamo di quanto sia importante imparare a dire di no.
Dire di no non significa essere egoisti, significa riconoscere i propri bisogni e le proprie esigenze e imparare a farle vedere agli altri. In una relazione paritaria ci deve essere il dare e l’avere, non solo il dare.
LA PAURA
Molto spesso nasce dalla paura che l’altra persona ci possa rimanere male o che si possa arrabbiare con noi. Si teme che l’altro si possa offendere, che “se la possa prendere”, e quindi, che si possa intaccare l’amicizia o il rapporto di coppia, se si tratta di un partner. Mettiamo in secondo piano il fatto che dovremmo essere apprezzati per la persona che siamo, non per ciò che gli diamo.
Capite, però, che in questo modo annulliamo una parte di noi per dare spazio solo e soltanto alla/alle persona/e che amiamo. In questo modo, non ci conosceranno mai fio in fondo, non conosceranno mai davvero chi siamo perché apprezzeranno, purtroppo, solo quello che facciamo vedere, solo ciò che sembra ma non è.
E cosa succede? Ci sentiamo, a questo punto, frustrati, bloccati, timorosi di non poter essere noi stessi.
Sarà capitato anche a voi di trovarvi in una situazione in cui la maggior parte delle persone la pensavano in un modo e voi, per non sentirvi da meno o giudicati( e magari questi erano solo nostre illusioni) non esprimevate i vostri reali pensieri, la vpstra opinione sincera?
Oppure, esempio che spesso succede soprattutto ai ragazzi, il vostro gruppo di amici vuole fare qualcosa che a voi non piace, non interessa, magari pericoloso e voi sapete che è così. Ma, per fare gruppo, per paura di essere messi per sempre da parte, non vi rifiutate e vi costringete ad agire contro la vostra volontà?
Non ci dobbiamo dimenticare che per gli adolescenti i legami di amicizia sono molto importanti. A volte sono simbiotici, anche totalizzanti. Si vestono in stock, parlano la stessa “lingua”, si identificano in un gruppo o in un modello. I ragazzi sono ancora in fase di strutturazione e stanno definendo la loro personalità.
EDUCARE…
È normale che siano vulnerabili, ma bisogna insegnar loro a non aver paura di essere se stessi, di esprimersi per ciò che sono, a dire quello che pensano, anche quando non seguono la corrente comune. Dire di no è un esercizio che deve essere allenato insieme all’autostima, alla gestione delle emozioni e all’elaborazione della dipendenza psichica.
Chi ha paura di dire di no , fondamentalmente, non ha stima in se’ e nelle sue capacità. E’ dipendente dal volere e dall’approvazione degli altri ma, così, non si cresce, non si diventa indipendenti.
I NOSTRI BISOGNI E LE NOSTRE ESIGENZE NON DEVONO ESSERE MAI MESSI IN SECONDO PIANO RISPETTO AGLI Altri. E se un rapporto si incrina e finisce solo per questo motivo…. Beh, è stato sicuramente meglio così.
Educhiamo noi stessi a rispettarci, a volerci bene, ad apprezzarci, a stimarci.
Io spero che questa riflessione su come imparare a dire di no vi sia stata utile.
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Cosa fare se i figli raccontano bugie spesso e volentieri
Ah l’adolescenza. Croce e delizia per i genitori e per i ragazzi. Oggi parliamo di bugie bugie bugie
Sì, perché è l’età delle ribellioni, del cambiamento, degli sbagli e dei disagi.
Molti di loro possono cadere in stati d’animo e problematiche di una certa importanza :depressione, autolesionismo, disturbi alimentari ansia droghe.
Ma ci sono dei segnali che i genitori devono captare per capire se i figli si trovano in queste situazioni.
SEGNALI
I segnali sono :sbalzi d’umore, apatia, difficoltà a emanciparsi dai genitori.
Il modo migliore per un genitore, sempre, è osservare…osservare ogni minimo cambiamento.
Ogni minima reazione, ogni silenzio, ogni variazione di peso, di comportamento, improvviso e senza un’apparente motivazione.
Non chiedete direttamente al ragazzo, negherebbe.
COSA FARE?
La cosa fondamentale è trovare una via di mezzo tra autorevolezza e dialogo, vicinanza.
CREARE UNO SPAZIO SICURO: uno spazio in cui voi genitori non farete altro che ascoltare il ragazzo; uno spazio in cui farete capire che, per ottenere quello che desiderano, non bisogna per forza mentire.
CHIEDERE LA VERITà: non imposta quante volte avete fatto un discorso profondo sull’onestà. Ora, c’è bisogno di un corso di aggiornamento sul tema. Quindi, dì cos’è l’onestà e condividete col ragazzo i motivi per cui volete conoscere la storia completa di un determinato accaduto. Senza additare, senza giudicare. Solo conoscere.
CONSAPEVOLEZZA: fate finta di nulla se vi accorgete che ancora non vi dirà la verità. Questo passaggio è utile per creare un rapporto tra voi.
DISCUTETE LE SOLUZIONI: questo passaggio serve solo quando la storia che volete conoscere è completa. A quel punto, arriva il momento di far capire al ragazzo come può raggiungere gli obiettivi anche senza mentire.
NESSUNA VERGOGNA: regola fondamentale che deve vigere nella vostra casa. Nessun insulto, nessun alzare la voce. Quando un ragazzo viene punito, e prova vergogna per aver mentito, mentirà ancora. Provate sempre empatia per vostro figlio. Non è tanto importante ,a menzogna ma quello che impara da questa.
E se avete bisogno chiamatemi.
Io spero che il mio articolo BUGIE BUGIE BUGIE vi sia stato utile.
Chi sono: sezione dedicata al curriculum professionale ed esperienze lavorative della dottoressa Napolitano.
DR.SSA MARIA TERESANAPOLITANO
CURRICULUM
ISTRUZIONE E FORMAZIONE
1992-1997: diploma di liceo linguistico presso l’istituto superiore “Giovanni Falcone” di Bergamo
1997-1998: specializzazione in import-export conseguito presso Enaip Lombardia, Bergamo
2002-2006: laurea in scienze dell’educazione e della formazione col titolo di educatore di comunità, conseguita presso l’università statale di Bergamo
2017: conseguimento dell’attestato di counselling
ESPERIENZE PROFESSIONALI
1999-2000: Impiegata import-export presso Odl spa con la mansione di responsabile commerciale e gestione rapporti con i clienti internazionali e nazionali;in seguito, articolista presso il quotidiano “L’eco di bergamo”.
2006: tirocinio presso la comunità minori di bergamo “a.f.a”. Mansione: accompagnare nella quotidianità gli ospiti minorenni e maggiorenni( maschi), seguirli nei momenti ludici e nelle attività scolastiche ed extra-scolastiche,assistenza alle visite protette con le famiglie degli utenti,accompagnamento alle visite con gli psicologi.
2007-2008: mediatrice familiare , in forma privata con partita iva, presso il domicilio di famiglie; aiuto nel reinserimento scolastico, sociale e lavorativo.
2010-2012: educatrice presso diversi istituti scolastici (scuole medie): assistenza a ragazzi affetti da disturbo dell’attenzione, ragazzi provenienti da comunità di minori vittime di abbandoni e abusi, assistenza a minori con situazioni familiari complesse( alcolismo, genitore in carcere, indigenze); e ancora,assistenza a ragazzi con difficile background familiare e con problemi di iperattività e ansie da prestazione.assistenza quotidiana a ragazzi con difficoltà nell’attenzione e contenimenti comportamentali all’interno del gruppo classe.
2013-2014: a.d.m. (assistenza domiciliare minori) in forma privata presso famiglie in situazioni di disagio e complesso rapporto genitori/figli
2014-2016: esperienza editoriale presso “blasting news”.
2018-2019: educatrice presso la cooperativa “Universiis” di Bolgare: adm presso il domicilio di famiglie sotto decreto emesso dal tribunale dei minori di Brescia; incontri protetti tra minori e genitore
ad oggi: mediatrice familiare; esperta in disagi minorili e familiari; assistenza adolescenti e pre adolescenti in momenti difficili; assistenza, minori e non, scolastica con insegnamento di un efficace metodo di studio(per scuole medie, superiori e università).
LINGUE CONOSCIUTE
Inglese: ottimo scritto e orale
Francese: ottimo scritto e orale
Tedesco: livello scolastico scritto e orale
CAPACITà E COMPETENZE SOCIALI
Ottime capacità relazionali con colleghi e utenti;capacità di entrare nei vissuti e di empatizzare con ragazzi e genitori ; assistenza lavorativa,reinserimento sociale e assistenza scolastica ragazzi stranieri;capacità di interpretare i linguaggi del corpo; capacità di interagire con ragazzi e famiglie per mediare rapporto tra questi;utilizzo giochi di ruolo per comprendere difficoltà relazionali dei ragazzi. Capacità di mediare scontri verbali tra ragazzi all’interno del gruppo classe. Guida al dialogo.
Utilizzo delle passioni più grandi, musica e arte pittorica, come mezzo di comunicazione non verbale.