Buongiorno amici. Oggi parliamo un po’ di genitori digitali. Ma sono davvero un esempio per i figli?
Famiglie
Le famiglie sono ormai sempre più digitali e, se pensiamo che bambini e adolescenti siano i più vulnerabili e attratti dalla vita online, gli adulti non sembrano da meno.
Gli stessi genitori, infatti, fanno fatica spesso a staccarsi dagli schermi e, impegnati tra social network e chat, sfociano in un uso improprio della tecnologia.
Quante volte capita di non resistere alla tentazione di guardare il telefono, di rispondere ad una chiamata, di scrivere un messaggio o una email mentre si parla, si mangia o si gioca con i figli?
Anche perché, per l’appunto, i dispositivi elettronici, per le loro caratteristiche, catturano facilmente la nostra attenzione ed è difficile in alcuni momenti non farsi distrarre da suoni, squilli e notifiche.
Il problema, però , è che spesso diventa un’abitudine consolidata e un comportamento sistematico, senza pensare che in questo modo si stia dando un esempio sbagliato ai più piccoli .
Come mantenere un equilibrio nell’uso della tecnologia ed essere un modello positivo per i figli?
1. RITAGLIARSI DEI MOMENTI LIBERI DALLE ATTIVITÀ DIGITALI.
Cercate di dedicarvi al gioco e alla condivisione con i figli, mettendo da parte lo smartphone, tenendolo lontano da voi, in modo da godervi un tempo di qualità con loro, senza distrazioni
. Quando si è a tavola, ad esempio, il telefono deve essere messo da parte e, per non farvi tentare dal prenderlo in mano e visionarlo, tenetelo fuori dallo spazio in cui mangiate.
Oggi si è sempre molto occupati, si corre da una parte all’altra e c’è sempre meno tempo per interagire: non perdete l’occasione dei pasti che sono dei momenti importanti da sfruttare al meglio per dialogare e interagire in famiglia.
2. DISINTOSSICARSI DA SQUILLI E NOTIFICHE.
Bisogna imparare a gestire il tempo del digitale e a non farsi prendere dalla curiosità o dall’ansia dell’attesa di ricevere messaggi, email e quant’altro.
Quando si è in famiglia e con i figli, per non farvi distrarre ogni volta dal suono del telefono, silenziate le notifiche così da posticipare il momento in cui visionerete lo smartphone: imparate a rimandare e a dilazionare i tempi di risposta.
Un’altra regola, per dare il buon esempio ai figli, è quella di mettere il telefono in modalità silenziosa quando si è impossibilitati a rispondere, ad esempio di notte oppure quando si è alla guida dove spesso ci si distrae, mettendo in pericolo anche la propria vita.
3. PREDILIGERE LA COMUNICAZIONE FACCIA A FACCIA.–Genitori digitali
Ogni comunicazione ormai è affidata allo smartphone e, spesso anche in famiglia, si finisce col parlarsi tramite chat, anche da una camera all’altra della casa, inviando file audio o messaggi, o col mandarsi faccine per comunicare i sentimenti, piuttosto che farlo dal vivo.
Se i figli più piccoli apprendono indirettamente questa modalità di comunicazione osservando il genitore, i figli più grandi la utilizzano in prima persona, tanto da farla diventare la normalità.
In un’epoca di famiglie digitali, è fondamentale recuperare il dialogo e l’interazione faccia a faccia e il guardarsi negli occhi: tutte abilità che rischiano altrimenti di perdersi.
La responsabilità non è della tecnologia in sé ma dell’uso che se ne fa e del ruolo degli adulti nell’educare i bambini e gli adolescenti ad un corretto utilizzo.
È necessario che gli adulti forniscano ai figli quegli strumenti che gli consentono di sfruttare le risorse della tecnologia, senza però esagerare, per evitare un uso totalitario, mantenendo un equilibrio tra le attività digitali e quelle di interazione sociale.
E voi, siete genitori digitali? Che rapporto avete coi vostri ragazzi? E voi, ragazzi, avete genitori più social che famiglia?
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Buongiorno amici. Oggi parliamo di mancanze nell’infanzia e di come diventiamo da adulti.
La teoria dell’attaccamento spiega quanto sia importante per ognuno di noi, per una crescita psico-fisica sana, avere una base sicura a cui tornare. La base sicura è il genitore, il caregiver in generale, cioè qualcuno che, oltre che prendersi cura del bambino nutrendolo e garantendo il soddisfacimento dei bisogni primari per la sopravvivenza, soddisfa il bisogno di amore, anch’esso indispensabile non per la sopravvivenza, ma per la vita.
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Sai cos’è la deprivazione emotiva? Partiamo da un preconcetto: la maggior parte dei genitori non è consapevole di star trascurando emotivamente il proprio figlio. Spesso succede che questo bisogno di amore e conferme non sempre vengano soddisfatti, e non necessariamente per cattiva volontà, ma a volte per mancanza di tempo ed energie, o perchè anche i genitori stessi a loro volta sono stati bambini e probabilmente non hanno ricevuto abbastanza amore e non hanno quindi imparato ad amare.
A volte sono piccoli gesti di non curanza protratti nel tempo a creare il seme della deprivazione emotiva. Problemi che non sempre vengono colti con velocità e immediatezza data l’apparente normalità nella quale il bambino sembra vivere.
Possiamo considerare tre sottospecie di trappola da deprivazione emotiva
1) Deprivazione di accudimento amorevole: i tuoi genitori ti tenevano abbastanza in braccio? ti coccolavano abbastanza? Ti consolavano e calmavano? Giocavano con te?
2) Deprivazione di empatia e riconoscimento: i tuoi genitori erano interessati ad ascoltarti? Erano capaci di capire i tuoi bisogni ed i tuoi sentimenti? Comunicavano con te?
3) Deprivazione di protezione e guida: da piccolo/a potevi fare riferimento ai tuoi genitori per essere supportato/a e protetto/a in caso di bisogno? C’era qualcuno che badava a te e ti faceva sentire al sicuro?
La disregolazione emotiva- mancanze nell’infanzia
I bambini durante la loro crescita cambiano e modificano continuamente il loro modo di “sentirsi” nel mondo. Durante questo percorso è capitato a molti di loro di non riuscire a dare un nome ed un senso a quelle sensazioni che provano, che qualche volta possono arrivare ad ingombrare tutto il loro sentire, non lasciando spazio e tempo per altro. Quando ciò succede ha inizio un disregolazione delle emozioni che può stravolgere e dare sofferenza in ogni ambito della loro vita.
Immaginiamo delle situazioni comuni in cui al bambino viene chiesto di reprimere le proprie emozioni, di non fare richieste, di non piangere perchè “diventare grandi vuol dire risolversi i problemi da soli” senza chiedere l’aiuto degli altri. O ancora, quelle situazioni in cui al bambino non viene mai dato un rinforzo positivo ma gli si rimanda che avrebbe potuto sempre fare di più, che qualcun altro è stato piu bravo di lui ecc.. tutto questo può interferire significativamente con la costruzione della propria autostima e sul proprio benessere emotivo.
Quando c’è un bambino arrabbiato, preoccupato, emozionato, gioioso è necessario che ci sia un adulto capace di ascoltare e di non invalidare qualsiasi tipo di emozione si presenti. Chiedere a un bambino preoccupato cosa lo disturbi in quel momento è il primo passo per educare alle emozioni. Se, al contrario, dinanzi a uno stato di preoccupazione ovvero di agitazione c’è un adulto che fa sentire inadeguato un bambino, quest’ultimo imparerà a non dar voce alla sua emotività.
Non ascoltare l’emotività di un bambino e non educarlo alle emozioni lo faranno crescere con l’inconsapevolezza di ciò che sentirà poiché l’emotività del bambino di ieri non sarà connessa con quella dell’adulto di domani.
Mancanze nell’infanzia: come diventiamo da adulti?
Quando i bisogni emotivi di un bambino non vengono soddisfatti durante l’infanzia, lo sviluppo della personalità verrà modellato in modi specifici. In effetti, una forte carenza emotiva può invalidare la sfera emotiva del bambino e l’adulto di domani, ne risulterà completamente sconnesso.
Le conseguenze della mancanza di affetto sono innumerevoli e diverse da individuo a individuo anche per aspetti individuali che possono incrementarle o ridurle, tuttavia sicuramente l’assenza di amore nelle sue diverse forme, lascia un segno e compromette l’immagine di sé, l’autostima e le relazioni nel corso della vita. Ecco alcune conseguenze:
Dipendenza affettiva
Non ti senti amato/a dal tuo partner? Forse dovresti accettare che non hai avuto dei buoni genitori!
Di fatto la carenza affettiva induce alla dipendenza emotiva. Le persone alle quali è mancato l’amore andranno per il mondo con avidità alla continua ricerca di affetto. Di qualunque forma affettiva possa loro confermare anche in maniera anomala, disturbata e non veritiera che vi sia dell’amore e della considerazione. Ricercheranno conferme e riconoscimento attraverso rapporti di dipendenza, rapporti nocivi ed insoddisfacenti. Infatti sono facili prede di approfittatori che tendono ad usare tale fragilità per manipolarla per i loro fini.
La relazione di coppia diventa quindi un’opportunità mediante la quale guarire una volta per tutte le proprie ferite: il partner diventa, in un certo senso, un sostituto del proprio padre o della propria madre e si pretenderà di essere amati incondizionatamente come ci si sarebbe aspettati dai propri genitori.
Tali presupposti comportano nella coppia comportamenti disfunzionali: la relazione diventa tesa e conflittuale, la comunicazione diventa aggressiva e sfidante dato che si pretenderà con forza ciò che si pensa spetti di diritto. Non mancano atteggiamenti passivo aggressivi vittimistici che lentamente vanno a ledere l’affettività, la sessualità e in più in generale l’intera relazione.
Mancanze nell’infanzia: Emarginazione
Sei fermamente convinto che l’amore o la vera amicizia non esistano? Forse hai paura di amare o peggio pensi di non essere all’altezza di stringere legami!
Per chi soffre di un vuoto affettivo la chiusura di un legame vuol dire cadere in una profondissima solitudine, avvertire un “nulla” che diventa intollerabile, andare avanti con una profonda sofferenza. Le carenze affettive nell’infanzia portano l’adulto ad una rassegnazione, a un ritiro emotivo e a un substrato depressivo. Ci si abitua a non essere abbracciati, a non essere baciati, a non essere amati e ci si convince di stare bene, che non sono necessarie avere relazioni perchè non si ha bisogno di niente.
Frustrazione in ambito lavorativo
Odi tutti: i tuoi colleghi e il tuo datore di lavoro? Sappi che l’ostilità verso gli altri nasce sempre da una mancanza….magari sei tu che non sei mai stato valorizzato da chi avrebbe dovuto farlo!
L’ambito affettivo-sentimentale non è l’unico contesto in cui possono venire fuori le proprie carenze affettive. Può avvenire lo stesso anche in ambito lavorativo. Chi non si è sentito riconosciuto e valorizzato durante l’infanzia potrà provare, per esempio, una fortissima frustrazione se non si sentirà valorizzato dal suo capo o dai suoi colleghi. Queste figure diventeranno inconsciamente una proiezione dei genitori.
Sviluppo di comportamenti aggressivi
Ti arrabbi al minimo intoppo e pensi che tutto ti sia dovuto? Probabilmente hai sviluppato un meccanismo di difesa inconscio per riscattarti da quella ancestrale ingiustizia subita
Un bambino cresciuto nell’indifferenza può sviluppare un comportamento aggressivo da adulto, specialmente se è stato sottoposto a continua trascuratezza emotiva. L’abbandono, l’ignoranza, la disaffezione o l’abuso sui minori possono trasformarsi in rabbia, risentimento verso i genitori o addirittura verso la società. Di conseguenza, è molto probabile che un orfano d’amore assuma un comportamento aggressivo.
Bastano delle piccolezze come un ritardo di un quarto d’ora o la mancata risposta ad un sms per mandarlo in escandescenza. Per chi si trascina carenze emotive, ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa può innescare una sensazione di disperazione che si traduce con rabbia e accuse.
Per esempio, se il partner non risponde ad un sms, penserà cose altamente ansiogene del tipo: ” Fa cosi perchè non gliene importa nulla di me”, ” Non può rispondermi perchè è con un altro/a” oppure ” Lo sapevo: ha intenzione di lasciarmi”.
Totale mancanza di empatia
Il tuo migliore amico o peggio il tuo partner mostra indifferenza verso i tuoi bisogni? Se è cresciuto privato dell’amore dei suoi genitori non c’è da meravigliarsi!
Un bambino che riceve amore sa donare amore, mentre se un bambino manca di amore e di affetto, può riprodurre lo stesso modello di comportamento da adulto, divenendo apatico e sviluppando la sua indifferenza verso la sofferenza degli altri. Potrebbe entrare in uno stato di freezing, non sentire il dolore degli altri e comportarsi in un modo totalmente privo di empatia, anche influenzando le sue relazioni sociali.
E tu, che adulto sei diventato?
E’ davvero triste che la vita di un bambino possa essere influenzata per sempre. Molto di più se è dovuto alla mancanza di attenzione, amore e affetto dei loro genitori o tutori. Adesso sei adulta/o, hai il potere e il diritto di amarti e di stare bene con te stessa/o. Diventa il genitore di te stessa/o e che non hai mai avuto. Rimetti a posto quel tassello mancante nel tuo sistema di credenze.
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Io spero che parlare di mancanze nell’infanzia vi sia stato utile.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo de l’introversione.
Spesso mi capita di parlare con genitori spaventati per i carattere introverso del figlio confuso, erroneamente, con la timidezza.
L’introversione si traduce in maggiore comfort in situazioni o contesti tranquilli, con pochi stimoli esterni.
Gli estroversi, d’altra parte, hanno bisogno di più stimoli per sentirsi al meglio. Lo stimolo può essere interpretato in vari modi; stimolazione sociale, ma anche rumore, luci, movimento, ecc.
Chi è introverso si divertirà più bevendo in tranquillità un drink con un caro amico piuttosto che a una festa rumorosa piena di estranei.
L’introversione e la timidezza
L’introversione non va confusa con la timidezza che implica la paura del giudizio esterno negativo, mentre l’introversione è semplicemente una preferenza per un ambiente con meno stimoli. La timidezza sarà sempre controproducente, essere introversi no.
Se essere introverso non è fonte di imbarazzo, perché così tante persone lo vedono come una cosa negativa? Perché la preferenza per stimoli tranquilli o scarsi viene giudicata negativamente?
Se ci fermiamo a pensare, detto pseudo-assolutismo affonda le radici nell’infanzia. Sin da bambini, chi preferisce la tranquillità o la solitudine al frastuono o alla folla viene visto come “strano”.
Essere estroversi o preferire l’azione di gruppo all’azione individuale non è male, ma non lo è nemmeno essere introversi. Tuttavia, la nostra società premia l’essere estremamente socievoli o estroversi sopra ogni cosa, anche sulle buone idee.
L’estroversione secondo Susan Cain
Susan Cain, autrice che ha approfondito l’argomento dell’introversione, afferma che “non c’è correlazione tra chi parla meglio o di più e chi ha le idee migliori”. Secondo Cain, più di un terzo della popolazione è introverso, ma molte di queste persone cercano di passare per estroversi, perché la società lo richiede.
Il problema per Cain è che chiunque tenti di sembrare diverso perde una parte di sé. E in questo caso quello che manca è il vero senso di come si desidera trascorrere il tempo. Gran parte delle persone introverse finisce per svolgere costantemente attività in cui non si sente a proprio agio o durante le quali preferirebbe fare altro. Per esempio, vanno a una festa ma vorrebbero rimanere a casa a leggere un libro.
Conclusioni
Essere introversi non significa essere antisociali, una persona introversa può essere altrettanto o più amichevole di un’altra a cui piacciono tutti gli stimoli di cui sopra.
È tempo quindi di smettere di pretendere determinati atteggiamenti da chi non li apprezza e accettarlo. L’estroversione è uno dei tanti tratti della personalità e come tale deve essere accettata. L’introversione non è una malattia.
Quindi , cari genitori, non forzate vostro figlio ad essere quello che non è. Rispettate il suo modo di essere e, se avete bisogno di un aiuto, contattatemi pure alla sezione “contatti e consulenze” del sito.
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Utili strategie per imparare questa importantissima arte di vivere.
Buongiorno amici:) Oggi parliamo dell’importanza di saper ascoltare.
Saper ascoltare è fondamentale per una comunicazione efficace.
Tuttavia, sono poche le persone che sanno ascoltare davvero. Si tende a non prestare attenzione, pur dissimulandolo, e ciò provoca diversi conflitti che influenzano il rapporto con gli altri.
Non siamo consapevoli dell’importanza di saper ascoltare e di quanto sarebbe utile potenziare questa abilità. Tuttavia, il nostro bisogno di essere ascoltati prevale e diventiamo egoisti senza notarlo.
“Parlare è una necessità, ascoltare è un’arte.”
-Goethe-.
Ascoltare e sentire
Ascoltare e sentire sono due atteggiamenti diversi. Dopo un’intera giornata si sentono molte cose, ma si ascolta poco.
Quando sentiamo, non prestiamo molta attenzione, semplicemente captiamo la successione dei suoni prodotti intorno a noi.
Quando ascoltiamo, la nostra attenzione è diretta verso un suono o un messaggio specifico, ovvero vi è un’intenzione, motivo per cui attiviamo tutti i sensi. Così, le persone che sanno ascoltare gli altri li accompagnano nel loro viaggio attraverso la vita.
Ricordate quando in classe c’era un insegnante e non si era interessati a quello che diceva? Non vi si prestava ascolto, semplicemente si avvertiva la sua voce.
Il canale uditivo riceveva il suono che emetteva, ma non lo capiva. La mente era altrove, ignorando quanto percepito attraverso le orecchie.
“Ascoltare attentamente rende speciale, perché quasi nessuno lo fa.”
-Ernest Hemingway-
Ebbene, questo atteggiamento in una lezione noiosa può essere trasferito nel proprio quotidiano. A volte è molto più facile sentire piuttosto che ascoltare, poiché quest’ultimo richiede la volontà di prestare attenzionee di sforzarsi di capire. Si chiama ascolto attivo ed è necessario e importante.
Saper ascoltare
Un proverbio orientale dice: “Nessuno rende più evidenti la sua goffaggine e la sua cattiva educazione di chi comincia a parlare prima che il suo interlocutore abbia finito”.
A volte si mostra difficoltà di ascolto, poiché si elabora mentalmente quello che si dirà quando l’interlocutore avrà finito di parlare. Si fa ciò piuttosto che sforzarsi di prestare attenzione a quello che dice, il che provoca incontinenza verbale.
Ebbene, parlando allo stesso tempo e non ascoltando le ragioni altrui, non ci saranno dialoghi in quanto tali, ma monologhi giustapposti.
Saper ascoltare è difficile, poiché richiede padronanza di sé e implica attenzione, comprensione e sforzo per cogliere il messaggio. Significa rivolgere la nostra attenzione all’altro, entrare nella sua area di interesse e nel suo quadro di riferimento.
Il dialogo richiede un atteggiamento silenzioso di ascolto attivo. Lo scrittore e oratore J. Krishnamurti ha dichiarato: “Ascoltare è un atto di silenzio”.
Finché non zittiamo il nostro dialogo interiore e prestiamo attenzione al nostro interlocutore, non impareremo ad ascoltare. Solo un atteggiamento di ascolto attivo rende feconda la parola che possiamo dare al nostro interlocutore.
È difficile poter dire all’altro qualcosa di valido se non apriamo bene le orecchie per ascoltarlo. Ciò fa sentire l’altra persona grata e creare un clima di rispetto, stima e fiducia.
L’ascolto è un’abilità che richiede apertura, trasparenza e voglia di capire. Il giusto equilibrio tra saper ascoltare e saper parlare produce dialogo.
Suggerimenti per saper ascoltare
Se vogliamo potenziare la nostra capacità di ascolto, prima di tutto dobbiamo identificare gli aspetti dell’ascolto attivo in cui abbiamo dei deficit e poi lavorare su di essi.
Questi aspetti possono essere sintetizzati in: attenzione all’interlocutore, interesse trasmesso, aspettare prima di rispondere, la capacità di dare e ricevere feedback ed empatia. A seguire presentiamo alcune tecniche che aiutano a lavorare ciascuna dimensione.
Prestare attenzione
Se non ascoltiamo il messaggio dell’altro, ci sarà impossibile ascoltare. Proviamo a concentrarci su ciò che ci dicono e ignoriamo tutti gli elementi di distrazione (interni ed esterni).
Allo stesso modo, facciamo uno sforzo per capire la posizione del nostro interlocutore e prestiamo attenzione al suo linguaggio del corpo, così identificheremo il contesto più facilmente e potremo capire l’intero messaggio. Infine, è di vitale importanza non interrompere e coltivare la pazienza.
Mostrare interesse
Saper ascoltare implica mostrare che siamo interessati a ciò che ci dicono. In caso contrario, l’altro percepirà di non essere curato e noi provocheremo una sua risposta negativa. Per denotare interesse, l’ideale sarebbe:
Fare brevi commenti e gesti di assenso che dimostrino che stiamo ascoltando.
Adottare una posizione del corpo in ascolto, che implica mantenere il contatto visivo, ridurre la distanza, orientare la postura verso l’altro, evitare le braccia incrociate, ecc.
Rinviare il giudizio
Quando l’interlocutore ci esprime le sue idee, dobbiamo essere in grado di mettere a tacere il nostro dialogo interiore. A tale scopo, bisogna evitare di trarre conclusioni mentre l’altra persona sta parlando.
Piuttosto, cercare di cancellare i preconcetti sull’argomento, non interrompere e mettere da parte le emozioni. Per riuscirci, non c’è niente di meglio della pratica.
Dare e ricevere feedback
È un aspetto molto importante per una comunicazione efficace. Possiamo chiedere di chiarirci le idee a noi non chiare e riformulare, con parole nostre, il messaggio che abbiamo catturato. Così evitiamo di cadere in inutili malintesi.
Essere empatici
Senza empatia non c’è ascolto attivo. Pertanto, affinché avvenga una comunicazione efficace, dobbiamo essere in grado di metterci nei panni dell’altro e capirlo.
Oltre a ciò, dobbiamo prestare particolare attenzione a quei messaggi che vanno oltre le parole, come: i loro sentimenti ed emozioni trasmesse, così come il loro linguaggio del corpo.
Conclusioni
Esercitiamo la capacità di saper ascoltare! È un esercizio salutare, appagante e di supporto, soprattutto in una società in cui ci sono molte persone che hanno bisogno di essere ascoltate.
Solo quando siamo in grado di ascoltare l’altro, apriamo la porta per comunicare con noi. Pertanto, non sottovalutiamo la capacità di ascolto. Abbiamo davvero iniziato a farlo?
Io spero che aver parlato di come saper ascoltare vi sia stato utile.
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Buongiorno amici:) Oggi riflettiamo su una cosa: se vogliamo prevenire le patologie dei figli…curiamo prima i genitori.
I GENITORI
Stiamo assistendo ad un fallimento del ruolo genitoriale di massa che indirettamente grava sulla salute mentale dei figli.
Se mancano i punti di riferimento i figli cresceranno senza una direzione e ci sarà chi compenserà e chi devierà.
I disturbi psicopatologici di bambini e adolescenti si stanno aggravando in termini di intensità e di frequenza e non possiamo stare inermi a guardare questa lenta ed inesorabile distruzione di massa.
Se vogliamo fare prevenzione dobbiamo accettare questa condizione e cambiare ciò che non funziona. Se prima di fare i cambiamenti non aggiustiamo ciò che non funziona, prima o poi i cerotti si staccano.
Prima infanzia
La prima infanzia è una fase estremamente delicata in cui si pongono le basi solide su cui si costruirà un’identità stabile, una personalità forte, un’adattabilità del bambino, poi adolescente e infine adulto.
E’ un periodo di plasticità neuronale e muscolare in cui il bambino è fortemente condizionabile in termini positivi e negativi, anche e soprattutto dall’apprendimento indiretto, ossia dall’esempio delle figure che lo accudiscono e dalle esperienze di vita che caratterizzeranno la sua vita.
I bambini hanno bisogno del legame, del confronto con il genitore, delle relazioni sociali, dell’attività fisica, di esprimersi da un punto di vista psicologico e fisico sentendosi contenuti da un adulto in grado di fargli da guida, di dargli la mano quando serve e di dirgli “vai ce la puoi fare da solo” quando necessario.
Hanno bisogno di chi non fa da paracadute solo per un egoismo personale.
Perché si fa prima, perché è meno faticoso, perché non si ha voglia di discutere con il figlio senza capire che se lo si cresce con la consapevolezza che avrà sempre e comunque un paracadute non spiegherà mai le sue ali.
Deve crescere con la consapevolezza di un legame stabile, di essere riconosciuto e accettato, di avere un porto sicuro che gli permetterà di partire, di osare, di sperimentarsi perché sa che avrà dei pilastri su cui contare.
La realtà
Ciò che invece tristemente vedo è che non si prende più in braccio un figlio per calmarlo, non ci si siede più con lui per farlo ragionare e capire cosa sta accadendo e di cosa ha bisogno, si dà uno smartphone, un tablet, una sorta di ciuccio digitale che serve da calmante e da ansiolitico.
E’ più facile, è più rapido, i bambini vengono anestetizzati davanti agli schermi e il genitore può fare i benemeriti affari suoi in santa pace.
Posso comprendere i casi straordinari di necessità, ma ciò che distrugge un figlio è la continuità, la sistematicità, non l’occasionalità.
Oggi siamo arrivati anche a non far camminare più i figli, a non insegnargli neanche dove mettere i piedi.
Sono dotati di scarpe con le rotelle, di hoverboard (gli skate elettrici) per cui si vedono bambini sfrecciare da soli e genitori che non si rendono conto dell’importanza di prendere la mano di un figlio e di camminare al suo fianco.
Qual’è il problema?
Il problema non è solo psichico, emotivo e di acquisizione di competenze psichiche, è anche fisico.
Mi trovo sempre più bambini che non sanno correre, saltare, andare in bicicletta, fare una capriola, che sono completamente scoordinati e non hanno il senso dell’equilibrio.
I bambini hanno bisogno di sporcarsi le mani e di sbucciarsi le ginocchia, di confrontarsi con gli altri coetanei, non solo con la tecnologia e con gli adulti.
Non devono solo competere a chi è più bravo, più bello, a chi fa più cose, a chi è più talentuoso, a chi si mette meglio in posa, a chi fa i video e i selfie più belli e prende già tanti like sui social.
Hanno bisogno di litigare e di fare pace, di capire i propri limiti, il senso dell’amicizia che non è essere amici suoi social o mandarsi i cuoricini su WhatsApp, le distanze, l’empatia e il rispetto.
Crescere
Devono crescere sviluppando le capacità di problem solving e le capacità intellettive attraverso la sperimentazione e le prove ed errori. Se si vuole insegnare ad un figlio ad essere responsabile bisogna prima essere responsabili e comportarsi da genitore responsabile.
Inoltre ci si deve ricordare che “in motu vita est”, la vita è movimento.
La staticità spegne, blocca e porta ad una morte psichica. Affrontare la vita di petto e in maniera dinamica è il segreto per non ammalarsi e per non farsi schiacciare dagli eventi.
Rischiano di aver perso una partita in partenza perché nessuno ha “perso tempo” ad insegnargli a giocare la loro partita.
Allora non gridiamo allo scandalo, non arriviamo sempre dopo per chiederci il perché, la famiglia deve essere una risorsa fondamentale nella crescita di un figlio da cui non si può prescindere ed è lì che dobbiamo investire se vogliano evitare di continuare a parlare di patologia, disagi e devianza e smetterla di essere il Paese del dopo, della pietà e dello scandalo, ma iniziare ad essere il Paese del prima.
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Io spero che la mia riflessione su “Se vogliamo prevenire le patologie dei figli…curiamo prima i genitori” vi sia stato utile.
Perchè molti genitori criticano costantemente i figli
Buongiorno amici:) oggi parliamo di criticismo genitoriale.
Il criticismo genitoriale è caratterizzato da un ricorso ripetitivo e pervasivo al rimprovero.
Si manifesta con frequenti commenti critici sostenuti anche da tono severo o perentorio; si esprime per mezzo di espressioni di disapprovazione, di sentimento, rifiuto e svalutazione del rimproverato (ad esempio, “Possibile che sbagli sempre?”, “Vergognati per quel che hai fatto!”).
L’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del ragazzo e le approvazioni sono inconsistenti; così succede che questo non si senta mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla.
La conseguenza? L’autostima viene letteralmente uccisa dando origine a sensi di colpa per cose mai realmente commesse e una ricerca costante dell’approvazione degli altri per sentirsi davvero “qualcuno”; davvero apprezzato.
Ricerca che va aldilà dell’ambito genitoriale visto che, qui, ogni tentativo è vano.
Gli effetti che produce il criticismo genitoriale
Questo tipo di comunicazione “inferiorizzante” è un potente strumento di controllo del comportamento dell’altro che lo fa sentire dipendente e quindi bisognoso di approvazione.
Questo atteggiamento aumenta dunque l’autostima del rimproveratore che recupera potere nella relazione.
Un livello elevato di criticismo genitoriale porta, l’adolescente, a un continuo bisogno di perfezionismo che genera, ovviamente, ansia e depressione visto che, come dico sempre, la perfezione no esiste su nessun fronte.
Una critica pervasiva dei genitori può portare a una vulnerabilità cognitiva per critiche fatte da altri. Inoltre i ragazzi possono imparare direttamente a relazionarsi con se stessi nello stesso modo critico che i genitori hanno utilizzato per riferirsi a loro
Molte sono le ripercussioni sui ragazzi: c’è chi sviluppa degli atteggiamenti ossessivo compulsivi: chi sviluppa una fortissima autocriticità; chi invece dipendenze da cibo.
Perfezionismo e bassa autostima sono considerate fra le maggiori credenze cognitive disfunzionali dei disturbi alimentari.
I soggetti rimuginano sul non essere abbastanza competenti e adatti alle richieste della vita. La valutazione del sé tende ad essere basata sulla forma corporea e sul peso, temendo conseguenze negative nei rapporti interpersonali, come il biasimo o il disprezzo di genitori e coetanei
Le critiche continue non consentono di sperimentare, mettersi in gioco, esplorare il mondo alla ricerca di soluzioni personali che incrementino l’autostima e il senso di autoefficacia.
Criticismo genitoriale e perfezionismo
Avere avuto genitori criticisti determina una maggiore intolleranza all’errore che porta ad essere perfezionisti; criticismogenitoriale e perfezionismo sono due concetti fortemente collegati.
Che fare allora?
Il compito primo dei genitori è dare il buon esempio e cercare di stimolare giorno dopo giorno l’autostima dei ragazzi.
I genitori, quindi, devono imparare davvero a dialogare con i ragazzi, ad ascoltarli, a comprendere il loro linguaggio interiore.
E, in primis, non devono cercare di far sì che riescano a raggiungere gli obiettivi che voi adulti non siete riusciti a raggiungere in gioventù.
Il vostro compito è assecondare i loro sogni, i loro obiettivi, apprezzare e valorizzare i loro personali talenti e insegnar loro a dare tutto il loro meglio per realizzare tutto ciò che vogliono.
Io spero che parlare di criticismo genitoriale vi sia stato utile
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Lettera di una ragazza ai suoi genitori. Riflettete.
Buongiorno amici. Oggi leggiamo questa bellissima lettera “cari mamma e papà vi racconto chi sono”.
La fase adolescenziale è caratterizzata da numerosi conflitti e incomunicabilità tra genitore e figlio. Spesso gli adulti non sanno come fare, si trovano inermi davanti alle porte chiuse e alla confusione del figlio, altre volte però, non riescono a trovare la chiave d’accesso giusta, non vedono quello che dovrebbero vedere e non si accorgono che dentro quel corpo in trasformazione c’è un modo sommerso.
Le parole di una ragazza indirizzate ai suoi genitori possono aiutare a capire cosa succede nella loro testa.
LETTERA
Cari mamma e papà,
in queste poche righe proverò a cercare di spiegarvi chi sono, o almeno ci provo, visto che sono abituata a tenermi tutto.
Sono diventata adolescente, ormai ho 14 anni, anche se a volte per voi è difficile accettarlo perché mi considerate ancora la vostra bambina.
Tante volte non so neanche io cosa mi succede, mi sento strana, nervosa, alcune mattine mi alzo, mi guardo allo specchio e mi trovo carina, altre non mi posso vedere, mi faccio schifo e spaccherei lo specchio.
COME MI SENTO
A volte mi sento fortissima, altre sogno di essere come quelle fantastiche modelle o cantanti che seguo sui social e mi vergogno quasi a uscire.
Mi accorgo che il mio corpo che sta cambiando, i ragazzi mi guardano in modo diverso, guardano le mie tette, il mio sedere e a volte mi vergogno, mi imbarazzo e spero che esista qualcuno che non guardi solo quello.
Vorrei essere diversa, vorrei essere più sicura di me e magari a volte ne vorrei parlare con voi.
Spesso mi capita di sentirmi fuori posto, ho paura di dire cose stupide e di essere presa in giro dai miei amici, è per questa ragione che spesso faccio quello che fanno gli altri.
A voi potrà sembrare semplice la mia vita, perché ci sono poche responsabilità, invece non è così, ogni mattina devo combattere per trovare un posto in questo mondo.
Devo stare attenta a tutto, a come vestirmi, a quello da dire, ai miei profili, a quello che succede nelle chat, a tutto quello che accade per non essere tagliata fuori.
In più ci siete voi che sembra che l’unica preoccupazione sia la scuola e i voti e al massimo che non mi faccio le canne o non mi ubriaco e non vado a letto con il mio ragazzo.
Così la scuola diventa ancora più pesante, già il voto dei prof sembra un giudizio di quanto valgo come persona, in più quando rientro a casa devo affrontare pure il vostro e devo combattere con la paura e la rabbia della vostra delusione.
Quanto ritorno da scuola, la domanda che mi fate sempre è “Come è andata oggi a scuola”?
Ma secondo voi ho davvero voglia di rispondervi quando sono stanca, affamata e vorrei parlare di tutto tranne che della scuola?
Cercate di rispettare i miei tempi senza bombardarmi di domande e vedrete che sarò io stessa a cercarvi e a raccontarvi quello che mi va di dirvi.
Magari fatemi capire che vi interessa anche sapere come sto, perché non mi dispiacerebbe affatto.
Spesso mi definite scontrosa, lunatica e menefreghista, quella a cui scivolano tutte le cose addosso: sapete qual è la verità?
E’ che indosso una maschera per sembrare più forte di quella che sono e che tutte le volte che mi sgridate e criticate, quelle critiche mi fanno molto male.
Mi piacerebbe spiegarvi perché rimango incollata ore ed ore al mio smartphone e perché non ne posso fare a meno,.
Ma tanto non capireste l’importanza che ha per me, per voi rimarrà quell’oggetto che mi fa perdere solo tempo, non quello con cui mi relaziono e condivido e gestisco la mia vita.
Vi potrò sembrare strana, come se quello che faccio non avesse un senso, ma non mi giudicate per questo.
Mi spaventa fottutamente crescere, diventare grande, lo vedo difficile, devo fare delle scelte e in tutto questo ho ancora bisogno di voi anche se non ve lo dimostro e non ve lo faccio vedere.
vIRICORDO CHE SE VI TROVATE IN UNA SITUAZIONE SIMILE POTETE CONTATTARMI PER PRENOTARE UNA CONSULENZA QUI
Qual’ è il limite e come devono intervenire i genitori
L’importanza dei primi rapporti adolescenziali viene spesso sottovalutata dai genitori: “sono ragazzi”, “si lasciano, si rimettono insieme, litigano”, “vivono in simbiosi” ecc..
Spesso si pensa che si tratti di relazioni superficiali o comunque a breve termine, eppure; a volte però diventano esperienze che lasciano il segno e possono anche condizionare le relazioni future.
Mi confronto spesso con ragazzi impauriti, scottati, rifiutanti e soffocati, già “vittime” di amore sbagliati.
In più, non ci dobbiamo dimenticare che ciò che seminano oggi lo raccolgono domani e le esperienze che fanno in questa fascia di età, come del resto quelle che fanno indirettamente guardando la coppia genitoriale e il modo di amarsi delle persone affettivamente importanti per loro, rappresenteranno il termine di paragone con il quale confrontarsi e un apprendimento indiretto dello stare in coppia.
Erroneamente non si pensa che certe dinamiche di violenza e prevaricazione possano essere presenti e avere inizio in adolescenza.
Per tale ragione è importante cogliere i segnali di allarme sin da subito, facendo ad esempio attenzione ad atteggiamenti legati al possesso e al controllo, che possono portare a frequenti litigi e discussioni.
Come riconoscere i primi campanelli d’allarme?
Riconoscere precocemente i segnali è fondamentale per evitare di restare incastrati in relazioni patologiche, che possono causare nelle vittime una profonda sofferenza interna, lasciando cicatrici indelebili e distruggendo l’autostima.
Non bisogna pensare, infatti, solo alle aggressioni fisiche e verbali, ma anche a tutte quelle forme di prevaricazione agite dal partner attraverso la gelosia eccessiva e la possessività che portano l’altro a non sentirsi più libero. L’amore non è costrizione e castrazione. La gelosia e la possessività non sono segnali d’amore, ma di possesso, controllo e insicurezza che sfociano in prevaricazione della libertà dell’altro.
Inoltre, sebbene molto diffusa, spesso viene sottovalutata la violenza digitale, ossia quella forma di violenza messa in atto attraverso la tecnologia, come ad esempio monitorare i social network, richiedere le password d’accesso, farsi inviare la geolocalizzazione, verificare i like sotto ogni post, controllare gli orari di accesso e le conversazioni nelle chat private.
Infine, bisogna fare attenzione ai ricatti o alle minacce da parte del partner di pubblicare o inviare ad amici e parenti foto intime e compromettenti, che portano la vittima a sentirsi incastrata nella relazione e a non essere più libera di scegliere, come alle minacce di togliersi la vita qualora l’altro decida di lasciarlo.
Ho conosciuto tantissimi adolescenti non più innamorati e nel contempo terrorizzati dalle minacce del partner. “E se si ammazza davvero io lo avrò sulla coscienza per tutta la vita”. Questo pensiero, spesso li porta a non lasciare l’altro pur non provando pur niente per lui: anche questa è violenza perché non c’è libertà di scelta.
Come può tutelarsi un figlio? Alcuni consigli per i genitori
NON SOTTOVALUTARE. Se i figli nella loro relazione di coppia iniziano a sentirsi oppressi, preoccupati e a disagio, significa che qualcosa non va. Bisogna insegnargli che le prepotenze e il controllo non sono “normali”: tutto questo non è eccesso di amore o gelosia, ma invasione dei propri spazi.
DIFENDERE SEMPRE LA PROPRIA LIBERTA’. Essere innamorati non significa isolarsi, trascurare gli amici, lo sport o altre attività. I ragazzi devono avere ben chiaro che ci sono dei limiti anche in amore, che è importante rispettare la propria individualità e che non si deve essere l’oggetto di un’altra persona.
NON CREDERE ALLA “FAVOLA DELL’ULTIMA VOLTA”. Gli scatti d’ira e di violenza non devono mai essere accettati, anche quando il partner si giustifica con problemi familiari o scolastici. Spesso possono arrivare messaggi del tipo: “scusami, non lo farò più”, “non mi lasciare, ti prometto che cambierò” ma non bisogna cedere offrendo un’altra possibilità: si tratta, infatti, di una modalità che cresce e si struttura nel corso degli anni.
NON AVER PAURA DI CHIEDERE AIUTO. E’ importante che un figlio sappia di poter contare sul sostegno dei genitori e si senta libero di raccontare ciò che gli sta accadendo senza vergogna e sensi di colpa. Bisogna fargli capire che isolarsi e tenersi tutto dentro non porta da nessuna parte se non a chiudersi nel proprio dolore e a sentirsi ancora più soli.
È fondamentale trasmettere ai figli il messaggio che si deve mettere sempre al primo posto il rispetto per se stessi, perché solo così potranno vivere con serenità ed equilibrio una relazione d’amore.
E se hai bisogno d aiuto, che tu sia un genitore e non sai come muoverti; che tu sia un adolescente intrappolato in una situazione simile, contattami e
Buongiorno amici. Oggi parliamo di quella spasmodica ricerca della perfezione che attanaglia molti ragazzi, e non solo.
Quando parliamo di perfezionismo ci riferiamo a quella tendenza di raggiungere la perfezione, ovviamente ideale, in quanto non esiste. Il fatto che la perfezione non esista, non significa che non dobbiamo applicarci per cercare di raggiungere risultati sempre migliori.
Dare il meglio di se stessi è importante, ma non si deve mai perdere l’aspetto ludico, del piacere e del divertimento, nonché quello umano della vita, soprattutto quando parliamo di bambini e adolescenti in fase di sviluppo.
Devono imparare a sbagliare e a ricavare qualcosa di utile dai propri errori.
Fare tutto bene, secondo dei criteri imposti dall’esterno non aiuta a crescere perché non fa vivere il senso profondo delle cose, non permette di entrare in relazione con l’ambiente e con le persone, spoglia la vita degli aspetti emotivi a favore di un risultato, di un numero o di una posizione.
Il perfezionismo
Il perfezionismo sembra un problema molto frequente e in aumento soprattutto in questa fase storica e purtroppo, è presente fin dalla prima infanzia, a partire dai primi anni di vita.
I più piccoli non sentono solo la pressione sociale, dei familiari, delle loro aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici, ma anche quella social.
Basta fare un giro nei vari social media che troviamo tutorial su come fare qualsiasi cosa “perfetta”. Vuoi fare una festa perfetta? Vuoi fare il regalo perfetto ecc…
Una ricerca della perfezione anche nelle nostre attività quotidiane, come se non si potesse più fare qualcosa di “normale”. Nella vetrina della rete sembrano tutto bravi in qualcosa, tutti capaci, tutti talenti, macchine da like. A volte credo non esistano più bambini “normali”.
Ascolto prettamente genitori che sottolineano di quanto i figli siano bravi e talentuosi in tutto ciò che fanno; difficilmente li sento orgogliosi di ciò che sono i loro bambini.
A cosa può portare questa ricerca del perfezionismo?
Il perfezionismo non deve essere scambiato con la capacità di mettersi in gioco e di migliorarsi: è un DOVER fare alla perfezione, non un VOLER. Spesso il perfezionismo nasce dalle pressioni familiari, da aspettative troppo elevate che i genitori riversano nei confronti dei loro figli. Si origina anche dalla paura di sbagliare, del giudizio e della valutazione di chi ci sta intorno.
Questa ricerca della perfezione non favorisce il piacere di fare le cose e può generare insoddisfazione.
Un bambino o un adolescente non riescono a godersi i risultati ottenuti, pensano di non aver fatto abbastanza anche quando hanno fatto tutto bene.
“Potevo fare meglio”, “Qui non è proprio perfetto”, “ Non è andata come volevo”.
Frasi spesso accompagnate da un po’ di delusione. Così non riescono a vivere ciò che stanno facendo, rischiano di non essere mai contenti e soddisfatti, e di sviluppare con il tempo anche un’ansia da prestazione.
In questo modo si rischia che anche un consiglio venga letto come una critica, può generare frustrazione e un automatico giustificare le proprie azioni. Non ci si accontenta mai, anche quando è andato tutto bene.
Non si prende in considerazione il “poteva andare peggio”, ma si vede solo il “poteva andare meglio”. Quando qualcosa non va per il verso giusto c’è il rischio che venga intaccato l’umore e che l’errore o ciò che la testa legge come tale anche quando non lo è, rimanga un pensiero fisso.
Nei casi più gravi si può andare incontro anche a un blocco, un rifiuto, un impuntarsi, un non voler andare più avanti. A volte preferiscono abbandonare ciò che stanno facendo perché non riescono a gestire le emozioni che si attivano e la paura di sbagliare.
Tutto questo perfezionismo rischia anche di andare a intaccare l’autostima perché possono arrivare a pensare di non essere adeguati e di non essere in grado di fare le cose.
Si può fare senza dover sempre dimostrare. Come devono intervenire gli adulti?
La sfera creativa e del piacere sono spesso messe in secondo piano a discapito di quella del dovere e della riuscita personale che si basa su un metro di giudizio secondo il quale sei realizzato se ottieni voti alti, medaglie, punteggi alti ecc…
I figli non devono vivere nel dimostrare sempre qualcosa per essere riconosciuti. Non sono le prestazioni “perfette” che devono far felice un genitore, è un figlio in equilibrio che deve far felice un padre o una madre.
Puntare alla crescita personale è un insegnamento importante come fargli capire che si devono mettere sempre in gioco senza paura del giudizio.
Nella vita c’è sempre da imparare, non si vale meno rispetto agli altri quando non si è ai massimi livelli. Sono i valori di una persona che arricchiscono. Il rischio è che il perfezionismo diventi patologico.
Dobbiamo porre attenzione quando un figlio perde il piacere nel fare le cose, quando cerca solo il risultato, quando diventa più importate dimostrare piuttosto che provarci e impegnarsi per raggiungere gli obiettivi. Si può migliorare senza pressioni mentali, concentrarsi sul processo, non sul risultato.
Competizione
È importante abbassare le aspettative e le pressioni esterne e puntare maggiormente sui canali espressivi valorizzando l’importanza dell’essere se stessi. La competizione è importante ma deve essere sana. Il confronto con gli altri serve per migliorarsi e per crescere, non va subìto. Non è tutto una gara o una sfida, neanche tra fratelli. Si devono evitare gli inutili confronti e puntare sulla valorizzazione delle risorse interne e delle differenze individuali.
I ragazzi oggi vivono già in una società altamente competitiva dove si respirano in ogni angolo le pressioni sociali e social. A volte serve riequilibrare e abbassare un po’ l’asticella, non si può pensare di essere al top in tutto. È importante lavorare sugli aspetti legati al piacere e al divertimento. Non possono diventare giudici troppo severi di se stessi, non godersi i propri risultati e non essere mai soddisfatti di se stessi.
Se anche voi vi ritrovate in una situazione del genere, se volete aiutare i vostri figli a crescere nel modo corretto
Se avete paura del senso di dovere che hanno e volete aiutarli contattatemi
Piccola riflessione per genitori ma anche per voi ragazzi:)
Buongiorno amici. Oggi parliamo di come prevenire i problemi dei ragazzi.
Tecnologia
Ma allo stesso momento, quando c’è bisogno, quando c’è una necessità, quando servono, sono lì, pronti ad intervenire.
Genitori
Non precederli in tutto, non spianargli la strada sempre, non essere iperprotettivi, permette ai ragazzi di crescere con quella porzione di autonomia psichica sufficiente per ragionare e riflettere sull’esito delle proprie azioni, per avere una sorta di consapevolezza di ciò che si sta facendo e acquisire la responsabilità che serve per non farsi del male, per non farlo agli altri e per capire quando si sta passando un limite e quando hanno bisogno dell’aiuto di un adulto.
Per fare questo si deve creare un clima giusto, un ambiente familiare non oppressivo e non troppo permissivo, si dovrebbero evitare frasi del tipo
“Mi cerchi solo quando hai un problema o quando ti serve qualcosa”
perché, per il loro orgoglio adolescenziale, si rischia solo di indurli a non chiedere più niente per non sentirsi rinfacciare le cose.
È vero che un genitore dice queste frasi perché si aspetta che un figlio riconosca anche altri lati della loro persona e del loro essere madre o padre, al di fuori dei beni materiali e di ciò che gli serve.
Ma un adolescente, non la vede così, la vive sul personale, la filtra male e reagisce di conseguenza. Non significa ovviamente, fargli passare tutto, anche questo atteggiamento sarebbe sbagliato, significa, essendo più maturi, capire anche il loro punto di vista.
Dialogo
Non si può pretendere che un adolescente si metta da solo nei panni di un genitore e capisca il suo punto di vista.
Si devono quindi stimolare al dialogo e al confronto, per cui non si deve sminuire ciò che dicono, si deve fare attenzione ai loro racconti, sia quelli più superficiali e banali, che quelli più ricchi di problemi e profondi.
Invece, capita che, quando raccontano quelle che, per un genitore sono fesserie, non si ascoltino e si drizzino le antenne solo quando si sente la parola “problema”.
Per loro significa non essere compresi, non essere compresi significa non essere riconosciuti nei propri problemi.
Di conseguenza, si chiude la porta ai genitori, anche quando non si dovrebbe.
Il digitale ha unito da tanti punti di vista le famiglie.
Siamo in un periodo storico in cui non credo che genitori e figli siano mai stati così vicini e che padri e madri, soprattutto padri, siano mai stati così presenti nella vita dei figli (questo non significa che tutti i padri siano così).
Attraverso la tecnologia ci si scrive messaggi, si sa sempre dove ci si trova e cosa si sta facendo e le comunicazioni arrivano in tempo reale e in simultanea a tutti i membri della famiglia.
Abituarsi a parlare
Nello stesso momento questa modalità deve agevolare da alcuni punti di vista, ma non si può assolutamente sostituire al dialogo e al contatto diretto tra i vari membri della famiglia.
Non ci si deve abituare a non parlare, un messaggio vocale non deve sostituire la conversazione.
Il fatto di sapere dove ci si trova o quello che si fa o cosa accade a scuola attraverso i registri elettronici, ha annullato anche il confronto sul rendimento scolastico e l’affrontare direttamente un genitore.
Il fatto che non si affronti più il genitore, e che si comunichino anche le cose che non vanno o i problemi attraverso le chat, porta a non assumersi le proprie responsabilità.
Porta a non trovare strategie per risolvere i problemi, alla assenza del confronto con un adulto, al guardalo in faccia per vedere il suo dissenso che serve per acquisire le competenze per capire di aver commesso degli errori.
Genitori amici?
Per esperienza diretta con i ragazzi, oggi nelle famiglie digitali si tende a discutere tanto, soprattutto in merito gli aspetti legati alle prestazioni.
In particolar modo quelle scolastiche, e molto meno a quelli emotivi, dimenticandosi che il dialogo tra i genitori e figli, e tra genitori e genitori, è uno strumento di prevenzione e di educazione potentissimo.
Dialogare insieme, non significa diventare i loro amici o i loro confidenti, come troppi adulti erroneamente fanno, ma la loro carta assorbente, un confronto maturo ed esperto in grado di comprenderli.
In troppe situazioni, purtroppo, è praticamente impossibile, a causa della immaturità dei genitori, dei loro problemi o disturbi e della incapacità di essere un riferimento autorevole.
Questo purtroppo, li porterà a non avere punti di riferimento stabili e li renderà vulnerabili, potenzialmente alla deriva.
Dialogare non è rendicontare, soprattutto per soddisfare la curiosità del genitore o placare le sue ansie.
Conoscere davvero un figlio
Solo attraverso il dialogo si riesce a conoscere veramente un figlio, si guarda nei suoi occhi, si apprende come si esprime, nel bene e nel male e si riesce quindi a capire quando c’è qualcosa che non va.
Perché un figlio si apra con il genitore ci deve essere innanzitutto l’ascolto empatico, ossia ascoltare ciò che un ragazzo racconta mettendosi nei suoi panni e guardando anche attraverso il suo filtro.
Il messaggio che deve arrivare ad un ragazzo è che, nel bene e nel male, il genitore è pronto ad ascoltarlo, anche quando gli racconta ciò che non vorrebbe mai sentire con le sue orecchie.
Per questo è importante che in famiglia ci sia un clima di apertura e si parli di tutte le problematiche che caratterizzano la vita, non solo di compiti.
E voi, vi ritrovate in queste situazioni?
Se sì e avete bisogno di un aiuto concreto contattatemi qui