Da cosa nasce l’aggressività, perché, c’è differenza con la violenza?
Buongiorno amici. Oggi diretta sull aggressività.
Aggressività o violenza- diretta sull aggressività
In effetti c’è una sottilissima differenza. Semplicemente nel fatto che la violenza è quando il soggetto aggressivo ha atteggiamenti autodistruttivi o distruttivi nei confronti del malcapitato che, invece, diventa il suo obiettivo, ciò che deve sottomettere.
Cosa fare
Nella diretta, rifletteremo di un sacco di punti legati alle motivazioni per cui un ragazzo può diventare aggressivo o violento nei confronti degli altri e, spesso, di se’ stesso.
E vi dirò come fare a capire se è il caso di intervenire o no.
I ragazzi, a quest’età, sono ribelli, e hanno il diritto di esserlo. Stanno cercando di costruire la propria identità.
Ma se la ribellione non è legata al singolo episodio ma diventa sistemica, beh, allora è il caso di correre ai ripari.
Diretta sull aggressività
Niente ulteriori spoiler. Gustatevi la diretta e vi ricordo, come sempre , che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi in questo modo:
Progetto molto importante dedicato agli adolescenti.
Buonigorno amici. Oggi vi presento no more home abuse.
Progetto
Tutto asce dall’idea di creare uno spazio, un piccolo cntro dove poter dare ascolto a tutti quei ragazzi e ragazze vittime di abusi e violenze domestiche.
E che, per paura, vergogna, non hanno ancora avuto il coraggio di urlare il loro dolor,e la loro rabbi,a di denunicare ed essere sostenuti.
Di chiedere aiuto.
Ragazzi-no more home abuse
Nel mio lavoro, nel corso degli anni, ho avuto, purtroppo, a che fare con situazioni di questo tipo.
Cosa comporta? L’allontanamento dalla famiglia dei ragazzi, il percorso in comunità, il processo, a volte, la presa incarico degli assistenti sociali e del tribunale dei minori.
Ed è rporpio aiutando questi ragazzi, ed è proprio gardando i loro occhi e tenendo le loro mani che ho voluto portare avanti questo progetto.
Incontro- no more home abuse
Un progetto che è , oltretutto, un luogo di incontro tra ragazzi che hanno lo stesso vissuto, che possono darsi coraggio e sostenersi a vicenda. Per non farli sentire soli e sbagliati.
Un luogo dove l’arte può essere da veicolo per esprimere i loro sentimenti e le loro paure.
Ma per avvare tutto questo ho bisogno di voi e del vostro aiuto.
Ascoltate attentamente la diretta .
E se volete, sostenete no more home abuse e fate girare il più possible,ai vostri parenti, amici, conoscenti, sui social media, questo link
Buongiorno amici. Oggi parliamo de la solitudine dei ragazzi.
La solitudine
Potremmo dire che la solitudine è un problema di molti giovani di questa generazione che appaiono iper connessi e con un grande vuoto intorno, ma sarebbe una grossolana semplificazione di un tema che è molto presente in adolescenza perlomeno in quella delle ultime generazioni. La solitudine accompagna il percorso evolutivo dalla preadolescenza all’età adulta anche se è un tema molto “caldo” quasi una vergogna per un ragazzo.
Il gruppo
Pensiamo a quanto sia importante far parte del gruppo dei “popolari” piuttosto che degli “sfigati” negli anni della scuola media: c’è chi si isola o viene isolato e chi si circonda sempre di compagni e non sta mai da solo. Ad aspetti di facciata opposti spesso corrispondono uguali sentimenti di solitudine. La solitudine è un sentimento tenuto nascosto, una debolezza da non mostrare e fa effetto il gesto di Potes che ammette la difficoltà di socializzare al netto della popolarità.
Popolarità
Una popolarità che parte probabilmente dal lockdown quando la necessità di depotenziare un virus ha costretto molti ragazzi all’isolamento, isolamento che per definizione è una minaccia in adolescenza.
Il perseguimento dell’autonomia, il consolidamento dell’identità personale, la relativizzazione delle figure genitoriali vengono perseguiti attraverso un graduale e costante allontanamento fisico e psicologico dalle famiglia.
È un percorso che inevitabilmente stimola sentimenti di solitudine visto che ogni aumento dell’autonomia porta con sé un aumento del senso di solitudine.
Sostegno
Per questo è importante il sostegno dei coetanei che durante il lockdown ha preso strade più virtuali, astratte che non sempre sono ritornate alla normalità alla fine del periodo di restrizioni. All’impossibilità di sfuggire al ritorno all’indietro tra le mura famigliari ed evadere dalla coercizione ognuno ha reagito a suo modo.
La ricerca di centralità e visibilità in internet è stato uno di questi e probabilmente è quello che è successo a Potes che ha fatto del problema un’opportunità. Ma non ha cambiato i bisogni, le criticità e i sentimenti adolescenziali che hanno sempre bisogno di condivisione e presenza per essere superati.
E vi ricordo che, se avete bisogno di me, potete contattarmi tramite la sezione contatti e consulenze del sito
Buongiorno amici 🙂 Oggi parliamo di silenzio passivo aggressivo.
C’è silenzio e silenzio. Può essere infatti anche “buono”, quando si vuole prendere del tempo per sé in una discussione «in questo caso può essere un modo per difendersi quando la conversazione sta prendendo una piega che si fa fatica a gestire. Ma è anche un modo utile per prendere tempo e sottrarsi ad una discussione prima che degeneri.
In altri invece il silenzio diventa assordante e soprattutto un’arma nelle mani di una persona ai danni dell’altra. «In questi casi, chi decide di interrompere la comunicazione, utilizza il silenzio come un modo per ottenere un vantaggio innescando una dinamica di potere nella relazione» spiega la dottoressa Perris. Il silenzio diventa quindi un modo non solo per dilatare i tempi, ignorando l’altra persona, ma anche per creare delle situazioni di stallo in cui entrambi si è coinvolti senza quindi giungere a una soluzione. Ma perché succede?
Dietro al silenzio passivo-aggressivo, inadeguatezza e insicurezza
All’origine di questo atteggiamento ci sono molte insicurezze da parte di chi lo porta avanti come mancanza di autostima, incapacità di creare relazioni sane ma anche poca dimestichezza nello stare assieme agli altri e in società. Questi fattori generano quindi grande insicurezza e davanti a un “no” non si sa come reagire. E quindi ci si chiude nel silenzio: «Il silenzio può essere utilizzato per costringere l’altro a vedere la nostra sofferenza, per indurlo a modificare il suo comportamento o punto di vista, per generare in lui sensi di colpa, spingerlo a sentirsi in difetto e quindi a mettere in primo piano i nostri bisogni. In questo senso, può rappresentare un modo per punire l’altro o configurarsi come una dinamica manipolatoria
Atteggiamenti non solo come il silenzio, ma anche lo scomparire, il non rispondere più al telefono, il non prestare attenzione all’altro, sono tutti passivo-aggressivi e tipici di chi non sa come relazionarsi con gli altri e vuole evidenziare il suo essere vittima in una determinata circostanza. In queste situazioni mancano quindi atteggiamenti di autocritica, di flessibilità ma anche di empatia che aiutano a relazionarsi con gli altri.
Come si sente chi subisce il silenzio del passivo-aggressivo
Il passivo-aggressivo pensa quindi solo al proprio dolore e al proprio senso di inadeguatezza, non pensa mai che può essere lui stesso la causa di altro disagio: «Chi subisce l’interruzione della comunicazione può sentirsi arrabbiato, confuso rispetto ai motivi che hanno dato luogo a questa reazione. Può sentirsi in dovere di rivedere le proprie posizioni pur di ripristinare la connessione emotiva con l’altro e uscire da una situazione che genera ansia, solitudine e senso di inadeguatezza.
Uscire da una situazione di silenzio passivo-aggressivo
Come si dovrebbe comportare quindi chi subisce questo tipo di atteggiamento? Generalmente, davanti al silenzio, si ha la tendenza a ripristinare il dialogo, chiedendo cos’è successo o il perché della reazione: Così facendo però si cade esattamente nella dinamica di potere voluta dall’altro, gli si domanda cosa non va, cosa abbiamo fatto di sbagliato, come possiamo rimediare. In alcuni casi può succede che il silenzio va oltre anche le scuse, cessando solo quando chi lo utilizza avverte angoscia e disorientamento nell’altro.
Come comportarsi quindi?
Sarebbe utile, dunque, prendere tempo di fronte al silenzio mantenendo un distacco che sia un chiaro segnale che questa modalità non condurrà all’effetto sperato.
È importante anche capire che questo tipo di atteggiamento non è un attacco personale quanto la manifestazione di un problema dell’altra persona. Per questo, come consiglia la dottoressa Perris, non è consigliabile insistere o “affrontare di petto” la situazione, quanto parlarne una volta che è passato del tempo.
Vi ricordo che, se avete bisogno di me, potete contattarmi tramite la sezione “contatti e consulenze” del sito
Buongiorno amici. Oggi parliamo di violenza assistita sui bambini.
La violenza assistita è una violenza a tutti gli effetti, ha lo stesso impatto psicologico di quella fisica e diretta, non può essere trascurata.
VIOLENZA ASSISTITA significa far assistere al minore a scene di violenza fra i genitori, dove i maltrattamenti possono essere di tipo fisico, sessuale, psicologico ed economico.
Il bambino può fare esperienza diretta della violenza intrafamiliare, quando avviene nel suo campo percettivo o indiretta, quando è a conoscenza dei conflitti tra i genitori o quando ne percepisce gli effetti.
I livelli di violenza a cui un figlio può essere esposto sono svariati: dalla piccola violenza quotidiana, alle forme più gravi, che creano nel minore traumi tanto gravi quanto le altre forme di violenza.
È violenza anche quando i genitori amplificano i propri stati ansiosi nei figli, esponendoli a situazioni psicologiche difficili da affrontare, senza curarsi del carico emotivo negativo che provocano nei propri bambini.
I danni della violenza assistita a breve e a lungo termine
Purtroppo, si vive ancora nella convinzione errata che i bambini non vedano o non capiscano realmente cosa accade sotto i loro occhi all’interno delle mura domestiche. I bambini vedono e sentono tutto e si comportano di conseguenza.
Subiscono, anche se a volte non lo manifestano apertamente e si portano dentro i segni a volte apparentemente invisibili della violenza assistita.
Viene trascurato l’impatto da un punto di vista emotivo, fisico, relazionale, affettivo e sociale di queste forme di violenza che a volte sono estremamente condizionanti e hanno esiti clinicamente importanti.
violenza domestica
Le differenti modalità con cui si agisce la violenza all’interno delle mura domestiche costituiscono, per la vittima, una condizione che confonde e destabilizza l’integrità e la personalità di un bambino ancora in fase di maturazione e di stabilizzazione dei tratti andando a gravare sul processo di crescita.
Si favoriscono, così, gravi conseguenze sullo sviluppo psicologico a breve, medio e lungo termine.
Enuresi, encopresi, disturbi alimentari, bassa autostima, sbalzi d’umore, mancanza di fiducia negli altri, dipendenze da droghe e alcol, difficoltà di apprendimento, depressione, ritardo nello sviluppo, fino ad arrivare alla prostituzione, delinquenza, criminalità e sviluppare disturbi psicopatologici in età adulta.
Psicosomaticità
Anche se non lo esprimono a parole o con comportamenti manifesti, l’impatto della violenza assistita si manifesta con problematiche psicosomatiche, di umore, di autostima, relazionali e legate all’inibizione dell’esternazione dei propri stati interni.
Certamente, le reazioni più gravi a un’esposizione sistematica e continuativa alla violenza, si manifestano in quei bambini costretti a vivere in un contesto familiare che li tiene continuamente in allarme, in quanto il minore non si sente protetto.
Se il vissuto traumatico del bambino vittima non viene elaborato e rimane inespresso, l’impatto sulla psiche sarà ancora più devastante.
Un bambino che è cresciuto in un ambiente violento, non ha sicuramente sviluppato un legame di fiducia con il genitore, o con i genitori violenti, non può fidarsi di lui e affidarsi a lui (o loro) dopo aver visto le sue reazioni e aver subìto i suoi comportamenti.
Vive in una condizione di costante allerta, di attivazione interna generata dalla paura che la violenza sia dietro l’angolo.
Vivere a contatto con il, o i genitori violenti, potrebbe rappresentare un rivivere, anche in maniera indiretta, ciò che è stato subito per anni.
Come possono lasciarsi andare, esprimersi e vivere invece che sopravvivere? Chi aiuta questi bambini che si sentono soli e troppe volte non riconosciuti e incompresi?
Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete cotnattarmit ramite la sezione contatti e consulenze de sito
cos’è e come metterla in pratica all’interno della famiglia.
Buongiorno amici. Oggi parliamo di comunicazione non violenta.
I conflitti sono comuni nelle famiglie e di per sé non sono negativi. Tuttavia, possono diventarlo quando non sono gestiti in modo appropriato e causano ferite che non si rimarginano. Che ruolo gioca la comunicazione nonviolenta in questo contesto?
La comunicazione non violenta è un modello sviluppato da Marshall Rosenberg che rende più facile per le persone comunicare con empatia e assertività. Nel contesto familiare, questo concetto si applica alla comunicazione tra i diversi membri.
Gli strumenti offerti dalla comunicazione non violenta permettono di trasformare una situazione conflittuale che può sorgere nella convivenza quotidiana e relazionarsi con gentilezza, rispetto e armonia.
Questo modello di comunicazione, chiamato anche comunicazione empatica, ha lo scopo di sostituire i modelli di risposta difensivi o evitanti ai giudizi e alle critiche di altri membri della famiglia con altri basati sull’empatia.
Le reazioni di resistenza, difesa e violenza sono ridotte al minimo, poiché quando ci concentriamo sul chiarire ciò che osserviamo, sentiamo e desideriamo, invece di dedicarci alla diagnosi e al giudizio, la compassione tende a emergere naturalmente.
La comunicazione empatica rimuove le barriere tra le persone per favorire la comprensione.
Linee guida per una comunicazione non violenta in famiglia
In caso di conflitto tra due familiari, la comunicazione non violenta propone di seguire le seguenti fasi:
Osservazione dei fatti: come li vedo io e come li vede l’altro.
Come ci sentiamo (io e l’altro)?: con empatia, senza giudicare, rifiutare, ecc.
Quali sono i bisogni autentici alla base dei sentimenti scoperti?
Avanzare una richiesta diretta a raggiungere l’obiettivo o il desiderio genuino (necessità). Cosa possiamo e dobbiamo chiedere a noi stessi o all’altro per risolvere il problema e arricchire la nostra vita.
Dopo aver fatto la richiesta, è necessario assicurarsi che il messaggio sia stato compreso in modo soddisfacente con domande dirette.
L’idea è capire come l’interlocutore ha inteso le nostre parole e poter correggere qualsiasi interpretazione errata (Rosenberg, 2013). In sintesi, la struttura suggerita da Rosenberg (2013) è la seguente:
“Quando fai o dici…”
“Sento che…”
“Perché ho bisogno di…”
Se sei d’accordo, vorrei che tu…”.
Un’ulteriore fase consiste nel rispettare i passaggi descritti con i diversi membri della famiglia. In primo luogo, percependo ciò che pensano, provano e di cui hanno bisogno per poi scoprire ciò che desiderano per arricchire la loro vita ascoltando la richiesta che ci fanno. Allo stesso modo, invitiamoli a fare lo stesso e stabiliamo un flusso di comunicazione assertiva.
La comunicazione non violenta: lessico dei sentimenti e dei bisogni in famiglia
L’espressione degli stati emotivi deve essere chiara e precisa in modo da aiutarci a connetterci con gli altri. Rosenberg distingue tra sentimenti piacevoli, quando i bisogni sono soddisfatti, e sentimenti spiacevoli, quando i bisogni non sono soddisfatti.
Da un lato, menziona sentimenti piacevoli come affetto, fiducia, entusiasmo, speranza, pace, felicità, gratitudine, interesse, ispirazione e apertura. D’altra parte, elenca sentimenti spiacevoli come desiderio, avversione, confusione, rabbia, irrequietezza, paura, tristezza, rabbia, dolore e vergogna.
Tuttavia, vi sono due elementi che ostacolano con frequenza l’espressione dei sentimenti. Uno è la mancanza di alfabetizzazione emotiva in famiglia, che complica la capacità dei membri di esprimersi apertamente e con chiarezza.
Un altro ostacolo è la paura comune di mostrarsi vulnerabili agli altri, quando proprio la vulnerabilità facilita la risoluzione dei conflitti (Vivas, Gallego e González, 2007).
Quanto all’espressione dei bisogni, significa collegare il sentimento con tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere fisico, emotivo e spirituale.
Ancora una volta, Rosenberg fornisce un elenco di bisogni umani, tra cui connessione, vicinanza, autonomia, integrità, partecipazione, libertà e interdipendenza, che possono guidarci nel capire quale bisogno non abbiamo soddisfatto.
La comunicazione non violenta permette la comprensione sulla base dell’empatia e del rispetto.
Uno strumento utile in casa: la scatola dei sentimenti
La scatola dei sentimenti è uno strumento utile da usare a casa per favorire la comunicazione non violenta. Consiste nel lasciare su un tavolo, accessibile a tutti, una scatola con all’interno dei pezzetti di carta.
Attraverso questa risorsa, tutti i membri della famiglia possono condividere i diversi eventi che hanno causato loro disagio durante la giornata.
A fine giornata, ogni membro leggerà un pezzo di carta a caso e proporrà una soluzione o un bel commento per trovare una soluzione al problema. Questa dinamica aiuta a essere consapevoli e responsabili in quanto a pensieri, sentimenti e azioni; di conseguenza, ha prendere decisioni migliori.
Conclusioni
La comunicazione non violenta ci aiuta a connetterci con noi stessi e con gli altri. Grazie a essa, possiamo aumentare la comprensione e l’empatia, basando la convivenza sull’onestà e l’impegno.
E se anche voi avete bisogno di ritrovare una serenità familiare contattatemi tramite form per cominciare un percorso di…rinascita.
Spero che aver parlato di comunicazione non violentavi sia stato utile.
Vi ricordo di iscrivervi al sito e, se avete bisogno di me, contattatemi sulla sezione “contatti e consulenze” del sito
O sulla piattaforma di camtv iscrivendovi alla membership(il canale è adolescenti istruzioni perl’uso)
Buongiorno amici. Oggi parliamo di violenza familiare.
La violenza in famiglia è una forma di aggressione. Si basa su continue critiche, umiliazioni, disprezzo e manipolazioni da parte di genitori, fratelli o altre figure nei confronti di un membro specifico.
Una simile dinamica condivisa quasi sempre dipende da un individuo alle cui azioni aderiscono alcuni membri della famiglia meno potenti.
Se è vero che quando parliamo di bullismo, visualizziamo quasi istantaneamente il cortile di una scuola o un ambiente di lavoro, c’è un altro scenario che spesso trascuriamo. Anche la famiglia molesta e umilia, e questo attacco psico-emotivo a volte può essere pari o più dannoso delle esperienze di bullismo scolastico.
Avere il nemico in casa significa non godere di riparo o sostegno. Crescere come la pecora nera o il brutto anatroccolo è traumatico e di rado il trauma viene correttamente affrontato in età adulta.
Avere uno o più intimidatori con lo stesso codice genetico significa dover affrontare situazioni di disagio anche se non si vive più nel nucleo familiare. Proviamo a descrivere più in dettaglio questa realtà.
In cosa consiste la violenza in famiglia
Spesso diciamo che il modo più comune per evitare uno stalker è allontanarsi da quella presenza. Tuttavia, come ben sappiamo, questo non è sempre possibile.
Il bambino vittima di bullismo deve tornare a scuola ogni giorno. Il lavoratore che subisce mobbing deve rispettare la sua giornata lavorativa. E la persona vittima di violenza in famiglia trascorre molti anni in un ambiente dal quale le è impossibile scappare.
Oltre a ciò, a volte queste dinamiche aggressive si perpetuano anche quando la vittima ha già raggiunto l’età adulta. Perché il familiare “bullo” prende una vittima e intensifica il comportamento offensivo e umiliante. L’aspetto più grave è che di solito c’è alleanza o silenzio da parte degli altri membri.
Questa forma di violenza domestica non è nuova. È una realtà con una lunga tradizione spesso messa a tacere nella nostra società.
Bulli in famiglia: chi e come sono
Possono essere i genitori e persino i fratelli. Allo stesso modo, quando si inizia una relazione, può capitare che suoceri e cognati rivolgano critiche e umiliazioni costanti. In generale, la persona che maltratta un familiare presenta uno o più tratti molto specifici:
La sua aggressività si basa sulla parola.
Mostra un comportamento immaturo.
Usa le bugie per convincere anche gli altri membri.
Controlla la persona.
È vendicativa.
L’aggressore in famiglia può anche essere manipolatore.
Potrebbe agire per gelosia e invidia.
Può mostrarsi arrogante e narcisista.
Potrebbero verificarsi notevoli sbalzi d’umore.
È abile nel fraintendere tutto, nel cambiare ciò che la vittima fa o dice e la umilia.
Come si manifesta la violenza in famiglia?
Essere vittima di violenza in famiglia può creare confusione da bambini, poiché si normalizzano determinate dinamiche. Tuttavia, crescendo ci si rende conto che certi comportamenti non solo leciti.
Questo perché feriscono, intimidiscono e privano di rispetto e benessere, dimensioni a cui tutti abbiamo diritto. I segnali di violenza sono molto vari, ma è necessario riconoscerli il prima possibile:
Si umilia la vittima per la sua persona, le azioni e le parole. Viene resa il brutto anatroccolo.
Si sminuisce.
La persona viene zittita e privata di importanza all’interno della famiglia.
Si adottano comportamenti di critica e di costante disprezzo rendendo la vittima nella pecora nera.
Si crea caos trasformando ogni conversazione in una discussione, assegnando colpe e pronunciando false affermazioni.
Ricatti e manipolazioni emotive.
Paragoni umilianti (tuo fratello è una persona migliore di te).
Superiorità, battute dannose e commenti umilianti.
È comune accusare la vittima di egoismo, di avere in mente solo i propri interessi.
Effetti psicologici
La famiglia prepotente si comporta come un animale territoriale. Molte volte il fratello, il cognato, la madre, il suocero o il padre molesti sono spinti dalla gelosia, da quell’invidia che cerca di espellere qualcuno dal nucleo familiare; indipendentemente dal legame. Come possiamo dedurre, l’impatto mentale e sociale è immenso.
Sono in aumento, di fatto, gli studi sugli effetti delle molestie domestiche. Per esempio, uno studio di ricerca condotto presso l’Universidad Central del Sur. La ricerca indica chiaramente che la violenza tra fratelli provoca profonda angoscia e disturbi dell’umore.
Sappiamo anche che più si protrae la situazione, maggiore è l’impatto sulla persona. Chi cresce in un ambiente disfunzionale tende ad adottare condotte autodistruttive.
Come rispondere alla violenza in famiglia
Nessuno ha il diritto di ferirci in alcun modo. È pienamente giustificato difendersi, rispondere il prima possibile e persino segnalare tali situazioni, indipendentemente dal fatto che il molestatore sia un familiare. Nessuno dovrebbe infondere paura e insicurezza, criticarci, ignorarci o annullarci come persone.
Stabilire limiti, salvaguardare le nostre emozioni, praticare la cura di sé, cercare figure di supporto valide e mantenere le distanze dai familiari aggressivi è la chiave del nostro benessere. La famiglia dovrebbe essere sempre un luogo di nutrimento, non un campo di battaglia.
Ragazzi io vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete contattarmi nella sezione “contatti e consulenze” del sito
Sperando che parlare di violenza familiare vi sia stato d’aiuto vi abbraccio:)
Qual’ è il limite e come devono intervenire i genitori
L’importanza dei primi rapporti adolescenziali viene spesso sottovalutata dai genitori: “sono ragazzi”, “si lasciano, si rimettono insieme, litigano”, “vivono in simbiosi” ecc..
Spesso si pensa che si tratti di relazioni superficiali o comunque a breve termine, eppure; a volte però diventano esperienze che lasciano il segno e possono anche condizionare le relazioni future.
Mi confronto spesso con ragazzi impauriti, scottati, rifiutanti e soffocati, già “vittime” di amore sbagliati.
In più, non ci dobbiamo dimenticare che ciò che seminano oggi lo raccolgono domani e le esperienze che fanno in questa fascia di età, come del resto quelle che fanno indirettamente guardando la coppia genitoriale e il modo di amarsi delle persone affettivamente importanti per loro, rappresenteranno il termine di paragone con il quale confrontarsi e un apprendimento indiretto dello stare in coppia.
Erroneamente non si pensa che certe dinamiche di violenza e prevaricazione possano essere presenti e avere inizio in adolescenza.
Per tale ragione è importante cogliere i segnali di allarme sin da subito, facendo ad esempio attenzione ad atteggiamenti legati al possesso e al controllo, che possono portare a frequenti litigi e discussioni.
Come riconoscere i primi campanelli d’allarme?
Riconoscere precocemente i segnali è fondamentale per evitare di restare incastrati in relazioni patologiche, che possono causare nelle vittime una profonda sofferenza interna, lasciando cicatrici indelebili e distruggendo l’autostima.
Non bisogna pensare, infatti, solo alle aggressioni fisiche e verbali, ma anche a tutte quelle forme di prevaricazione agite dal partner attraverso la gelosia eccessiva e la possessività che portano l’altro a non sentirsi più libero. L’amore non è costrizione e castrazione. La gelosia e la possessività non sono segnali d’amore, ma di possesso, controllo e insicurezza che sfociano in prevaricazione della libertà dell’altro.
Inoltre, sebbene molto diffusa, spesso viene sottovalutata la violenza digitale, ossia quella forma di violenza messa in atto attraverso la tecnologia, come ad esempio monitorare i social network, richiedere le password d’accesso, farsi inviare la geolocalizzazione, verificare i like sotto ogni post, controllare gli orari di accesso e le conversazioni nelle chat private.
Infine, bisogna fare attenzione ai ricatti o alle minacce da parte del partner di pubblicare o inviare ad amici e parenti foto intime e compromettenti, che portano la vittima a sentirsi incastrata nella relazione e a non essere più libera di scegliere, come alle minacce di togliersi la vita qualora l’altro decida di lasciarlo.
Ho conosciuto tantissimi adolescenti non più innamorati e nel contempo terrorizzati dalle minacce del partner. “E se si ammazza davvero io lo avrò sulla coscienza per tutta la vita”. Questo pensiero, spesso li porta a non lasciare l’altro pur non provando pur niente per lui: anche questa è violenza perché non c’è libertà di scelta.
Come può tutelarsi un figlio? Alcuni consigli per i genitori
NON SOTTOVALUTARE. Se i figli nella loro relazione di coppia iniziano a sentirsi oppressi, preoccupati e a disagio, significa che qualcosa non va. Bisogna insegnargli che le prepotenze e il controllo non sono “normali”: tutto questo non è eccesso di amore o gelosia, ma invasione dei propri spazi.
DIFENDERE SEMPRE LA PROPRIA LIBERTA’. Essere innamorati non significa isolarsi, trascurare gli amici, lo sport o altre attività. I ragazzi devono avere ben chiaro che ci sono dei limiti anche in amore, che è importante rispettare la propria individualità e che non si deve essere l’oggetto di un’altra persona.
NON CREDERE ALLA “FAVOLA DELL’ULTIMA VOLTA”. Gli scatti d’ira e di violenza non devono mai essere accettati, anche quando il partner si giustifica con problemi familiari o scolastici. Spesso possono arrivare messaggi del tipo: “scusami, non lo farò più”, “non mi lasciare, ti prometto che cambierò” ma non bisogna cedere offrendo un’altra possibilità: si tratta, infatti, di una modalità che cresce e si struttura nel corso degli anni.
NON AVER PAURA DI CHIEDERE AIUTO. E’ importante che un figlio sappia di poter contare sul sostegno dei genitori e si senta libero di raccontare ciò che gli sta accadendo senza vergogna e sensi di colpa. Bisogna fargli capire che isolarsi e tenersi tutto dentro non porta da nessuna parte se non a chiudersi nel proprio dolore e a sentirsi ancora più soli.
È fondamentale trasmettere ai figli il messaggio che si deve mettere sempre al primo posto il rispetto per se stessi, perché solo così potranno vivere con serenità ed equilibrio una relazione d’amore.
E se hai bisogno d aiuto, che tu sia un genitore e non sai come muoverti; che tu sia un adolescente intrappolato in una situazione simile, contattami e
Ma davvero può essere pericolosa la serie diventata ormai un cult e un caso per ragazzi e bambini?
Buongiorno amici. Oggi parliamo di squid game ed emulazione violenta nei minori.
Squid Game è diventato soprattutto un caso oggetto di polemiche e allarmi da parte delle istituzioni. La denuncia più recente arriva dall’Inghilterra, dalla contea di Bedfordshire.
Il consiglio comunale, a partire dalle segnalazioni del team che si occupa dei programmi di tutela e salvaguardia dell’educazione, ha allertato le famiglie su una serie di casi che hanno coinvolto numerosi minorenni. In una mail rivolta a familiari e tutori legali, riporta il Guardian, hanno consigliato di “tenere gli occhi ben aperti e rimanere vigili”.
LA RAGIONE?
“Il numero crescente di report che registrano un sensibile aumento della percentuale di bambini e adolescenti invischiati in competizioni violente ispirate a Squid Game. Prodotto che, almeno da quanto indicato dal network, sarebbe destinato a un pubblico d’età superiore ai 15 anni”.
Anche dal Belgio la cronaca riporta episodi di percosse tra bambini proprio dopo avere imitato un gioco della famosa serie tv.
In effetti i bambini imparano molto per imitazione e i personaggi che vincono, che hanno un potere sugli altri, attirano molto la loro attenzione, perché essi si percepiscono in una posizione di inferiorità rispetto agli adulti. Se poi i personaggi ‘forti’ vengono proposti in un videogioco dagli stessi adulti, si sentono incoraggiati a imitarne i comportamenti.
La SERIE attira i bambini perché riproduce i giochi tipici dell’ infanzia, come “un, due, tre, stella…”..ma le penitenze di chi perde hanno dei risvolti violenti.
La violenza eccita, mette in circolazione adrenalina, suscita emozioni forti, questo è il motivo per cui la violenza può avere la meglio sulla paura e anche sul senso di pietà nei confronti delle vittime.
Un mix di violenza e impatto visivo. Ricorda un po’ Arancia Meccanica di Kubrick: Il contenuto è quello: violenza esasperata e l’uso della stessa senza una risonanza emotiva.
MA LA COLPA è DA ATRRIBUIRE SOLO ALLA SERIE?
Assolutamente no. E’ un po’ il discorso trito e ritrito del “quello è un satanista perché ascolta metal “…la colpa nn è della serie, della musica, dei film horror.
Davanti scene di questo tipo, e essendo in presenza di minori, i Genitori dovrebbero fare da filtro e spiegare che quelle scene sono rese per attirare l’attenzione, non sono e non devono essere realtà.
I genitori devono aiutare i più piccoli decodificare certi tipi di messaggi.
Non diamo sempre la colpa ad uno spauracchio qualsiasi e diverso a seconda delle situazioni. Prendiamoci le nostre responsabilità.